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lunedì 24 ottobre 2022


Ringraziamo il FAI per averci ospitati in una loro importante sede milanese per presentare il libro La cultura della bellezza.
 

venerdì 3 giugno 2022

La cultura della bellezza


"La politica dunque avrebbe come compito primario di ricondurre alla bellezza come rispetto per la vita, che naturalmente si traduce in rispetto per tutto ciò che vive, uomini e natura." Così Maurizio Spada ricolloca il concetto di bellezza, sottraendolo alla considerazione di accessorio di lusso, ancor più tale ora nella combinazione di emergenze climatiche, pandemiche e di guerra. Lo fa con 'La cultura della bellezza-Architettura, urbanistica, paesaggio: una riflessione ecologista', pubblicato da Albeggi Edizioni. Proprio di una riflessione ecologista si tratta: un approccio olistico e sistemico che, in modo molto scorrevole, consente al lettore di comprendere l'essenza concreta del nuovo mantra del 'cambio di paradigma'. Maurizio Spada fa questa operazione fuori da ogni ambiguità,  fuori da ogni luogo comune della simulazione del greenwashing, mettendo al centro dell'affresco che ci propone l'abitare, cioè il vivere consapevolmente la dimensione urbanizzata e la relazione con il territorio tutto. E' un richiamo all'etica della responsabilità, certamente, insieme all'esercizio di una azione dell'attività umana all'insegna della qualità e dell'armonia, questo è il paesaggio agroecologico e di un urbanesimo capaci di abilitare un ben essere nella nostra relazione con il vivente e con una comunità sociale capace di consapevolezza e di abilitazione della cittadinanza attiva. Ecco quindi l'arte ed i suoi linguaggi espressivi ricondotti alla loro funzione generativa che concorre alla capacità di visione per una politica del possibile, anche di fronte all'inaspettato, e non con mero riferimento all'esistente. La riflessione che delinea Maurizio Spada può apparire estranea al nuovo contesto del processo cognitivo, un contesto dallo spettro predefinito digitale, dentro la riproposizione, nel nome delle emergenze combinate, dei modelli più dissipativi di risorse, di cibo, di ambiente e di salute: dal carbone ai pesticidi, dalla fissione nucleare all'agricoltura intensiva. Mi auguro che il libro venga letto dagli insofferenti, prodotti dell'omologazione atomizzata dell'individualismo sovranista e stupori inediti. Mi auguro che questa lettura coltivi in loro una funzione inquieta, capace di porsi domande, di generare nuovi sguardi e la necessità di una ricomposizione della sfera antropologica del vivente con la sfera biologica. Come ben evidenzia Spada, la bellezza ha immediatamente e positivamente a che fare con l'economia. Infatti è chiaro a tutti che un sistema territoriale qualitativo: qualità ambientale, qualità dei servizi e infrastrutture, qualità sociale, qualità dell'offerta culturale, è un sistema abilitante per la produzione di valore nell'economia della conoscenza. Sia chiaro nell'economia non nella deriva finanziaria del valore nominale che l'ha sostituita. In questo senso è felice la chiosa di Ilaria Borletti Buitoni che, nella prefazione, chiede "Esiste un diritto alla bellezza? Sì, esiste come dovrebbe esistere una gestione del contesto che tanto incide sulla vita che tenda al bello perché ad esso si accompagna necessariamente quell'armonia tra Uomo e Natura che tutela l'ambiente e la salute di chi vi abita.".

Fiorello Cortiana



 

sabato 16 ottobre 2021

Master sulla bellezza


La bellezza è nella natura e noi impariamo ad apprezzarla fin dalla più tenera età. Il 900 ci ha alienati della sua presenza nelle cose e della nostra capacità di coglierla. E’ diventata un orpello e un lusso per pochi. Dobbiamo quindi riconquistare la nostra sensibilità sapendo che non ci è data gratuitamente ma è il frutto di un lavoro di approfondimento. Per quanto riguarda le opere dell’uomo la bellezza è il prodotto di un atteggiamento di cura, attenzione e amore per il proprio lavoro. Ecco perché l’Istituto Uomo e Ambiente, da sempre presente sui temi dell’ecologia e dell’estetica ha voluto organizzare questo corso on-line per chi vuole approfondire la tematica, soprattutto gli architetti che sono delegati a trasformare l’ambiente ma anche ogni persona intelligente.

Il corso è diviso in cinque giornate: la prima è dedicata alla filosofia perché è dalle opinioni generate da essa che provengono le scelte in campo estetico. La seconda è sulla natura con esperti che la studiano e la utilizzano con creatività. La terza verte sul paesaggio e sull’arte poiché anche quest’ultima nel secolo scorso ha deragliato dalla sua finalità naturale, cioè la bellezza.  La quarta è dedicata all’architettura ed infine l’ultima è sulla pratica e cioè come tradurre in azioni l’importante bisogno sociale di equilibrio, ordine, eleganza e coerenza che sono i principali attributi della bellezza.

 

venerdì 26 febbraio 2021

Territorio e pensiero ecologico.


 Territorio e pensiero ecologico è il primo seminario che l'Istituto Uomo e Ambiente ha organizzato in collaborazione con la Casa dell'Agricoltura

venerdì 24 aprile 2020

Addio a un amico letterato

                                                        L'infinito, olio su tela

 
Caro Federico te ne sei andato cosi inaspettatamente dopo che ci siamo sentiti al telefono in questo periodo di coronavirus che ci ha costretti in casa. Erano ormai anni che seguivamo, Gabriella ed io, le tue vicende di salute e contavamo che tu ormai ti fossi acclimatato con la tua patologia, l’avessi in qualche modo compresa e accettata e dunque ci convivessi bene per chissà quanti anni ancora e magari interpretandone il messaggio la superassi. Non è stato cosi e un po’ di rabbia, debbo ammettere, questa tua dipartita me l’ha lasciata. L’ultimo tuo commento al mio articolo, Coronavirus, sul blog è finito con un accenno pessimistico a un Dio che ce l’ha con l’uomo quindi nonostante la tua dichiarazione sorprendente di essere cattolico cristiano, che non mi sarei aspettato, la tua divinità appartiene alla tradizione dell’antico testamento o addirittura alla antica Grecia, il tuo riferimento a Nietzsche lo attesta. Lui diceva che quel Dio era morto ma non trovandone un altro è impazzito. Tu invece lo hai risuscitato nei panni del punitore che manda le pandemie a una società corrotta, come a Sodoma e Gomorra. Immagino che ora, dovunque tu sia, avrai svelato il mistero per cui ritengo ininfluente che ti parli della mia concezione della trascendenza  ma questo fa bene a me e quindi proseguo. Il Nuovo Testamento, nonostante tutto, è un messaggio di amore che richiede molteplici interpretazioni, la più accreditata è che Dio è amore e dunque si veste della carne umana per indicare la strada della creatività e della vita non quella della morte. Infatti, benchè ucciso dalla diffidenza, dalla paura e dalla stupidità del Potere, risorge.  Già prima di Cristo i filosofi avevano detto che l’amore crea e l’odio distrugge, Empedocle ad esempio, dunque è conseguente pensare che il Creatore non può che essere creativo e quindi amante. Ne deriva che quando in te alberga l’amore, sia verso te stesso che gli altri, sei simile a Dio ma, come affermano i buddisti, in noi albergano, non so perché,  i semi di tutti i sentimenti, negativi e positivi, dunque dobbiamo allenarci a sostenere quelli che ci fanno bene e lasciare inerti quelli che ci danneggiano. Il messaggio cristiano può essere letto anche cosi: una strada per star bene, in fin dei conti le Beatitudini sono questo. Del resto lo stesso pagano Aristotele scriveva nell’Etica Nicomachea che le virtù sono per il bello e quindi per la felicità. La psicoanalisi in tempi moderni ci ha abituati a guardarci dentro e a scoprire l’inconscio, pieno di quelle cose che non ci piacciono, cioè rabbia, paura, desiderio e cosi via, perché l’educazione ci ha abituati a rimuoverle e con quello dobbiamo confrontarci. Quindi l’inconscio collettivo della nostra società ipocrita e superficiale è una sorta di ripostiglio dove stazionano le nostre forze distruttive che se non vengono affrontate ci danneggiano, vedi la pandemia o la malattia. Il corpo è un insieme di energia e informazioni e cosi la natura, il nostro corpo più grande, e se questi messaggi sono  cattivi ne risentiamo anche a livello fisico oltre che psichico naturalmente. Ma sotto tutto questo vi è uno strato originario di gioia pura, il nostro retaggio divino. Per questo i bambini sono allegri e vivaci, loro sono più vicini a questo fondo di verità, del resto il Cristo non dice forse: lasciate che i bimbi vengano a me? Perdiamo questo stupore infantile e questa gioia fondamentale quando sviluppiamo per paura un ego diffidente che si attacca alle illusioni di felicità. Infatti tutte le tradizioni di saggezza, quindi anche il Vangelo, non dicono forse che bisogna abbandonare le illusioni, cioè Maia, per essere felici e costoro non vengono chiamati risvegliati, a indicare che in realtà ritroviamo quello che in realtà già siamo? La favola dei fratelli Grimm “La fortuna di Gianni” è emblematica.  Venendo a noi tu che eri un letterato e che hai scritto molto inseguendo un assoluto attraverso l’amore per una donna che non trovavi mai, influenzato molto dalla cultura romantica, non ti sei accorto forse che il tuo miglior personaggio è stato Napoleone, il barbone dei giardini Montanelli che nell’Isola di Serifo, proprio perché niente possiede, conduce tutta la compagnia di frustrati alla famosa nuova terra. Credo dunque che tu sia andato  a cercare quest’ isola e spero l’abbia trovata ed abbia saziato la nostra dotta ignoranza anche perché come ben ricordi Marcel Proust diceva che il vero viaggio di scoperta non è quello di cercare nuove terre ma avere nuovi occhi. Ciao Fede.

giovedì 26 marzo 2020

Coronavirus




Nella lettera ai verdi sul clima che ho scritto  qualche mese fa e che ha suscitato molto scalpore fra gli attivisti del movimento, con ventisei commenti negativi e quattordici like, facevo una critica all'abuso della paura dei cambiamenti climatici e soprattutto alla strumentalizzazione mediatica di una adolescente di sedici anni, affermando che la terra è un sistema vivente ed avrebbe trovato espedienti per ripristinare un equilibrio frantumato dall’ azione antropica predatoria dell’economia capitalista dopo la rivoluzione industriale e che era necessario un nuovo umanesimo per superare il contrasto uomo-natura di antica origine. Non immaginavo di essere profetico cosi a breve termine e che questo espediente di riequilibrio si generasse cosi in fretta. Infatti ritengo che la pandemia sia sostanzialmente una risposta della natura alla rottura di questo equilibrio, una risposta alla mentalità meccanica e rapace dell’economia di mercato e del conseguente consumismo spinto. Negli anni ottanta definivamo la nostra civiltà occidentale la società del superfluo cattivo, i nuovi paesi emergenti in questi anni per adeguarsi hanno, se possibile, massimizzato  questo spirito anti ecologico e si sa che una massimizzazione dura in una struttura ad anello che costituisce la caratteristica della mente umana, non chè della cultura e della natura, trasforma un sistema ecologico che ottimizza tutti gli aspetti in qualcosa che non funziona perché gli aspetti negativi non vengono più compensati. Ora noi sappiamo che questa non è una mentalità di oggi, che questo spirito di conquista e di sfruttamento è molto antico ma oggi è l’aggiunta della tecnologia che ne ha fatto un potenziale distruttivo. Chi vuole approfondire legga Verso una ecologia della mente di Gregory Bateson pubblicato circa 40 anni fa. Ora a parer mio stiamo usando la stessa mentalità per sconfiggere il virus massimizzando certi aspetti, come ad esempio l’isolamento, la difesa, la disinfezione,  la sterilizzazione, le punizioni, l’ospedalizzazione coatta ecc. Come riprenderemo a vivere normalmente quando nelle nostre menti si è inserito il germe della diffidenza e della paura? Credo che in questo modo, passata la crisi, si dovrà affrontare anche il problema della smilitarizzazione e del reinserimento dei reduci come dopo una guerra. Ma questa non è una guerra e richiede invece impegno a trasformare le storture che l’hanno generata ripristinando l’equilibrio ma se non vi è la consapevolezza non ce ne è possibilità. Da anni gli intellettuali più illuminati affermano che siamo al”punto di svolta”, negli anni ottanta usci un libro del fisico americano Fritjof Capra con quel titolo ma cosa è cambiato da allora? Nulla mi pare, se mai vi è stata un’accelerazione in senso opposto di una economia interessata solo al profitto delle varie multinazionali e una ulteriore spinta al consumismo. Credo dunque che passata questa crisi si dovrà prendere in considerazione un nuova economia che accetti l’ecologia umana,  ecosofia, come guida per migliorare e questo presuppone anche riscoprire la bellezza come fondamento della natura che va rispettata. Ritengo che superata la pandemia ad esempio sia necessario  che i vari stati sovrani rivedano i bilanci con il ridimensionamento delle spese militari a favore della sanità e della ricerca. Il fatto poi che il virus sia di origine animale pone anche la questione dell’alimentazione valorizzando scelte vegetariane. Siamo al punto che il dopo o si caratterizzerà come un periodo di solidarietà internazionale, facilitato anche dalle nuove tecnologie comunicative, per cambiare approccio alla vita o si cadrà in un difensivismo nazionalistico che rafforzerà la mentalità dualistica ed aggressiva provocando nuovi espedienti.

giovedì 23 gennaio 2020

Rigenerare le periferie








              Pulire le scritte sui muri è un primo passo per la dignità di un quartiere (Baggio)




Il seguente scritto  di Giovanni Poletti, ex presidente della cooperativa Abitare, sua relazione al nostro ultimo convegno sulla casa, rappresenta per noi la modalità giusta per operare una rigenerazione urbana.

Non è molto semplice definire cosa sia la BELLEZZA legata alla casa ed al suo contesto.
 In generale credo che ognuno abbia una reazione diversa davanti alla BELLEZZA, e ritengo che queste diversità di sensazioni siano ricollegabili ai differenti stati d’animo, ai problemi che ci si porta addosso e alla complessiva situazione ambientale.
Ma se è impossibile rispondere ai problemi personali è tuttavia attuabile una politica del BELLO, inteso quale combinazione tra efficienza, funzionalità, qualità ambientale e sociale e abitazione, ma non nel senso del rifugio, del fuggire, del chiudere la porta blindata perché fuori il mondo è cattivo e mi vuole male. Quando mai chi vive queste situazioni può vedere attorno a sé la BELLEZZA?
BELLEZZA vuol dire anche armonia, ordine, direi buon gusto.
Si è vero, ma vediamo la BELLEZZA attorno a noi quando c’è pulizia, quando i servizi tecnici del caseggiato funzionano, quando il verde è ben tenuto, quando la raccolta differenziata viene attuata correttamente, quando qualcuno interviene nel caso di mancato rispetto del regolamento, quando si esce in strada e le buche nell’asfalto vengono coperte, ecc….
Vengo a qualche cosa di più concreto, convinto che qualsiasi intervento di risanamento, di riconversione al BELLO, debba tenere conto di chi lo deve fruire e contribuire al suo mantenimento.
Cambiare un citofono rotto, cancellare scritte sui muri o sugli ascensori, avere paura a scendere in cantina o quant’altro, senza accompagnare l’intervento risanatore con una riqualificazione sociale, vuol dire riprodurre la malattia senza fare terapia.
Ovviamente non sto parlando delle nuove bellissime costruzioni che mi riempiono di soddisfazione per la mia Città, ma per le quali lascio ogni considerazione ad altri che interverranno questa mattina.
Mi riferisco a quella grande parte della Città che non fa parte del BELLO di Milano ed i cui abitanti raramente sono nelle condizioni di vedere e godere del BELLO.
Ripropongo una sintesi del Programma degli interventi già attuati su 1.700 abitazioni di una grande Cooperativa Edificatrice, a Niguarda, oggi Coop. Abitare con 2.750 abitazioni, a seguito della fusione con le Coop. Edificatrici di Affori e Dergano. 
I problemi che si presentavano erano i soliti, dopo anni di mancati interventi di manutenzione ordinaria poi diventati ovviamente di straordinaria manutenzione. Conseguentemente il comportamento degli abitanti   denotava un certo distacco dalla Cooperativa e dai suoi valori fondanti.
All’inizio del mio mandato mi sono chiesto se veramente conoscessi le famiglie che vi alloggiavano e quali fossero le loro attese, i problemi più acuti, le partite più in sofferenza. Incaricammo due assistenti sociali di svolgere una ricerca mirata a tal fine
 Contemporaneamente abbiamo svolto una indagine sul patrimonio, sullo stato conservativo, ma con un occhio alle questioni più critiche e come risolverle cogliendo l’occasione degli interventi programmabili per fare un salto in avanti per la qualità dell’abitare.
In quel periodo la Lega delle Cooperative del settore abitazione cambiò il concetto di Cooperativa di Abitazione in Cooperativa di Abitanti. Questa non fu una mera variazione lessicale, ma la base, la motivazione profonda di un radicale cambiamento della strategia gestionale delle Cooperative.
Davanti ad uno strisciante problema di impoverimento di quella cultura della partecipazione e della solidarietà, i grandi pilastri degli   ideali cooperativi ci si rese conto che anche un valido programma di interventi   sul patrimonio abitativo della Cooperativa non era sufficiente ad invertire una rotta che ci stava portando diritto a diventare un insieme di condomini litigiosi.
Una indagine del 1994 aveva evidenziato che circa il 40% dei soci abitanti si era espresso positivamente circa l’acquisto dei loro alloggi.
Era il segnale che il Corpo Sociale, la Cooperativa si stava disgregando e che si doveva intervenire parallelamente in diverse direzioni.
Decidemmo una operazione a tenaglia: da un lato un esteso programma di interventi sul patrimonio edilizio, quasi di riqualificazione e dall’altro un programma di rilancio, di rafforzamento del tessuto sociale
Tema numero 1) il programma di interventi sul patrimonio edilizio
Durata 15 anni, finanziamento dei costi pari a 25 milioni di euro, con mutui venticinquennali, costi a carico dei soci, sulla base della superficie degli alloggi, senza distinzione della vetustà del quartiere, contributo a carico del bilancio della Cooperativa pari al 15%.
Tutti iniziarono a rimborsare i costi indipendentemente dalla   realizzazione degli interventi e dei loro costi.
Va rilevato che fu posta grande attenzione alla qualità degli interventi con i seguenti punti di forza:
- identificazione ed eliminazione dell’amianto, nel rispetto delle vigenti normative. E non fu poca cosa anche in termini di costi.
- cappotto termico o insufflaggio per le facciate in rifacimento
-realizzazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica su tutti i tetti disponibili, con una produzione  di 900 Kw di picco (contro una produzione italiana di 50.000 Kw.)
- aumento del verde in misura del 20% e realizzazione di giardini con programmi pluriennali di manutenzione
-ammodernamento delle centrali termiche, con l’adozione di caldaie di ultima generazione e delle pompe di calore
-piano di ammodernamento degli ascensori.
- realizzazione in tutti i quartieri di aree giochi per i bambini
- ammodernamento degli impianti di ascensori realizzati in tutte le case.

Tema numero 2: attenzione al Corpo Sociale
L’indagine espletata sul corpo sociale valutando soprattutto le fasce più deboli o quelle situazioni segnalate in difficoltà, mise in evidenza che il problema più grave era la solitudine.
Causa primaria era lo sfilacciamento dei rapporti familiari in particolare delle persone anziane; le conseguenze erano il loro decadimento psico-fisico, con l’abbandono delle terapie, la trascuratezza complessiva della persona e dell’alloggio.
Ci siamo chiesti cosa mettere in campo per dare una risposta ai problemi evidenziati e più in generale su quali basi rilanciare e rafforzare il tessuto sociale.
Abbiamo voluto scommettere su due obbiettivi:
LA CULTURA E LA SOCIALIZZAZIONE
PER LA CULTURA furono realizzati il teatro della Cooperativa di via Hermada la cui programmazione dopo 14 anni è più viva che mai e di alta qualità, con dieci posti di lavoro.
Il Centro Culturale di via Hermada, dotato di una libreria con circa 10.000 volumi ed un posto di lavoro
L’edizione di un periodico della Cooperativa inteso come “lavagna” a disposizione dei Soci
Spettacoli nei cortili
PER LA SOCIALIZZAZIONE, furono realizzate in ogni quartiere, spazi dedicati alle attività sociali, con un fondo cassa ed un coordinamento, gestiti direttamente dai Soci
Con la Caritas Ambrosiana è in atto un servizio di trasporto dei Soci in difficoltà e bisognosi di assistenza sanitaria o per l’espletamento di incombenze amministrative, ecc..
Queste le iniziative di alto significato sociale ma anche espressione di una cultura cooperativa che si apre al territorio con numerose iniziative:
ANZIANI: 
- 900 anziani in difficoltà affiancati da un programma di monitoraggio
- distribuzione pasti caldi, servizio oggi effettuato dal comune.
- Monitoraggio e prevenzione della legionella
- Case dell’acqua in ogni quartiere
GIOVANI :
- realizzazione Centro giovani
- assegnazioni alloggi a studenti e rifugiati
DISABILI
-la realizzazione di un Centro di assistenza per persone con disabilità anche non socie, gestito dalla Coop. Diapason e situato all’interno di un   nostro quartiere con 35 presenze quotidiane,
-l’assegnazione di alloggi a particolari condizioni a Cooperative attive in ambiti della disabilità anche psichiatrica.
In tutti i quartieri è presente il servizio di portierato
Ogni tre anni sono rieletti i Consigli di Quartiere
In sostanza l’obbiettivo di fondo era LA PRESENZA CONCRETA DELLA COOPERATIVA là dove i bisogni erano più significativi
In circa 20 anni di attività delle nostre iniziative sociali anche aperte al territorio non abbiamo mai dovuto registrare lamentele o mugugni da parte  da parte degli abitanti.
Sottolineo che quanto sin qui detto non erano buone idee ma precise e durature iniziative messe in atto.


DUE BREVI CONSIDERAZIONI:
Le ristrutturazioni alla data odierna non hanno richiesto alcun intervento riparatore.
 Le gare d’appalto non sono avvenute con la regola del massimo ribasso, ma sulla base del miglior rapporto costi- benefici, rispetto al capitolato di gara.
I risultati sul piano sociale possono essere definiti buoni, ma non esaltanti. Le conseguenze della crisi hanno inciso come in tutte le situazioni sui redditi delle famiglie e conseguentemente sulla partecipazione e sulla disponibilità ad assumersi responsabilità organizzative ed operative

Consentitemi alcune annotazioni.
Siamo tutti consapevoli che grandi aree da dedicare all’edilizia   residenziale non ci sono a meno che non le si voglia togliere al verde. Fatto che non credo sia possibile, dopo la promessa del Comune di piantare tre milioni di alberi.
Sappiamo che la popolazione aumenta e presenta una domanda abitativa diversa al passato, molti diventano cittadini a tempo determinato.
Sappiamo anche che una larga parte dell’edilizia residenziale pubblica e privata è vetusta, anche in condizioni disastrose rispetto ai parametri medi della sostenibilità tecnico - ambientale.
Costruire in altezza diventa una necessità, ma dà risposte al tema della residenzialità? Non risolve i problemi anzidetti.
Diventa difficile parlare di BELLEZZA, di ECOLOGIA in quelle situazioni.
ECOLOGIA vuol dire difesa dell’ambiente, ovviamente non quello esistente in gran parte della Città, dunque dobbiamo creare una nuova Milano. Si può sognare! ma chi guarda una cartolina di Milano dieci anni fa ed oggi, nota una forte differenza.
Sogni? Cominciamo a non fermarci allo Stadio di San Siro, ma mandare avanti la riconversione degli scali ferroviari.
Mlano è la Città dell’accoglienza, ma non può disporre di una normativa “ambrosiana” dell’integrazione e questa assenza legislativa, ma soprattutto politica e culturale, non consente di governare l’integrazione e l’insediamento degli immigrati. Anche per queste situazioni bisogna creare opportunità di abitazioni anche miste. Capisco che i sogni richiedono soldi. Ma sono problemi ormai inderogabili. A volte sul tema casa ho la sensazione che tra la Regione ed il Comune di Milano esista una conflittualità che ha tutta la parvenza di essere strumentale in vista delle prossime elezioni amministrative, che avranno le periferie quale terreno di scontro, peraltro non vedo un altro terreno di attacco all’attuale Amministrazione comunale.
Bisogna recuperare nel medio periodo un livello accettabile di sicurezza percepita.  Estremizzando anche via Padova e viale Monza potrebbero avere un quid di BELLEZZA se la sera la gente potesse passeggiare senza paura.
Milano è una Città amabile, dà grandi sensazioni, noi la vorremmo ancora più bella, più vissuta, con una ampia armonizzazione centro/periferia. Il Comune sta attuando una politica più rivolta alle periferie che nel passato, ma se non si risolvono certi nodi, proprio legati alla casa, difficilmente potremo parlare di BELLEZZA in una vasta parte della città.
Ma tutte queste buone intenzioni sono sotto il coperchio dell’inquinamento. Si potrà parlare a lungo di BELLEZZA se i fattori di inquinamento si aggravano sempre più, se Area C e B sono pannicelli caldi che non risolvono il problema?
Viaggiando in superficie con i mezzi pubblici salta agli occhi l’enorme numero di macchine ferme ai margini delle strade riducendo le vie a sensi unici e determinando una media delle velocità a minimi sopportabili.  Un problema enorme del quale non vedo la soluzione, ma sul quale auspicherei una riflessione
Il fenomeno dell’urbanizzazione di enormi masse di persone, sta facendo esplodere molte grandi città. Inquinamento, differenze sociali, ghettizzazione dei poveri, si creano situazioni esplosive, che in alcune realtà sono già ingestibili. Venti, trenta milioni di individui che si accalcano continuamente, che si muovono a ritmi frenetici non possono essere il futuro dell’umanità. Sembra peraltro impensabile un ritorno alla campagna, alla montagna, al vivere bucolico.
Milano ha 1.400.000 abitanti ed è prevista in crescita per i prossimi dieci anni.
Le città come Milano sono entità ancora governabili, ma certi fenomeni anche se si presentano con molta minore violenza, ci devono far riflettere. E credo che ci stiamo attardando.












domenica 12 gennaio 2020

Gli alberi di via Bassini a Milano




Ho partecipato alla protesta per il taglio degli alberi in via Bassini a Milano per i motivi seguenti. Milano è una città fortemente urbanizzata, risulta essere, in Lombardia e in Italia, una delle ultime in classifica per mq di verde per abitante (12,7 mq/ab contro 500/ab Sondrio). I pochi parchi centrali, come in tutte le città storiche europee, sono i giardini delle dimore nobiliari aperti al pubblico, il resto del verde si trova intorno alle periferie, ma non dentro le periferie, grazie all’urbanistica dello zoning, sono aree faticosamente sottratte alla speculazione edilizia. Questi parchi esterni ben vengano per la CO2 ma a volte, se non vissuti, diventano anch’essi dei non luoghi dove in certe ore vi è il deserto che attira chi pratica attività illegali, vedi il bosco di Rogoredo per la droga. Dunque il fazzoletto verde di via Bassini è tanto più prezioso in quanto si inserisce in un’area semicentrale fortemente cementificata e viene fruito costantemente. Bisogna inoltre ricordare che la funzione dell’albero non è solo quella di fare da filtro agli inquinanti, ora certa architettura vorrebbe fare altrettanto con le superfici di nuovi edifici, questa è una giustificazione scientifica che corrisponde solo in parte alla necessità dell’albero in città, esso infatti ha anche valenze simboliche ed estetiche che lo rendono un elemento assolutamente integrato e coerente con la funzione dell’ abitare. Per Mircea Eliade, grande storico delle religioni, “l’albero è arrivato al punto di esprimere tutto ciò che l’uomo religioso considera reale e sacro per eccellenza”, anche i miti sulla ricerca dell’immortalità mostrano un albero dai frutti d’oro. E’ un organismo vivente che simboleggia la vita stessa, non si può abbatterlo senza dare l’impressione del non rispetto per la vita, soprattutto poi in spregio all’opinione degli abitanti, e dunque se accettiamo la definizione di bellezza=rispetto per la vita, come affermo nel mio saggio del 2004 Ecologia e Bellezza (Alinea editore) l’abbattimento denota scarsa attenzione alla qualità urbana, quindi alla bellezza. Ho già scritto sul mio L’altro architetto (Casagrande editore) che nelle aree urbane sarebbe meglio avere piccoli parchi sotto casa che grandi esterni alla città perché la presenza di terreni non impermeabilizzati oltre a permettere l’assorbimento della pioggia in estate costituisce garanzia di temperature più miti e maggior circolazione d’aria. Ad un mio articolo sulla Pietà di Michelangelo un lettore ha risposto: “Meglio un albero”. Sono d’accordo solo in parte ma questo dimostra il valore che alcuni gli danno. Non si può quindi tagliarli di soppiatto senza il consenso dei cittadini. L’ambientalismo non è una moda ma una necessità e l’Istituto Uomo e Ambiente se ne è fatto carico fin dal lontano 1984.    
 
 

martedì 29 ottobre 2019

In ricordo di un amico che scompare

                                      Infinito olio su tela 2008

 

Gaspare Lo Buglio era poco più che un ragazzo quando partecipò alla fondazione dell’Istituto Uomo e Ambiente nel 1984. Era un giovane architetto che veniva da Palermo e ci eravamo conosciuti all’Ipsia di Lissone dove insegnavamo, lui si infervorò subito per le idee che allora andavo mettendo a fuoco in merito alla necessità di rifondare l’architettura su basi ecologiche, partecipò dunque all’atto costitutivo dell’associazione. Successivamente, non ricordo i motivi, ci perdemmo di vista fin quando una decina d’anni fa si presentò ad uno dei nostri numerosi convegni in Umanitaria e ricominciò a frequentarci. Da allora è stato socio sostenitore ed ha partecipato alle nostre numerose riunioni. Aveva un grande interesse per Leonardo da Vinci ed era diventato suo profondo studioso e conoscitore. Raccontava di aver scoperto il nome della misteriosa modella per La Gioconda e che ne avrebbe rivelate le prove in una esposizione che stava preparando da lungo tempo. Lo andai a trovare dove abitava  solo in modo molto spartano per scoprire i suoi segreti ma era piuttosto riservato. Scoprimmo che amava una gattina che gli faceva compagnia nel suo soggiorno bohemien. Lo scorso anno lo invitai a tenere una relazione sull'armonia nell'ambito del convegno Sano, bello, felice in architettura. Fu una rivelazione che piacque a tutti per la profondità e la preparazione. Fra l’altro parlò della bellezza come antidoto alla guerra mostrando i dipinti rinascimentali che ritraggono Venere e Marte dopo il coito da cui nacque Armonia e mostrando come Venere riesca a domare Marte. Fu tra i primi a sottoscrivere il nostro  Manifesto sul diritto alla bellezza naturale che presentammo lo scorso autunno. Ora se ne è andato in silenzio a sessantasei anni improvvisamente, e misteriosamente come aveva vissuto, nell'anno delle celebrazioni della ricorrenza della morte del suo Leonardo da Vinci tanto amato lasciandoci un po’ tutti sgomenti e un po’ tristi per non averlo forse pienamente compreso.  

mercoledì 9 ottobre 2019

Della Bellezza






Risultati immagini per ingres
Auguste Ingres L'odalisca




Della Bellezza.
di Federico Bock
 Estratto da due moduli di lezione all'Umanitaria sul tema "Bellezza e Mito", nell'ambito di un convegno organizzato da Uomo e Ambiente.
Aforismi (e considerazioni) sulla “bellezza”
-1- “Se si priva il mondo della bellezza, non c’è rimedio all’umiliazione. Ma è difficile che ci sia bellezza nel mondo senza solidarietà per gli umiliati”, (Zygmunt Bauman, Il disagio della postmodernità, Laterza, Bari-Roma 2018, 340).
-2- “E’ una certezza strana e insopportabile sapere che la bellezza monumentale presuppone sempre una schiavitù ed è tuttavia bellezza, e che non si può non volere la bellezza e non si può volere la schiavitù, la quale rimane comunque inaccettabile. Forse è per questo che io pongo al di sopra di tutto la bellezza di un paesaggio che non è pagata con nessuna ingiustizia e dove il mio cuore è libero” (Albert Camus, Taccuini 1951-59, Bompiani, Milano 1992, 138).
 Esiste anche la bellezza delle strutture tecniche, esiste anche la bellezza del prodotto tecnicamente riuscito. In esso si manifesta una funzionalità che fa avvertire una necessità naturale, come forma pura dell’opera umana, che si riconosce pure nella struttura dell’organismo di animali e piante. E’ la bellezza dell’oggetto funzionale, esempio di forme predeterminate ed eterne (Karl Jaspers, Origine e senso della storia, Mimesis 2014, 153.
-4- La bellezza è concretamente giovevole, considerazione utilitaristica – questa – ma non meno plausibile alla luce delle intuizioni dei grandi letterati, da Dostoevskij (“la bellezza salverà il mondo”) a Leopardi, che nello Zibaldone (1666) fa una affermazione a proposito della musica, ma subito vòlta in direzione del “bello” in genere: “…Tanto è vero che il di lei (della musica: n.d.r.) singolare effetto non deriva dall’armonia in quanto armonia, ma da cagioni estranee alla essenza dell’armonia, e quindi alla teoria della convenienza e del bello (sottolineatura d.r.).
Come dire, accostando “convenienza” e “bello”, che il bello è conveniente rispetto al non-bello, il bello è utilitaristico, dà giovamento, ciò che riprova la giustezza del pensiero di Jaspers sopra riportato.
-5- “Bellezza” è un termine universalmente usato per designare il corrispondente “concetto”. Ma la difficoltà sta nell’individuare l’essenza, l’ontologia, l’essere (e non il dover-essere e neppure l’“esserci”) della bellezza. Altrimenti, ci s’impantana nelle infinite applicazioni del concetto di bellezza, nel relativismo più sfrenato, tipo: “non è bello quel che è bello, è bello quel che piace”.
Invece bisogna andare oltre il concetto di bellezza, per esplorare il quale basta consultare un buon dizionario (qualità di ciò che è bello, valore estetico delle cose). No, io voglio conoscere cosa è la bellezza, non il concetto della bellezza nei suoi molteplici contenuti, non voglio correre il rischio di banalizzare la bellezza con il “bello” e con il “mi piace”: la bellezza non è il “bello” e non è il “mi piace”.
-6- Il problema si presenta per ogni terminologia, che abbia la pretesa di racchiudere il senso dell’operare umano: termini come “bellezza”, “libertà”, “verità”, ad esempio, sarebbe quindi ridicolo ridurli tautologicamente a “bello”, “libero”, “vero”, o a farne una indefinita e poco plausibile casistica. Io credo che ci sia una sola bellezza, come c’è una sola libertà, come c’è una sola verità. Dove e come scovarle?
-7- Scovare, dunque, la bellezza.
Plutarco dice che nel tempio dedicato a Iside, a Sais, in Egitto, c’è un’iscrizione di fronte alla quale si sono inchinati i grandi del pensiero (Goethe, Schiller, Kant, Novalis):
- “Quid fuit, est, erit, ego sum, peplumque meum nemo submovit” (“Io sono tutto ciò che fu, che è, che sarà, e nessun mortale ha mai sollevato il mio velo”).
Ma non è forse, questo, l’emblema della bellezza? Allora la bellezza diviene l’aspirazione a sollevare il velo di Iside, diviene lo “streben”, la curiosità a (cercare di) perseguirla, come non dissimilmente avviene per altri termini delineanti l’operare dell’uomo, quali – dicevamo – la giustizia, la verità, la libertà.
Bellezza, dunque, è già la curiosità della bellezza, curiosità inappagabile, irraggiungibile, inarrestabile.
-8- Ma la curiosità della bellezza, per conseguire il proprio risultato, cioè per (cercare di) scovare la bellezza, richiede studio, applicazione, richiede assuefazione, abitudine, tutti aspetti – questi – che poco hanno a che vedere con la fretta.
Viene in mente il motto latino festina lente (affrettati lentamente), che Svetonio mette in bocca ad Augusto, oppure il mio motto “chi ha fretta ha sempre torto, chi ha torto ha sempre fretta”.
C’è un poeta francese, Valery, che ha teorizzato l’elogio della lentezza, che teme la fretta e la concitazione, che aborrisce la frenesia conseguente alla perdita di sensibilità del moto senza tregua. Valery è atterrito, più che dal vuoto, dal movimento infinito e senza senso che incontra ad ogni piè sospinto, e fa suo il frammento di Blaise Pascal “il silenzio eterno di questo spazio infinito mi spaventa”.
Lasciarsi spaventare dall’infinito, questo è “bellezza”. Anche se lo stesso Leopardi, che pure all’infinito ha dedicato una composizione, dubita che l’infinito sia veramente infinito, o non piuttosto “finito” anch’esso, dubbio cui la scienza non ha saputo finora rispondere.
Valery ritiene il progresso e la morte inestricabilmente connessi.
Sembra anticipare Adorno, quando questi afferma, nei Minima Moralia, che l’atteggiamento a-storico nei confronti della velocità del cambiamento si accompagna alla consapevolezza della sicura caducità del mondo.
Ma la caducità del mondo non è forse ancora una volta ciò che è nascosto sotto il velo di Iside? La caducità del mondo non può essere, forse, l’esserci heideggeriano della bellezza, il cui velo nessuno mai è riuscito a sollevare, ma tutti fra i dotati di cuore cercano pervicacemente di fare?
-9- Cambiando civiltà, nella Cina imperiale del XVIII secolo, l’eminente monaco e pittore Shitao scrive, nei Discorsi sulla pittura (Jouvence, Milano 2014, 38), “…Trasformazione è vita, e vita è trasformazione. La pittura non fa altro che offrire allo sguardo questa verità, metterla in forma visibile, o meglio rilanciarla nel suo aspetto di visibilità. Ciò che è male, ciò che è da evitare, secondo questa linea interpretativa del reale, è la stasi, il blocco. Cercare di fissare il reale, pensare di volerlo rendere stabile, immutabile: questo è l’errore, e il carattere che rende morto, sterile un dipinto.”
Siamo ancora al velo di Iside, e si noti che in tutto il suo scritto non una volta Shitao menziona il termine “bellezza”, che pure muove tutta la sua arte in una curiosità e tensione (“streben”) che lui stesso ben teorizza.
-10- Bellezza è femmina.
La “bellezza” non è il “bello”, che è soltanto suo attributo.
“Bellezza” (femminile) e “bello” (maschile).
Schönheit (femminile) e Schöne (neutro).
Beauté (femminile) e beau (maschile).
Beauty (femminile) e beauty (maschile).
Belleza (femminile) e hermoso (maschile).
Beleza (femminile) e belo (maschile).
-11- Concludo con Baudalaire (Inno alla bellezza), che è andato molto vicino all’iscrizione di Iside:
“Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso
Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale,
dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine,
ed in questo puoi essere paragonata al vino,,,”.
E più avanti:
“Esci dal nero baratro o discendi dagli astri?
Il destino irretito segue la tua gonna
come un cane; semini a caso gioia e disastri,
e governi ogni cosa e di nulla rispondi.”
Direi che questa lirica è proprio paradigmatica dell’iscrizione di Iside a Sais: io fui, io sono, io sarò, nessun essere umano ha mai sollevato il mio 


lunedì 8 aprile 2019

Master di ecologia e bellezza





Master sulla bellezza
Quattro  moduli di sei ore e un modulo di quattro ore in cinque giornate venerdi e sabato di due fine settimana e un sabato. Costo di iscrizione 250 euro.

I cinque moduli  tratteranno: filosofia,  natura,  arte, architettura.

1)     Venerdi, filosofia. 6 ore
Mattino
Presentazione del corso
2 ore La crisi della bellezza Davide Gravellini
2ore  Mito e bellezza Federico Bock e Giuseppe Conte
Pomeriggio
2 ore La ricerca dell’armonia Gaspare Lo Buglio

2)     Sabato, natura. 6 ore
Mattino
2 ore Forma e funzione nella natura Enrico Banfi
2 ore Arte e natura Elisabetta Pozzetti
Pomeriggio
2 ore Mitologia degli alberi Oliviero Tomasoni

3)     Venerdi, le arti. 6 ore
Mattino
2 ore Salvezza e caduta dell’arte moderna M. Spada
2 ore                                                     Alzek Michef  
Pomeriggio
2 ore Musica e Architettura, Giuseppe Belluardo

4)     Sabato, architettura. 6 ore
Mattino
2 ore Bellezza in architettura, Franco Purini
2 ore                                     Renzo Salmoiraghi
Pomeriggio
2 ore    L’altro architetto, commenti e dialoghi Maurizio Spada                                  
Fabrizio Patriarca


5)     Sabato mattina 2 ore Impresa  bellezza e produzione
Fabectum e consorzi imprese               
2 ore  Amministrazione pubblica e bellezza
Lidia Arduino vicesindaco di Cusano Milanino e architetto

Lo stage prevede 20 crediti formativi agli architetti rilasciati dall’Ordine di Milano e partirà dal 4 ottobre al raggiungimento del numero minimo di venti iscritti.
E’ necessaria una prenotazione con una e-mail a direttore@uomoeambiente.org, l’Iscrizione vera e propria sarà eseguita presso la Società Umanitaria di Milano sede del corso



martedì 19 marzo 2019

Gropius e il Bauhaus, cento anni di storia.

                                              Battello in partenza, acquerello su carta



Quest’anno ricorre il centenario della nascita del Bauhaus. Voglio quindi mettere insieme alcune riflessioni su questa scuola di arti e mestieri che ha influenzato  l’arte e l’architettura del XX secolo. Nel 1976, fresco di laurea e molto confuso sul mio futuro professionale, nella biblioteca di mio suocero ereditata da mia moglie trovai il libro di Walter Gropius dal titolo Architettura Integrata, fu per me una illuminazione perché tratteggiava la figura di architetto educatore e la sua funzione nella società moderna.  Per quel che mi è stato possibile ho cercato di seguirlo: prima in una scuola professionale del mobile e dell’arredamento, l’Ipsia di Lissone e poi con la fondazione dell’Istituto Uomo e Ambiente e l’organizzazione dei suoi corsi.  Nel 1919 tuttavia le problematiche che doveva affrontare l’architettura erano  piuttosto diverse rispetto ad oggi, in primis si doveva trovare un accordo tra arte, artigianato e le macchine. L’industria richiedeva un nuovo plasticismo, una nuova estetica adatta ai “moderni mezzi di produzione”in un periodo in cui la cultura occidentale confidava molto nella tecnica e nel suo futuro radioso. Tanto è vero che gli emblemi del Bauhaus sono i dipinti di Piet Mondrian o le poltrone in tubolare d’acciaio di Breuer.  Per quanto riguarda l’architettura lo stesso edificio di Dessau progettato da Gropius ne è l’icona: finestre a nastro, pareti lisce e bianche, tetti piani, ovvero tutte le caratteristiche poi prescritte dai teorici del razionalismo.  Certo una rivoluzione rispetto all’architettura neoclassica o eclettica allora imperante ed ancora oggi subiamo il fascino di quelle forme geometriche. Anche in Italia queste teorie hanno attecchito con  ritardo, basti pensare alla casa del fascio di Terragni a Como fino ad arrivare alla parte nuova della Società Umanitaria a Milano che piuttosto tardi, nel 1956, voleva imitare l’edificio di Gropius. Negli anni però il suo messaggio  si è degradato e la semplificazione funzionale è diventata trascuratezza coprendo, con  gli assunti teorici del funzionalismo,  le esigenze della speculazione edilizia soprattutto nel dopoguerra. Come spesso succede gli epigoni hanno quasi sempre travisato, per interesse, il dettato razionalistico e con il bum economico questo vizio si è moltiplicato a dismisura. La generazione di architetti che ci ha preceduto era cosi inebriata di questi concetti tanto da bandire il fine della bellezza, considerandola una cosa superata. Oggi il panorama culturale è tendenzialmente cambiato, anzi direi che si è ribaltato. La tecnica che si è sviluppata in modo esponenziale ha prodotto essa stessa le condizioni per mettere in crisi quei dettami: non è più considerata la panacea di tutti i mali dell’umanità, come ingenuamente credevano i futuristi di allora, ma essa stessa viene considerata un pericolo per la vita  del pianeta, se usata male. Dunque l’architetto seguendo i suggerimenti dello stesso Gropius dovrebbe prenderne atto. Infatti è nata proprio su queste nuove istanze legate all’ecologia la bioarchitettura o l’architettura ecologica che, sorta in primis proprio nella patria del Bauhaus, utilizza elementi naturali che erano stati banditi e la stessa decorazione non ha più necessità di sottostare al dictat di Loos:”Il meno è il più”. L’architetto dunque proprio seguendo il modello descritto in Architettura Integrata dovrebbe farsi carico della responsabilità di un ambiente più a misura della vita e tornare alla ricerca della bellezza come fine ultimo del fare umano.

Per questo motivo l’Istituto organizza quest’anno un master sulla bellezza http://www.uomoeambiente.org 


domenica 26 agosto 2018

Il ponte maledetto




                
Che orribile tragedia il crollo del ponte Morandi sul Polcevera a Genova ! Si rimane esterefatti di fronte alle immagini diffuse dai media ed emergono dal nostro animo emozioni confuse di pietà, rabbia e paura che ci costringono a riflettere sull’accaduto e sulle sue cause. Secondo dati recenti più del 60% dei ponti costruiti in Italia dagli anni cinquanta ai settanta sono a rischio cedimento. Cinque sono crollati negli ultimi due anni. In questo caso il destino beffardo ha fatto cadere proprio un simbolo della tecnica e della modernità di quando l’idea di progresso era diventata un’incontrastata guida in ogni ambito del fare e l’ingegneria italiana veniva ammirata in tutto il mondo. Oggi parliamo di mancata manutenzione, di disastro annunciato da molti segnali e questo ci fa ancora più arrabbiare, ci si sente fragili nelle mani di una economia che ha come primo obiettivo lucrare guadagni sempre più alti a scapito della sicurezza e del bene comune. Galli della Loggia sul Corriere si chiedeva dove fosse lo Stato e denunciava in questa scarsa idea di Stato la causa dei mali italiani. Altri commentatori hanno dichiarato che gli italiani sono contrari all’industria e al progresso e quindi hanno favorito i contestatori della Gronda che avrebbe alleggerito il traffico sul ponte maledetto. Personalmente ritengo che questo crollo, come del resto gli altri, sia invece un segnale della debolezza del concetto di progresso che aleggiava intorno alla metà del secolo scorso. Ho già scritto diversi articoli su questo Blog, e nel mio libro L’altro architetto,  di denuncia rispetto a  questa idea di progresso e di economia. Questo ponte crollato ne è l’emblema. Ciò infatti ha a che  fare con il concetto di bellezza mescolata alla volontà di potenza, da questo punto di vista era l’ogoglio di Genova che si paragonava a New York. Questa bellezza però frutto della presuntuosa sfida alle leggi della statica in nome del progresso mi rammentano l’apologo di Dedalo e Icaro. La presunzione e la provocazione sono sentimenti negativi che fanno disastri quando sono applicati all’architettura dei ponti soprattutto se non accompagnati da una manutenzione necessaria. Ma tralasciando l’intento che qualcuno definirebbe moralistico e invece cercando di interpretare la malattia e non solo il sintomo mi riallaccio ad un mio articolo del 2016, a commento  dei 50 anni dalla pubblicaione del libro di Calvino Speculazione edilizia. La cementificazione della Liguria, che lo scrittore denunciava già negli anni 60, è continuata in crescendo e l’hanno chiamata boom economico, questa è la vera causa del crollo del ponte sul Polcevera che simbolicamente ha spezzato in due le Riviere sfigurate da una politica urbanistica improntata alla « deregulation » cui è stato dato il nome di rapallizzazione  a ricordare ciò che è avvenuto nella ridente cittadina ligure.  Cause generali dunque sono state l’aumento del traffico e a monte la scelta di privilegiare il trasporto su gomma anzicchè su rotaia, queste ed altre quisquilie sempre orientate da una economia che  fa il bello e il cattivo tempo in Italia dove la politica è fragile come il ponte e la bellezza è considerata un lusso.

  
       

       

         
  


   
                 


venerdì 29 giugno 2018

Della riapertura dei navigli milanesi




C’è molta polemica sulla riapertura dei navigli. Ciascuno porta buone ragioni per il si o per il no ed è difficile districarsi fra queste opinioni. Alcuni affermano che l’opera sarà costosissima e di questi tempi sarebbe meglio impiegare quei soldi per rigenerare le periferie, altri vedono l’operazione più che altro come una trovata turistica che porta valore solo al centro città, infine altri ancora affermano che avendo fatto un referendum nel 2011,ed avendo avuto circa 500.000 si, bisogna ascoltare i cittadini e mettere mano alla riapertura. Altri, ancora per il si. dicono che l’avvio dei lavori potrebbe costituire una occasione per una presa di coscienza della situazione idraulica milanese per migliorarla. Che dire a fronte di tutte queste belle considerazioni ? Personalmente credo che ve ne sia un’altra a favore del si, che nessuno ha citato per paura di apparire patetico, ed è quella della bellezza. Questo concetto è cambiato  dagli anni venti della chiusura, impregnati di futurismo. I popoli civili hanno sempre aspirato a costruire città belle, anzi erano chiamati civili proprio per questo e la città era bella perchè offriva esempi di cura, attenzione ed amore che creavano luoghi ameni, adatti a starci bene, e questi risultavano da una mescolanza di natura e cultura  frutto della creatività umana. Fra gli elementi naturali l’acqua ha sempre avuto uno spiccato valore simbolico, è fons e origo per citare il filosofo Bachelard, soprattutto dove andava a compensare il prevalere della pietra e del cemento. Il funzionalismo del secolo scorso ha negato questo bisogno privilegiando le esigenze del traffico automobilistico e della speculazione edilizia. Quando frequentavo la facoltà di architettura negli anni sessanta un professorone di progettazione, che in seguito diventò un archistar internazionale, avendo dato come tema una scuola elementare, suggeriva di posizionarla su una piastra di calcestruzzo a cavallo di uno snodo stradale a traffico veloce. Ora questo sembra ridicolo rispetto ai nuovi gusti generati dal pensiero ecologico ma allora sembrava il non plus ultra della modernità e dell’educazione. Dicevo dunque che rispetto agli anni in cui furono coperti i navigli alla « città che sale » si è sostituita la città lenta. Ecco dunque un buon argomento a favore della riapertura poichè credo che sia il segnale di una nuova estetica, soprattutto in una città come Milano che negli anni scorsi ha pesantemente favorito nuovi massicci  interventi  squilibranti come Porta Nuova ed Ex Fiera dove ha trionfato la tecnica globalizzante, distopica e banalizzante. E’ ormai a noi chiaro che la crisi ecologica del mondo moderno sia figlia di una crisi estetica dove il bello è stato sostituito dall’utile e la natura  sfruttata a dismisura.  Per questo motivo bisogna evitare che la riapertura consista nel progettare dei laghetti da cartolina a scopo turistico che contrastano con la tradizione. Cercare l’identità perduta è una operazione delicata che richiede molto studio.

martedì 22 maggio 2018

Bellezza cultura e paesaggio



 
Potremmo partire da un’affermazione di sapore plotiniano su ciò che è brutto e cioè: quello che non viene da noi considerato, guardato, ovvero viene trascurato. Certo, il neoplatonismo non è più di moda, anche se sul concetto di bellezza ha molto indagato e ha fornito diversi spunti agli umanisti del Rinascimento, e non solo, ma  ho parlato di bruttezza. Il problema estetico oggi appare molto complesso. Intanto occorre dire che la cultura, da un punto di vista antropologico, si può definire come una risposta ai bisogni e ai problemi di un determinato popolo, in un dato periodo storico, nel rapporto con il proprio territorio e la natura, ai fini di un miglioramento della qualità della vita: infatti deriva dal latino còlere che significa “coltivare ovvero avere cura del luogo”. Nelle società agricole la cultura era legata alla terra e alle capacità dell’uomo di trarne vantaggi, poi ha acquistato un significato più ampio relativo alla capacità di produrre benessere e felicità. Essendo la bellezza promessa e frutto di felicità  quindi si può anche dire che la cultura avrebbe come compito quello di produrre bellezza. È l’insieme di usi e costumi del vivere in comune che poi si manifestano concretamente nella città. I popoli civili si differenziavano dai barbari proprio perché avevano realizzato magnifiche città. Infatti il termine civile deriva da cives = cittadino. Con la civiltà industriale le città si sganciano dalla dipendenza nei confronti del territorio circostante e quindi dal rapporto profondo, sacro, con esso. Per cui anche la cultura si stacca dal territorio e si identifica con la nazione o la lingua, o peggio la razza. Oggi nella civiltà tecnologica le culture si sono mescolate fino a formare un’unica grande cultura nell’Occidente sviluppato e industrializzato, ma ora anche in Cina e India, che domina il resto del mondo. Questa però, influenzata dagli interessi economici, ha perso ogni contatto con il suo significato profondo originario e qualcuno la definisce più un’incultura, nel senso che non è più orientata alla ricerca della felicità dell’uomo nel suo rapporto con la natura, bensì a dominare quest’ultima e dilapidarla in nome dell’avidità di guadagno. Bene è descritto questo processo in  Il Paradiso Occidente di Stefano Zecchi. Ciò conduce a eccessi nella qualità del vivere che nascono dall’ideologia dello sviluppo illimitato e portano al disagio e all’infelicità.
L’antropologo Marc Augé identifica tre eccessi nel mondo contemporaneo (o “surmodernité” come lo definisce): un eccesso di tempo, un eccesso di spazio e un eccesso di individualismo. Il primo è dovuto all’accelerazione della storia: i media rendono storia eventi che accadono a distanze temporali ravvicinate; il secondo al fatto che avvenimenti in luoghi lontani vengono vissuti come vicini, grazie alla televisione e internet; infine il terzo eccesso è causato dal fatto che sempre più l’individuo è chiamato a vivere la vita e la società in modo individualistico. Il sociologo Zygmunt Bauman definisce questa società senza più appartenenza ed estremamente superficiale “società liquida”: questa ha prodotto l’attuale crisi estetica ed economica dalla quale si potrebbe uscire, secondo lui, solo passando da un modello incentrato sull’individuo a uno che si basi invece su un’esperienza etica ed estetica, privilegiando i rapporti umani e il contesto. La domanda che scaturisce da queste riflessioni sulla cultura dell’Occidente è questa: è possibile parlare di bellezza in questa società? Come si diceva all’inizio essa è il frutto di cura e attenzione e amore il contrario di superficialità e trascuratezza.   Il paesaggio   è la riprova, se ce ne fosse bisogno, della sostanziale  criminosa indifferenza con cui viene deturpato. La risposta dunque che mi do è che non è possibile ma necessario partire dalla bellezza per una inversione di tendenza.  Tutto ci induce a credere infatti che le trasformazioni del paesaggio naturale abbiano conseguenze ben più profonde di quanto non siano quelle, sia pur gravi, della perdita dei riferimenti spaziali o della memoria dei propri antenati. In definitiva per la nostra parte più profonda la montagna viene ad assumere un significato di ascesa verso il divino e un’evoluzione  interiore, le acque per Mircea Eliade sono la vita primigenia, “fons e origo” di tutte le possibiltà esistenziali, il bosco è la vita con tutte le sue luci e ombre, l’albero è l’albero della vita, esprime tutto ciò che l’uomo religioso considera reale e sacro, il cielo esprime sempre il trascendente. I valori simbolici degli elementi naturali dimostrano l’universalità di questo antico linguaggio dell’inconscio e l’interrelazione tra interno ed esterno. Noi abbiamo tolto ogni valore a ciò con grande presunzione creando una mentalità consumista e tecnicista per cui la montagna è un’ accidentalità geologica da perforare, le acque sono degli scarichi naturali, i boschi sono stati tagliati o bruciati. E’ evidente che nella misura in cui abbiamo deturpato e deriso il nostro ambiente naturale abbiamo anche intorbidato il nostro mondo interiore e quindi il nostro equilibrio psicofisico.