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venerdì 25 luglio 2014

La Casa degli artisti a Milano


                                                  Marius Ledda China su cartoncino 40x50
                                              Il Principe dei gigli dal Palazzo di Cnosso, Creta.


Corso Garibaldi 89A, Casa degli Artisti. Negli anni tra il 1932 e il 1935 il pittore Marius Ledda, di cui abbiamo parlato nei precedenti post denunciando la trascuratezza dell'Amministrazione Comunale nei suoi confronti, provenendo da Parigi venne ospitato con il suo studio nella suddetta Casa che era un esempio del mecenatismo milanese dell'epoca. Insieme a lui avevano l'atelier parecchi altri pittori di fama come Mario Sironi piuttosto che Lucio Fontana, prima dei tagli. L'edificio era stato progettato e realizzato per ospitare infatti gli artisti che frequentavano il quartere di Brera, allora effettivamente il crogiuolo della cultura figuratva milanese, non come oggi appannaggio di Banche e Sarti. I fratelli Bogani lo costruirono tra il 1910 e il 1913 come palazzo esclusivo di  laboratori artistici per scultori, pittori e fotografi. Ai vari piani infatti si distribuivano gli ateliers che si aprivano verso nord con delle grandi vetrate per la luce indiretta ed ampi terrazzi che si affacciavano su un giardino, uno dei rarissimi scampoli di verde del centro. Nel 1935 era stato espropriato dal Comune che prevedeva di dare in concessione ad alcune Società Edilizie tutto il quartiere per essere "riqualificato" secondo logiche speculative e quindi anche l'edificio in oggetto doveva essere abbattuto. Per fortuna la guerra scombinò tutto con i bombardamenti, non sempre questi sono dannosi, distrusse tutto intorno tranne la Casa degli artisti che miracolosamente rimase in piedi, a volte la creatività ha la meglio in condizioni estreme.. Anche nel dopoguerra continuò ad ospitare artisti, come Lilloni ad esempio, fino al 2007, anno in cui venne definitamente sgomberato con le forze dell'ordine e infine abbandonato. Domanda: cosa intende farne l'attuale amministrazione? Per ora non è chiaro e l'edificio si presenta in penose condizioni, tutto puntellato e ricoperto da impalcature. Nella Milano dei nuovi grattacieli voluti da un'amministrazione riverente al profitto ed al globalismo senza qualità ci sarà pure spazio per un esempio di quella che in altri tempi era l'etica della cosidetta borghesia illuminata: guadagnare sì da una parte ma per investire poi in un'idea di bellezza che passava attraverso il rispetto e l'ammirazione per gli artisti. Questo spirito oggi si è perso, come ho scritto in più occasioni, per ossequio al denaro che in questo inizio di secolo pare essere l'unico interesse di una cultura dominata dalle banche. Siamo in attesa di risposte convincenti.






6 commenti:

  1. Concordo pienamente con l'arch. Spada sulla opportunità di ridare ruolo e dignità a questa struttura che è un esempio qualificato della tradizione milanese di sostegno della attività artistiche.
    Tra l'altro ,una volta riqualificata, potrebbe diventare meta di visite guidate come avviene a Parigi in una struttura analoga sorta negli stessi anni.

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    1. Gia! Milano è piena di risorse più o meno nascopste che andrebbero valorizzate anche ai fini turistici. Ma quando l'interesse è rivolto alla esibizione di potenza anzicché identità e bellezza si hanno i non luoghi come piazza Gae Aulenti. Povera Gae si rivolterà nella tomba!

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  2. Effettivamente ha anticipato di dieci anni la Bauhaus di Weimar, in una sorta di ricerca di un connubio fra arte e industria. Apprendo che nello scorso Maggio vi si sono tenute varie iniziative, auspicabile preludio a un completo recupero. E visto che il blog lo legge anche l'amministrazione comunale, alla skyline avrei preferito una soluzione al problema del Seveso, una seria manutenzione dei tombini, e magari qualche fiorellino nei giardini di Via Palestro e di Corso Indipendenza, per il mio animo gentile quando faccio jogging.

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  3. Caro Federico visto che tu sei un estimatore del Ledda puoi a buon diritto affermare quanto le amministrazioni milanesi siano state disattente nei confronti di questo artista e siano andate dietro agli interessi di bottega, ad esempio negli anni sessanta non si poteva neanche parlare di Sironi, considerato un fascistone ed era vero, ma con una promozione culturalmente interessata si è passati a considerarlo il massimo esponente del novecento, grazie ai Gianferrari che poi hanno donato la loro collezione al FAI. Per il Ledda, che in epoca fascista non era certo allineato con il potere di allora e non frequentava la Sarfatti, amante del Duce, l'operazione di recupero è lentissima ed è dovuta intervenire la Regione Sardegna per realizzare la prima mostra personale dalla sua morte (1965) e la buona volontà di Tonino Mulas come presidente della FASI, nonostante che il pittore nulla avesse a che fare con la tradizione sarda. Se c'è un pittore della prima metà del secolo più lontano dal provincialismo italiano è proprio il Ledda che alla ricerca di ispirazione è stato in Libia prima e poi in Romania,, Russia, Parigi e Costa azzurra. Insomma un artista più internazionale di lui é difficile trovarlo ed è bene che qualcuno vada a leggersi il commento critico di Elena Pontiggia sul catalogo della personale citata. Ora un Comune cosi disattento da non saper valorizzare anche quello che ha (venti opere dell'artista infatti sono di sua proprietà) vuoi che si impegni per recuperare la Casa degli Artisti che, come tu affermi, ha anticipato di dieci anni il Bauhaus? Lo spirito milanese si è degradato a assequio al denaro ed anche le cose essenziali per vivere meglio vengono tralasciate in nome di una grandeur globalista e pacchiana.

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  4. D'accordissimo. Aggiungo, come ben sai, che la mia collezione del Ledda si è recentemente accresciuta, e quindi anche per amor proprio (alla Leopardi) mi auguro vivamente che il Comune finalmente lo valorizzi.

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  5. Speriamo che finalmente si accorgano dell'omissione e soprattutto delle promesse mai mantenute da circa venti anni. Tuttavia noi continuiamo nella nostra azione di stimolo e seguitiamo a proporlo ad un mercato dell'arte falsato da critici interessati e da collezionisti imbecilli. Ora è la volta di un bell'olio raffigurante le aringhe, cibo molto in uso in Russia ai tempi della rivoluzione. In occasione di una Expo dedicata al nutrimento dovrebbe interessare. O no?

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