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martedì 29 ottobre 2019

In ricordo di un amico che scompare

                                      Infinito olio su tela 2008

 

Gaspare Lo Buglio era poco più che un ragazzo quando partecipò alla fondazione dell’Istituto Uomo e Ambiente nel 1984. Era un giovane architetto che veniva da Palermo e ci eravamo conosciuti all’Ipsia di Lissone dove insegnavamo, lui si infervorò subito per le idee che allora andavo mettendo a fuoco in merito alla necessità di rifondare l’architettura su basi ecologiche, partecipò dunque all’atto costitutivo dell’associazione. Successivamente, non ricordo i motivi, ci perdemmo di vista fin quando una decina d’anni fa si presentò ad uno dei nostri numerosi convegni in Umanitaria e ricominciò a frequentarci. Da allora è stato socio sostenitore ed ha partecipato alle nostre numerose riunioni. Aveva un grande interesse per Leonardo da Vinci ed era diventato suo profondo studioso e conoscitore. Raccontava di aver scoperto il nome della misteriosa modella per La Gioconda e che ne avrebbe rivelate le prove in una esposizione che stava preparando da lungo tempo. Lo andai a trovare dove abitava  solo in modo molto spartano per scoprire i suoi segreti ma era piuttosto riservato. Scoprimmo che amava una gattina che gli faceva compagnia nel suo soggiorno bohemien. Lo scorso anno lo invitai a tenere una relazione sull'armonia nell'ambito del convegno Sano, bello, felice in architettura. Fu una rivelazione che piacque a tutti per la profondità e la preparazione. Fra l’altro parlò della bellezza come antidoto alla guerra mostrando i dipinti rinascimentali che ritraggono Venere e Marte dopo il coito da cui nacque Armonia e mostrando come Venere riesca a domare Marte. Fu tra i primi a sottoscrivere il nostro  Manifesto sul diritto alla bellezza naturale che presentammo lo scorso autunno. Ora se ne è andato in silenzio a sessantasei anni improvvisamente, e misteriosamente come aveva vissuto, nell'anno delle celebrazioni della ricorrenza della morte del suo Leonardo da Vinci tanto amato lasciandoci un po’ tutti sgomenti e un po’ tristi per non averlo forse pienamente compreso.  

domenica 18 giugno 2017

Grenfell Tower


Dopo il disastroso incendio del grattacielo londinese non so se commentare l’improvvida  trascuratezza dei progettisti e costruttori o la tragedia dei due giovani architetti italiani che vi sono periti. Cercherò di trattare in sintesi ambedue gli argomenti . Quanto ai grattacieli ho già espresso il mio parere sia in questo blog che sul mio libro L’altro architetto.  Sono edifici del primo novecento spacciati per ultramoderni solo in ragione del fatto che fanno pubblicità al committente, in genere appartenente al mondo finanziario globalizzato, che ha bisogno di apparire. Le giustificazioni del risparmio del suolo non reggono di fronte agli sperperi di quest’ultimo da tutte le parti e in particolare da noi.  Senza considerare fra l’altro che se un grattacielo è adibito a residenza, come in questo caso, occorrono tanti posti macchina per gli abitanti che annullano il beneficio del risparmio creando alla base dei non luoghi. Ho già espresso nel mio libro che in aree fortemente urbanizzate il ritorno all’isolato, naturalmente rivisitato, sarebbe auspicabile e che su un’area quadrata o rettangolare la volumetria in altezza è recuperabile sul perimetro con numerosi vantaggi. Il motivo della permanenza dell’ideologia delle torri è di altra natura e riguarda la psicologia del potere supportato dalla Tecnica. Detto questo si può affermare che già in partenza un’amministrazione che ammetta la costruzione in altezza senza limiti  si pone fuori dal fine dell’architettura che dovrebbe essere quello del benessere dell’abitante. Che dire poi delle teorie cui si rifà la bioarchitettura che predica di non elevarsi oltre il sesto piano per evitare squilibri eletromagnetici tanto più se le costruzioni sono in acciaio, come nel caso della Grenfell Tower. E’ evidente che la triplice condizione soggettiva di cura, attenzione e amore per costruire bellezza si va a far benedire e il risultato in questo caso è drammaticamente lampante. Purtroppo l’effetto del sine cura, oltre alla bruttezza che sempre coincide con l’insalubrità, a volte è anche la pericolosità perchè questa trascuratezza arriva fino alla scelta dei materiali e alla disattesa delle norme più elementari di sicurezza.  E’ evidente  poi che se l’edificio ha come destinatari  gli abitanti a basso reddito, come nel nostro caso, la trascuratezza diventa sciatteria e menefreghismo per cui tutto si giustifica con i costi e con il risparmio anche se poi si spreca sull’energia. Questo è quanto si può dire a proposito dei costruttori ed ora le indagini, sempre tardive, chiariranno le responsabilità.  Quasi per un destino crudele li sono rimasti vittime due giovani architetti italiani, espatriati in cerca di lavoro perché in Italia erano sottopagati, vittime di un’architettura malata e di una educazione e formazione altrettanto malata. E’ risaputo che i giovani architetti nel nostro paese ormai sono in sovrappiù, un architetto ogni 460 abitanti è il frutto di una università, anzi forse di un sistema scolastico staccato dalla realtà,  che non sa educare e non sa quello che propone,  vende patacche che servono solo ad aumentare la disoccupazione intellettuale giovanile. Tra l’altro benchè il nostro paese sia il paese della Bellezza, con il maggior numero di siti patrimonio universale dell’Unesco, queste facoltà, tuttora ancorate ad una visione astratta e demiurgica dell’architetto frutto di falsi miti legati all’economia del mattone e alle propagande mediatiche,  trascurano una formazione umanistica. Questo professionista è spesso spinto alla competizione quantitativa e alla originalità senza qualità  per progettare nuovi insediamenti anzichè porre attenzione al già costruito. Il nuovo invece è sempre opera dell’archistar di turno, prodotto mediatico che accontenta le manie di grandezza del committente e dei mass media asserviti. Dai primi segnali infatti a Milano, dopo l’esercitazione contro la città delle torri di Porta Volta e della ex Fiera, pare che l’occasione della riconversione degli scali ferroviari seguirà queste stesse logiche. Che dire dunque di queste due giovani vite spezzate ? Mi viene in mente l’apologo greco di Dedalo, architetto con manie di grandezza che  trasmette involontariamente al figlio Icaro e quando  insieme si alzano in volo con ali di cera si vede disobbedire, nonostante le sue raccomandazioni di non alzarsi troppo, e lo vede perire per aver sfidato il sole.   

martedì 15 marzo 2016

Della bioarchitettura

                                                  Antibes, acquerello su carta

Da tempo l’ecologia da pura scienza della natura si  sta trasformando in un nuovo pensiero che investe anche le discipline umanistiche e in generale tutta la cultura di questo inizio millennio. Ogni tanto nella storia dell’uomo si presenta la necessità di cambiare il paradigma di partenza per una nuova interpretazione della realtà che permetta un migliore adattamento e uno scatto evolutivo. Di questi tempi è l’approccio sistemico bioecologico che in tutti i settori sembra costituire la nuova opportunità.  E’ inevitabile riflettere che questa nuova opportunità è in effetti molto antica, ma la nostra cultura, protesa verso altri traguardi l’ha trascurata. La sfida che oggi abbiamo di fronte è quella dell’accettazione della complessità e non separatezza delle cose. Ogni disciplina dunque puo’ essere riletta in questa chiave e l’architettura, essendo per tradizione la meno specialistica, bene si adatta ad essere rivisitata da un punto di vista ecologico ed olistico.  

Questo scrivevo nella premessa al mio libro L’uomo, l’ambiente, la casa. Verso un’etica bioecologica dell’architettura, del 1992, Guerrini Editore.  E’ cambiato qualcosa? E’ evidente che no. Siamo ancora li’ a dire le stesse cose come se  non fossero passati tutti questi anni. Gli architetti sono sempre più numerosi in Italia ma senza lavoro e l’architettura è sempre più appannaggio di investitori con la vanità di mostrare il proprio potere economico attraverso l’esibizione di edifici eventi che si stagliano anomali sulla città. Azioni contro la città anzicchè al servizio di essa. La cosidetta bioarchitettura, di cui noi siamo stati i precursori, ha solo costituito un ulteriore modo per distinguersi, narcisistico ed egoico, da parte di architetti e committenti che hanno voluto mettere in mostra la loro originalità. In alcuni casi archistar internazionali, che mai hanno mostrato sensibilità alla tematica ambientalista, ora si sono riciclati in senso ecologico rivestendo i propri grattacieli di elementi naturali e avanzate tecnologie pseudoecologiche. Qualcuno afferma che l’architetto dovrebbe essere un’antenna sensibile ai cambiamenti e dunque quello che in anni recenti era dettato dall’esaltazione del credo tecnoscientifico oggi è dettato dalle mode eco.  Ma in questo panorama l’integrazione dell’architettura nella città viene tranquillamente dimenticata e l’architetto Carlo Ratti pensa di costruire un edificio di 1609 metri coprendolo di elementi vegetali dei vari paesi, quasi un’Expo in verticale.