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giovedì 21 novembre 2013

Nubifragio in Sardegna

Il disastro in Sardegna fa parte di quei segnali inascoltati che il territorio italiano da anni manda. Quest'anno ricorre anche il cinquantenario del disastro del Vajont avvenuto all'inizio del bum economico quando si credeva che la tecnologia potesse risolvere ogni cosa. Tutto venne sacrificato al dio dell'economia dello sviluppo illimitato, oggi a distanza di cinquant'anni non è ancora cambiato nulla nonostante l'affermarsi della cultura della sostenibilità. Negli anni ottanta  l'ambientalismo denunciava eccessiva cementificazione dei suoli, troppe strade asfaltate, troppo cemento, i letti dei fiumi e dei torrenti che si trasformavano in canali con le sponde in calcestruzzo, da  allora si sperava che fosse aumentata la sensibilità da parte dell'ente pubblico e dello stato sul consumo del suolo ma invano, oggi ancora, secondo le stime del Fai, si calcola una cifra enorme di terreno agricolo e permeabile che si trasforma in terreno impermeabile. Se aggiungiamo che l'abbandono dell'attività agricola ha fatto mancare al territorio le sentinelle che erano i contadini, i quali con cura, attenzione e fatica tenevano ordinati i terreni e la loro irrigazione, abbiamo un quadro sia pure approssimativo della situazione.  In un precedente post ho parlato di quello che è stata la speculazione edilizia, in particolare nella Liguria: Che ancora oggi si faccia dipendere il rilancio dell'economia dalla industria edilizia mi sembra una follia. La scarsa attenzione al paesaggio come valore turistico-culturale potenzialmente, valido anche dal punto di vista economico, fa il resto del quadro. Ecco che allora ritorna il discorso sulla bellezza accennato nei precedenti post, la svalutazione della quale porta a questi disastri  che non si possono liquidare come inevitabili calamità naturali, anche se è evidente l'eccezionalità della situazione meteorologica ma un tempo veniva assorbita dal territorio con danni limitati oggi provoca morti, feriti e sfollati.  

2 commenti:

  1. Mentre accadevano i recenti disastri in Sardegna, alla Cionferenza sul clima in corso a Varsavia le associazioni non ambientaliste e le ONG meditano di abbandonarla a testimonianza dell'inadeguato approccio al problema. E' la solita querelle: i paesi ricchi che in passato hanno fortemente inquinato, e quelli giunti più recentemente allo sviluppo industriale, non riescono a trovare un'intesa, mentre il surriscaldamento globale va affrontato urgentemente.
    D'altro canto - il bicchiere è anche mezzo pieno - sta prendendo piede la pratica dell'"albergo diffuso", specie nei piccoli borghi del Sud, consistente in una forma di accoglienza, assistenza e ristorazione dislocata in case e camere opportunamente ristrutturate e distanti non oltre 200 mt. dal "centro" dell'albergo.
    Con il vantaggio di un recupero urbanistico a tutto pro di una politica territoriale non invasiva e all'un tempo produttiva di ricchezza e socialità.

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    1. Siamo infatti a un punto di svolta che non si vuole imboccare perchè l'economia e il mercato non lo permettono. Viviamo una situazione schizzofrenica con da una parte la cultura dell'allarme motivato sull'ambiente e dall'altra la competizione più sfrenata di un capitalismo globale che cerca sempre nuove strade, oggi nei paesi emergenti, per continuare nella sua opera di sfruttamento delle risorse umane e naturali.

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