Ecco,
abbiamo il nuovo Presidente della Repubblica in Italia. Questo evento ci induce
ad alcune riflessioni sulla natura del potere, sulla vita e sulla felicità. Sembra
che questo Mattarella sia una brava
persona o che perlomeno sia un ex democristiano, cristiano per davvero. Lo
dipingono come un uomo riservato e solitario esponente di una famiglia notabile
di Palermo, dove il padre è stato anch’egli ministro e il fratello Presidente
della Regione è stato ucciso dalla mafia. Mi pare una buona presentazione per
chi deve rappresentare uno Stato come l’Italia. Mi chiedo come uno possa
sentirsi catapultato sulla carica più importante della Repubblica. Qui occorrono alcune rislessioni sulla natura
del potere e sul desiderio di esso. Possiamo
definirlo come la possibilità di alcuni di disporre della vita di altri. Al
dilà della differenza tra il Potere di un Re e quello del Presidente di una
repubblica, e tralasciando il contrasto tra un potere dispotico ed un potere
democratico, sempre di quello si tratta, di incidere sulla vita di altri. E’
evidente che chi si occupa di politica vuole in qualche modo raggiungere il
potere altrimenti farebbe altro. Platone diceva che se non vogliamo occuparci
di politica lasciamo poi che al potere vadano gli stupidi e gli ignoranti. Nel migliore dei casi si vuole raggiungere il
potere per cambiare in meglio la vita del popolo ma anche per ambizione e cioè
per sentirsi riveriti e ascoltati. Ognuno di noi aspira alla felicità, cerca il
significato della sua vita e vuole compierlo,
vuole acquisire il senso della connessione con il trascendente, desidera
che gli altri lo rispettino e vuole sentirsi sicuro. Tutto questo lo puo’ ottenere in diversi modi a
seconda del suo livello di coscienza. Si va dalla violenza sugli altri, confondendo il dominio con la sicurezza, al
sacrificio di se per gli altri, manifastezione della estrema forma d’amore. E’ evidente che ai fini di una vita migliore
per tutti sarebbe opportuno che al potere ci andassero questi ultimi ma
purtroppo, da che mondo è mondo, non è cosi’,
le cariche più importanti le desiderano e le conquistano spesso i
prepotenti, i malfattori e i demagoghi, per tralasciare i pazzi ed i sadici. Il potere, proprio per questa sua
caratteristica di illusione di superiorità, funziona come un droga : ti fa
sentire forte e grande anche perchè oggetto di continuo servilismo da parte dei collaboratori. Non a caso in
tutte le tradizioni religiose il mistico, ovvero colui che vuole incontrare la
verità, abbandona il potere come la più pericolosa delle idolatrie. Si ricordano
le tentazioni di Gesù nel deserto per i cristiani. Tornando al tema della
felicità, dunque essa non ha a che fare con il potere ma con l’interpretazione
della propria natura. La saggezza greca diceva conosci te stesso e mantienti
lontano dalle passioni, questo ti porterà all’eudemonia ,ovvero la felicità.
Che c’é dunque da festeggiare per l’assunzione di un potere sia pure il più
alto dello Stato ? Nel sessantotto uno slogan recitava : la fantasia
al potere, sbagliando e confondendo fantasia con creatività, tuttavia il senso
era che al potere ci andassero coloro che non si identificano con esso ma che
usano le proprie risorse creative al servizio altrui . Speriamo che
Mattarella sia fra questi. Il fatto che abbia mostrato molta riservatezza fa
sperare che senta il peso di questa responsabilità e che non si esalti per il
potere in se ma lo senta come il compimento della sua missione in questa vita.
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sabato 7 febbraio 2015
venerdì 16 agosto 2013
Delenda ars
Ho
visitato le Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo a Milano e ne sono
riemerso con la convinzione sempre più radicata che gli anni sessanta del
secolo scorso segnino una sorta di degenerazione annunciata dell’arte. Confrontati
con la pittura dell’ottocento e del primo novecento ci si chiede come è stata
possibile una tale debacle che viene chiamata con vari appellativi suggeriti
dai critici nel tentativo di sublimare una esasperata tendenza alla
distruttività. La chiamavano avanguardia come se il futuro dell’arte fosse alla
fine la negazione dell’arte stessa nel concettuale. Ora nelle ultime tendenze si puo notare timidi ritorni al
rapporto con la creatività della natura. Forse é il pensiero ecologico che ci
salva.
A
pensarci bene non esistono culture nel passato che avevano la pretesa di essere
avanti e basta, nel futuro addirittura. Oggi ben lungi dal rivedere questo
atteggiamento siamo aldilà dell’avanguardia, in questa corsa qualcuno dice
sempre di essere più in là, cosi l’elemento provocatorio e innovativo ha sempre
la meglio. E’ la concezione dell’arte che deve modificarsi: se ne accettiamo la
definizione come la capacità di scoprire la dimensione magica della vita tutto
cambia, non c’è un prima e un dopo. Nel passato nessuno era cosi’ presuntuoso,
nè mai avrebbe osato affermare di essere sradicato dalla tradizione. Dalla
concezione avanguardista moderna discendono tutte le degenerazioni degli
artisti maledetti che pur di essere avanti perdono di vista la funzione
dell’arte e dell’artista di ricondurre al nocciolo religioso e transpersonale
in noi. E allora si parla di morte dell’arte come se fosse una funzione
intercambiabile ma non è l’arte che è morta sono coloro che hanno perso il
rispetto per la vita. L’arte invece, fin dalle origini, non è una funzione
della vita ma la dimensione sacra di essa.
L’arte
per i Greci era la teknè ovvero la capacità tecnica dell’artigiano di lavorare
la materia sua propria, lo scultore il marmo e il bronzo, il pittore i pigmenti
dei colori e cosi via: un insieme di regole che ordinavano un’attività umana
tesa ad un risultato migliorativo della natura.
Aristotele affermava che finalità delle regole (etica) era la felicità.
Per i Greci questa la si raggiungeva con l’eudemonia, un sogno estetico fatto
di conoscenza dei propri bisogni e di dominio delle passioni, armonia che
coincide con bellezza. Dunque il fine della teknè era la bellezza. L’arte gareggiava
con la natura in estetica, anzi era superamento della natura determinato da una
conoscenza approfondita di essa che, benchè piena di accidenti faceva
intravedere il mondo perfetto delle idee nella concezione platonica. E’ cosi che i Greci ad esempio scoprirono la
sezione aurea, una legge naturale di sviluppo e accrescimento del vivente che
essi utilizzarono nelle loro opere pensando di avere scoperto una regola di
bellezza universale. Questa concezione dell’arte duro’ diversi secoli e cioè
fino a quando nel XVIII° secolo essa si lega al gusto e diventa soggettiva.
Agli inizi del XIX secolo il filosofo romantico Federich Schiller afferma essere
l’arte attività che crea da se le sue regole per distinguerla dalla scienza che
invece segue regole determinate e necessarie. Questo ha fatto si che si potesse
affermare che ciascuno poteva fare quello che voleva e se, per un certo verso,
cio’ ha liberato da certe dipendenze e rigidità della tradizione classicista
per un altro verso ha dato l’avvio al disimpegno sociale dell’arte e
all’arbitrio individualista più sfrenato dove viene valorizzato l’elemento
innovativo e provocatorio in sè, ogni sorta di pulsione inconscia senza alcuna
finalità se non quella di scandalizzare. Il Romanticismo poi, valorizzando le
passioni e i sentimenti, pur liberando la fantasia, ha dato i presupposti per
quelle degenerazioni che oggi sono sotto gli occhi di tutti e che si possono
ammirare anche alla suddetta esposizione. Se nel campo della pittura e della
scultura tutto questo, rafforzato dallo spirito dionisiaco e dalla volontà di
potenza, ha avuto come conseguenza solo la riduzione dell’arte a fenomeno da
psichiatria con le sue esibizioni di disagi interiori, nell’architettura invece
ha inciso sull’aspetto della città e quindi sulla qualità della vita.
L’arte
nell’ultimo secolo si è snaturata e il verbo non è usato a caso perchè ha
cessato di essere in relazione con la natura, nel senso di un suo miglioramento
a fini benefici per l’uomo.
Allora
tutta l’arte contemporanea è da buttare? Certo che no, solo certa presunta tenendo
presente la personalità dell’artista e la sua identità nel mondo di oggi
dominato dai media e dal denaro. A volte è difficfile distinguere il folle
dall’artista geniale perchè ambedue superano il mondo ordinario e sono ai
confini della coscienza ma il primo si distingue per la presunzione e la
violenza, il secondo per l’umiltà e la semplicità. Il primo si identifica con
il proprio ego e pensa di essere un dio, il secondo si identifica con il Se e sa
che non ha alcun merito in quello che riesce a fare ma lo fa perchè è il
compito del proprio destino e cio’ gli dà felicità e unificazione. Ambedue
nuotano nel mare dell’essere: il primo annega per presunzione, il secondo sa
nuotare. Il filosofo russo Pavel Florenski, morto nei gulag stalinisti nel
1941, al proposito affermava che il primo sale al mondo invisibile e si porta
dietro tutti i suoi fantasmi egocentrici perdendosi e credendo di essere un
ispirato, il secondo sale al mondo ultrasensibile con umiltà, nudo, e ne
ridiscende portandosi dietro le cose ineffabili di quel mondo. Questa
dovrebbe essere la discriminante per tenere o per buttare l’arte, dagli anni
sessanta in poi, ma non è facile distinguere il vero dal falso in un ambito
dove questa è stata finanziarizzata e a volte risulta solo essere un segno che
pero’ vale denaro.
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