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venerdì 27 maggio 2016

Delle elezioni del sindaco di Milano

                                                 Giardini Montanelli, acquarello su carta

Sono prossime le votazioni per la scelta del sindaco a Milano. Come sempre succede ad ogni tornata elettorale si sprecano le ipotesi di vittoria. Vincerà il centrodestra o il centrosinistra? Ormai nessuno vuol più essere semplicemente o di destra o di sinistra. A parte la discutibile diversità fra le due coalizioni che, stando alla tradizione, dovrebbero portare al potere  nel primo caso il  cosidetto padronato, cioè chi il potere lo ha già, e nel secondo i diseredati e chi li rappresenta, pare che ciascuno accampi il diritto di ergersi a paladino del popolo. Le due anime si sono ormai confuse nell’aspirazione al potere tout court, anche perchè a ben dire, a parte la sinistra di Rizzo, anche la coalizione di centrosinistra  è formata dalla borghesia milanese più o meno illuminata e dai suoi managers. Quale differenza dunque sussiste tra uno schieramento e l’altro?  Si dice che bisogna guardare i programmi. Ma i programmi si somigliano: tutti vogliono mostrare di tenerci a risolvere i problemi dei cittadini, tutti i problemi e rendere gli elettori più felici. Vota per me e ti faro’ felice, potrebbe essere lo slogan di destra e di sinistra. Ma come? Più sicurezza, meno tasse, più assistenza, più lavoro, più...più di tutto insomma. Ambedue affermano di voler risanare le periferie, ognuno vuole più verde e meno traffico, tutti esibiscono onestà e coerenza. Ma di  queste promesse c’è possibilità che qualcosa si realizzi al di là delle parole? L’amministrazione uscente quando ha vinto le elezioni nel 2011ha festeggiato con musiche, peana e biciclettate, sembrava che più che elezioni democratiche avesse vinto una guerra  e fosse giunta l’ora della liberazione da un regime oppressivo durato un ventennio, ma alla fine ha deluso la maggior parte delle aspettative. A proposito ma la vogliamo finire di festeggiare una elezione come se fosse una partita di calcio vinta? Non vi è nulla da festeggiare ma da rimboccarsi le maniche, cioè prendere coscienza del lavoro da compiere per il benessere della comunità e lavorare di conseguenza tenendo presente le difficoltà che questo comporta. In primis non bisogna sottovalutare il sistema burocratico che ingabbia le innovazioni per sua natura essendo conservativo. Una riforma della burocrazia non sarebbe male, sia che venga da destra che da sinistra. L’amministrazione Pisapia ha dato l’impressione di schierarsi più dalla parte dei potenti che non dei cittadini comuni, si è vantata di cose decise e iniziate da altri, Expo, Porta Nuova, eventi vari della Moda, M4 e cosi via fallendo miseramente sulla tanto millantata partecipazione a causa di una comunicazione spesso arrogante e spocchiosa. Del resto uno dei suoi assessori più quotati si è dimesso. In buona sostanza ha dato l’impressione irritante del “ siamo bravi solo noi perchè siamo noi”, soprattutto da parte di assessori troppo giovani ed inesperti scelti con logiche dubbie. In sintesi, a parte i programmi corposi, che pero’ poi camminano con le gambe degli uomini, occorre più consapevolezza e senso di responsabilità  di chi “vince” le elezioni, altro che canti e festeggiamenti per l’assunzione del Potere. Serve più umiltà e senso estetico, il bello come buono, vero e giusto, ricordando con Stendhal che la bellezza è promessa di felicità.   

lunedì 21 ottobre 2013

politica della bellezza


Trattare di bellezza non è una evasione dalla politica come sembrerebbe ad alcuni. Parlare di politica della bellezza sembra un ossimoro, un mettere a confronto due contrari: il brutto e il bello, visto l'indice di gradimento mai così basso della politica nostrana. Tuttavia l’uomo è un essere politico dove con questo termine si intende il contesto di interrelazioni che lo legano ai suoi simili. Da questo punto di vista tutto è politica, parafrasando James Hillman il sé è politico e, accettando il valore dell’etimologia dove polis è la città, il governo di questa dovrebbe tendere a renderla bella il più possibile. Tra parentesi per i Greci, dai quali abbiamo imparato la civiltà, l’esercizio delle virtù civili aveva come scopo la felicità che per loro coicideva con la bellezza, un sogno etico ed estetico insieme che  duemila anni dopo fece dire a Stendhal che la bellezza è una promessa di felicità. Seguendo questo ragionamento ed osservando che la grande rimozione del secolo scorso è proprio stata la bellezza si potrebbe dire che cercandola  si risana anche la politica o anche che una buona politica cerca la bellezza.
Credo che se ai tre principi fondamentali  della rivoluzione francese,  che ha influenzato le democrazie moderne,  si fosse aggiunto anche il diritto alla bellezza tante nefandezze del ‘900 si sarebbero evitate. Plotino affermava che il brutto non è altro che ciò che la nostra anima trascura e quindi non è denominato da una forma. E’ il caos del disordine, del senza cura, della disattenzione, dell’ avidità e della confusione dei valori.  Non è questo che noi rimproveriamo in Italia alla politica? Abbiamo personaggi che si presentano alle elezioni promettendo di tutto, demagoghi che approfittano dello scontento e della rabbia per guadagnare un potere inutile perché non hanno nessuna disposizione per la politica, appunto come scienza del vivere insieme per il bene comune. Personalità egoiche che non hanno saputo individuarsi e ne escono assurdità. Vi è una nevrosi diffusa nella nostra società: è malata di narcisismo.
La politica dunque avrebbe come compito primario di ricondurre alla bellezza come rispetto per la vita, che naturalmente si traduce in  rispetto per tutto ciò che vive, uomini e natura. Il poeta filosofo libanese Kalil Gibran afferma infatti che la bellezza non è altro che la vita quando mostra il suo lato benedetto. Si definisce la politica anche come arte del possibile, ecco che da questa affermazione ne discende che migliorando la polis migliori la politica. Ricordiamo per inciso che l’aspetto delle città lo si decide nelle giunte comunali, luoghi tipici della politica. Ci dobbiamo chiedere quindi in questo momento di crisi di quest’ultima che cosa può fare la cultura della bellezza per migliorarla? L’etimologia ci viene sempre in soccorso e insegna che cultura deriva dal latino colere, in italiano coltivare, quindi passare da uno stato selvaggio a uno coltivato. I francesi dicono di un uomo colto “bien cultivè” e la coltivazione prevede la capacità di cura , di pazienza e di educazione che poi è l’arte maieutica di far uscire la parte migliore di noi. Come diceva Socrate dobbiamo utilizzare le virtù della levatrice che sono: la pazienza, la competenza e l’esperienza. Non si ottiene un gran che se il nostro desiderio di fama e di potere ci fa saltare le tappe che la natura ci ha imposto per accedere a livelli superiori di consapevolezza. Dovremmo  dunque essere in grado di  tornare ad una cultura responsabile e quindi saggia, cioè in grado di abbracciare il tutto. Occorre che esercitiamo la capacità di osservare la foresta e non solo di contare gli alberi, dovremmo abbandonare dunque il primato dell’economia del denaro a favore di una ecosofia che sancisca il valore di un nuovo  star bene.  Sembra che la bellezza non abbia a che fare con l’economia  perché la consideriamo come accessoria, un lusso, ma ci siamo mai chiesti quanto costi la bruttezza? Quanto costino in termini di benessere fisico ed equilibrio psicologico un design trascurato, colori da quattro soldi, strutture e spazi senza senso? Passare una giornata in un ufficio brutto, su sedie scomode, in mezzo al disordine e allo sporco, per poi alla fine della giornata tuffarsi nel sistema del traffico e dei mezzi pubblici e infine in un fast food e in un’ abitazione di serie. Che costo ha tutto questo? Quanto costa in termini di assenteismo, di ossessione sessuale, di abbandono della scuola, di iperalimentazione, di attenzione frammentaria, di rimedi farmaceutici, dello spreco consumistico, della dipendenza dalla chimica?  Forse che le cause dei maggiori problemi sociali, politici ed economici della nostra epoca non potrebbero ricercarsi anche nell’assenza della bellezza?  La nuova cultura  potrà incidere sulla politica, nel senso che garantirà una selezione di personalità che si distingueranno per competenza e responsabilità, che  trascenderanno  l’ego insaziabile e matureranno un sé distaccato che accede alla politica per il bene collettivo. Non sarà un percorso facile, bisogna esercitare la pazienza perché si prevedono cadute e ricadute.  Ma infine che cos’è bellezza? Se non sei in armonia non la vedi perché la guerra è la sua nemica e uno stato di guerra è anche quello generato da un’economia di rapina che dimentica i valori umani ed esaspera la conflittualità nella concorrenza, è il pensiero dicotomizzato, amico-nemico, dominio-sottomissione. Rimettere al centro la bellezza dunque è un buon antidoto alla conflittualità permanente che notiamo anche nella politica nostrana. La passione estetica è un contravveleno alla passione per la guerra.