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venerdì 24 aprile 2020

Addio a un amico letterato

                                                        L'infinito, olio su tela

 
Caro Federico te ne sei andato cosi inaspettatamente dopo che ci siamo sentiti al telefono in questo periodo di coronavirus che ci ha costretti in casa. Erano ormai anni che seguivamo, Gabriella ed io, le tue vicende di salute e contavamo che tu ormai ti fossi acclimatato con la tua patologia, l’avessi in qualche modo compresa e accettata e dunque ci convivessi bene per chissà quanti anni ancora e magari interpretandone il messaggio la superassi. Non è stato cosi e un po’ di rabbia, debbo ammettere, questa tua dipartita me l’ha lasciata. L’ultimo tuo commento al mio articolo, Coronavirus, sul blog è finito con un accenno pessimistico a un Dio che ce l’ha con l’uomo quindi nonostante la tua dichiarazione sorprendente di essere cattolico cristiano, che non mi sarei aspettato, la tua divinità appartiene alla tradizione dell’antico testamento o addirittura alla antica Grecia, il tuo riferimento a Nietzsche lo attesta. Lui diceva che quel Dio era morto ma non trovandone un altro è impazzito. Tu invece lo hai risuscitato nei panni del punitore che manda le pandemie a una società corrotta, come a Sodoma e Gomorra. Immagino che ora, dovunque tu sia, avrai svelato il mistero per cui ritengo ininfluente che ti parli della mia concezione della trascendenza  ma questo fa bene a me e quindi proseguo. Il Nuovo Testamento, nonostante tutto, è un messaggio di amore che richiede molteplici interpretazioni, la più accreditata è che Dio è amore e dunque si veste della carne umana per indicare la strada della creatività e della vita non quella della morte. Infatti, benchè ucciso dalla diffidenza, dalla paura e dalla stupidità del Potere, risorge.  Già prima di Cristo i filosofi avevano detto che l’amore crea e l’odio distrugge, Empedocle ad esempio, dunque è conseguente pensare che il Creatore non può che essere creativo e quindi amante. Ne deriva che quando in te alberga l’amore, sia verso te stesso che gli altri, sei simile a Dio ma, come affermano i buddisti, in noi albergano, non so perché,  i semi di tutti i sentimenti, negativi e positivi, dunque dobbiamo allenarci a sostenere quelli che ci fanno bene e lasciare inerti quelli che ci danneggiano. Il messaggio cristiano può essere letto anche cosi: una strada per star bene, in fin dei conti le Beatitudini sono questo. Del resto lo stesso pagano Aristotele scriveva nell’Etica Nicomachea che le virtù sono per il bello e quindi per la felicità. La psicoanalisi in tempi moderni ci ha abituati a guardarci dentro e a scoprire l’inconscio, pieno di quelle cose che non ci piacciono, cioè rabbia, paura, desiderio e cosi via, perché l’educazione ci ha abituati a rimuoverle e con quello dobbiamo confrontarci. Quindi l’inconscio collettivo della nostra società ipocrita e superficiale è una sorta di ripostiglio dove stazionano le nostre forze distruttive che se non vengono affrontate ci danneggiano, vedi la pandemia o la malattia. Il corpo è un insieme di energia e informazioni e cosi la natura, il nostro corpo più grande, e se questi messaggi sono  cattivi ne risentiamo anche a livello fisico oltre che psichico naturalmente. Ma sotto tutto questo vi è uno strato originario di gioia pura, il nostro retaggio divino. Per questo i bambini sono allegri e vivaci, loro sono più vicini a questo fondo di verità, del resto il Cristo non dice forse: lasciate che i bimbi vengano a me? Perdiamo questo stupore infantile e questa gioia fondamentale quando sviluppiamo per paura un ego diffidente che si attacca alle illusioni di felicità. Infatti tutte le tradizioni di saggezza, quindi anche il Vangelo, non dicono forse che bisogna abbandonare le illusioni, cioè Maia, per essere felici e costoro non vengono chiamati risvegliati, a indicare che in realtà ritroviamo quello che in realtà già siamo? La favola dei fratelli Grimm “La fortuna di Gianni” è emblematica.  Venendo a noi tu che eri un letterato e che hai scritto molto inseguendo un assoluto attraverso l’amore per una donna che non trovavi mai, influenzato molto dalla cultura romantica, non ti sei accorto forse che il tuo miglior personaggio è stato Napoleone, il barbone dei giardini Montanelli che nell’Isola di Serifo, proprio perché niente possiede, conduce tutta la compagnia di frustrati alla famosa nuova terra. Credo dunque che tu sia andato  a cercare quest’ isola e spero l’abbia trovata ed abbia saziato la nostra dotta ignoranza anche perché come ben ricordi Marcel Proust diceva che il vero viaggio di scoperta non è quello di cercare nuove terre ma avere nuovi occhi. Ciao Fede.

mercoledì 24 ottobre 2018

Un contributo dell'economista alla cultura del bello di Giorgio Toscani


La Cultura de il “BELLO”




La crisi  che ha  investito  i Paesi occidentali ha prodotto effetti  che vanno al di là della pura valenza economica con conseguenze che non sono ancora prevedibili né quantificabili nella loro interezza.  Per superare una crisi, qualunque essa sia, è necessario una revisione attenta e puntuale dei parametri di progettualità  e dei modelli di vita . Ogni cambiamento scuote dalle fondamenta stili , atteggiamenti, credenze, abitudini nei quali  l’uomo ha radicato la sua esistenza e lo costringe a ricercare ed a valorizzare quelle peculiarità che ne costituiscono il patrimonio identitario, e che hanno  consentito di acquisire un proprio spazio vitale nella competizione globale.
 Dopo il consumismo esasperato degli ultimi anni si tende  ora  a riconsiderare la composizione della domanda verso “standards“qualitativamente più elevati, favorendo l’affermarsi  di ambiti produttivi che esprimano una offerta più  adeguata.
Il nostro Paese per le sue risorse naturali ed artistiche, per la qualità dei suoi prodotti industriali e per la creatività artigianale, viene considerato  come luogo di eccellenza e sommando le  bellezze naturali e le infrastrutture culturali,  si colloca ai vertici dei   Paesi più belli al mondo.
   
 Queste brevi considerazioni per riaffermare il principio che la bellezza è un valore, e che nel momento in cui si invoca la crescita, l’avvio di un processo di sviluppo dovrebbe promuovere il Bello a tutti i livelli: organizzativo, territoriale, produttivo, culturale , politico.  
  Valorizzare il Bello significa contrastare quel senso di trasandatezza, di incuria,  che spesso caratterizza le nostre città, frutto dell’improvvisazione, della subcultura: rappresenta oggi un  “Must”, un dovere etico e morale. Ciò è tanto più necessario in quando l’ottanta per cento della popolazione europea vive concentrata in aree urbane.  Fenomeno questo che, secondo gli esperti, tenderà  ad assumere dimensioni sempre più ampie. Pertanto, lo stile di vita urbano sarà sempre più condizionato dalla produzione industriale , dai servizi, dalle attività commerciali, dai trasporti,  e da  usi impropri del territorio che provocano il degrado civile e sociale.
 Per questo occorre porre rimedio a questa evenienza e  le collettività locali e le famiglie, in quanto centri di vita sociale,  dovranno costituirsi quali custodi delle loro tradizioni e del patrimonio culturale, assumendo  maggiore responsabilità verso il bene comune, ripensando  ad un modo nuovo di stare insieme.
  L’Amministrazione locale, poiché si colloca a livelli di responsabilità più vicini al benessere dei cittadini, ha un ruolo fondamentale nell’indicare stili di vita  e modelli di produzione  di consumo  e di utilizzo degli spazi più idonei, per arrivare a concepire un modello di vita sostenibile con l’obiettivo di perseguire la qualità.

 Il concetto della sostenibilità è inserito nella Carta delle città europee per un modello urbano sostenibile, approvata dai partecipanti alla Conferenza europea, tenutasi  ad Aalborg ( Danimarca ) il 27 Maggio 1994 e ne costituisce il requisito fondamentale..
Nella “Carta” il concetto di sostenibilità, secondo i principi a cui si ispira, contempla la conservazione del capitale naturale a livello ambientale, che sottende la conservazione della biodiversità, della salute umana  e tutto ciò che è necessario per sostenere la vita ed il benessere degli esseri viventi, animali e vegetali.
Le strategie a livello locale possono essere quelle più idonee a fronteggiare  specifiche peculiarità; per sanare i molti squilibri  urbani , architettonici, sociali, economici, politici, partendo dalle risorse.
Il processo di sviluppo, a livello locale, viene riconosciuto dalla Carta come processo creativo,  inserito in una visione evolutiva e non statica, che  ricerchi un equilibrio idoneo a contemperare le diverse attività significative che caratterizzano il sistema urbano, con scelte razionali risultanti  da soluzioni negoziate,  che permettano di goderne i frutti, sia agli attuali fruitori che alle generazioni future.
 Tra gli obiettivi più significativi del modello sostenibile viene suggerito quello di ridurre la pressione sul capitale di risorse naturali, attraverso l’espansione degli spazi verdi per attività ricreative e del tempo libero all’interno delle città,  creando  una maggiore equità sociale tra le classi sociali più deboli, mitigando la ineguale distribuzione della ricchezza.
Integrando i fondamentali bisogni sociali con adeguati programmi, si potrà agire per il miglioramento della qualità della vita  e non solo favorire la massimizzazione dei consumi.
  Un ruolo fondamentale deve essere svolto da tutti i cittadini della Comunità locale nella promozione di attività economiche e gruppi d’interesse con ed  in cooperazione a tutti gli attori  invitati a partecipare al processo decisionale locale.

Per dare  attuazione a tali obiettivi, le città europee firmatarie della Carta si sono impegnate a definire programmi di azione a livello locale di lungo periodo, riassunti nella ”Agenda 21, al fine di stimolare la cooperazione  con piani locali di azione per un modello urbano sostenibile.
  Per questo si propongono di  avviare una campagna di informazione e di diffusione  e di incoraggiamento, tenuto conto degli sforzi necessari a migliorare le capacità degli enti locali nei loro meccanismi decisionali interni, con riguardo agli accordi politici, alle procedure amministrative, alla cooperazione, alla disponibilità di risorse umane e finanziarie, tutte finalizzate alla sostenibilità.

 La riqualificazione dell’ambiente urbano è inserita tra gli obiettivi generali del “Regolamento Forum” del Comune di Roma, in cui è affermata l’esigenza di un miglioramento della dotazione del verde pubblico e della qualità dell’ambiente, attraverso la crescita del verde fruibile, la riqualificazione delle aree verdi pubbliche marginali e di risulta, mediante la realizzazione di orti di quartiere, la concessione–gestione di aree verdi pubbliche a privati, la riqualificazione delle aree verdi pubbliche interne ai grandi sistemi ambientali, il recupero di edifici comunali inutilizzati o poco utilizzati.
 Le possibili ricadute riguardano soprattutto l’accessibilità, la salute, la sicurezza; in una parola una migliore qualità della vita
L’analisi dei documenti preparatori alla  Conferenza Europea” di Aalborg confermano l’orientamento di tipo qualitativo del concetto e del principio di sostenibilità,   che si basa su un processo strategico di attività che ubbidiscano ad un criterio organicistico, assicurando la sostenibilità delle decisioni assunte.
Anche le raccomandazioni” della ”Agenda 21” , che le città firmatarie si impegnano a rispettare, si basano su criteri di cooperazione e di partecipazione a livello locale e la preoccupazione di predisporre opportunità di educazione e formazione sono viste solo in funzione della sostenibilità, uniformandosi  ad un concetto qualitativo.

Il Bello nell’antichità veniva concepito da Platone come la combinazione di fattori, quali la proporzione( bello visibile) e l’armonia (bello udibile) , ordine e misura che si compongono verso una idea eterna, perfetta, immortale del Bello; per Aristotele  il Bello è il “vero” che contempla, l’ordine, la proporzione ,il limite; fattori  che si compongono nel ritmo e nell’armonia, in un processo di imitazione della natura. Per Plotino il Bello non è nella simmetria ma ciò che nella simmetria  riluce, il Bello come intuizione e creazione dell’intelligenza e quindi applicabile a tutte le forme della creazione (dipinti,sculture,forme di governo,straregie,modelli matematici, formula di Eulero, la così detta “porzione aurea” rappresentata dalla lettera greca Ph).
 Per Kant il Bello è ciò che procura una soddisfazione di carattere universale: le cose non sono belle  per se stesse , ma in quanto capaci di eccitare e tendere le nostre forze spirituali, senza interesse e finalità di scopo. Per Croce il Bello non è un fatto fisico ma intuizione a cui il sentimento dà coerenza e unità .Ed ancora, il Bello è la modalità attraverso cui la mente si avvicina allo spirito.
Più di recente il Bello è stato utilizzato per promuovere un’ideologia o un dogma, è stato oggetto di dibattiti sociali ed argomenti,come pregiudizi (razziali), etica, diritti umani; a fini commerciali la
controversia culturale predilige la percezione dogmatica ( il Mito del bello) che è l’essenza virtuosa dove l’intelligenza percettiva tende al riconoscimento del Bello.

L’Italia è diventata nel secolo scorso uno dei paesi più industrializzati del mondo. La ragione di questo successo è dovuto  ad un insieme di fattori, tra i quali  l’altissimo contenuto estetico insito nella tradizione artigianale e nelle tecniche di produzione, che sono due aspetti della stessa medaglia.
La ragione ultima, universalmente riconosciuta, è che il valore della produzione dei beni di alto contenuto estetico è frutto dello straordinario patrimonio culturale ed artistico che assomma in se  una capacità creativa ed una cultura estetica, frutto della eredità rinascimentale. Abbiamo una tradizione artigianale che riesce a produrre con un ottimo livello estetico, dove la componente tecnologica si inserisce efficacemente nel processo produttivo di alta sofisticazione.
In Italia si producono i gioielli più belli, i più bei guanti, le scarpe più belle, i divani più belli, i marmi, le auto,ecc…; tutti prodotti che  si ritrovano in ogni provincia  e che sono frutto di una fortissima esigenza estetica che si esprime solo ad un livello localistico. Molti elementi confluiscono nel processo creativo in una sorta di “genius loci” frutto di una collaborazione tra tradizione culturale ed alta qualificazione artigianale. Oppure, come dice Edoardo Nesi nel suo libro Storia della mia gente ( Premio Strega 2011) questi elementi “sono frutto di una commistione tra arte e vita, che fu il Rinascimento fiorentino, quando grazie a Lorenzo dei Medici nacque e si perpetuò l’idea che dentro gli italiani alberghi una specie di geniale spirito artistico che li rende unici”.
 Tuttavia,  nelle nostre città  lo stridore tra la bruttezza delle periferie con la bellezza del centri storici, assume una dimensione insopportabile e dove il Brutto rappresenta la norma che, unito al degrado, avvilisce sempre di più il senso del Bello che è insito nella natura umana ed appartiene ad ogni individuo, ad ogni cittadino.   
 Occorre quindi recuperare il senso del Bello e farlo emergere in tutte le occasioni in cui sia possibile, cercando di espanderne la sua cultura  a tutti i livelli. Questo sarebbe possibile favorendone il trasferimento delle responsabilità alle comunità locali, secondo un principio di sussidiarietà che permetta di offrire risposte pertinenti rispetto ai bisogni, e scegliere gli interventi pubblici più vicini ai cittadini ed alle comunità.
I cittadini devono pensare alla propria comunità rigettando la crisi epocale  della governace, la crisi del modo di stare insieme, dove l’uomo è maestro e possessore della natura, attivando la relazione tra potere e sapere, rifiutando la legge del padre che induce alla protezione.
 Il presupposto per una nuova governance  vuol dire recuperare un nuovo senso civico di coesione sociale e di valorizzazione delle varie componenti e diversità; vuol dire rifiutare la cultura economica di un neo-liberismo utilitario, subordinato all’efficienza tecnologica, senza una coscienza morale e religiosa; vuol dire  perseguire la priorità del lavoro sul capitale, dell’uomo sul profitto. La logica del sistema capitalistico senza etica  induce ad una mentalità consumistica, madre della speculazione.
Se si vuole recuperare il senso del Bello occorre passare dalla cultura dell’accumulazione alla cultura della sobrietà , perseguire l’obiettivo di favorire la pace come impegno quotidiano e contro il degrado morale, il primato della persona e la dignità della persona .Occorre concepire l’ambiente urbano come luogo degli incontri, recuperando la cultura della città, la metafisica della città: urbis = civitas.
 Benedetto XVI di recente,nella sua prolusione al Bundestag, ha affermato che la cultura del Bello in Europa è frutto del patrimonio culturale  ottenuto dall’incontro tra la civiltà ebraica , greca e romana. La cultura del Bello è stata messa in crisi successivamente dal dominio esclusivo della ragione positivista che, soprattutto nella coscienza pubblica, ha annullato le fonti di conoscenza dell’”ethos” e del diritto. La cultura positivista è quella che ha costruito quegli edifici brutti, quell’insieme di strutture urbane chiuse in se stesse che rifiutano la creatività, rifiutano la luce e la vastità della natura, rifiutandosi di ascoltarne il linguaggio e le norme che sono racchiuse in essa e che sono il frutto di una ragione oggettiva creativa.( Vedi “Le Vele” a Scampia a Napoli o “Corviale” a Roma, ecc.)


 Il Bello è qualcosa che ci appartiene, che abbiamo tutti dentro, fin dalla nostra nascita, che è insito nel mondo che in cui viviamo, nella realtà . Noi abbiamo il compito di osservarla, capirla ed elaborarla  in maniera fedele; e si avrà la bellezza, che è la condizione spirituale più giusta ed armoniosa ed attenta per osservare la realtà ,per suscitare l’amore per la vita.
 Aprire gli occhi ed osservare la realtà, che corrisponde alla verità, comporterà inevitabilmente la contemplazione del Bello che è la fedele , incondizionata, armoniosa fiducia verso il naturale.


                                                                                                          Giorgio Toscani




lunedì 3 luglio 2017

Le virtù di un politico


Che cosa noi chiediamo a un politico di professione, cioè colui che si candida a rappresentare gli interessi dei concittadini ai quali chiede il voto per accedere al potere? Credo che sia importante specificarlo in questo momento di grande disaffezione alla politica, crisi dei partiti e populismo dilagante. Naturalmente non si può fare di ogni erba un fascio o buttare l'acqua sporca con il bambino. Dicevo già in altri scritti che la nostra cultura dell'apparire e del consumo ha trasformato i cittadini in consumatori grazie all'azione persuasiva dei media, e in particolare della televisione, tuttavia non possiamo dimenticare che la democrazia, sia pure molto imperfetta, permette di cambiare i detentori del potere senza spargimento di sangue. Ora credo che il difetto semmai sta nel modo in cui questi personaggi vengono scelti e soprattutto nei valori che sottendono alle selezioni e dunque nel definire le virtù pubbliche che vengono pubblicizzate. Posto che le virtù non sono un optional, cioè non sono un di più ma fanno parte del carattere di un uomo e anche secondo Aristotele conducono alla felicità, cosa chiediamo ad un uomo politico? Non chiediamo forse che dimentichi i suoi propri interessi e si occupi dei nostri? Ovvero del bene di tutti o perlomeno del minor male? Dunque questo si chiama in parole povere altruismo ovvero spirito di dedizione a una causa comune con onestà. Questo vuol dire rinunciare alle pretese del proprio ego che si riempie di vanità per accedere a uno stato di modestia e umiltà di fronte alla complessità dei problemi da affrontare. Dunque queste due virtù non sono da dimenticare nelle specifiche qualità di un capo ma il sistema dei media e la natura stessa del potere che si alimenta di propaganda sembra negarle. Non sono certo appannaggio dei populisti, demagoghi che intercettano le emozioni negative della gente per raccogliere consensi. Quindi equità d'animo è un'altra virtù che si richiede al politico, anzi forse la più importante. Significa distacco dalle passioni, tutti i grandi della storia ne sono stati provvisti: Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, morente sul far dell'ultima sera ordina alla guardia equità d'animo. La tolleranza e la pazienza sono anch'esse necessarie a chi detiene qualche potere, direi che sono la conseguenza di un animo equilibrato. E' bene che un politico si legga Voltaire. Infine noi chiediamo ad un leader il senso di responsabilità ed il coraggio. Il primo nel significato di assumersi la responsabilità delle proprie scelte e accettarne le conseguenze con il coraggio di sostenerle nonostante tutto. Anche la flessibilità è una virtù auspicabile, a patto che non diventi trasformismo. Insomma noi chiediamo ad un uomo politico che si metta al servizio della comunità e che non mostri troppo attaccamento al ruolo e al potere che ne consegue. Nel panorama europeo, per non dire mondiale, voi vedete qualche personaggio che riassume in se le virtù che abbiamo elencato? Personalmente vedo in questo momento per la maggior parte solo piccoli arrampicatori ingigantiti dai media con il consenso dei poteri finanziari, questa è la ragione della crisi della politica e della rabbia strisciante che fomenta i populismi.

mercoledì 10 febbraio 2016

La crisi dell'amicizia

                                                    Infinito, olio su tela

Aristotele distingueva tre tipi di amicizia, quella per l’utile, quella per il piacere e quella vera disinteressata per il bene comune. Oggi possiamo affermare che nella società del capitalismo avanzato e dei social-media, dove si chiede e si dà l’amicizia via internet, trionfano le prime due ma è senza dubbio in grave crisi l’ultima. Amici nella tradizione sono due persone che entrano in un rapporto di intimità e di simpatia per aiutarsi e sostenersi. Non è mai stato facile trovare un amico infatti un vecchio proverbio recita: chi trova un amico trova un tesoro, a sottolineare che un vero amico è raro. Tuttavia in una società meno competitiva, come quelle del passato,  era sufficientemente possibile, oggi nella nostra civiltà dei consumi è molto raro. E’ più raro di un rapporto d’amore. L’amicizia, quella del terzo tipo, presuppone saggezza e distacco, un ego realizzato e una buona dose di gioia fondamentale. Senza questi ingredienti si cade nell’invidia, nella gelosia e nella rabbia. Tutte emozioni negative che avvelenano l’amicizia.  Un amico è colui che prova piacere dei tuoi successi e dispiacere per le tue sconfitte e i tuoi lutti ed è pronto a darti una mano. Invece si nota che nella nostra società individualista ognuno tende sempre a misurarsi con l’amico in ragione di una specie di gara verso il successo. Questo lo impariamo presto, a scuola i primi anni ci insegnano a gareggiare nel profitto e gli insegnanti ci stimolano a questo credendo cosi di ottenere di più. Ma non è cosi. Quando insegnavo avevo adottato un metodo in cui il bravo doveva aiutare il meno bravo in un lavoro collaborativo ottenendo risultati sorprendenti.  Tutti alla fine vogliamo essere felici, realizzarci, scoprire il significato della nostra esistenza e compierlo,  desideriamo che le altre persone ci amino e ci rispettino e vogliamo sentirci sicuri. Il vero amico ha compreso questa nostra uguaglianza e non si scandalizza se in questa ricerca ci allontaniamo per un po’. Non è geloso e non prova invidia.  Accetta che ognuno ha un percorso diverso da compiere nella vita per la propria realizzazione e, cosciente del proprio, non desidera sovrapporsi a quello dell’altro, anzi è interessato a comprenderlo e sa che lo arricchisce perchè è la manifestazione dello stesso Spirito che alberga in lui e prende diverse forme. Il termine sanscrito “namastè”, che è un saluto indiano, vuol dire proprio questo: riconosco in te lo spirito che è in me. Come si potrà notare questa realtà amorosa è piuttosto rara.  A volte si diventa amici perchè si hanno gli stessi interessi e valori. Questo accade sovente in politica e fra maestri e allievi ma questa amicizia tende a finire quando l’allievo si mette a competere e vuole superare il maestro. Le virtù che reggono l’amicizia sono l’onestà, la coerenza, la stima, la dignità, l’umiltà, la compassione, la comprensione, la tolleranza e la generosità, tutti attributi lontani dalla egolatria imperante nella nostra società individualista. Questo vale anche per le coppie  nel rapporto erotico che in più hanno l’attrazione sessuale e potrebbero rientrare nelle amicizie per piacere. Infatti se non si matura una amicizia vera, con il passare del tempo e con l’inevitabile caduta del desiderio, finiscono. Per quanto riguarda le coppie etero poi si debbono superare due archetipi che dormono in ciascuno, dominano il rapporto maschio femmina e influenzano sempre la scelta del partner: il mito dell’eroe per lei e il mito della maga fascinatrice per lui. E arriviamo all’amicizia dei politici. Quella la possiamo ascrivere in generale nella categoria aristotelica dell’utile, in una mentalità dicotomica che divide la realtà in amici e nemici in funzione del raggiungimento del potere. Queste amicizie sono ovviamente transitorie e superficiali, ognuno pensa alla propria convenienza e sono pompate dai mass-media e dai sostenitori. Torniamo ad affermare che l’amicizia è una cosa seria per persone illuminate, rare oggi e soprattutto fra i politici.


lunedì 28 dicembre 2015

Dell'onestà e della coerenza


  Mi chiedo se oggi l’onestà è ancora una virtù. Che cosa vuol dire essere onesti in una cultura che esalta il successo ottenuto a qualsiasi costo attraverso la furbizia e l’abilità?  Sono forse considerati ingenui gli onesti? In politica poi, soprattutto dopo Tangentopoli che doveva ripristinare questa virtù pubblica, vi è il tripudio della spregiudicatezza e dell’astuzia.  Per non sembrare banali e non perderci ricorriamo dunque alla etimologia e  analizziamo  questo termine ed il suo significato: deriva dal latino honestas-atis che viene da honus-oris, onore in italiano. Dunque anticamente l’onestà aveva a che fare con l’onore.  Era cioè il condensato di tutte le virtù che, come affermava Aristotele nell’Etica Nicomachea, avevano come scopo la bellezza di una vita felice perchè feconda di buone relazioni basate sulla fiducia. L’uomo onesto infatti era degno di fiducia perchè incapace di mentire e di tradire. Il contrario di onestà è disonestà ovvero uomo disonesto è colui che tradisce  e dunque non ci si puo’ fidare. Fiducia e onestà  andavano a braccetto.  Oggi viviamo in un mondo con tante fedi ma scarsa fiducia in una società individualista e liquida, secondo la definizione di Bauman, dove l’onestà è diventata una qualità svalutativa: si dice infatti onest’uomo come dire poveruomo, onesto praticante di una professione come a dire che non eccelle. Eppure continuiamo a sentire affermare che ci vuole fiducia: il Governo ce la chiede, l’economia senza  va in crisi e tutto dipende da essa. Le relazioni tra gli uomini si basano sulla fiducia ma invece oggi si diffode la diffidenza che accompagna lo scontento per aver abdicato all’onestà.  Per essere onesti bisogna non tradire la verità e cercarla sempre con costanza e coerenza, anche se questa sfugge a volte. La coerenza, attributo della bellezza per gli antichi, ultimamente è caduta in disuso: coherens in latino significava strettamente unito insieme,  cioè non in contraddizione con i propri obiettivi e bisogni profondi che per l’onesto sono il bene comune.Oggi si fa a meno di tutto questo e si considera l’onesto un perdente ma attenzione perchè senza onestà vi è la corruzione e la malattia. Si mente anche a se stessi  pur di apparire secondo i modelli imposti dalla pubblicità e cosi ci si ammala, alcuni psicologi affermano infatti che la malattia è un rimedio della coscienza per renderci onesti, questo vale sia per l’individuo che per la società. Per quest’ultima la patologia consiste nella conflittualità permanente, che qua e là provoca guerre e distruzioni. Ci si chiede poi che cosa spinge dei giovani cresciuti in occidente, relativamente benestanti, a decidere di arruolersi con il fondamentalismo arabo. Non è forse questa  alienazione dalla bellezza della virtù regina?

martedì 11 febbraio 2014

L'altro architetto



Mercoledì 5 febbraio  abbiamo presentato il mio libro  L'altro architetto alla Fondazione Cariplo di via Manin, la poetessa e pittrice Silvia Venuti ha introdotto la serata riscontrando che il testo tratta della ricerca dell'anima anche se il termine non viene quasi mai citato. Debbo ammettere che l'affermazione mi ha positivamente emozionato in quanto è vero che noi siamo sempre alla ricerca del trascendente.  L'artista è sempre stato una sorta di sciamano che aveva il compito di unire il mondo materiale a quello degli dei o dello spirito. Fin dal principio, basti osservare i dipinti della grotta di Lascaux  dell'antica età della pietra dove gli animali che vengono rappresentati assumono un valore totemico. Hillmann ha scritto un magnifico libro, Il codice dell'anima, in cui si sforza di mostrare quali sono i segni dell'anima nella nostra vita e nel nostro quotidiano. L'anima si manifesta come daimon, demone, che orienta la nostra vita e non ammette diserzioni. Essa la si rintraccia nelle coincidenze fortuite e in quello che noi chiamiamo destino, se manteniamo vigile l'attenzione possiamo scoprire per che cosa siamo al mondo. Aristotele la chiamava causa formale. Per questo motivo il mio libro l'ho voluto impostare come un dialogo platonico con un giovane architetto alla ricerca d' identità. La crisi del nostro tempo sta proprio nella frattura fra le generazioni: per dirla con il titolo di un libro di Vittorino Andreoli, è una società senza padri,  questo  l'università di massa ha provocato, dunque per ritrovare l'anima bisogna recuperare il dialogo interrotto fra maestri e allievi, un dialogo socratico che attraverso l'arte maieutica faccia emergere il nocciolo di verità in noi di natura estetica e sacra. L'incalzante efficacia comunicativa del dialogo soddisfa e al contempo suscita la curiosità propria del discepolo, dando seguito al fluire di una riflessione di carattere universale. La globalizzazione  e la crisi ecologica segnano profondamente il nostro tempo, ma non ne sono protagoniste: la domanda di felicità e bellezza resta infatti il bisogno primordiale che l'architettura e l'arte sono chiamate a soddisfare, attraverso il ritrovamento dell'anima appunto e del suo codice per l' elaborazione di una estetica del nostro tempo che non sia al servizio del potere ma della vita. Il libro L'altro architetto, Edizioni Casagrande, è in vendita a 9 euro presso Hoepli e Milano libri.

giovedì 12 dicembre 2013

Viva Mandela

La morte di Nelson Mandela e tutti i commenti sulla sua vita che sono apparsi sui mass-media ci portano a riflettere sulla figura dell'eroe e del saggio, modelli di riferimento dell'antichità classica, sostituiti  poi, in epoca cristiana, dal cavaliere e dal santo. Lui era sia l'uno che l'altro, almeno così lo descrivono i suoi commentatori. Che cosa dà più senso alla vita di un uomo se non la sua perfetta adesione al destino che un disegno provvidenziale gli ha assegnato? Tutti noi abbiamo un compito, palese o nascosto, che contribuisce all'arricchimento, in senso etico-spirituale, della società di cui facciamo parte. Lui il suo compito lo ha individuato nella difesa della libertà e ne è stato talmente convinto che ha affrontato qualsiasi prova, anche le peggiori, pur di mantenersi fedele a questa sua convinzione che gli veniva dal di dentro. Non molto diversamente vengono descritte le vite dei primi cristiani che affrontavano il martirio pur di non abiurare la propria fede o dei filosofi che affrontavano la prigione o il patibolo per non tradire le proprie convinzioni. Come i modelli classici la sua figura è di natura etica ed estetica insieme. L'ammirazione che genera in noi Mandela dipende anche dal fatto che in lui vediamo anche l'uomo felice, perchè realizzato, che ha vissuto una vita lunga ed appagante. In fin dei conti Aristotele diceva che le virtù sono fatte per la felicità e Nelson lo ha dimostrato sia nel dolore che nella gioia, trattando entrambi con sereno distacco. Infatti potrebbe sembrare in questo tripudio di elogi per una vita esemplare che si sia dimenticato il dolore ma questo è ben presente nella realtà naturale della vita di ogni individuo. Ma l'uomo realizzato, quindi stupendamente creativo, sa che il dolore ha comunque la funzione di indicare il cammino di vita se viene accettato. Il dolore "è la rottura del guscio della nostra intelligenza", dice Kalil Gibran. La creatività consiste infatti anche nella capacità di accettare il dolore, accoglierlo e trasformarlo in esperienza rigenerante. Il piacere e il dolore sono due opposti che hanno bisogno l'uno dell'altro. Come diceva il saggio Eraclito, le cose nascono dalla lotta dei contrari e quello che oggi è piacere magari domani sarà dolore. Tutto è relativo. L'etica stoica del grande Marco Aurelio, cui il nostro Nelson potrebbe essersi riferito, insegna dunque che non bisogna disperarsi nel dolore e rallegrarsi troppo nella gioia.  Tutto è relativo al nostro modo di essere e alla nostra interpretazione della posizione che occupiamo nel mondo. Grazie Mandela per avercelo ricordato  con la tua vita in questa epoca povera di modelli.