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sabato 9 luglio 2016

La sindaca di Roma


                                                   Il risveglio, olio su tela,

Roma ha un nuovo sindaco, una ragazza di 37 anni. Questo fatto potrebbe sembrare un evento positivo per la democrazia e per le aspettative di potere di certo femminismo. Ma occorre fare alcune riflessioni con il rischio di sembrare politicamente scorretti. Mi chiedo: è bene che una giovane donna che fino a ieri aveva un lavoro precario, faceva l’avvocato per il recupero crediti, ricopra la massima carica nella capitale d’Italia? A volte nella vita siamo apparentemente vincenti e ci troviamo in posizioni brillanti e invidiabili ma non sempre questa è una fortuna per la società e per la persona in questione. Spero di essere contraddetto dai fatti e dalle prossime delibere di questa giunta ma il potere richiede capacità, equilibrio e saggezza che normalmente i giovani non hanno, altrimenti puo far male. Non esiste una scuola che te lo insegni, in democrazia chiunque puo’ teoricamente ricoprire alte cariche soprattutto attraverso il consenso generato dai mas media. Vi è sulla stampa un plauso generale a che dei giovani siano saliti al potere ma personalmente non lo condivido. Leggo nei resoconti giornalistici che una delle novità della politica italiana sarebbe quello di avere dei trenta -quarantenni al potere e che sarebbe da considerarsi segno di cambiamento in positivo. Non sono d'accordo con questa interpretazione. La giovinezza in se non è una virtù. Abbiamo avuto anche in passato politici molto giovani che hanno lasciato un pessimo esempio di gestione del potere. Alcuni sono stati presi letteralmente con le mani nel sacco. A dire il vero il sessantotto, nonostante sia stato una rivolta giovanile, non ha lasciato nulla nell'etica della gestione della cosa pubblica se non l'aspirazione a sgomitare per restare in posti di rilievo il più a lungo possibile. In verità più un politico è giovane e più ci si chiede come abbia fatto ad accedere ad alte cariche a quell'età se non con mezzi di dubbia natura.  Certo un segnale positivo sta nel fatto che almeno è in atto un ricambio generazionale e che certe facce non le vedremo più tanto spesso in televisione ma non è questo il punto e non è certo questo che ci garantirà una vita migliore. Dunque non è di giovani rampanti che ha bisogno la nostra politica e la nostra società. Il giovanilismo è un atteggiamento molto pericoloso, era molto presente nel fascismo e nel nazismo dove veniva esaltata la giovinezza come "primavera di bellezza". Tutte le rivolte che hanno portato a involuzioni verso regimi totalitari sono state effettuate da giovani ambiziosi e assolutisti. Non si tratta quindi di un fatto positivo in se  che dei giovani salgano al governo della Repubblica quando altri coetanei sono senza lavoro. Non è una questione di età o di sesso il buon uso del potere per il bene comune, anzi è proprio dove manca la democrazia che assistiamo a governanti fanciulli: nelle monarchie di un tempo gli eredi al trono potevano essere anche dei minori. In una democrazia matura invece la scelta dei rappresentanti dovrebbe essere motivata da esperienza e merito. Altrimenti si cade nella demagogia dove le scelte sono determinate dalle emozioni e dalle suggestioni generate da chi riesce a intercettare l'umore del momento ed interpreta l'esigenza di una figura apparentemente forte che prometta cose impossibili.

Quello che noi auspichiamo invece  è che la crisi abbia insegnato che nell'economia e nella politica, ovvero nel sistema di poteri ad esse relativo, si debba inserire più creatività, nell'accezione che qui, in questo blog, ne abbiamo data, e non è detto che i giovani siano più creativi. Ciò vuol dire che la società deve permettere l'emergere dei veri talenti e delle forze che possano contribuire ad una maggiore giustizia sociale. Per raggiungere questo obiettivo è necessaria una nuova mobilità nella distribuzione dei poteri, che venga dunque abbandonato il familismo amorale, come viene definito all'estero il costume italiano di accesso ai privilegi, e che la società guarisca dalla nevrosi del potere, come volontà di potenza senza sentimento sociale. Questo sicuramente renderebbe la vita più bella, libera e degna di essere vissuta. I modelli dunque non sono da ricercare tra i giovani rampanti ma tra gli uomini di una certa età che hanno speso la vita per un obiettivo valido, gli esempi non mancano, da Papa Bergoglio a Mandela, ma la difficoltà sta nel seguire il loro esempio senza lasciarsi smarrire dalle sirene del potere a tutti i costi. 






venerdì 27 maggio 2016

Delle elezioni del sindaco di Milano

                                                 Giardini Montanelli, acquarello su carta

Sono prossime le votazioni per la scelta del sindaco a Milano. Come sempre succede ad ogni tornata elettorale si sprecano le ipotesi di vittoria. Vincerà il centrodestra o il centrosinistra? Ormai nessuno vuol più essere semplicemente o di destra o di sinistra. A parte la discutibile diversità fra le due coalizioni che, stando alla tradizione, dovrebbero portare al potere  nel primo caso il  cosidetto padronato, cioè chi il potere lo ha già, e nel secondo i diseredati e chi li rappresenta, pare che ciascuno accampi il diritto di ergersi a paladino del popolo. Le due anime si sono ormai confuse nell’aspirazione al potere tout court, anche perchè a ben dire, a parte la sinistra di Rizzo, anche la coalizione di centrosinistra  è formata dalla borghesia milanese più o meno illuminata e dai suoi managers. Quale differenza dunque sussiste tra uno schieramento e l’altro?  Si dice che bisogna guardare i programmi. Ma i programmi si somigliano: tutti vogliono mostrare di tenerci a risolvere i problemi dei cittadini, tutti i problemi e rendere gli elettori più felici. Vota per me e ti faro’ felice, potrebbe essere lo slogan di destra e di sinistra. Ma come? Più sicurezza, meno tasse, più assistenza, più lavoro, più...più di tutto insomma. Ambedue affermano di voler risanare le periferie, ognuno vuole più verde e meno traffico, tutti esibiscono onestà e coerenza. Ma di  queste promesse c’è possibilità che qualcosa si realizzi al di là delle parole? L’amministrazione uscente quando ha vinto le elezioni nel 2011ha festeggiato con musiche, peana e biciclettate, sembrava che più che elezioni democratiche avesse vinto una guerra  e fosse giunta l’ora della liberazione da un regime oppressivo durato un ventennio, ma alla fine ha deluso la maggior parte delle aspettative. A proposito ma la vogliamo finire di festeggiare una elezione come se fosse una partita di calcio vinta? Non vi è nulla da festeggiare ma da rimboccarsi le maniche, cioè prendere coscienza del lavoro da compiere per il benessere della comunità e lavorare di conseguenza tenendo presente le difficoltà che questo comporta. In primis non bisogna sottovalutare il sistema burocratico che ingabbia le innovazioni per sua natura essendo conservativo. Una riforma della burocrazia non sarebbe male, sia che venga da destra che da sinistra. L’amministrazione Pisapia ha dato l’impressione di schierarsi più dalla parte dei potenti che non dei cittadini comuni, si è vantata di cose decise e iniziate da altri, Expo, Porta Nuova, eventi vari della Moda, M4 e cosi via fallendo miseramente sulla tanto millantata partecipazione a causa di una comunicazione spesso arrogante e spocchiosa. Del resto uno dei suoi assessori più quotati si è dimesso. In buona sostanza ha dato l’impressione irritante del “ siamo bravi solo noi perchè siamo noi”, soprattutto da parte di assessori troppo giovani ed inesperti scelti con logiche dubbie. In sintesi, a parte i programmi corposi, che pero’ poi camminano con le gambe degli uomini, occorre più consapevolezza e senso di responsabilità  di chi “vince” le elezioni, altro che canti e festeggiamenti per l’assunzione del Potere. Serve più umiltà e senso estetico, il bello come buono, vero e giusto, ricordando con Stendhal che la bellezza è promessa di felicità.