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sabato 4 settembre 2021


  

  

Transizione ecologica a Milano

Le prossime elezioni amministrative dove il sindaco uscente Beppe Sala si è iscritto ai Verdi e viene sostenuto dalla lista Europa Verde impone una riflessione sul significato di una politica ecologica. Oggi in piena pandemia va di moda essere ecologici ma cosa voglia dire questa affermazione riferendosi all’urbanistica di una città molti non sanno, immaginano abbia a che fare con più parchi, più alberi e l’aria meno inquinata. Questo si chiama riduzionismo ecologico o, usando un neologismo inglese, grenwashing o verde di facciata. Applicare il paradigma ecologico a una città non è cosa così semplice, non basta piantare alberi anche se questa è sicuramente cosa buona. Ricordo che il paradigma ecologico è la non separatezza dei fenomeni che si traduce in un pensiero sistemico. La città dunque viene vista come un organismo e non un meccanismo come nella recente tradizione modernista. In ogni organismo la parte è collegata al tutto e interagisce con le altre parti. La città dunque diventa il luogo fisico delle interrelazioni come in un ecosistema. Cosa vuol dire questo? Che se operiamo in un settore coinvolgiamo tutto il sistema,  il suo equilibrio, e se massimizziamo un aspetto gli altri perdono la loro ottimizzazione generando effetti  negativi che prima venivano compensati nell’equilibrio omeostatico generale. Questo vale anche per la città se la consideriamo da un punto di vista ecologico, dunque non si può agire per settori o per funzioni separate e soprattutto non si può operare con azioni che non prevedano retroazioni, cioè le conseguenze sul sistema.  Ora tornando a parlare di Milano con tutta la buona volontà non la si può considerare una città ecologica. Come si diceva tempo fa in uno dei nostri convegni,   qui operano due urbanistiche: una legata ai poteri finanziari che hanno costruito la città rendendola invivibile e tendono a realizzare i loro profitti a scapito del bene comune, sono il frutto di una politica neoliberista che esalta il mercato e vogliono disegnare un futuro appariscente aumentando ancor più i problemi di sostenibilità, l‘altra che vi si contrappone  vorrebbe disegnare una città più umana. Questa seconda è alternativa sia nelle idee sia nelle forze che la reggono. Le sue radici stanno nei comitati, nelle comunità, nelle cooperative, nei consorzi, nei sindacati e nelle associazioni democratiche della società civile che desiderano una migliore qualità della vita.  La prima segue il metodo tradizionale dello zoning e tende a separare inseguendo il dualismo classico centro periferia e pianifica per quartieri monofunzionali provocando emarginazione e conflitti. Fino ad ora, in particolar modo dall’amministrazione Albertini ma anche Moratti e finanche Pisapia, per non parlare dell’ultima giunta, i grandi gruppi finanziari hanno avuto mano libera e hanno dettato le regole del gioco incamerando i profitti e facendo pagare ai cittadini i disagi.  Una città ecologica inverte la tendenza, non si sottomette al capitale ma indirizza le scelte verso il benessere abitativo dei cittadini che non vengono più considerati consumatori passivi ma partecipanti attivi alle scelte urbanistiche. Ora la pandemia ha messo in luce alcune criticità, ha mostrato il grave problema degli emarginati e dei senza tetto ed è a questi che deve essere data risposta da parte dell’ente pubblico se si vuole rigenerare la città ricordando che non esiste benessere ambientale senza giustizia sociale e che le periferie degradate determinano uno squilibrio che arriva fino al centro enfatizzato. Ora Milano ha diverse opportunità per invertire la tendenza e contribuire alla costruzione della città ecologica che vuol diventare e le elenco qui di seguito. 

La riprogettazione delle aree dismesse e in particolare degli scali ferroviari con la finalità di un utilizzo rigenerante e integrato. L’incremento delle aree a verde rinunciando alla tentazione magniloquente  di un secondo stadio per il calcio con annesse speculazioni immobiliari. L’incentivazione dell’edilizia sociale. Il disincentivo dell’uso dell’auto privata a combustibile fossile. L’incentivo delle energie pulite e rinnovabili per i riscaldamenti domestici. La valorizzazione delle periferie. L’incentivazione della solidarietà e della partecipazione.

Questi sono i compiti per la nuova giunta se vuole realmente andare verso una transizione ecologica che non sia solo di facciata e fare di Milano una città bella che rispetta la vita vera.

 

martedì 22 novembre 2016

Degli scali ferroviari a Milano

                                         Città ideale, acquarello e pastello su carta, 2006

Degli scali ferroviari a Milano


A Milano si dibatte sulla destinazione degli ex scali ferroviari e vengono proposte varie ipotesi di utilizzo con indici di edificabilità piuttosto alti in relazione alle richieste del prezzo di vendita da parte delle FS. Il solito ragionamento è questo: siccome il valore delle aree edificabili limitrofe è tot anche le FS è giusto che pretendano un corrispettivo adeguato da parte del Comune. E’ assurdo che questo accada tra due enti che avrebbero come scopo il servizio ai cittadini e il bene comune.  Pare infatti che, forti di questo ragionamento e sostenute dalla proposta della giunta Pisapia, bocciata in consiglio comunale, di un alto indice di edificabilità le FS abbiano pensato bene di affidarsi ad una agenzia che le mettesse  sul mercato.  Sarebbe opportuno ricordare alla proprietà che il valore delle aree non viene generato da loro azioni sul territorio ma dallo sviluppo che il Comune ha programmato. E’ lunga la storia della regolamentazione del valore aggiunto in urbanistica e non siamo ancora giunti alla fine in assenza di una chiara legge dei suoli. Negli anni 60 e 70 il CIMEP espropriava a prezzi agricoli i terreni per costruire edilizia convenzionata e popolare perchè la cultura dell’epoca indicava il valore aggiunto dei terreni edificabili non un diritto della proprietà ma un di più generato dalle scelte del Comune che in qualche modo attraverso gli oneri di ubanizzazione doveva tornare a lui. Non stiamo a sottolineare le storture e le deroghe a tale prassi. Ricordo per inciso il dibattito che genero’ l’istitutzione dei PPA, ovvero piani pluriennali di attuazione,  che  temporalizzavano  la realizzazione del piano regolatore in ragione proprio del fatto che  non era un diritto del privato il valore aggiunto. In seguito ovviamente  sono stati aboliti. La giurisprudenza infatti é riuscita ad avvallare il diritto dei proprietari di essere rimborsati, in caso di esproprio, al prezzo di mercato che é quello di scambio anche se il valore dipende dalle scelte del PGT. Cosi la gran parte dei proprietari espropriati ha fatto causa al Cimep e sono stati rimborsati. Siamo arrivati dunque all’uso in urbanistica della compensazione per mettere tutti sullo stesso piano, in sostanza l’esproprio è diventato una contrattazione fra il privato e il Comune, un baratto: io ti do una cosa a te tu dai una cosa a me . Questo in teoria per non generare disuguaglianze fra i vari proprietari quando la legge stabilisce che in caso di esproprio per pubblica utilità vanno rimborsati al prezzo di mercato delle aree. Tutto cio’ a livello dei privati ma qui trattandosi di enti pubblici la cosa è diversa, in buona sostanza ambedue gli enti dovrebbero avere come scopo il bene pubblico e quindi rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini. Questi ultimi vanno indagati con serietà, fuori dalle diatribe dei partiti e, una volta individuati, dovrebbero fare da base alle scelte urbanistiche. Uno di sicura notorità é il bisogno di bellezza. Ora é evidente che in una città cosi densamente edificata con periferie trascurate, spesso disagiate e cosparse di non luoghi, questo bisogno si traduce in  necessità di natura e risulta pregnante anche in relazione alle sondabili richieste dei cittadini e dei comitati.  Un’altra domanda palese é quella di case a bassi costi e prevalentmente in affitto. Le cifre mostrano chiaramente la situazione, basta guardale: il numero di sfratti per morosità sempre più alto, i senza fissa dimora, il pendolarismo e i giovani obbligati a vivere nella casa dei genitori ecc. Una cosa invece di cui non si sente proprio il bisogno sono nuovi interventi speculativi in un momento in cui l’invenduto del mercato immobiliare è a livelli piuttosto consistenti. E’ inevitabile quindi suggerire, come è già stato fatto da diversi autori, la destinazione a parchi con una modesta quota di edificabile all’intorno, prevalentemente in housing sociale, inframmezzato da poca edilizia di libero mercato che servirebbe ad incamerare gli oneri di urbanizzazione e a creare quel mix sociale tanto auspicato dalla letteratura urbanistica. E’ importante sottolineare pero’, come dicevo in altro scritto, che questi parchi vengano progettati e realizzati  con cura in contemporanea con le costruzioni ai margini puntando sulla qualità altrimenti si rischia il degrado.  Questa dovrebbe essere la proposta dell'amministrazione  comunale alle FS che essendo un’azienda statale non dovrebbe comportarsi come un privato e tendere al proprio guadagno e non al benessere dei cittadini, ricordando che  il plus valore è generato dalle scelte comunali.

giovedì 13 agosto 2015

Per Vittorio Borachia


                           La città ideale, acquarello e pastello su carta 

 E’ mancato in questi giorni di agosto un amico, collega e maestro, Vittorio Borachia. Sono addolorato e voglio ricordarlo parlando di lui per quello che ho potuto conoscerlo. Era essenzialmente un uomo buono, con un’etica piuttosto stoica. Mi risulta che a vent’anni era in marina durante la guerra e forse un po’ di quella disciplina marinaresca  lo aveva contagiato anche nella vita, aveva infatti le virtù dei grandi navigatori : onestà, coraggio, solidarietà, spirito d’avventura, riservatezza e culto dell’amicizia. Era infatti nativo di La Spezia, città che lui amava anche se viveva a Milano ed insegnava Urbanistica alla Facoltà di Architettura. Ho lavorato con lui ai piani delle oasi naturalistiche del mantovano, nei primi anni ottanta, cosi ho potuto conoscere il suo pensiero e la sua cultura. Nonostante appartenesse alla generazione che aveva creduto nella tecnica, nell’industria e nel progresso scientifico, tanto che disegno,insieme a Carlo Santi negli anni 50, una poltrona pieghevole in plastica per la Tecno, lui aveva fin da giovane maturato un amore per la natura che lo porto’ ad abbracciare in architettura l’organicismo di Frank Lloyd Wright che aveva conosciuto a Taliesin West, dove aveva passato un po’ di tempo per seguire il maestro da vicino.  Di questa influenza si puo’ vedere la traccia nella casa da lui progettata per la sua famiglia sopra Albavilla in provincia di Como. La sua attività professionale tuttavia è stata prevalentemente dedicata ai piani urbanistici dove per la prima volta si nota il tentativo di coniugare lo sviluppo con la sua sostenibilità ecologica. Per lui il bello in architettura è il prodotto conseguente di una urbanistica  ben fatta dove il lavoro dell’architetto si inserisce senza arroganza e provocazione ma con misura ed eleganza, frutto di una concezione aristocratica  della sua opera, nel senso etimologico originario di « la migliore ».  Ma è  proprio sul versante dell’ecologia applicata al territorio, costruito e naturale, che osserviamo la sua novità, considerando i tempi, erano gli anni 70 e 80. Fu infatti uno strenuo difensore del paesaggio come bene da conservare, soprattutto nella sua Liguria, aimè sconvolta dalla speculazione, applicando norme e leggi atte a proteggerlo. Vittorio era politicamente un socialista riformista ed è stato uno  dei miei riferimenti ai quali è dedicato il mio ultimo libro L’altro architetto, infatti la figura dell’insegnante  nel dialogo socratico si attaglia bene alla sua persona ed alla sua attività di professore e  presidente della Fondazione Labo’.   

venerdì 1 agosto 2014

Ciao Guglielmo



In occasione della scomparsa dell'architetto Guglielmo Mozzoni voglio ricordarlo a tutti voi con  questo scritto. Ciao Guglielmo mi mancheranno le nostre telefonate periodiche.

L'architetto Mozzoni apparteneva a quella generazione che da giovane aveva molto creduto nella tecnologia e nel progresso e pensava di poter risolvere i mali del mondo con lo sviluppo della scienza. Ma contrariamente a molti suoi contemporanei ha sempre sentito un forte amore per la natura e quasi un sentimento religioso di appartenenza ad essa. Un atteggiamento mistico che traspare in tutte le sue opere, soprattutto le più umili come gli acquarelli, e che lo portava a provare una forte tensione tra l'esigenza del nuovo e il preesistente naturale, tanto in alcuni casi da farlo rinunciare all'incarico pur di rispettare il contesto. In certi lavori si nota un forte conflitto tra le esigenze di un razionalismo astratto, tipiche della sua formazione, con quelle più propriamente organicistiche e mimetiche che tendono a inserire il nuovo in maniera misurata e rispettosa prendendo spunto dalla particolarità del luogo e dalla sua "spiritualità". Nei suoi scritti si legge un senso di meraviglia per la vita e la sua bellezza, che non tutti sanno cogliere se non i veri artisti o chi, come lui, è stato sul punto di perderla. Non a caso Guglielmo Mozzoni durante la guerra, come Dostjewski, si è salvato all'ultimo momento dalla fucilazione. Il suo yumor, che nasceva anche da questo evento, era sincero e coinvolgente come quello di un bambino, pervaso com'era di stupore infantile ad ogni manifestarsi della vera creatività. Aveva un'etica epicurea, nel senso classico, di aspirazione alla felicità attraverso la saggezza e l'accettazione del piacere come principio di vita. Ma al tempo stesso Mozzoni si poneva anche alla ricerca di valori eterni che indagava con spirito e senso dell'umorismo.  Bisogna ammettere che dove riusciva a sintetizzare le esigenze razionali con il suo istinto naturalistico realizzava capolavori di architettura, che oggi si potrebbe definire ecologica per l'accennato rispetto del contesto naturale e storico. Questo si vede soprattutto nelle ville e in quegli interventi, come nel Friuli, dove cerca nei morfemi locali lo spunto formale delle sue opere. Questo suo bisogno di sintesi ed al tempo stesso la sua tendenza al gioco ed all'invenzione, poichè nulla per lui era da prendere troppo seriamente, lo condussero a progettare quella che lui chiamava Città-Ideale GM, una casa città, sulla scorta dei grandi utopisti ottocenteschi, però con caratteristiche del tutto particolari. L'idea di Mozzoni anche se utopistica (nel senso letterale di senza luogo) contiene alcuni aspetti che costituiscono fonte di riflessione sulla vita comunitaria che oggi si conduce nelle città e  come potrebbe essere migliorata. Intanto suggerisce soluzioni per il traffico veicolare sostituendolo con scale mobili e tapis roulants, inventa artifici per avere il verde accanto all'abitazione senza occupare troppo territorio e poi tocca tanti altri aspetti della vita che riguardano sia il lavoro che le relazioni. Insomma egli, attraverso una metafora, ci invita a ripensare la nostra civiltà ed a cosa si potrebbe fare per favorire la reciproca comprensione ed avviare un nuovo umanesimo.
Per la psicologia di derivazione junghiana vi sono degli archetipi che guidano i comportamenti umani alle varie stagioni della vita nel processo di identificazione, verso l'età avanzata abbiamo il Saggio ed il Folle, l'uno che riordina razionalmente il vissuto e l'altro che si diverte senza più odiosi doveri di rappresentanza, Mozzoni li aveva ben interpretati con questa sua città ideale garanzia di realizzazione della sua piena umanità, la stessa forma sferica è una rappresentazione del Sè.