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lunedì 2 giugno 2014

La beffa di Livorno

Sono passati trent'anni dalla famosa beffa dei falsi Modigliani ma pare che l'etablissement dell'arte occidentale contemporanea non abbia imparato nulla dalla lezione, anzi addirittura si pensa di organizzare una mostra con i falsi che sicuramente richiameranno un vasto pubblico. Vale a dire non importa se quello era uno scherzo poichè ne ha parlato tutto il mondo il valore di quei sassi è diventato la loro capacità di attrazione che si traduce anche in denaro. La storia è questa per chi non la coscesse. Tre giovani studenti, appena usciti dalla maturità liceale, osservavano da un ponte le ricerche di una scavatrice in un canale di Livorno perchè qualche storico aveva messo in giro la voce che il bel Modì prima di trasferirsi definitivamente a Parigi, dove morì, lasciò la sua città arrabbiato contro di essa e gettò furente delle sue sculture in un fosso. Da qui le ricerche. I tre ragazzi si divertivano a veder tirar su di tutto tranne che le sculture e pervasi di spiritaccio toscano organizzarono la beffa mentre anche un altro "artista" si cimentava in ben due falsi. La sera buttarono in acqua ciascuno il proprio capolavoro gli uni all'insaputa dell'altro. Il mattino dopo ecco che nel tripudio generale la scavatrice trova  le tre teste di pietra. I media i tutto il mondo ne parlano, grandi critici dell'epoca, da Argan a Ragghianti, ci cascano. E sì che Argan aveva scritto Salvezza e caduta dell'arte moderna. Si organizza una mostra, si trovano i soldi, che solitamente per la cultura non si trovano mai, per un catalogo di lusso. Quando i ragazzi confessano ai giornali lo scherzo non gli credono, devono andare in televisione e far vedere come hanno fatto. La curatrice ha un malore. Il mondo del'arte è scosso. Una cultura sana avrebbe reagito rimettendo in discussione alcuni  dei pilastri dell'arte contemporanea: ad esempio il culto dell'avanguardismo e della provocazione, della originalità e della personalità, invece nulla. Ancora oggi si ride della beffa ma il nostro mondo consumista,in verità  del culto del denaro, ha metabolizzato anche questo, anzi come per la Merda d'artista ci saranno sicuramente  dei collezionisti che vorranno appropriarsi di questi falsi e qualcuno dirà che valgono perchè realizzati con intenzione artistica
                                                    Il risveglio, olio su tela cm. 50x70

venerdì 16 agosto 2013

Delenda ars



Ho visitato le Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo a Milano e ne sono riemerso con la convinzione sempre più radicata che gli anni sessanta del secolo scorso segnino una sorta di degenerazione annunciata dell’arte. Confrontati con la pittura dell’ottocento e del primo novecento ci si chiede come è stata possibile una tale debacle che viene chiamata con vari appellativi suggeriti dai critici nel tentativo di sublimare una esasperata tendenza alla distruttività. La chiamavano avanguardia come se il futuro dell’arte fosse alla fine la negazione dell’arte stessa nel concettuale. Ora nelle ultime  tendenze si puo notare timidi ritorni al rapporto con la creatività della natura. Forse é il pensiero ecologico che ci salva.
A pensarci bene non esistono culture nel passato che avevano la pretesa di essere avanti e basta, nel futuro addirittura. Oggi ben lungi dal rivedere questo atteggiamento siamo aldilà dell’avanguardia, in questa corsa qualcuno dice sempre di essere più in là, cosi l’elemento provocatorio e innovativo ha sempre la meglio. E’ la concezione dell’arte che deve modificarsi: se ne accettiamo la definizione come la capacità di scoprire la dimensione magica della vita tutto cambia, non c’è un prima e un dopo. Nel passato nessuno era cosi’ presuntuoso, nè mai avrebbe osato affermare di essere sradicato dalla tradizione. Dalla concezione avanguardista moderna discendono tutte le degenerazioni degli artisti maledetti che pur di essere avanti perdono di vista la funzione dell’arte e dell’artista di ricondurre al nocciolo religioso e transpersonale in noi. E allora si parla di morte dell’arte come se fosse una funzione intercambiabile ma non è l’arte che è morta sono coloro che hanno perso il rispetto per la vita. L’arte invece, fin dalle origini, non è una funzione della vita ma la dimensione sacra di essa.
L’arte per i Greci era la teknè ovvero la capacità tecnica dell’artigiano di lavorare la materia sua propria, lo scultore il marmo e il bronzo, il pittore i pigmenti dei colori e cosi via: un insieme di regole che ordinavano un’attività umana tesa ad un risultato migliorativo della natura.  Aristotele affermava che finalità delle regole (etica) era la felicità. Per i Greci questa la si raggiungeva con l’eudemonia, un sogno estetico fatto di conoscenza dei propri bisogni e di dominio delle passioni, armonia che coincide con bellezza. Dunque il fine della teknè era la bellezza. L’arte gareggiava con la natura in estetica, anzi era superamento della natura determinato da una conoscenza approfondita di essa che, benchè piena di accidenti faceva intravedere il mondo perfetto delle idee nella concezione platonica.  E’ cosi che i Greci ad esempio scoprirono la sezione aurea, una legge naturale di sviluppo e accrescimento del vivente che essi utilizzarono nelle loro opere pensando di avere scoperto una regola di bellezza universale. Questa concezione dell’arte duro’ diversi secoli e cioè fino a quando nel XVIII° secolo essa si lega al gusto e diventa soggettiva. Agli inizi del XIX secolo il filosofo romantico Federich Schiller afferma essere l’arte attività che crea da se le sue regole per distinguerla dalla scienza che invece segue regole determinate e necessarie. Questo ha fatto si che si potesse affermare che ciascuno poteva fare quello che voleva e se, per un certo verso, cio’ ha liberato da certe dipendenze e rigidità della tradizione classicista per un altro verso ha dato l’avvio al disimpegno sociale dell’arte e all’arbitrio individualista più sfrenato dove viene valorizzato l’elemento innovativo e provocatorio in sè, ogni sorta di pulsione inconscia senza alcuna finalità se non quella di scandalizzare. Il Romanticismo poi, valorizzando le passioni e i sentimenti, pur liberando la fantasia, ha dato i presupposti per quelle degenerazioni che oggi sono sotto gli occhi di tutti e che si possono ammirare anche alla suddetta esposizione. Se nel campo della pittura e della scultura tutto questo, rafforzato dallo spirito dionisiaco e dalla volontà di potenza, ha avuto come conseguenza solo la riduzione dell’arte a fenomeno da psichiatria con le sue esibizioni di disagi interiori, nell’architettura invece ha inciso sull’aspetto della città e quindi sulla qualità della vita.
L’arte nell’ultimo secolo si è snaturata e il verbo non è usato a caso perchè ha cessato di essere in relazione con la natura, nel senso di un suo miglioramento a fini benefici per l’uomo.
Allora tutta l’arte contemporanea è da buttare? Certo che no, solo certa presunta tenendo presente la personalità dell’artista e la sua identità nel mondo di oggi dominato dai media e dal denaro. A volte è difficfile distinguere il folle dall’artista geniale perchè ambedue superano il mondo ordinario e sono ai confini della coscienza ma il primo si distingue per la presunzione e la violenza, il secondo per l’umiltà e la semplicità. Il primo si identifica con il proprio ego e pensa di essere un dio, il secondo si identifica con il Se e sa che non ha alcun merito in quello che riesce a fare ma lo fa perchè è il compito del proprio destino e cio’ gli dà felicità e unificazione. Ambedue nuotano nel mare dell’essere: il primo annega per presunzione, il secondo sa nuotare. Il filosofo russo Pavel Florenski, morto nei gulag stalinisti nel 1941, al proposito affermava che il primo sale al mondo invisibile e si porta dietro tutti i suoi fantasmi egocentrici perdendosi e credendo di essere un ispirato, il secondo sale al mondo ultrasensibile con umiltà, nudo, e ne ridiscende portandosi dietro le cose ineffabili di quel mondo.   Questa dovrebbe essere la discriminante per tenere o per buttare l’arte, dagli anni sessanta in poi, ma non è facile distinguere il vero dal falso in un ambito dove questa è stata finanziarizzata e a volte risulta solo essere un segno che pero’ vale denaro.