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venerdì 29 novembre 2013

Il tramonto di Berlusconi

L'uscita di scena di Berlusconi genera alcune domande. Come è stato possibile che per vent'anni questo personaggio abbia potuto monopolizzare la vita politica italiana tanto da dare agli anni che vanno dal 1993 al 2013 il nome di berlusconismo e come ha fatto a raggiungere il potere? Leone Tolstoj, in Guerra e Pace, tentava di spiegare il periodo napoleonico, che poi è durato meno di quello berlusconiano, con una affascinante teoria. Secondo lui il personaggio del capo carismatico non è che una sorta di campione che lo spirito dell'epoca chiama ad interpretarlo. Non  sarebbe quindi per meriti speciali che queste persone salgono al potere ma solo perchè sono nel posto giusto al momento giusto per un destino provvidenziale, sorta di marionette i cui fili sono mossi dalla loro divorante ambizione e dalle esigenze di un popolo di incarnare le proprie aspettative. Questa definizione si attaglia ovviamente a tutti i cosidetti "uomini della provvidenza", dittatori e non, che si sono succeduti nella storia. Le doti personali sono secondarie rispetto alla loro funzione di rappresentanza della cultura dell'epoca. Nel caso di Berlusconi possiamo dire che la cultura del marketing televisivo e del potere bancario degli anni ottanta non poteva che produrre questo e lui è stato bravo a interpretare le aspirazioni qualunquiste, anarcoidi, arlecchinesche e individualiste della maggior parte degli italiani. Certi commentatori hanno paragonato il ventennio di Berlusconi al ventennio fascista ma, a parte la durata, non mi sembra vi siano molte affinità, mentre l'uno era la proiezione delle aspettative militariste e nazionaliste l'altro non è che la proiezione della caduta dei valori tradizionali e l'assenza di sostituti validi. Vale a dire che l'Italia del bum economico e delle canzonette, nonostante i conclamati slogan sessantottini, non poteva produrre un interprete migliore ai suoi sogni di sesso, soldi e successo. Non si voleva forse la fantasia al potere? Abbiamo  avuto invece un grande fantasista.

9 commenti:

  1. Sono d'accordo con Maurizio. La lotteria nazionale "Berlusconi sì-Berlusconi no", alla quale non ho mai partecipato, specie in una visione dialettica delle cose ha semplicemente legittimato l'insoddisfacente statu quo. Non parlerei di "decadenza". Di condannati, nella mia quarantennale esperienza forense, ne ho visti tanti, e uno in più non mi stupisce.

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  2. Concordo con la tua interpretazione interessante quanto inedita sul ventennio berlusconiano e sulla sopravvivenza del berlusconismo che ritengo tutt'altro che finito , proprio per i motivi sviscerati nel tuo post. La decadenza del cav in realtà mi fa risuonare la decadenza della società italica il cui inizio a mio avviso coincide con linizio degli anni '80 , gli anni dell'ascesa delle televisioni (e di Berlusconi) con i primi palinsesti trash-kitch all'insegna del cattivo gusto misto ai contenuti nazional-popolari. La maggiorparte degli italiani è stata "educata" attraverso questi dettami promossi proprio dal Cav: " diamo agli italiani quello a cui aspirano"; quindi le immagini che comunicavano l'avere al posto dell'essere : denaro , successo , sesso, le morbose curiosità per le vite dei VIP's. Nacque poi prepotentemente il mondo dell'apparire, il velinismo, il Grande Fratello, i tronisti imbevuti di becero maschilismo da avanspettacolo, i reality ( ricordate l'isola dei famosi), e per ultimo i cosiddetti "talent show" alle cui selezioni si presentano centinaia di migliaia di ragazzie ragazze desiderosi di diventare "famosi". Non si esiste se non si è visibili.
    Questa è la tristezza del nostro tempo, contano più le immagini di sè che le relazioni con l'altro, il culto del sè che porta ai deliri di onnipotenza ( da Fabrizio corona a Berlusconi stesso) piuttosto che il condividere, il desiderio dell'immortalità come in un ritratto di Dorian Gray, invece del cammino consapevole verso l'universale. C'è però una speranza: credo che la fine del capitalismo e della concezione meccanistica del mondo ,volga verso il termine; si stanno facendo strada pensieri più olistici ed ecologici, la coscienza interrelata che viaggia attraverso la rete, in fondo sta silenziosamente rivoluzionando il mondo . Penso sia solo questione di tempo. Il vecchio reste ed è duro a morire , ma tuttavia credo che stiamo attraversando un punto di svolta, lento lento ma reale.

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    1. Bello il tuo commento Renato ma io sono meno ottimista, il punto di svolta lo annunciavo vent'anni fa dopo aver letto Capra invece è venuto il berlusconismo. Noi viviamo una situazione schizogena, come già dicevo: da una parte la coscienza della complessità e della sostenibilità dall'altra una economia che non vuole saperne. La Rete è una opportunità ma come tutti gli strumenti della tecnologia può essere usata male o bene e dipende sempre dagli uomini. Non perdiamo però la speranza di uno scatto evolutivo, per questo lavoriamo, no? Il ritorno alla bellezza, a mio parere, può esserlo ma intanto abbiamo giovani disoccupati, politici corrotti, banchieri sempre più potenti e così via, un quadro sociale da fine dell'impero romano.

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  3. Non sono così pessimista. A una recente conferenza alla casa della cultura ho appreso che nel sistema islamico le banche fungono da compartecipanti al progetto di lavoro, nel senso che finanziano sì, ma ne hanno il ritorno partecipando agli utili dell'impresa. Una sorta di "Mitbestimmung" erhardiana. Ho anche appreso che Aung San Suu Kyi, premio nobel della pace, sta facendo il possibile perché in Birmania la inevitabile industrializzazione avvenga nel rispetto dell'ambiente e delle tradizioni, peraltro molteplici e drammaticamente contraddittorie, data la pluralità di etnie. Questo per dire che il problema, a livello globale, è molto più avvertito di quanto non sembri o ne siamo informati. Certo, è il caso di dire : Europa, se ci sei..batti un colpo.

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    1. Queste sono buone notizie ma finchè l'economia globale non viene rifondata su nuovi presupposti la vedo dura. Pierre Rabhi insegna. Bisogna anche tener presente che il berlusconismo non è stato solo un frutto della destra ma anche della cosidetta sinistra, incapace di opporre un vero riformismo serio con finalità chiare e tempi lunghi.

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    2. Quest’ultima osservazione di Maurizio mi sembra molto pertinente. Ho sempre pensato che il successo di Berlusconi fosse l’altra faccia dell’insipienza della sinistra. Se la sinistra, quando con Prodi ha vinto le elezioni, invece di riformare la Costituzione con l’improvvido Titolo V per scimmiottare la Lega di Bossi, avesse invece dimezzato i parlamentari, abolito il Senato e le province, e obbedito al responso popolare che nel 1993 con un referendum aveva abolito il finanziamento pubblico dei partiti, avrebbe secondo me stravinto le successive elezioni. Per non parlare della mancata modifica del cosiddetto “porcellum” che il secondo governo Prodi avrebbe potuto fare malgrado la risicata maggioranza al Senato, limitandosi invece ipocritamente a lamentarsene e facendo così capire agli elettori, che non sono tutti stupidi, che anche al Pd faceva comodo “nominare” i parlamentari.

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    3. Questo ultimo commento entra proprio nel vivo della politica italiana di questi anni e dello scontento che la classe politica ha generato nelle persone più razionali:sia la destra che la sinistra. In effetti è sempre più difficile distinguere la differenza fra i due schieramenti. Un tempo la destra era quella parte che riteneva meglio, per il bene comune, che avessero il potere quelli che tradizionalmente già avevano, la classe padrona, e la sinistra invece quella parte che, sempre per il bene comune, riteneva che dovessero avere il diritto al potere anche i cosidetti diseredati. Questa distinzione con varie sfumature vige ancora nelle democrazie più mature dove il senso civico è molto forte. Da qui la distinzione tra conservatori e progressisti. I primi più pragmatici e realisti i secondi più creativi e legati alla speranza in una futura società più giusta. In italia purtroppo questa chiara distinzione si è perduta per strada, prima per la democrazia incompiuta della prima repubblica e poi dopo tangentopoli per la degenerazione dei partiti e la demagogia connessa alla perdita del senso civico e del vero riformismo. In buona sostanza dove l'unico valore che emerge è quello del potere tout court, della vittoria elettorale come trionfo calcistico, e non importano le finalità ma solo il successo sull'avversario, è chiaro che ogni contendente è pronto promettere ogni cosa, anche quello che non gli è consentito, pur di assicurarsi la vittoria. I sondaggi d'opinione sono diventati l'unico riferimento per i programmi. In questo quadro quelli che hanno più deluso sono i partiti di sinistra che, come tu giustamente dici, avevano la possibilità di cambiare le cose e non le hanno cambiate per giochi di potere e interessi personali dei vari capibastoni che usavano l'anti berlusconismo come unica bandiera del loro essere di sinistra. E qui torniamo a cose già dette nei precedenti post che non sto a ripetere. Comunque grazie per il tuo commento.

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  4. Ritrovo in quest'idea di Berlusconi /uomo della provvidenza una sorta di scorciatoia politica che la società italiana individua nelle ricorrenti fasi di crisi delle istituzioni.
    Non a caso Berlusconi emerge come leader politico in un momento di sbandamento della società italiana conseguente alla scomparsa del sistema di potere rappresentato dai tre principali partiti da 30 anni al governo.
    A voler essere pessimisti si potrebbe anche inferire che la nostra società non evolve
    politicamente e che preferisce affidarsi agli affabulatori pur di non prendere atto della gravità dei problemi che solo la buona politica è in grado di risolvere.
    Carlo Spighi 17/8/2015

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  5. Hai perfettamente ragione. La società italiana è per tradizione soggetta agli sbandamenti antidemocratici e finisce vittima dei demagoghi.

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