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giovedì 23 febbraio 2023

Ucraina

 Vorrei chiarire alcuni punti sulla guerra in Ucraina perché qui come al solito il pensiero dualistico e riduttivo dilaga e siamo sempre al consueto problema che chi vuole uscire da questo schema viene attaccato da quelli che lo alimentano, sia da una parte che dall’altra. Premesso che Putin è a capo di un regime totalitario o quantomeno scarsamente democratico, e non goda della mia simpatia, bisogna per onore di verità ammettere che non ha mosso le sue truppe per invadere l’Ucraina senza motivazioni e solo per spirito imperialistico, c’erano ormai dal 2014 le condizioni per un intervento della Russia in una zona che, come il nostro Tirolo, apparteneva alla lingua e alla tradizione del paese confinante e che da nove anni veniva perseguitata dal governo di Kiev, quattordicimila morti non sono una bazzecola. Detto questo condanno comunque l’uso delle armi ma in questo mondo reale purtroppo chi è più forte dopo aver inutilmente minacciato agisce. L’Occidente ha gridato allo scandalo perché ha travolto il diritto all’autodeterminazione dei popoli e la intangibilità dei confini nazionali. Qui sta il punto dolente che può condurre ad una guerra totale se ci si fissa sul principio astratto. Noi viviamo in un mondo globalizzato e i confini sono sempre più labili e porosi. Non si può gridare allo scandalo per l’invasione e il non rispetto dei confini quando in altre circostanze si è fatto altrettanto, qualcuno ricorda l’invasione della Libia da parte di Francia e Inghilterra con la scusa di far fuori Gheddafi ma con un occhio al petrolio? E l’invasione dell’Irak da parte degli Stati Uniti? Dunque due pesi e due misure. Zeleski se avesse avuto a cuore il bene del suo popolo avrebbe potuto agire diversamente e non chiamare a soccorso l’intero occidente per scatenare una guerra che rischia di diventare mondiale e atomica e che non potrà mai essere vinta. Uno che aveva a cuore le vite e il benessere della sua gente, che valgono molto di più dei confini territoriali, poteva organizzare una resistenza in modo diverso così che la loro contesa rimanesse confinata. Invece appellandosi all’idea di libertà, che lui è ben lontano dal conoscere visto che l’ha tolta ai russofoni, ha scatenato una guerra per conto degli americani, ed ora tutto l’Occidente, che vogliono destabilizzare la Russia e non si sa dove si andrà a finire. Se non voleva prendere la strada della resistenza passiva alla Gandhi, poteva almeno ispirarsi alla nostra resistenza con attacchi limitati alle postazioni militari nei territori occupati senza pretendere di fare il condottiero di un esercito vincitore per conto degli USA. Ora un accordo è molto difficile con tutti quei morti e con questo attore che non rinuncia alla sua parte. Il grave di questa faccenda in Italia è che queste cose le dica Berlusconi e non un partito che si richiami al socialismo, per il quale infatti i veri nemici sono i padroni e non quelli aldilà dei confini

venerdì 29 novembre 2013

Il tramonto di Berlusconi

L'uscita di scena di Berlusconi genera alcune domande. Come è stato possibile che per vent'anni questo personaggio abbia potuto monopolizzare la vita politica italiana tanto da dare agli anni che vanno dal 1993 al 2013 il nome di berlusconismo e come ha fatto a raggiungere il potere? Leone Tolstoj, in Guerra e Pace, tentava di spiegare il periodo napoleonico, che poi è durato meno di quello berlusconiano, con una affascinante teoria. Secondo lui il personaggio del capo carismatico non è che una sorta di campione che lo spirito dell'epoca chiama ad interpretarlo. Non  sarebbe quindi per meriti speciali che queste persone salgono al potere ma solo perchè sono nel posto giusto al momento giusto per un destino provvidenziale, sorta di marionette i cui fili sono mossi dalla loro divorante ambizione e dalle esigenze di un popolo di incarnare le proprie aspettative. Questa definizione si attaglia ovviamente a tutti i cosidetti "uomini della provvidenza", dittatori e non, che si sono succeduti nella storia. Le doti personali sono secondarie rispetto alla loro funzione di rappresentanza della cultura dell'epoca. Nel caso di Berlusconi possiamo dire che la cultura del marketing televisivo e del potere bancario degli anni ottanta non poteva che produrre questo e lui è stato bravo a interpretare le aspirazioni qualunquiste, anarcoidi, arlecchinesche e individualiste della maggior parte degli italiani. Certi commentatori hanno paragonato il ventennio di Berlusconi al ventennio fascista ma, a parte la durata, non mi sembra vi siano molte affinità, mentre l'uno era la proiezione delle aspettative militariste e nazionaliste l'altro non è che la proiezione della caduta dei valori tradizionali e l'assenza di sostituti validi. Vale a dire che l'Italia del bum economico e delle canzonette, nonostante i conclamati slogan sessantottini, non poteva produrre un interprete migliore ai suoi sogni di sesso, soldi e successo. Non si voleva forse la fantasia al potere? Abbiamo  avuto invece un grande fantasista.