Ho condiviso il video
di L’arte di guardare l’arte sulla Pietà di Michelangelo, quella che sta in S.
Pietro a Roma. Questo video ha avuto più di 150.000 visualizzazioni ed è stato
condiviso più di 100 volte. Credo che sia un segnale da non sottovalutare.
Hilmann affermava che il Novecento ha
effettuata una rimozione : il bisogno di bellezza. Sono d’accordo ma questo
concetto richiede sempre una ridefinizione ogni volta che se ne parla,
purtuttavia una scultura come questa, capace di emozionare e di condurre al
trascendente non ha bisogno di tante parole, parla da sola, è una meditazione
marmorea. Florenski, che non amava molto il rinascimento, affermava che vi sono
due modi di rapportarsi al mondo: quello contemplativo creativo e quello rapace
meccanico. In tutto il Novecento,
soprattutto la seconda metà, ha prevalso il secondo. Questo successo della
Pietà è la compensazione, esso ha due sorgenti intreriori alla nostra umanità.
La prima viene dalla natura di cui facciamo parte, siamo orientati alla ricerca
della bellezza come nocciolo di verità
che sta in noi di natura estetica e sacra. La seconda dalla religiosità che
anch’essa, essendo nella sua essenza una tendenza naturale all’armonia e all’unità, il latino religo da cui deriva significa lego insieme, ci porta a guardare la natura nel suo lato
benedetto, cioè creativo e unificante. Questo connubio dunque di arte, natura e
religiosità conduce al capolavoro ammirato da tutti. E’ vero che il Rinascimento, con il suo
Umanesimo, tende a dare più che altro una visione antropocentrica e
scenografica del mondo ma pur sempre denota attenzione e rispetto ad una Natura
Naturans concepita come creazione che continua a creare. Michelangelo per la
cultura dell’epoca è il punto di arrivo di una ricerca che parte dalla Grecia
per trovare nella natura il bello ideale. Quest’ultimo si realizza con la
venuta del Salvatore che condensa i tre attributi divini: bonum, verum et pulcrum. Non a caso
il nostro artista, faceva parte, soprattutto in gioventù, tempo al quale si fa
risalire la realizzazione di questa Pietà, del circolo neoplatonico fiorentino
fondato da Cosimo De Medici con i principali filosofi e artisti dell’epoca come
Poliziano, Pico della Mirandola, Botticelli, Lorenzo De Medici e altri. La
teoria neoplatonica, che andava bene
alla classe dirigente dell’epoca, da una
parte esaltava la natura nelle doti naturali del potente signore dall’altra
ne provocava un certo svilimento in quanto decretava che essa, benchè unico mezzo per il
raggiungimento del mondo delle idee, era intrisa di imperfezioni (accidenti)
che l’artista aveva il compito di cancellare. Questo idealismo faceva anche
della scienza, al suo sorgere, uno strumento per comprendere la bellezza del
creato rendendola funzionale a questa
ricerca. Comunque fu il Cattolicesimo innestato di pensiero greco a ispirare questo capolavoro e la convinzione
di poter raggiungere la bellezza universale. Si potrebbe dire che la
presenza in Italia di una tradizione
pagana che vedeva nella dea Venere il culmine della bellezza femminile permise
ai nostri artisti di trasferirla sulla madre di Cristo, Basti pensare a quanta
devozione riscuoteva la Madonna anche
dai massimi poeti Dante e Petrarca. Dunque questo naturalismo rinascimentale in
qualche misura fu sostenuto anche dalla presenza di questo elemento femminile
impresso nella teologia. Tutto cambio’
con la Riforma che lo annullo’ per concepire un’idea di Dio solo al maschile
che non aveva certo bisogno di arte ed
emozioni per svelarsi ma semmai di successi commerciali e militari. Questa scelta di genere anche a livello
spirituale porto’ al res cogitans e res extensa di cartesiana memoria che
completo’ la svalutazione della natura e diede l’avvio al suo sfruttamento. Si
potrebbe dire quindi che il culto della Madonna ha protetto il rispetto per la vita e il
naturalismo artistico permettendo la realizzazione di capolavori che ancora ci
emozionano. Questo per dire cosa, direte
voi. Per dire che oggi necessita una
nuova estetica che valorizzi più che mai la natura facendo tesoro anche della
nostra tradizione religiosa che è stata in grado di influenzare l’arte di artisti
eccelsi come Michelangelo. Un commentatore su Facebook mi ha messo come
commento alla Pietà: Meglio un albero. Rispondo che ho il massimo rispetto per
gli alberi e sono d’accordo sul fatto che l’albero sia un essere vivente ma la bellezza è figlia della creatività e quanto
a questo natura e arte sono sullo stesso piano, la prima perchè produce vita e
la seconda perchè ne fa intravedere il trascendente se sa interpretarla senza
allontanarsene presuntuosamente.
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sabato 5 agosto 2017
La Pietà di Michelangelo
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venerdì 16 agosto 2013
Delenda ars
Ho
visitato le Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo a Milano e ne sono
riemerso con la convinzione sempre più radicata che gli anni sessanta del
secolo scorso segnino una sorta di degenerazione annunciata dell’arte. Confrontati
con la pittura dell’ottocento e del primo novecento ci si chiede come è stata
possibile una tale debacle che viene chiamata con vari appellativi suggeriti
dai critici nel tentativo di sublimare una esasperata tendenza alla
distruttività. La chiamavano avanguardia come se il futuro dell’arte fosse alla
fine la negazione dell’arte stessa nel concettuale. Ora nelle ultime tendenze si puo notare timidi ritorni al
rapporto con la creatività della natura. Forse é il pensiero ecologico che ci
salva.
A
pensarci bene non esistono culture nel passato che avevano la pretesa di essere
avanti e basta, nel futuro addirittura. Oggi ben lungi dal rivedere questo
atteggiamento siamo aldilà dell’avanguardia, in questa corsa qualcuno dice
sempre di essere più in là, cosi l’elemento provocatorio e innovativo ha sempre
la meglio. E’ la concezione dell’arte che deve modificarsi: se ne accettiamo la
definizione come la capacità di scoprire la dimensione magica della vita tutto
cambia, non c’è un prima e un dopo. Nel passato nessuno era cosi’ presuntuoso,
nè mai avrebbe osato affermare di essere sradicato dalla tradizione. Dalla
concezione avanguardista moderna discendono tutte le degenerazioni degli
artisti maledetti che pur di essere avanti perdono di vista la funzione
dell’arte e dell’artista di ricondurre al nocciolo religioso e transpersonale
in noi. E allora si parla di morte dell’arte come se fosse una funzione
intercambiabile ma non è l’arte che è morta sono coloro che hanno perso il
rispetto per la vita. L’arte invece, fin dalle origini, non è una funzione
della vita ma la dimensione sacra di essa.
L’arte
per i Greci era la teknè ovvero la capacità tecnica dell’artigiano di lavorare
la materia sua propria, lo scultore il marmo e il bronzo, il pittore i pigmenti
dei colori e cosi via: un insieme di regole che ordinavano un’attività umana
tesa ad un risultato migliorativo della natura.
Aristotele affermava che finalità delle regole (etica) era la felicità.
Per i Greci questa la si raggiungeva con l’eudemonia, un sogno estetico fatto
di conoscenza dei propri bisogni e di dominio delle passioni, armonia che
coincide con bellezza. Dunque il fine della teknè era la bellezza. L’arte gareggiava
con la natura in estetica, anzi era superamento della natura determinato da una
conoscenza approfondita di essa che, benchè piena di accidenti faceva
intravedere il mondo perfetto delle idee nella concezione platonica. E’ cosi che i Greci ad esempio scoprirono la
sezione aurea, una legge naturale di sviluppo e accrescimento del vivente che
essi utilizzarono nelle loro opere pensando di avere scoperto una regola di
bellezza universale. Questa concezione dell’arte duro’ diversi secoli e cioè
fino a quando nel XVIII° secolo essa si lega al gusto e diventa soggettiva.
Agli inizi del XIX secolo il filosofo romantico Federich Schiller afferma essere
l’arte attività che crea da se le sue regole per distinguerla dalla scienza che
invece segue regole determinate e necessarie. Questo ha fatto si che si potesse
affermare che ciascuno poteva fare quello che voleva e se, per un certo verso,
cio’ ha liberato da certe dipendenze e rigidità della tradizione classicista
per un altro verso ha dato l’avvio al disimpegno sociale dell’arte e
all’arbitrio individualista più sfrenato dove viene valorizzato l’elemento
innovativo e provocatorio in sè, ogni sorta di pulsione inconscia senza alcuna
finalità se non quella di scandalizzare. Il Romanticismo poi, valorizzando le
passioni e i sentimenti, pur liberando la fantasia, ha dato i presupposti per
quelle degenerazioni che oggi sono sotto gli occhi di tutti e che si possono
ammirare anche alla suddetta esposizione. Se nel campo della pittura e della
scultura tutto questo, rafforzato dallo spirito dionisiaco e dalla volontà di
potenza, ha avuto come conseguenza solo la riduzione dell’arte a fenomeno da
psichiatria con le sue esibizioni di disagi interiori, nell’architettura invece
ha inciso sull’aspetto della città e quindi sulla qualità della vita.
L’arte
nell’ultimo secolo si è snaturata e il verbo non è usato a caso perchè ha
cessato di essere in relazione con la natura, nel senso di un suo miglioramento
a fini benefici per l’uomo.
Allora
tutta l’arte contemporanea è da buttare? Certo che no, solo certa presunta tenendo
presente la personalità dell’artista e la sua identità nel mondo di oggi
dominato dai media e dal denaro. A volte è difficfile distinguere il folle
dall’artista geniale perchè ambedue superano il mondo ordinario e sono ai
confini della coscienza ma il primo si distingue per la presunzione e la
violenza, il secondo per l’umiltà e la semplicità. Il primo si identifica con
il proprio ego e pensa di essere un dio, il secondo si identifica con il Se e sa
che non ha alcun merito in quello che riesce a fare ma lo fa perchè è il
compito del proprio destino e cio’ gli dà felicità e unificazione. Ambedue
nuotano nel mare dell’essere: il primo annega per presunzione, il secondo sa
nuotare. Il filosofo russo Pavel Florenski, morto nei gulag stalinisti nel
1941, al proposito affermava che il primo sale al mondo invisibile e si porta
dietro tutti i suoi fantasmi egocentrici perdendosi e credendo di essere un
ispirato, il secondo sale al mondo ultrasensibile con umiltà, nudo, e ne
ridiscende portandosi dietro le cose ineffabili di quel mondo. Questa
dovrebbe essere la discriminante per tenere o per buttare l’arte, dagli anni
sessanta in poi, ma non è facile distinguere il vero dal falso in un ambito
dove questa è stata finanziarizzata e a volte risulta solo essere un segno che
pero’ vale denaro.
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