Mancano ormai solo circa
otto mesi all’apertura di Expo 2015 e si spera che la manifestazione, nonostante i contrattempi e gli scandali abbia il giusto successo. I mass-media
parlano spesso di padiglioni e monumenti
che si metteranno in mostra per stupire ma spesso dimenticano il tema dell’esposizione
che è « nutrire il pianeta, energia per la vita ». Questo argomento
dell’alimentazione ne trascina un altro conseguente che è quello della pace :
senza quest’ultima infatti non si puo alimentare nessuno, nè tanto meno dare
energia alla vita. Ho già affrontato in altri post questo tema e non mi voglio
ripetere, chi fosse interessato puo leggersi Apologia di un disertore o Pacifismo ai tempi della guerra di Siria. Come ho già detto altrove l’unico italiano, milanese, che ha ricevuto
il Nobel per la pace nel 1907 fu Ernesto Teodoro Moneta il cui busto staziona dimenticato
ai giardini Montanelli. Moneta
era un ex garibaldino massone che, dopo aver sperimentato di persona la
terribile esperienza dei campi di battaglia si era convertito alla causa della
pace di cui divenne un grande sostenitore seguendo le teorie di Kant sulla pace
universale. Alcune sue affermazioni
furono addirittura alla base della nascita della Società delle Nazioni prima e
dell’ONU poi. Tuttavia ricordiamo che sette anni dopo il premio Nobel, nel 1914,
divenne inerventista allo scoppio della Grande Guerra. Vale a dire che i lumi
della ragione non ci risparmiano dalle
tragedie.
Personalmente ritengo che
la pace la si conquista cambiando modello culturale. Hillman ha mostrato quanto
sia falso e retorico esaltare la pace quando in noi vi è un terribile « amore
per la guerra », come titola uno dei suoi preziosi saggi. Il nuovo modello
é quello di mettere al centro la bellezza, sia a livello personale che
internazionale, nè l’economia nè lo sviluppo, e non è un caso che sia stato uno
psicanalista a dirlo perchè ha
sperimentato l’animo umano. Ai tempi di
Moneta la psicanalisi non era ancora nata.
Vi é invece un bel libro
di Federico Bock, uscito nel 2007 a Milano presso OTMA edizioni, che molto
intelligentemente tratta della questione della pace interiore che poi si
riflette in quella esteriore . Uno dei protagonisti é un clochard che ha preso
dimora su una panchina dei giardini Montanelli, appunto accanto al busto di
Ernesto Teodoro Moneta con il quale dialoga su cosa sia la pace. I vari
personaggi, oltre a lui, la trovano quando recuperano se stessi e la propria
bellezza attraverso un viaggio nell’isola greca di Serifo. L’isola di Serifo,
questo è il titolo del romanzo, è una favola molto profonda ed anche divertente
che mostra come sia la poesia e la creatività a vincere sulla stupidità che porta alle guerre.
Il tema della pace è intimamente connesso con il modo di percepire il proprio ruolo rispetto all’aggressività -fitness di evidente significato sopravvivenziale nel quadro dell’evoluzione biologica-, non soltanto all’interno della specie (Homo sapiens), ma nei confronti della biosfera intera. Nonostante il reiterato richiamo, da parte di scienziati, epistemologi e pensatori quali Desmond Morris, Konrad Lorenz, Jeremy Narby, Niles Eldredge, Frans de Waal, Edoardo Boncinelli, Giulio Giorello, Telmo Pievani, a una coscienza serena e matura della natura biologica della specie umana (cultura e spiritualità come affascinanti conseguenze dell’evoluzione cerebrale, attualmente coincidenti con Homo sapiens nella loro espressione massimale, ma che la selezione naturale può perfettamente riproporre sul futuro di qualsiasi altra specie direzionabile in tal senso), domina incontrastata l’idea che la nostra specie, appunto, sia in qualche modo privilegiata, magari per il tramite di uno speciale suggello divino (le religioni monoteistiche ne sono il principale portavoce) e che le spetti, a priori, una posizione di privilegio rispetto a quella delle altre (animali e vegetali). Non è mai abbastanza un déja écouté ricordare che la prossima occasione di conflitto nucleare o la semplice caduta di un asteroide sul pianeta potranno segnare la fine di Homo sapiens e, probabilmente, di molte altre specie insieme a lui, ma non necessariamente di tutte. La vita sul pianeta ha già sperimentato diversi “colli di bottiglia” dell’evoluzione, inclusa la fase di “palla di ghiaccio” e la caduta del meteorite che portò all’estinzione dei dinosauri; ma il processo evolutivo riparte sempre da quello che gli resta e se ne fotte altamente se nel frattempo è scomparsa la specie “divina”, quella che si credeva dotata di anima e di puro spirito e che aveva trasfigurato in poco tempo il pianeta. Dunque, di che cosa c’è da gloriarsi e a cosa serve divinizzarsi (religioni e divinità, autoriflessi creati ad hoc dalla specie per motivi dapprima sopravvivenziali, poi di gestione sociale, sono passi obbligati nell’evoluzione cerebrale di qualsiasi organismo, non importa quale!) quando per effetto di arroganza biologica il mondo finsice con il crollare addosso? Credo che tutt’altro atteggiamento potrà essere il solo vincente per il futuro: assumere l’umiltà di chi, proprio perché capace di intus legentia, è cosciente di non essere altro che uno dei numerosissimi prodotti finali dell’evoluzione biologica, senza privilegi e senza mandati divini ad hoc. Questo è il solo modo in grado di garantire: a) una percezione serena, preparata e costruttiva della propria esistenza, b) la percezione del fascino che deriva dal sentirsi “fratelli” di tutto il mondo vivente, in conseguenza di una sola storia che lega tutte le espressioni della vita, pregresse e attuali, c) la coscienza della propria specie, della sua Storia (evoluzione + preistoria + storia) e il conseguente rispetto e fascino per la diversità che la costituisce, di cui ciascuno si deve percepire come parte integrante. Migliorare e qualificare i rapporti con l’intero mondo vivente significa migliorare e qualificare i rapporti con la propria specie. È questo che ci auguriamo di tutto cuore, non le guerre!
RispondiEliminaEnrico Banfi
Grazie per il tuo bel commento. sono d'accordo con te sul fatto che la specie umana rischia l'estinzione se non giunge alla consapevolezza di appartenere a tutto il mondo vivente e di essere in relazione stretta con esso. Non voglio invece entrare nelle polemiche dell'evoluzionismo rispetto al creazionismo che possono essere anche la stessa cosa vista da due punti diversi. Posso con te affermare che la Vita puo fare tranquillamente a meno dell'homo sapiens se questo non prende coscienza del suo ruolo di appartenenza e non di dominio. La creatività e la bellezza sono gli antidoti all'aggressività distruttiva che denotano anche la capacità di adattamento degli esseri al mondo per arricchirlo. In sostanza anche l'evoluzione pare determinata da queste e non dalla forza. In sintesi o diventi utile alla Vita o te ne vai, o arricchisci o scompari. Questo vale sia a livello del singolo che della specie. Per questo occorre risalire alle motivazioni profonde della nostra distruttività, sia a livello personale che generale e non è un processo facile.
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