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martedì 19 marzo 2019

Gropius e il Bauhaus, cento anni di storia.

                                              Battello in partenza, acquerello su carta



Quest’anno ricorre il centenario della nascita del Bauhaus. Voglio quindi mettere insieme alcune riflessioni su questa scuola di arti e mestieri che ha influenzato  l’arte e l’architettura del XX secolo. Nel 1976, fresco di laurea e molto confuso sul mio futuro professionale, nella biblioteca di mio suocero ereditata da mia moglie trovai il libro di Walter Gropius dal titolo Architettura Integrata, fu per me una illuminazione perché tratteggiava la figura di architetto educatore e la sua funzione nella società moderna.  Per quel che mi è stato possibile ho cercato di seguirlo: prima in una scuola professionale del mobile e dell’arredamento, l’Ipsia di Lissone e poi con la fondazione dell’Istituto Uomo e Ambiente e l’organizzazione dei suoi corsi.  Nel 1919 tuttavia le problematiche che doveva affrontare l’architettura erano  piuttosto diverse rispetto ad oggi, in primis si doveva trovare un accordo tra arte, artigianato e le macchine. L’industria richiedeva un nuovo plasticismo, una nuova estetica adatta ai “moderni mezzi di produzione”in un periodo in cui la cultura occidentale confidava molto nella tecnica e nel suo futuro radioso. Tanto è vero che gli emblemi del Bauhaus sono i dipinti di Piet Mondrian o le poltrone in tubolare d’acciaio di Breuer.  Per quanto riguarda l’architettura lo stesso edificio di Dessau progettato da Gropius ne è l’icona: finestre a nastro, pareti lisce e bianche, tetti piani, ovvero tutte le caratteristiche poi prescritte dai teorici del razionalismo.  Certo una rivoluzione rispetto all’architettura neoclassica o eclettica allora imperante ed ancora oggi subiamo il fascino di quelle forme geometriche. Anche in Italia queste teorie hanno attecchito con  ritardo, basti pensare alla casa del fascio di Terragni a Como fino ad arrivare alla parte nuova della Società Umanitaria a Milano che piuttosto tardi, nel 1956, voleva imitare l’edificio di Gropius. Negli anni però il suo messaggio  si è degradato e la semplificazione funzionale è diventata trascuratezza coprendo, con  gli assunti teorici del funzionalismo,  le esigenze della speculazione edilizia soprattutto nel dopoguerra. Come spesso succede gli epigoni hanno quasi sempre travisato, per interesse, il dettato razionalistico e con il bum economico questo vizio si è moltiplicato a dismisura. La generazione di architetti che ci ha preceduto era cosi inebriata di questi concetti tanto da bandire il fine della bellezza, considerandola una cosa superata. Oggi il panorama culturale è tendenzialmente cambiato, anzi direi che si è ribaltato. La tecnica che si è sviluppata in modo esponenziale ha prodotto essa stessa le condizioni per mettere in crisi quei dettami: non è più considerata la panacea di tutti i mali dell’umanità, come ingenuamente credevano i futuristi di allora, ma essa stessa viene considerata un pericolo per la vita  del pianeta, se usata male. Dunque l’architetto seguendo i suggerimenti dello stesso Gropius dovrebbe prenderne atto. Infatti è nata proprio su queste nuove istanze legate all’ecologia la bioarchitettura o l’architettura ecologica che, sorta in primis proprio nella patria del Bauhaus, utilizza elementi naturali che erano stati banditi e la stessa decorazione non ha più necessità di sottostare al dictat di Loos:”Il meno è il più”. L’architetto dunque proprio seguendo il modello descritto in Architettura Integrata dovrebbe farsi carico della responsabilità di un ambiente più a misura della vita e tornare alla ricerca della bellezza come fine ultimo del fare umano.

Per questo motivo l’Istituto organizza quest’anno un master sulla bellezza http://www.uomoeambiente.org