Caro Federico te ne sei andato cosi inaspettatamente dopo
che ci siamo sentiti al telefono in questo periodo di coronavirus che ci ha
costretti in casa. Erano ormai anni che seguivamo, Gabriella ed io, le tue
vicende di salute e contavamo che tu ormai ti fossi acclimatato con la tua
patologia, l’avessi in qualche modo compresa e accettata e dunque ci convivessi
bene per chissà quanti anni ancora e magari interpretandone il messaggio la
superassi. Non è stato cosi e un po’ di rabbia, debbo ammettere, questa tua
dipartita me l’ha lasciata. L’ultimo tuo commento al mio articolo, Coronavirus,
sul blog è finito con un accenno pessimistico a un Dio che ce l’ha con l’uomo
quindi nonostante la tua dichiarazione sorprendente di essere cattolico
cristiano, che non mi sarei aspettato, la tua divinità appartiene alla
tradizione dell’antico testamento o addirittura alla antica Grecia, il tuo
riferimento a Nietzsche lo attesta. Lui diceva che quel Dio era morto ma non
trovandone un altro è impazzito. Tu invece lo hai risuscitato nei panni del
punitore che manda le pandemie a una società corrotta, come a Sodoma e Gomorra.
Immagino che ora, dovunque tu sia, avrai svelato il mistero per cui ritengo
ininfluente che ti parli della mia concezione della trascendenza ma questo fa bene a me e quindi proseguo. Il
Nuovo Testamento, nonostante tutto, è un messaggio di amore che richiede
molteplici interpretazioni, la più accreditata è che Dio è amore e dunque si
veste della carne umana per indicare la strada della creatività e della vita
non quella della morte. Infatti, benchè ucciso dalla diffidenza, dalla paura e
dalla stupidità del Potere, risorge. Già
prima di Cristo i filosofi avevano detto che l’amore crea e l’odio distrugge,
Empedocle ad esempio, dunque è conseguente pensare che il Creatore non può che
essere creativo e quindi amante. Ne deriva che quando in te alberga l’amore,
sia verso te stesso che gli altri, sei simile a Dio ma, come affermano i
buddisti, in noi albergano, non so perché,
i semi di tutti i sentimenti, negativi e positivi, dunque dobbiamo
allenarci a sostenere quelli che ci fanno bene e lasciare inerti quelli che ci
danneggiano. Il messaggio cristiano può essere letto anche cosi: una strada per
star bene, in fin dei conti le Beatitudini sono questo. Del resto lo stesso
pagano Aristotele scriveva nell’Etica Nicomachea che le virtù sono per il bello
e quindi per la felicità. La psicoanalisi in tempi moderni ci ha abituati a
guardarci dentro e a scoprire l’inconscio, pieno di quelle cose che non ci
piacciono, cioè rabbia, paura, desiderio e cosi via, perché l’educazione ci ha
abituati a rimuoverle e con quello dobbiamo confrontarci. Quindi l’inconscio
collettivo della nostra società ipocrita e superficiale è una sorta di
ripostiglio dove stazionano le nostre forze distruttive che se non vengono
affrontate ci danneggiano, vedi la pandemia o la malattia. Il corpo è un
insieme di energia e informazioni e cosi la natura, il nostro corpo più grande,
e se questi messaggi sono cattivi ne
risentiamo anche a livello fisico oltre che psichico naturalmente. Ma sotto
tutto questo vi è uno strato originario di gioia pura, il nostro retaggio
divino. Per questo i bambini sono allegri e vivaci, loro sono più vicini a
questo fondo di verità, del resto il Cristo non dice forse: lasciate che i
bimbi vengano a me? Perdiamo questo stupore infantile e questa gioia
fondamentale quando sviluppiamo per paura un ego diffidente che si attacca alle
illusioni di felicità. Infatti tutte le tradizioni di saggezza, quindi anche il
Vangelo, non dicono forse che bisogna abbandonare le illusioni, cioè Maia, per
essere felici e costoro non vengono chiamati risvegliati, a indicare che in
realtà ritroviamo quello che in realtà già siamo? La favola dei fratelli Grimm “La
fortuna di Gianni” è emblematica. Venendo
a noi tu che eri un letterato e che hai scritto molto inseguendo un assoluto
attraverso l’amore per una donna che non trovavi mai, influenzato molto dalla
cultura romantica, non ti sei accorto forse che il tuo miglior personaggio è
stato Napoleone, il barbone dei giardini Montanelli che nell’Isola di Serifo, proprio
perché niente possiede, conduce tutta la compagnia di frustrati alla famosa
nuova terra. Credo dunque che tu sia andato
a cercare quest’ isola e spero l’abbia trovata ed abbia saziato la
nostra dotta ignoranza anche perché come ben ricordi Marcel Proust diceva che
il vero viaggio di scoperta non è quello di cercare nuove terre ma avere
nuovi occhi. Ciao Fede.
Cerca nel blog
Visualizzazione post con etichetta Aristotele. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Aristotele. Mostra tutti i post
venerdì 24 aprile 2020
Addio a un amico letterato
L'infinito, olio su tela
Etichette:
Aristotele,
beatitudini,
bellezza,
buddismo,
Etica Nicomachea,
Fratelli Grimm,
L'isola di Serifo,
Marcel Proust,
natura,
pandemia,
psicanalisi,
Vangelo
mercoledì 24 ottobre 2018
Un contributo dell'economista alla cultura del bello di Giorgio Toscani
La Cultura de il “BELLO”
La crisi che ha
investito i Paesi occidentali ha prodotto
effetti che vanno al di là della pura
valenza economica con conseguenze che non sono ancora prevedibili né quantificabili
nella loro interezza. Per superare una
crisi, qualunque essa sia, è necessario una revisione attenta e puntuale dei
parametri di progettualità e dei modelli
di vita . Ogni cambiamento scuote dalle fondamenta stili , atteggiamenti, credenze,
abitudini nei quali l’uomo ha radicato
la sua esistenza e lo costringe a ricercare ed a valorizzare quelle peculiarità
che ne costituiscono il patrimonio identitario, e che hanno consentito di acquisire un proprio spazio
vitale nella competizione globale.
Dopo il consumismo esasperato degli ultimi
anni si tende ora a riconsiderare la composizione della domanda
verso “standards“qualitativamente più elevati, favorendo l’affermarsi di ambiti produttivi che esprimano una offerta
più adeguata.
Il nostro Paese per le sue
risorse naturali ed artistiche, per la qualità dei suoi prodotti industriali e
per la creatività artigianale, viene considerato come luogo
di eccellenza e sommando le bellezze
naturali e le infrastrutture culturali, si
colloca ai vertici dei Paesi più belli al mondo.
Queste brevi considerazioni per riaffermare il
principio che la bellezza è un valore, e che nel momento in cui si
invoca la crescita, l’avvio di un processo di sviluppo dovrebbe promuovere il Bello a tutti i livelli: organizzativo, territoriale,
produttivo, culturale , politico.
Valorizzare il Bello significa contrastare quel senso di trasandatezza, di incuria,
che spesso caratterizza le nostre città,
frutto dell’improvvisazione, della subcultura: rappresenta oggi un “Must”, un dovere etico e morale. Ciò è tanto
più necessario in quando l’ottanta per cento della popolazione europea vive concentrata
in aree urbane. Fenomeno questo che,
secondo gli esperti, tenderà ad assumere
dimensioni sempre più ampie. Pertanto, lo stile di vita urbano sarà sempre più
condizionato dalla produzione industriale , dai servizi, dalle attività
commerciali, dai trasporti, e da usi impropri del territorio che provocano il
degrado civile e sociale.
Per questo occorre porre rimedio a questa
evenienza e le collettività locali e le
famiglie, in quanto centri di vita sociale,
dovranno costituirsi quali custodi delle loro tradizioni e del
patrimonio culturale, assumendo maggiore
responsabilità verso il bene comune, ripensando
ad un modo nuovo di stare insieme.
L’Amministrazione locale, poiché si colloca a livelli di responsabilità
più vicini al benessere dei cittadini, ha un ruolo fondamentale nell’indicare
stili di vita e modelli di produzione di consumo e di utilizzo degli spazi più idonei, per
arrivare a concepire un modello di vita
sostenibile con l’obiettivo di perseguire la qualità.
Il concetto della sostenibilità è inserito nella Carta delle città europee per un modello urbano sostenibile,
approvata dai partecipanti alla Conferenza europea, tenutasi ad Aalborg ( Danimarca ) il 27 Maggio 1994 e
ne costituisce il requisito fondamentale..
Nella “Carta” il concetto di sostenibilità,
secondo i principi a cui si ispira, contempla la conservazione del capitale
naturale a livello ambientale, che sottende la conservazione della biodiversità,
della salute umana e tutto ciò che è necessario
per sostenere la vita ed il benessere degli esseri viventi, animali e vegetali.
Le strategie a livello locale
possono essere quelle più idonee a fronteggiare specifiche peculiarità; per sanare i molti squilibri urbani , architettonici, sociali, economici,
politici, partendo dalle risorse.
Il processo di sviluppo, a livello
locale, viene riconosciuto dalla Carta
come processo creativo, inserito in una visione evolutiva e non
statica, che ricerchi un equilibrio
idoneo a contemperare le diverse attività significative che caratterizzano il
sistema urbano, con scelte razionali risultanti da soluzioni negoziate, che permettano di goderne i frutti, sia agli
attuali fruitori che alle generazioni future.
Tra gli obiettivi più significativi del modello sostenibile viene suggerito
quello di ridurre la pressione sul capitale di risorse naturali, attraverso
l’espansione degli spazi verdi per attività ricreative e del tempo libero all’interno
delle città, creando una maggiore equità sociale tra le classi
sociali più deboli, mitigando la ineguale distribuzione della ricchezza.
Integrando i fondamentali bisogni
sociali con adeguati programmi, si potrà agire per il miglioramento della qualità
della vita e non solo favorire la
massimizzazione dei consumi.
Un
ruolo fondamentale deve essere svolto da tutti i cittadini della Comunità
locale nella promozione di attività economiche e gruppi d’interesse con ed in cooperazione a tutti gli attori invitati a partecipare al processo decisionale
locale.
Per dare attuazione a tali obiettivi, le città europee
firmatarie della Carta si sono
impegnate a definire programmi di azione a livello locale di lungo periodo, riassunti
nella ”Agenda 21” ,
al fine di stimolare la cooperazione con
piani locali di azione per un modello urbano sostenibile.
Per questo si propongono di avviare una campagna di informazione e di
diffusione e di incoraggiamento, tenuto
conto degli sforzi necessari a migliorare le capacità degli enti locali nei
loro meccanismi decisionali interni, con riguardo agli accordi politici, alle
procedure amministrative, alla cooperazione, alla disponibilità di risorse
umane e finanziarie, tutte finalizzate alla sostenibilità.
La riqualificazione dell’ambiente urbano è
inserita tra gli obiettivi generali del “Regolamento
Forum” del Comune di Roma, in cui è affermata l’esigenza di un
miglioramento della dotazione del verde pubblico e della qualità dell’ambiente,
attraverso la crescita del verde fruibile, la riqualificazione delle aree verdi
pubbliche marginali e di risulta, mediante la realizzazione di orti di
quartiere, la concessione–gestione di aree verdi pubbliche a privati, la
riqualificazione delle aree verdi pubbliche interne ai grandi sistemi
ambientali, il recupero di edifici comunali inutilizzati o poco utilizzati.
Le possibili ricadute riguardano soprattutto
l’accessibilità, la salute, la sicurezza; in una parola una migliore qualità
della vita
L’analisi dei documenti
preparatori alla “Conferenza Europea” di Aalborg confermano l’orientamento di
tipo qualitativo del concetto e del principio di sostenibilità, che si basa su un processo strategico di
attività che ubbidiscano ad un criterio organicistico, assicurando la
sostenibilità delle decisioni assunte.
Anche le “ raccomandazioni” della ”Agenda 21” , che le città firmatarie si
impegnano a rispettare, si basano su criteri di cooperazione e di
partecipazione a livello locale e la preoccupazione di predisporre opportunità
di educazione e formazione sono viste solo in funzione della sostenibilità,
uniformandosi ad un concetto qualitativo.
Il Bello nell’antichità veniva concepito da Platone come la combinazione
di fattori, quali la proporzione(
bello visibile) e l’armonia (bello
udibile) , ordine e misura che si compongono verso una idea eterna, perfetta,
immortale del Bello; per Aristotele il Bello
è il “vero” che contempla, l’ordine, la proporzione ,il limite; fattori che si compongono nel ritmo e nell’armonia,
in un processo di imitazione della natura. Per Plotino il Bello non è nella simmetria ma ciò che nella simmetria riluce, il Bello
come intuizione e creazione dell’intelligenza e quindi applicabile a tutte le
forme della creazione (dipinti,sculture,forme di governo,straregie,modelli
matematici, formula di Eulero, la così detta “porzione aurea” rappresentata
dalla lettera greca Ph).
Per Kant il Bello è ciò che procura una soddisfazione di carattere universale: le
cose non sono belle per se stesse , ma
in quanto capaci di eccitare e tendere le nostre forze spirituali, senza
interesse e finalità di scopo. Per Croce il Bello
non è un fatto fisico ma intuizione a cui il sentimento dà coerenza e unità .Ed
ancora, il Bello è la modalità
attraverso cui la mente si avvicina allo spirito.
Più di recente il Bello è stato utilizzato per promuovere
un’ideologia o un dogma, è stato oggetto di dibattiti sociali ed argomenti,come
pregiudizi (razziali), etica, diritti umani; a fini commerciali la
controversia culturale predilige
la percezione dogmatica ( il Mito del bello) che è l’essenza virtuosa dove
l’intelligenza percettiva tende al riconoscimento del Bello.
L’Italia è diventata nel secolo
scorso uno dei paesi più industrializzati del mondo. La ragione di questo
successo è dovuto ad un insieme di
fattori, tra i quali l’altissimo
contenuto estetico insito nella tradizione artigianale e nelle tecniche di
produzione, che sono due aspetti della stessa medaglia.
La ragione ultima, universalmente
riconosciuta, è che il valore della produzione dei beni di alto contenuto
estetico è frutto dello straordinario patrimonio culturale ed artistico che
assomma in se una capacità creativa ed
una cultura estetica, frutto della eredità rinascimentale. Abbiamo una
tradizione artigianale che riesce a produrre con un ottimo livello estetico,
dove la componente tecnologica si inserisce efficacemente nel processo
produttivo di alta sofisticazione.
In Italia si producono i gioielli
più belli, i più bei guanti, le scarpe più belle, i divani più belli, i marmi, le
auto,ecc…; tutti prodotti che si
ritrovano in ogni provincia e che sono
frutto di una fortissima esigenza estetica che si esprime solo ad un livello
localistico. Molti elementi confluiscono nel processo creativo in una sorta di
“genius loci” frutto di una collaborazione tra tradizione culturale ed alta
qualificazione artigianale. Oppure, come dice Edoardo Nesi nel suo libro Storia della mia gente ( Premio Strega
2011) questi elementi “sono frutto di una commistione tra arte e vita, che fu
il Rinascimento fiorentino, quando grazie a Lorenzo dei Medici nacque e si
perpetuò l’idea che dentro gli italiani alberghi una specie di geniale spirito
artistico che li rende unici”.
Tuttavia,
nelle nostre città lo stridore
tra la bruttezza delle periferie con la bellezza del centri storici, assume una
dimensione insopportabile e dove il Brutto
rappresenta la norma che, unito al degrado, avvilisce sempre di più il senso
del Bello che è insito nella natura
umana ed appartiene ad ogni individuo, ad ogni cittadino.
Occorre quindi recuperare il senso del Bello e farlo emergere in tutte le
occasioni in cui sia possibile, cercando di espanderne la sua cultura a tutti i livelli. Questo sarebbe possibile
favorendone il trasferimento delle responsabilità alle comunità locali, secondo
un principio di sussidiarietà
che permetta di offrire risposte pertinenti rispetto ai bisogni, e scegliere
gli interventi pubblici più vicini ai cittadini ed alle comunità.
I cittadini devono pensare alla
propria comunità rigettando la crisi epocale
della governace, la crisi del
modo di stare insieme, dove l’uomo è maestro e possessore della natura, attivando
la relazione tra potere e sapere, rifiutando la legge del padre che
induce alla protezione.
Il presupposto per una nuova governance vuol dire recuperare un nuovo senso civico di
coesione sociale e di valorizzazione delle varie componenti e diversità; vuol
dire rifiutare la cultura economica di un neo-liberismo utilitario, subordinato
all’efficienza tecnologica, senza una coscienza morale e religiosa; vuol dire perseguire la priorità del lavoro sul
capitale, dell’uomo sul profitto. La logica del sistema capitalistico senza
etica induce ad una mentalità
consumistica, madre della speculazione.
Se si vuole recuperare il senso
del Bello occorre passare dalla cultura
dell’accumulazione alla cultura della sobrietà , perseguire l’obiettivo di
favorire la pace come impegno quotidiano e contro il degrado morale, il primato
della persona e la dignità della persona .Occorre concepire l’ambiente urbano come
luogo degli incontri, recuperando la cultura della città, la metafisica della
città: urbis = civitas.
Benedetto XVI di recente,nella sua prolusione
al Bundestag, ha affermato che la cultura del Bello in Europa è frutto del patrimonio culturale ottenuto dall’incontro tra la civiltà ebraica
, greca e romana. La cultura del Bello
è stata messa in crisi successivamente dal dominio esclusivo della ragione
positivista che, soprattutto nella coscienza pubblica, ha annullato le fonti di
conoscenza dell’”ethos” e del diritto. La cultura positivista è quella che ha
costruito quegli edifici brutti, quell’insieme di strutture urbane chiuse in se
stesse che rifiutano la creatività, rifiutano la luce e la vastità della natura,
rifiutandosi di ascoltarne il linguaggio e le norme che sono racchiuse in essa
e che sono il frutto di una ragione oggettiva creativa.( Vedi “Le Vele” a
Scampia a Napoli o “Corviale” a Roma, ecc.)
Il Bello
è qualcosa che ci appartiene, che abbiamo tutti dentro, fin dalla nostra
nascita, che è insito nel mondo che in cui viviamo, nella realtà . Noi abbiamo
il compito di osservarla, capirla ed elaborarla
in maniera fedele; e si avrà la bellezza, che è la condizione spirituale
più giusta ed armoniosa ed attenta per osservare la realtà ,per suscitare
l’amore per la vita.
Aprire gli occhi ed osservare la realtà, che
corrisponde alla verità, comporterà inevitabilmente la contemplazione del Bello che è la fedele , incondizionata,
armoniosa fiducia verso il naturale.
Giorgio
Toscani
lunedì 3 luglio 2017
Le virtù di un politico
Che cosa noi chiediamo a un politico di professione, cioè colui che si candida a rappresentare gli interessi dei concittadini ai quali chiede il voto per accedere al potere? Credo che sia importante specificarlo in questo momento di grande disaffezione alla politica, crisi dei partiti e populismo dilagante. Naturalmente non si può fare di ogni erba un fascio o buttare l'acqua sporca con il bambino. Dicevo già in altri scritti che la nostra cultura dell'apparire e del consumo ha trasformato i cittadini in consumatori grazie all'azione persuasiva dei media, e in particolare della televisione, tuttavia non possiamo dimenticare che la democrazia, sia pure molto imperfetta, permette di cambiare i detentori del potere senza spargimento di sangue. Ora credo che il difetto semmai sta nel modo in cui questi personaggi vengono scelti e soprattutto nei valori che sottendono alle selezioni e dunque nel definire le virtù pubbliche che vengono pubblicizzate. Posto che le virtù non sono un optional, cioè non sono un di più ma fanno parte del carattere di un uomo e anche secondo Aristotele conducono alla felicità, cosa chiediamo ad un uomo politico? Non chiediamo forse che dimentichi i suoi propri interessi e si occupi dei nostri? Ovvero del bene di tutti o perlomeno del minor male? Dunque questo si chiama in parole povere altruismo ovvero spirito di dedizione a una causa comune con onestà. Questo vuol dire rinunciare alle pretese del proprio ego che si riempie di vanità per accedere a uno stato di modestia e umiltà di fronte alla complessità dei problemi da affrontare. Dunque queste due virtù non sono da dimenticare nelle specifiche qualità di un capo ma il sistema dei media e la natura stessa del potere che si alimenta di propaganda sembra negarle. Non sono certo appannaggio dei populisti, demagoghi che intercettano le emozioni negative della gente per raccogliere consensi. Quindi equità d'animo è un'altra virtù che si richiede al politico, anzi forse la più importante. Significa distacco dalle passioni, tutti i grandi della storia ne sono stati provvisti: Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, morente sul far dell'ultima sera ordina alla guardia equità d'animo. La tolleranza e la pazienza sono anch'esse necessarie a chi detiene qualche potere, direi che sono la conseguenza di un animo equilibrato. E' bene che un politico si legga Voltaire. Infine noi chiediamo ad un leader il senso di responsabilità ed il coraggio. Il primo nel significato di assumersi la responsabilità delle proprie scelte e accettarne le conseguenze con il coraggio di sostenerle nonostante tutto. Anche la flessibilità è una virtù auspicabile, a patto che non diventi trasformismo. Insomma noi chiediamo ad un uomo politico che si metta al servizio della comunità e che non mostri troppo attaccamento al ruolo e al potere che ne consegue. Nel panorama europeo, per non dire mondiale, voi vedete qualche personaggio che riassume in se le virtù che abbiamo elencato? Personalmente vedo in questo momento per la maggior parte solo piccoli arrampicatori ingigantiti dai media con il consenso dei poteri finanziari, questa è la ragione della crisi della politica e della rabbia strisciante che fomenta i populismi.
mercoledì 10 febbraio 2016
La crisi dell'amicizia
Infinito, olio su tela
Aristotele
distingueva tre tipi di amicizia, quella per l’utile, quella per il piacere e
quella vera disinteressata per il bene comune. Oggi possiamo affermare che
nella società del capitalismo avanzato e dei social-media, dove si chiede e si
dà l’amicizia via internet, trionfano le prime due ma è senza dubbio in grave
crisi l’ultima. Amici nella tradizione sono due persone che entrano in un
rapporto di intimità e di simpatia per aiutarsi e sostenersi. Non è mai stato
facile trovare un amico infatti un vecchio proverbio recita: chi trova un amico
trova un tesoro, a sottolineare che un vero amico è raro. Tuttavia in una
società meno competitiva, come quelle del passato, era sufficientemente possibile, oggi nella
nostra civiltà dei consumi è molto raro. E’ più raro di un rapporto d’amore. L’amicizia,
quella del terzo tipo, presuppone saggezza e distacco, un ego realizzato e una
buona dose di gioia fondamentale. Senza questi ingredienti si cade
nell’invidia, nella gelosia e nella rabbia. Tutte emozioni negative che
avvelenano l’amicizia. Un amico è colui
che prova piacere dei tuoi successi e dispiacere per le tue sconfitte e i tuoi
lutti ed è pronto a darti una mano. Invece si nota che nella nostra società
individualista ognuno tende sempre a misurarsi con l’amico in ragione di una
specie di gara verso il successo. Questo lo impariamo presto, a scuola i primi
anni ci insegnano a gareggiare nel profitto e gli insegnanti ci stimolano a
questo credendo cosi di ottenere di più. Ma non è cosi. Quando insegnavo avevo
adottato un metodo in cui il bravo doveva aiutare il meno bravo in un lavoro
collaborativo ottenendo risultati sorprendenti.
Tutti alla fine vogliamo essere felici, realizzarci, scoprire il
significato della nostra esistenza e compierlo, desideriamo che le altre persone ci amino e ci
rispettino e vogliamo sentirci sicuri. Il vero amico ha compreso questa nostra
uguaglianza e non si scandalizza se in questa ricerca ci allontaniamo per un
po’. Non è geloso e non prova invidia. Accetta
che ognuno ha un percorso diverso da compiere nella vita per la propria
realizzazione e, cosciente del proprio, non desidera sovrapporsi a quello
dell’altro, anzi è interessato a comprenderlo e sa che lo arricchisce perchè è
la manifestazione dello stesso Spirito che alberga in lui e prende diverse
forme. Il termine sanscrito “namastè”, che è un saluto indiano, vuol dire
proprio questo: riconosco in te lo spirito che è in me. Come si potrà notare
questa realtà amorosa è piuttosto rara. A volte si diventa amici perchè si hanno gli
stessi interessi e valori. Questo accade sovente in politica e fra maestri e
allievi ma questa amicizia tende a finire quando l’allievo si mette a competere
e vuole superare il maestro. Le virtù che reggono l’amicizia sono l’onestà, la
coerenza, la stima, la dignità, l’umiltà, la compassione, la comprensione, la
tolleranza e la generosità, tutti attributi lontani dalla egolatria imperante
nella nostra società individualista. Questo vale anche per le coppie nel rapporto erotico che in più hanno
l’attrazione sessuale e potrebbero rientrare nelle amicizie per piacere.
Infatti se non si matura una amicizia vera, con il passare del tempo e con
l’inevitabile caduta del desiderio, finiscono. Per quanto riguarda le coppie
etero poi si debbono superare due archetipi che dormono in ciascuno, dominano
il rapporto maschio femmina e influenzano sempre la scelta del partner: il mito
dell’eroe per lei e il mito della maga fascinatrice per lui. E arriviamo
all’amicizia dei politici. Quella la possiamo ascrivere in generale nella
categoria aristotelica dell’utile, in una mentalità dicotomica che divide la
realtà in amici e nemici in funzione del raggiungimento del potere. Queste amicizie
sono ovviamente transitorie e superficiali, ognuno pensa alla propria
convenienza e sono pompate dai mass-media e dai sostenitori. Torniamo ad
affermare che l’amicizia è una cosa seria per persone illuminate, rare oggi e
soprattutto fra i politici.
Etichette:
amicizia,
Aristotele,
politici,
virtù
lunedì 28 dicembre 2015
Dell'onestà e della coerenza
Mi chiedo se oggi l’onestà è ancora una virtù. Che cosa vuol dire essere onesti in una cultura che esalta il successo ottenuto a qualsiasi costo attraverso la furbizia e l’abilità? Sono forse considerati ingenui gli onesti? In politica poi, soprattutto dopo Tangentopoli che doveva ripristinare questa virtù pubblica, vi è il tripudio della spregiudicatezza e dell’astuzia. Per non sembrare banali e non perderci ricorriamo dunque alla etimologia e analizziamo questo termine ed il suo significato: deriva dal latino honestas-atis che viene da honus-oris, onore in italiano. Dunque anticamente l’onestà aveva a che fare con l’onore. Era cioè il condensato di tutte le virtù che, come affermava Aristotele nell’Etica Nicomachea, avevano come scopo la bellezza di una vita felice perchè feconda di buone relazioni basate sulla fiducia. L’uomo onesto infatti era degno di fiducia perchè incapace di mentire e di tradire. Il contrario di onestà è disonestà ovvero uomo disonesto è colui che tradisce e dunque non ci si puo’ fidare. Fiducia e onestà andavano a braccetto. Oggi viviamo in un mondo con tante fedi ma scarsa fiducia in una società individualista e liquida, secondo la definizione di Bauman, dove l’onestà è diventata una qualità svalutativa: si dice infatti onest’uomo come dire poveruomo, onesto praticante di una professione come a dire che non eccelle. Eppure continuiamo a sentire affermare che ci vuole fiducia: il Governo ce la chiede, l’economia senza va in crisi e tutto dipende da essa. Le relazioni tra gli uomini si basano sulla fiducia ma invece oggi si diffode la diffidenza che accompagna lo scontento per aver abdicato all’onestà. Per essere onesti bisogna non tradire la verità e cercarla sempre con costanza e coerenza, anche se questa sfugge a volte. La coerenza, attributo della bellezza per gli antichi, ultimamente è caduta in disuso: coherens in latino significava strettamente unito insieme, cioè non in contraddizione con i propri obiettivi e bisogni profondi che per l’onesto sono il bene comune.Oggi si fa a meno di tutto questo e si considera l’onesto un perdente ma attenzione perchè senza onestà vi è la corruzione e la malattia. Si mente anche a se stessi pur di apparire secondo i modelli imposti dalla pubblicità e cosi ci si ammala, alcuni psicologi affermano infatti che la malattia è un rimedio della coscienza per renderci onesti, questo vale sia per l’individuo che per la società. Per quest’ultima la patologia consiste nella conflittualità permanente, che qua e là provoca guerre e distruzioni. Ci si chiede poi che cosa spinge dei giovani cresciuti in occidente, relativamente benestanti, a decidere di arruolersi con il fondamentalismo arabo. Non è forse questa alienazione dalla bellezza della virtù regina?
martedì 11 febbraio 2014
L'altro architetto
Mercoledì 5 febbraio abbiamo presentato il mio libro L'altro architetto alla Fondazione Cariplo di via Manin, la poetessa e pittrice Silvia Venuti ha introdotto la serata riscontrando che il testo tratta della ricerca dell'anima anche se il termine non viene quasi mai citato. Debbo ammettere che l'affermazione mi ha positivamente emozionato in quanto è vero che noi siamo sempre alla ricerca del trascendente. L'artista è sempre stato una sorta di sciamano che aveva il compito di unire il mondo materiale a quello degli dei o dello spirito. Fin dal principio, basti osservare i dipinti della grotta di Lascaux dell'antica età della pietra dove gli animali che vengono rappresentati assumono un valore totemico. Hillmann ha scritto un magnifico libro, Il codice dell'anima, in cui si sforza di mostrare quali sono i segni dell'anima nella nostra vita e nel nostro quotidiano. L'anima si manifesta come daimon, demone, che orienta la nostra vita e non ammette diserzioni. Essa la si rintraccia nelle coincidenze fortuite e in quello che noi chiamiamo destino, se manteniamo vigile l'attenzione possiamo scoprire per che cosa siamo al mondo. Aristotele la chiamava causa formale. Per questo motivo il mio libro l'ho voluto impostare come un dialogo platonico con un giovane architetto alla ricerca d' identità. La crisi del nostro tempo sta proprio nella frattura fra le generazioni: per dirla con il titolo di un libro di Vittorino Andreoli, è una società senza padri, questo l'università di massa ha provocato, dunque per ritrovare l'anima bisogna recuperare il dialogo interrotto fra maestri e allievi, un dialogo socratico che attraverso l'arte maieutica faccia emergere il nocciolo di verità in noi di natura estetica e sacra. L'incalzante efficacia comunicativa del dialogo soddisfa e al contempo suscita la curiosità propria del discepolo, dando seguito al fluire di una riflessione di carattere universale. La globalizzazione e la crisi ecologica segnano profondamente il nostro tempo, ma non ne sono protagoniste: la domanda di felicità e bellezza resta infatti il bisogno primordiale che l'architettura e l'arte sono chiamate a soddisfare, attraverso il ritrovamento dell'anima appunto e del suo codice per l' elaborazione di una estetica del nostro tempo che non sia al servizio del potere ma della vita. Il libro L'altro architetto, Edizioni Casagrande, è in vendita a 9 euro presso Hoepli e Milano libri.
giovedì 12 dicembre 2013
Viva Mandela
La morte di Nelson Mandela e tutti i commenti sulla sua vita che sono apparsi sui mass-media ci portano a riflettere sulla figura dell'eroe e del saggio, modelli di riferimento dell'antichità classica, sostituiti poi, in epoca cristiana, dal cavaliere e dal santo. Lui era sia l'uno che l'altro, almeno così lo descrivono i suoi commentatori. Che cosa dà più senso alla vita di un uomo se non la sua perfetta adesione al destino che un disegno provvidenziale gli ha assegnato? Tutti noi abbiamo un compito, palese o nascosto, che contribuisce all'arricchimento, in senso etico-spirituale, della società di cui facciamo parte. Lui il suo compito lo ha individuato nella difesa della libertà e ne è stato talmente convinto che ha affrontato qualsiasi prova, anche le peggiori, pur di mantenersi fedele a questa sua convinzione che gli veniva dal di dentro. Non molto diversamente vengono descritte le vite dei primi cristiani che affrontavano il martirio pur di non abiurare la propria fede o dei filosofi che affrontavano la prigione o il patibolo per non tradire le proprie convinzioni. Come i modelli classici la sua figura è di natura etica ed estetica insieme. L'ammirazione che genera in noi Mandela dipende anche dal fatto che in lui vediamo anche l'uomo felice, perchè realizzato, che ha vissuto una vita lunga ed appagante. In fin dei conti Aristotele diceva che le virtù sono fatte per la felicità e Nelson lo ha dimostrato sia nel dolore che nella gioia, trattando entrambi con sereno distacco. Infatti potrebbe sembrare in questo tripudio di elogi per una vita esemplare che si sia dimenticato il dolore ma questo è ben presente nella realtà naturale della vita di ogni individuo. Ma l'uomo realizzato, quindi stupendamente creativo, sa che il dolore ha comunque la funzione di indicare il cammino di vita se viene accettato. Il dolore "è la rottura del guscio della nostra intelligenza", dice Kalil Gibran. La creatività consiste infatti anche nella capacità di accettare il dolore, accoglierlo e trasformarlo in esperienza rigenerante. Il piacere e il dolore sono due opposti che hanno bisogno l'uno dell'altro. Come diceva il saggio Eraclito, le cose nascono dalla lotta dei contrari e quello che oggi è piacere magari domani sarà dolore. Tutto è relativo. L'etica stoica del grande Marco Aurelio, cui il nostro Nelson potrebbe essersi riferito, insegna dunque che non bisogna disperarsi nel dolore e rallegrarsi troppo nella gioia. Tutto è relativo al nostro modo di essere e alla nostra interpretazione della posizione che occupiamo nel mondo. Grazie Mandela per avercelo ricordato con la tua vita in questa epoca povera di modelli.
Iscriviti a:
Post (Atom)