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mercoledì 24 ottobre 2018

Un contributo dell'economista alla cultura del bello di Giorgio Toscani


La Cultura de il “BELLO”




La crisi  che ha  investito  i Paesi occidentali ha prodotto effetti  che vanno al di là della pura valenza economica con conseguenze che non sono ancora prevedibili né quantificabili nella loro interezza.  Per superare una crisi, qualunque essa sia, è necessario una revisione attenta e puntuale dei parametri di progettualità  e dei modelli di vita . Ogni cambiamento scuote dalle fondamenta stili , atteggiamenti, credenze, abitudini nei quali  l’uomo ha radicato la sua esistenza e lo costringe a ricercare ed a valorizzare quelle peculiarità che ne costituiscono il patrimonio identitario, e che hanno  consentito di acquisire un proprio spazio vitale nella competizione globale.
 Dopo il consumismo esasperato degli ultimi anni si tende  ora  a riconsiderare la composizione della domanda verso “standards“qualitativamente più elevati, favorendo l’affermarsi  di ambiti produttivi che esprimano una offerta più  adeguata.
Il nostro Paese per le sue risorse naturali ed artistiche, per la qualità dei suoi prodotti industriali e per la creatività artigianale, viene considerato  come luogo di eccellenza e sommando le  bellezze naturali e le infrastrutture culturali,  si colloca ai vertici dei   Paesi più belli al mondo.
   
 Queste brevi considerazioni per riaffermare il principio che la bellezza è un valore, e che nel momento in cui si invoca la crescita, l’avvio di un processo di sviluppo dovrebbe promuovere il Bello a tutti i livelli: organizzativo, territoriale, produttivo, culturale , politico.  
  Valorizzare il Bello significa contrastare quel senso di trasandatezza, di incuria,  che spesso caratterizza le nostre città, frutto dell’improvvisazione, della subcultura: rappresenta oggi un  “Must”, un dovere etico e morale. Ciò è tanto più necessario in quando l’ottanta per cento della popolazione europea vive concentrata in aree urbane.  Fenomeno questo che, secondo gli esperti, tenderà  ad assumere dimensioni sempre più ampie. Pertanto, lo stile di vita urbano sarà sempre più condizionato dalla produzione industriale , dai servizi, dalle attività commerciali, dai trasporti,  e da  usi impropri del territorio che provocano il degrado civile e sociale.
 Per questo occorre porre rimedio a questa evenienza e  le collettività locali e le famiglie, in quanto centri di vita sociale,  dovranno costituirsi quali custodi delle loro tradizioni e del patrimonio culturale, assumendo  maggiore responsabilità verso il bene comune, ripensando  ad un modo nuovo di stare insieme.
  L’Amministrazione locale, poiché si colloca a livelli di responsabilità più vicini al benessere dei cittadini, ha un ruolo fondamentale nell’indicare stili di vita  e modelli di produzione  di consumo  e di utilizzo degli spazi più idonei, per arrivare a concepire un modello di vita sostenibile con l’obiettivo di perseguire la qualità.

 Il concetto della sostenibilità è inserito nella Carta delle città europee per un modello urbano sostenibile, approvata dai partecipanti alla Conferenza europea, tenutasi  ad Aalborg ( Danimarca ) il 27 Maggio 1994 e ne costituisce il requisito fondamentale..
Nella “Carta” il concetto di sostenibilità, secondo i principi a cui si ispira, contempla la conservazione del capitale naturale a livello ambientale, che sottende la conservazione della biodiversità, della salute umana  e tutto ciò che è necessario per sostenere la vita ed il benessere degli esseri viventi, animali e vegetali.
Le strategie a livello locale possono essere quelle più idonee a fronteggiare  specifiche peculiarità; per sanare i molti squilibri  urbani , architettonici, sociali, economici, politici, partendo dalle risorse.
Il processo di sviluppo, a livello locale, viene riconosciuto dalla Carta come processo creativo,  inserito in una visione evolutiva e non statica, che  ricerchi un equilibrio idoneo a contemperare le diverse attività significative che caratterizzano il sistema urbano, con scelte razionali risultanti  da soluzioni negoziate,  che permettano di goderne i frutti, sia agli attuali fruitori che alle generazioni future.
 Tra gli obiettivi più significativi del modello sostenibile viene suggerito quello di ridurre la pressione sul capitale di risorse naturali, attraverso l’espansione degli spazi verdi per attività ricreative e del tempo libero all’interno delle città,  creando  una maggiore equità sociale tra le classi sociali più deboli, mitigando la ineguale distribuzione della ricchezza.
Integrando i fondamentali bisogni sociali con adeguati programmi, si potrà agire per il miglioramento della qualità della vita  e non solo favorire la massimizzazione dei consumi.
  Un ruolo fondamentale deve essere svolto da tutti i cittadini della Comunità locale nella promozione di attività economiche e gruppi d’interesse con ed  in cooperazione a tutti gli attori  invitati a partecipare al processo decisionale locale.

Per dare  attuazione a tali obiettivi, le città europee firmatarie della Carta si sono impegnate a definire programmi di azione a livello locale di lungo periodo, riassunti nella ”Agenda 21, al fine di stimolare la cooperazione  con piani locali di azione per un modello urbano sostenibile.
  Per questo si propongono di  avviare una campagna di informazione e di diffusione  e di incoraggiamento, tenuto conto degli sforzi necessari a migliorare le capacità degli enti locali nei loro meccanismi decisionali interni, con riguardo agli accordi politici, alle procedure amministrative, alla cooperazione, alla disponibilità di risorse umane e finanziarie, tutte finalizzate alla sostenibilità.

 La riqualificazione dell’ambiente urbano è inserita tra gli obiettivi generali del “Regolamento Forum” del Comune di Roma, in cui è affermata l’esigenza di un miglioramento della dotazione del verde pubblico e della qualità dell’ambiente, attraverso la crescita del verde fruibile, la riqualificazione delle aree verdi pubbliche marginali e di risulta, mediante la realizzazione di orti di quartiere, la concessione–gestione di aree verdi pubbliche a privati, la riqualificazione delle aree verdi pubbliche interne ai grandi sistemi ambientali, il recupero di edifici comunali inutilizzati o poco utilizzati.
 Le possibili ricadute riguardano soprattutto l’accessibilità, la salute, la sicurezza; in una parola una migliore qualità della vita
L’analisi dei documenti preparatori alla  Conferenza Europea” di Aalborg confermano l’orientamento di tipo qualitativo del concetto e del principio di sostenibilità,   che si basa su un processo strategico di attività che ubbidiscano ad un criterio organicistico, assicurando la sostenibilità delle decisioni assunte.
Anche le raccomandazioni” della ”Agenda 21” , che le città firmatarie si impegnano a rispettare, si basano su criteri di cooperazione e di partecipazione a livello locale e la preoccupazione di predisporre opportunità di educazione e formazione sono viste solo in funzione della sostenibilità, uniformandosi  ad un concetto qualitativo.

Il Bello nell’antichità veniva concepito da Platone come la combinazione di fattori, quali la proporzione( bello visibile) e l’armonia (bello udibile) , ordine e misura che si compongono verso una idea eterna, perfetta, immortale del Bello; per Aristotele  il Bello è il “vero” che contempla, l’ordine, la proporzione ,il limite; fattori  che si compongono nel ritmo e nell’armonia, in un processo di imitazione della natura. Per Plotino il Bello non è nella simmetria ma ciò che nella simmetria  riluce, il Bello come intuizione e creazione dell’intelligenza e quindi applicabile a tutte le forme della creazione (dipinti,sculture,forme di governo,straregie,modelli matematici, formula di Eulero, la così detta “porzione aurea” rappresentata dalla lettera greca Ph).
 Per Kant il Bello è ciò che procura una soddisfazione di carattere universale: le cose non sono belle  per se stesse , ma in quanto capaci di eccitare e tendere le nostre forze spirituali, senza interesse e finalità di scopo. Per Croce il Bello non è un fatto fisico ma intuizione a cui il sentimento dà coerenza e unità .Ed ancora, il Bello è la modalità attraverso cui la mente si avvicina allo spirito.
Più di recente il Bello è stato utilizzato per promuovere un’ideologia o un dogma, è stato oggetto di dibattiti sociali ed argomenti,come pregiudizi (razziali), etica, diritti umani; a fini commerciali la
controversia culturale predilige la percezione dogmatica ( il Mito del bello) che è l’essenza virtuosa dove l’intelligenza percettiva tende al riconoscimento del Bello.

L’Italia è diventata nel secolo scorso uno dei paesi più industrializzati del mondo. La ragione di questo successo è dovuto  ad un insieme di fattori, tra i quali  l’altissimo contenuto estetico insito nella tradizione artigianale e nelle tecniche di produzione, che sono due aspetti della stessa medaglia.
La ragione ultima, universalmente riconosciuta, è che il valore della produzione dei beni di alto contenuto estetico è frutto dello straordinario patrimonio culturale ed artistico che assomma in se  una capacità creativa ed una cultura estetica, frutto della eredità rinascimentale. Abbiamo una tradizione artigianale che riesce a produrre con un ottimo livello estetico, dove la componente tecnologica si inserisce efficacemente nel processo produttivo di alta sofisticazione.
In Italia si producono i gioielli più belli, i più bei guanti, le scarpe più belle, i divani più belli, i marmi, le auto,ecc…; tutti prodotti che  si ritrovano in ogni provincia  e che sono frutto di una fortissima esigenza estetica che si esprime solo ad un livello localistico. Molti elementi confluiscono nel processo creativo in una sorta di “genius loci” frutto di una collaborazione tra tradizione culturale ed alta qualificazione artigianale. Oppure, come dice Edoardo Nesi nel suo libro Storia della mia gente ( Premio Strega 2011) questi elementi “sono frutto di una commistione tra arte e vita, che fu il Rinascimento fiorentino, quando grazie a Lorenzo dei Medici nacque e si perpetuò l’idea che dentro gli italiani alberghi una specie di geniale spirito artistico che li rende unici”.
 Tuttavia,  nelle nostre città  lo stridore tra la bruttezza delle periferie con la bellezza del centri storici, assume una dimensione insopportabile e dove il Brutto rappresenta la norma che, unito al degrado, avvilisce sempre di più il senso del Bello che è insito nella natura umana ed appartiene ad ogni individuo, ad ogni cittadino.   
 Occorre quindi recuperare il senso del Bello e farlo emergere in tutte le occasioni in cui sia possibile, cercando di espanderne la sua cultura  a tutti i livelli. Questo sarebbe possibile favorendone il trasferimento delle responsabilità alle comunità locali, secondo un principio di sussidiarietà che permetta di offrire risposte pertinenti rispetto ai bisogni, e scegliere gli interventi pubblici più vicini ai cittadini ed alle comunità.
I cittadini devono pensare alla propria comunità rigettando la crisi epocale  della governace, la crisi del modo di stare insieme, dove l’uomo è maestro e possessore della natura, attivando la relazione tra potere e sapere, rifiutando la legge del padre che induce alla protezione.
 Il presupposto per una nuova governance  vuol dire recuperare un nuovo senso civico di coesione sociale e di valorizzazione delle varie componenti e diversità; vuol dire rifiutare la cultura economica di un neo-liberismo utilitario, subordinato all’efficienza tecnologica, senza una coscienza morale e religiosa; vuol dire  perseguire la priorità del lavoro sul capitale, dell’uomo sul profitto. La logica del sistema capitalistico senza etica  induce ad una mentalità consumistica, madre della speculazione.
Se si vuole recuperare il senso del Bello occorre passare dalla cultura dell’accumulazione alla cultura della sobrietà , perseguire l’obiettivo di favorire la pace come impegno quotidiano e contro il degrado morale, il primato della persona e la dignità della persona .Occorre concepire l’ambiente urbano come luogo degli incontri, recuperando la cultura della città, la metafisica della città: urbis = civitas.
 Benedetto XVI di recente,nella sua prolusione al Bundestag, ha affermato che la cultura del Bello in Europa è frutto del patrimonio culturale  ottenuto dall’incontro tra la civiltà ebraica , greca e romana. La cultura del Bello è stata messa in crisi successivamente dal dominio esclusivo della ragione positivista che, soprattutto nella coscienza pubblica, ha annullato le fonti di conoscenza dell’”ethos” e del diritto. La cultura positivista è quella che ha costruito quegli edifici brutti, quell’insieme di strutture urbane chiuse in se stesse che rifiutano la creatività, rifiutano la luce e la vastità della natura, rifiutandosi di ascoltarne il linguaggio e le norme che sono racchiuse in essa e che sono il frutto di una ragione oggettiva creativa.( Vedi “Le Vele” a Scampia a Napoli o “Corviale” a Roma, ecc.)


 Il Bello è qualcosa che ci appartiene, che abbiamo tutti dentro, fin dalla nostra nascita, che è insito nel mondo che in cui viviamo, nella realtà . Noi abbiamo il compito di osservarla, capirla ed elaborarla  in maniera fedele; e si avrà la bellezza, che è la condizione spirituale più giusta ed armoniosa ed attenta per osservare la realtà ,per suscitare l’amore per la vita.
 Aprire gli occhi ed osservare la realtà, che corrisponde alla verità, comporterà inevitabilmente la contemplazione del Bello che è la fedele , incondizionata, armoniosa fiducia verso il naturale.


                                                                                                          Giorgio Toscani




3 commenti:

  1. Grazie Giorgio Toscani per il interessantissimo articolo a dimostrare che la cultura della bellezza è anche conveniente da un punto di vista economico come del resto anch'io tempo fa ho scritto nel mio articolo Politica della bellezza, il più cliccato in assoluto in questo blog, dove dimostro quanto costa la bruttezza.

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  2. "Quella notte c'era desiderio, timore e fantasie, bruciati da attimi vorticosi, scorgersi come da un obiettivo di macchina fotografica, mentre ci si aggira fra le sensazioni accompagnati dal rammarico premonitore della bellezza troppo eccelsa per divenirne mai protagonisti consapevoli".
    Così mi piacerebbe introdurre il tema della bellezza, riportando un passo di un mio vecchio libro (Io, Francesca, Rebellato, 1980, 14).
    Perché la difficolta della bellezza è individuarne l'essenza, la ontologia, l'essere e non il dover essere, o l'esser(ci) heideggeriano.
    Non basta chiedersi cos'è la bellezza, voglio evitare un concetto appiattito nelle sue infinite applicazioni: questo è bello, non è bello quel che è bello, etc...
    Sono ansioso di conoscere cosa sia la bellezza, non quale sia il "concetto" di bellezza. Diversamente, mi basta consultare il Garzanti, che se ne libera agevolmente con la "qualità di ciò che è bello (anche in senso morale); il valore estetico delle cose".
    Aggiungasi che "bello" significa "che ha un aspetto gradevole, che piace, che suscita piacere estetico"; "moralmente buono", in senso naturalistico "sereno", "calmo".
    Aggiungasi, ancora, che estetica deriva dal greco aistethikos, che vuol dire sensibile, capace di sentire,cosicché si può anche dire che estetica e sensazione siano sinonimi.
    Ma siamo punto a capo.
    Sappiamo qual'é il contenuto della bellezza, non cosa sia la bellezza.
    Nel De Trinitate Tommaso d'Aquino fornisce una cospicua precisazione a proposito della dottrina del bello: "Pulchrum dicitur quod visum placet", una cosa piace quando riconosce al di fuori di sé una corrispondenza con ciò che è interno a sé, luce, integrità, armonia.
    Non mi dispiace la definizione, ma è pur sempre una definizione, un concetto, non delinea l'ente, l'ontologia.
    Invece nella mia ricerca (o, meglio, nella mia curiosità)mi sono imbattuto in una "testimonianza" che è andata molto vicino a quella che io ho in mente come "bellezza", a quel qualcosa di troppo eccelso per divenirne mai protagonisti consapevoli, come scrivevo molti anni fa.
    Questa testimonianza l'ho trovata nella stele di Iside nel tempio a lei dedicato a Sais, dove la sua statua è ricoperta da un sottile velo con il motto: "Quid fuit, est, erit, ego sum, peplumque meum nemo submovit" (Ciò che fu, è, sarà, io sono, e il mio velo nassuno ha mai sollevato, un motto che ha attratto l'attenzione di Kant, di Goethe, di Schiller.
    Mi pare che si attagli perfettamente alla bellezza, come ineffabile tensione verso alcunché di mai raggiungibile, ben diversa dalla "pancalia" agostiniana (tutto è bello).
    La bellezza è curiosità, più che ricerca, è insoddisfazione, è anelito.
    Ci sono civiltà, come quella giapponese, dove il termine non viene neppure menzionato, come ho appreso dalla lettura di Shitao, monaco e critico e pittore del XVIII secolo (Discorsi sulla pittura del monaco Zucca Amara, Editoriale Jouvence, Milano, 2014).
    Mi fermo qui. Sono, questi, piccoli spunti di un lavoro più impegnativo che sto conducendo - ispiratore Maurizio - appunto sulla bellezza.

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  3. Grazie Federico per il tuo commento. Credo che questa tua concezione della bellezza si allinei con quella dei romantici. Attenzione però oerchè questa concezione della bellezza come qualcosa di irraggiungibile verso il quale tendere può condurre a una svalutazione della realtà quotidiana nella quale siamo immersi. Come ho già più volte detto la bellezza è il frutto della creatività della natura e quindi della vita. Kalil Gibran, il poeta e filosofo libanese da me preferito, affermava che la bellezza è la vita stessa quando mostra il suo volto benedetto. Hesse dice a stessa cosa con parole differenti: che la bellezza è il mondo in stato di grazia. Hillman, al quale ti rimando, scriveva che la bellezza è indefinibile perché è il fondamento della vita ed è per questo che non si può definire ed è l'unico antidoto all'amore per la guerra che c'è in ciascuno di noi. Nel mito Venere conquista Marte. Florenskij, filosofo e matematico russo, diceva che vi sono due modi per guardare il mondo: quello contemplativo creativo e quello meccanico rapace. Questo per dire che bisogna trascendere l'ego per approdare al Se, cosi si accede alla bellezza

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