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venerdì 29 giugno 2018

Della riapertura dei navigli milanesi




C’è molta polemica sulla riapertura dei navigli. Ciascuno porta buone ragioni per il si o per il no ed è difficile districarsi fra queste opinioni. Alcuni affermano che l’opera sarà costosissima e di questi tempi sarebbe meglio impiegare quei soldi per rigenerare le periferie, altri vedono l’operazione più che altro come una trovata turistica che porta valore solo al centro città, infine altri ancora affermano che avendo fatto un referendum nel 2011,ed avendo avuto circa 500.000 si, bisogna ascoltare i cittadini e mettere mano alla riapertura. Altri, ancora per il si. dicono che l’avvio dei lavori potrebbe costituire una occasione per una presa di coscienza della situazione idraulica milanese per migliorarla. Che dire a fronte di tutte queste belle considerazioni ? Personalmente credo che ve ne sia un’altra a favore del si, che nessuno ha citato per paura di apparire patetico, ed è quella della bellezza. Questo concetto è cambiato  dagli anni venti della chiusura, impregnati di futurismo. I popoli civili hanno sempre aspirato a costruire città belle, anzi erano chiamati civili proprio per questo e la città era bella perchè offriva esempi di cura, attenzione ed amore che creavano luoghi ameni, adatti a starci bene, e questi risultavano da una mescolanza di natura e cultura  frutto della creatività umana. Fra gli elementi naturali l’acqua ha sempre avuto uno spiccato valore simbolico, è fons e origo per citare il filosofo Bachelard, soprattutto dove andava a compensare il prevalere della pietra e del cemento. Il funzionalismo del secolo scorso ha negato questo bisogno privilegiando le esigenze del traffico automobilistico e della speculazione edilizia. Quando frequentavo la facoltà di architettura negli anni sessanta un professorone di progettazione, che in seguito diventò un archistar internazionale, avendo dato come tema una scuola elementare, suggeriva di posizionarla su una piastra di calcestruzzo a cavallo di uno snodo stradale a traffico veloce. Ora questo sembra ridicolo rispetto ai nuovi gusti generati dal pensiero ecologico ma allora sembrava il non plus ultra della modernità e dell’educazione. Dicevo dunque che rispetto agli anni in cui furono coperti i navigli alla « città che sale » si è sostituita la città lenta. Ecco dunque un buon argomento a favore della riapertura poichè credo che sia il segnale di una nuova estetica, soprattutto in una città come Milano che negli anni scorsi ha pesantemente favorito nuovi massicci  interventi  squilibranti come Porta Nuova ed Ex Fiera dove ha trionfato la tecnica globalizzante, distopica e banalizzante. E’ ormai a noi chiaro che la crisi ecologica del mondo moderno sia figlia di una crisi estetica dove il bello è stato sostituito dall’utile e la natura  sfruttata a dismisura.  Per questo motivo bisogna evitare che la riapertura consista nel progettare dei laghetti da cartolina a scopo turistico che contrastano con la tradizione. Cercare l’identità perduta è una operazione delicata che richiede molto studio.