A proposito del
referendum sulle trivelle del Mar Adriatico fallito miseramente per non aver
raggiunto il quorum riporto quanto scrivevo nel mio libro “L’uomo, l’ambiente,
la casa” sulla questione dell’impatto della tecnologia sull’ambiente. La valutazione
di impatto ambientale è un fenomeno
tipico della nostra civiltà, che si avvelena e poi controlla che il veleno non
sia mortale. Pertanto essa costituisce a
monte un problema di natura culturale, controllato negli effetti con le
tecniche delle scienze naturali riconducibili alle scienze esatte. Esiste pero’
un importante aspetto della valutazione di impatto che sfugge alla valutazione
delle scienze chimico-fisiche ed è l’impatto di natura visivo-percettiva.Si
tratta di un impatto totalmente psicologico, legato alle opinioni di chi
fruisce l’ambiente, cioè l’abitante, pertanto verifiche e valutazioni sono da
affrontarsi solo con quelle discipline legate ai fenomeni culturali. A questo
punto credo sia onesto sottolineare che se nella valutazione di impatto basata
su considerazioni di ordine scientifico, chimico-fisico, pur essendoci una
buona dose di aleatorietà, è pero’ possibile una certa obiettività, nella
valutazione “culturale” dell’impatto tutto è molto più complesso perchè entrano
in gioco fattori diversi, legati appunto alle tendenze culturali, ai rapporti
tra cultura dominante e culture subalterne ed anche al sapere non scientifico.
Impatto, come si diceva, presuppone già una sorta di scontro tra l’intervento
dell’uomo e l’ambiente preesistente; una mentalità che bene o male rifiuta questo
scontro, ma ricerca l’armonia è sicuramente la migliore garanzia di corretta
valutazione di impatto. Infatti quando il
dott Paul Racamier afferma che i “malati mentali” sono molto più
sensibili alla struttura fisica e all’aspetto dello spazio in cui vivono di quanto
non lo siano le persone cosidette normali, cio’ deriva dal fatto che le persone
cosidette normali sono, in realtà, normalizzate, adattate a forza al loro nuovo
ambiente. Se si assimila dunque la nostra cultura a una cultura di normalizzati
la valutazione degli effetti di impatto psicologico sarebbe già in se sbagliata
se rapportata solo alla nostra cultura. In realtà il primo impatto di un
intervento dell’uomo nell’ambiente è di natura visivo-percettiva, cioè mentale,
e quindi psicologica, antropologica e sociologica. Allora la prima cosa da
chiedersi quando si debba intervenire in una data regione credo proprio che sia
se la cultura (o le culture) ivi presenti siano in grado di accettare, senza
troppi contraccolpi cio’ che si deve insediare, sia un opificio o una strada o
una centrale elettrica o infine delle piattaforme per la ricerca del petrolio.
Il geografo Eugenio turri aveva brillantemente analizzato in Semiologia del
paesaggio italiano come una trasformazione violenta del paesaggio ad opera
della nostra civiltà tecnicista possa incidere sulla psicologia della
popolazione locale legata a quei luoghi
da generazioni. A questo una politica della bellezza dovrebbe tendere.
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