Il tribunale di Boston ha
condannato alla pena di morte il giovane terrorista ceceno che durante la
maratona di due anni fa, insieme al fratello, fece esplodere due bombe procurando la morte di tre persone.
Questa condanna verrà eseguita mediante iniezione letale. Lo stato del
Massachusetts ha abolito da anni la pena di morte ma quel delitto viene
considerato federale ed è prevista quella condanna. Gli Stati Uniti dunque non
vogliono allinearsi con la maggior parte
dei paesi occidentali il cui sistema giudiziario ha soppresso tale pena.
Ogni tanto la legge del taglione viene applicata nonostante ogni volta susciti
riprovazione nel mondo civile e scateni campagne mediatiche contrarie. Già nel 1859 Victor Hugo scrisse una lettera,
pubblicata su tutti i giornali liberi d’Europa, rivolta all’America per
scongiurare l’ esecuzione della condanna all’impiccagione di John Brown sostenitore
della liberazione degli schiavi. Ma invano. Tale fatto contribui a scattenare poi la guerra civile. Non si
vuole intendere insomma che la vita di un uomo non appartiene allo Stato e che
affermare questo significa avallare un pensiero riduttivo e consumistico della
vita che giustifica un assassinio, sia
pure legale.Non mi capacito come in un paese civile ci possano essere ancora
delle persone che di professione fanno il boia, come non si comprenda che un
atto cosi violento non faccia che elevare il livello di violenza insito in
quella società. Tant’è che gli omicidi avvengono con più frequenza. In sostanza
la violenza di Stato scatena la violenza privata, non è vero che la paura di
una tale condanna fa da deterrente al manifestarsi di azioni analoghe. L’ahimsa
di Gandhi, non capisco come l’India non abbia compreso il messaggio, la non
violenza, è una condizione prima mentale e poi fisica. Dunque una popolazione
che accetta la pena di morte è già in un atteggiamento di violenza mentale che
la rende corresponsabile di quell’assassinio e se è questa la situazione come è
possibile che esca dalla condizione riduttiva di un pensiero dicotomico e
paranoico che vede nella distruzione di un nemico la propria salvezza ? E’
questa legge dell’occhio per occhio e dente per dente, che spesso ipocritamente
viene rimproverata a popolazioni considerate
meno civili, che vale la pena di mettere in discussione perchè finchè sarà la
caratteristica della giustizia di un paese non si puo’ sperare di migliorarne
la convivenza civile. Gli assassini e i delinquenti non nascono sotto i cavoli
ma da un substrato di coscienza collettiva che contiene in se il germe della
violenza che si manifesta in personalità poco evolute. Ordunque non si puo’
pensare di guarire la violenza con altra violenza, non si fa che incrementarne
la densità. L’odio viene guarito dall’amore ma la paura lo allontana. Del resto
già il nostro Cesare Beccaria aveva spiegato che non vi è paragone fra un
omicidio privato ed uno pubblico, l’uno nascosto nell’ombra con tutte le
conseguenze di rimorsi e sensi di colpa, vedi Delitto e Castigo di Dostoevskij,
e l’altro reso spettacolare ed esaltato come atto di giustizia che viene
decretato e sadicamente procrastinato nei bracci della morte dove per anni il
detenuto soggiorna in attesa del giorno fatale. Spero, come già affermava Hugo,
che il paese della Libertà si renda conto finalmente della sua incongruenza.
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lunedì 18 maggio 2015
Della pena di morte
Fico d'India, acquarello su carta.
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venerdì 8 maggio 2015
Expo e Noexpo
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Oggi vorrei parlare di
Expo e di Noexpo. Questa manifestazione mondiale che doveva essere il fiore
all’occhiello di Milano rischia di diventare il motivo dominante per i prossimi
dibattiti preelettorali. Vale a dire che un evento di coinvolgimento globale diventa
uno spunto per le beghe di cortile della nostra politica. Il tema della
manifestazione con le sue implicazioni ecologiche prometteva molto ma c’era
anche da aspettarsi che le potenti multinazionali del cibo se ne
approfittassero per farsi publicità. Del resto è nella natura di queste
esposizioni prestarsi alla esibizione del potere della tecnica. Sono nate
proprio per mostrarlo verso la metà dell’ottocento, secolo della cieca fiducia
nella scienza. L’ultima
edizione toccata all’Italia, sempre a Milano nel 1906, infatti, aveva come tema
i trasporti, in omaggio al traforo del Sempione appena inaugurato, e fu
realizzata in Piazza d’Armi, attuale ex Fiera.
E’ chiaro che i centodieci anni passati da allora hanno cambiato di
molto la nostra sensibilità rispetto all’impatto della tecnica sul mondo
naturale. Due guerre mondiali con
milioni di morti e soprattutto lo sviluppo delle armi ci hanno obbligato a
guardare con una certa paura e diffidenza i prodotti delle scoperte
scientifiche soprattutto in ragione del fatto di aver messo nelle manni di
pochi la possibilità di distruggere tutti. Ora in tempi di globalizzazione e di
crisi ecologica, le comunicazioni e i trasporti si sono accelerati a dismisura
tanto che è da condividere l’opinione di
Marc Augè sugli eccessi della contemporaneità : eccesso di tempo, eccesso
di spazio ed eccesso di individualismo.
Bisognava tenerne conto nella progettazione dell’evento, come bisognava
tener conto che un tema simile, Nutrire il pianeta, in un momento di crisi planetaria
con le periferie in rivolta, poteva scatenare reazioni contrarie. Non voglio
entrare nel merito delle violenze degli
antagonisti o casseur, comunque in quanto violenze da condannare, ma si sa da
sempre che la rabbia accumulata poi si scatena in atti violenti, per fortuna
nel nostro caso perlopiù sulle cose. Il
fatto che l’organizzazione abbia preferito destinare un’area apposita all’evento
, anzicchè ad esempio diffonderlo in più punti della città, trasformandolo
cosi in una specie di Gardaland del
cibo, ha contribuito ad isolarlo dal contesto urbano e creerà problemi circa il
riutilizzo di quelle aree a fine Expo. Mi pare insomma che, come al solito, si
siano privilegiati gli interessi dei potenti e i vecchi schemi organizzativi.
Non voglio dire che cosi si
sarebbero evitate le contestazioni ma
almeno si sarebbe comunicato un messaggio più consono ai tempi che, come dicevo,
non sono quelli d’inizio novecento con l’ubriacatura di euforia per il progresso tecnico scientifico.
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