Casa
dolce casa
Quando
si parla di architettura ed ecologia si parla principalmente di casa. Scrivevo
nel 1992 nell’introduzione al mio libro “L’uomo, l’ambiente,la casa” che il
pensiero ecologico ha investito tutta la cultura occidentale e le varie
discipline, in primis l’architettura. Ogni tanto nella storia si presenta la
necessità di cambiare il paradigma di partenza per una nuova interpretazione
della realtà che permetta un migliore adattamanto ed uno scatto evolutivo. Di
questi tempi (scrivevo) è l’approccio sistemico bioecologico che sembra essere
la nuova opportunità in tutti i settori. L’architettura, intesa come attività
teorica che sta dietro la trasformazione della natura da parte dell’uomo, è la
disciplina più coinvolta da questa rivoluzione culturale. Vent'anni dopo
possiamo dire che è ancora vero? In
parte si ma abbiamo potuto constatare che accanto alle rivendicazioni
ambientaliste (molto spesso più di apparenza che di sostanza) vi è un’economia di rapina che genera, come dicevo,
monumenti a se stessa e crisi cicliche. Prendiamo la casa che è dell’architettura
moderna l’emblema: è si nata la casa bioecologica e la certificazione
energetica ma si continua a costruire falansteri e grattacieli che di fatto
contraddicono il suddetto paradigma. Il perchè di tutto questo, come abbiamo
già esposto in precedenza, sta nella spaccatura che esiste ancora tra le
aspirazioni all’armonia, a un nuovo rapporto con la natura, sentito come
nostalgia delle origini, e la volontà di potenza che contraddistingue invece il
mondo della finanza e delle tecnoscienze. Abitare è una condizione
dell’esistere e quindi la casa risente di questi diversi approcci alla realtà.
Dal 1988 ho realizzato corsi che intitolavo “La casa biologica” a distinguere
questo bisogno di complessità organica
contro la proposta presuntuosa, anche di maestri dell’architettura
moderna innamorati della tecnica, di rispondere a questa istanza abitativa con
la semplificazione anoressica della grande dimensione. Il concetto di massa è
un prodotto del novecento dove
l’individuo viene vissuto come numero senza qualità, uno nessuno centomila, e
la casa come macchina. A nulla sono valse le verifiche sulla vita nei monumenti
dell’architettura moderna, come ad esempio l’Unitèe d’abitation di Le
Corbusier. Sul famoso esempio si è andati a costruire per case popolari
megastrutture che sono diventate ghetti di mala-vita, in Italia sono arcinoti
esempi il Corviale di Roma e le Vele di Napoli. Qualcuno suggeriva che gli
architetti che progettano queste mostruosità dovrebbero essere obbligati ad
abitarvi. Ma tornando all’esigenza di case si puo affermare che nella nostra società liberista si risponde in
diversi modi a seconda del censo. Tralasciando il grave problema di chi è
rimasto senza lavoro e senza casa, messo in luce da un libretto prezioso di
Marc Augè,”Diario di un senza fissa dimora”, rispondono a questa esigenza
fondamentale le Società immobiliari, il mondo della cooperazione e lo Stato,
attraverso i vari Istituti per le case popolari. Nonostante questo potente
apparato la situazione del diritto alla casa non è mai stata cosi precaria: la
crisi economica e l’immigrazione l’hanno resa drammatica. Eppure malgrado il grande numero dei senza
dimora, sempre in aumento, in Italia le statistiche ci dicono che vi sono più di due vani per
abitante. Come mai? La risposta stà nel fatto che il mattone è diventato un
bene rifugio per gli investimenti finanziari e che esiste una fascia sociale
che possiede più di una casa ed una fascia che non ne ha nemmeno una. Le immobiliari insistono sul proporre case per
una fascia medio alta che in questo momento non vuole acquistare, cosi si ha
una notevole quantità di invenduto con palazzi vuoti. L’edilizia convenzionata
delle cooperative registra nel campo della proprietà divisa uguale fenomeno poichè
le banche hanno ristretto i mutui. Rimane l’edilizia sociale che fa riferimento
alla fascia più povera e che in questo momento è formata principalmente dagli immigrati,
questa è in crisi e non investe da anni avendo oltre tutto una insolvenza che
raggiunge livelli molto alti. Cosi si ha una situazione paradossale in cui la fascia
più punita é il ceto medio formato da giovani, impiegati, professionisti,
intellettuali, insegnanti ecc. Cioé la parte migliore della società, la più
colta e potenzialmente la più produttiva, quella con un livello di istruzione
più elevato.Intanto la cementificazione continua e le proposte si fanno sempre
più lontane da quella esigenza complessa di casa per la vita cui si accennava.
La città infine è divisa per distretti stabiliti dal reddito ed è ben lontana
da quel mix sociale che sembra costituire garanzia di buona-vita ai quartieri
urbani ed anche gradevolezza estetica. Vi sono infine anche tentativi di Housing sociale, soprattutto da
parte di quegli enti, come le Fondazioni, che non hanno scopo di lucro, in
genere sono frutto di una progettazione attenta a quelle domande di casa
biologica cui si accennava ma questi per incidere sul mercato hanno bisogno di
realizzare una massa critica che sono ben lungi dal raggiungere. In questo
squallido panorama, in cui tra l’altro
sono aumentati del 50 % gli sfratti per morosità, le Banche e le grandi
immobiliari continuano a proporre
soluzioni tecnologiche firmate per ricchi (per lo più stranieri) quando la
domanda è da un’altra parte.
Mentre leggevo il testo di Spada mi sono tornate alla memoria le immagini di un atterraggio a Los Angeles molti anni fa. L’aereo ,in avvicinamento, sorvolava a perdita d’occhio una sterminata distesa di villette unifamilari secondo il tipico stile americano. Cercai di immaginare quanti chilometri di tubazioni ,cavi, linee elettriche, fognature fossero necessarie per rendere vivibile un agglomerato urbano di questo tipo. Naturalmente era fatica sprecata, tuttavia mi rimase l’impressione che un tale tipo di urbanizzazione fosse economicamente insostenibile e piuttosto povera dal punto di vista formale e che si giustificava forse con la particolare fase di sviluppo che stava attraversando l’economia americana. Recentemente ho letto che Los angeles ,dopo avere prosciugato tutte le riserve idriche del territorio , sta avviando un avanzato sistema di riciclo delle acque urbane che dovrebbe portare ad un riutilizzo pressoché integrale di tutti gli effluenti liquidi della città.
RispondiEliminaCon tali premesse, una soluzione ingegneristica molto semplice potrebbe essere quella di inscatolare le moltitudini umane in grandi contenitori abitativi ( per ridurre il consumo pro capite di risorse) ma ,come detto nel testo, tali esperienze si sono rivelate finora fallimentari.
Il “cosa fare “ oggi a me -uomo della strada- sembra particolarmente complesso per il numero di variabili confliggenti, di natura fisica ,ambientale,economi ca ed etica ,che entrano in gioco.
Mi limito a citarne 2 , la variabile demografica e la variabile energetica.
La prima, mostra un curva costantemente crescente (1,6 miliardi di abitanti nel 1900; 6mld nel 2000; 9 mlld stimati per il 2050 ) con una tendenza alla concentrazione degli abitanti nelle grandi aree urbane del pianeta e conseguente incremento della domanda di abitazioni.
La variabile energetica appare ugualmente complessa da gestire perché a fronte di una prospettiva di crescente fabbisogno esistono limiti nella possibilità di estrazione dei combustibili fossili e comunque crescenti rischi ambientali.
E allora ritornando ai citati nefasti esperimenti di Corviale, Le Vele etc ,, mi sorge il dubbio che sia prematuro pensare di archiviarli definitivamente. Forse vanno ripensati in chiave attuale utilizzando le moderne tecnologie costruttive ,l’informatica e una valida progettazione architettonica.
Tra gli esempi citati , ho visitato Corviale e l’impressione che ne ho tratto è stata che:
- la qualità edilizia era pessima (cemento a vista, lamiere zincate etc)
-il mix sociale era costituito in prevalenza da nuclei con forte disagio sociale
-il progetto è rimasto incompleto per decenni per mancanza di adeguati servizi ( di trasporto pubblico, negozi, etc) creando le condizioni per l’emarginazione sociale di chi ci abitava
-il vandalismo e la carente manutenzione completano il quadro
Affrontando seriamente tali problemi forse si possono correggere gli errori fatti e pensare a delle soluzioni effecaci ai bisogni urbani del prossimo futuro .
Carlo
Vi sono due osservazioni da fare su questo commento. La prima è che la crescita della popolazione mondiale non è affatto certo che continui sui ritmi attuali. Anche questa è una ipotesi non dimostrata, peraltro contraddetta dalla storia, infatti vi sono stati periodi di caduta demografica dovuta a vari fattori: basti pensare all'alto medioevo rispetto al pieno sviluppo dell'impero romano. La crescita demografica attuale è dovuta al cosidetto sviluppo economico e scientifico che come abbiamo già detto è al suo tramonto. Basta che una generazione per un motivo che non conosciamo non faccia più figli e ci troveremmo invece in una terra spopolata.
RispondiEliminaLa seconda è che tra la città orizzontale diffusa, stile Los Angeles, e quella verticale, stile Manhattan, esiste una serie di soluzioni intermedie di tutto rispetto: ad esempio l'isolato urbano è una di queste. La città europea dal medioevo a tutto l'ottocento l'ha ampiamente utilizzato in vari modi ed è stato abolito dal movimento moderno che, come abbiamo detto, enfatizzò soluzioni massificanti.