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giovedì 23 febbraio 2023

Ucraina

 Vorrei chiarire alcuni punti sulla guerra in Ucraina perché qui come al solito il pensiero dualistico e riduttivo dilaga e siamo sempre al consueto problema che chi vuole uscire da questo schema viene attaccato da quelli che lo alimentano, sia da una parte che dall’altra. Premesso che Putin è a capo di un regime totalitario o quantomeno scarsamente democratico, e non goda della mia simpatia, bisogna per onore di verità ammettere che non ha mosso le sue truppe per invadere l’Ucraina senza motivazioni e solo per spirito imperialistico, c’erano ormai dal 2014 le condizioni per un intervento della Russia in una zona che, come il nostro Tirolo, apparteneva alla lingua e alla tradizione del paese confinante e che da nove anni veniva perseguitata dal governo di Kiev, quattordicimila morti non sono una bazzecola. Detto questo condanno comunque l’uso delle armi ma in questo mondo reale purtroppo chi è più forte dopo aver inutilmente minacciato agisce. L’Occidente ha gridato allo scandalo perché ha travolto il diritto all’autodeterminazione dei popoli e la intangibilità dei confini nazionali. Qui sta il punto dolente che può condurre ad una guerra totale se ci si fissa sul principio astratto. Noi viviamo in un mondo globalizzato e i confini sono sempre più labili e porosi. Non si può gridare allo scandalo per l’invasione e il non rispetto dei confini quando in altre circostanze si è fatto altrettanto, qualcuno ricorda l’invasione della Libia da parte di Francia e Inghilterra con la scusa di far fuori Gheddafi ma con un occhio al petrolio? E l’invasione dell’Irak da parte degli Stati Uniti? Dunque due pesi e due misure. Zeleski se avesse avuto a cuore il bene del suo popolo avrebbe potuto agire diversamente e non chiamare a soccorso l’intero occidente per scatenare una guerra che rischia di diventare mondiale e atomica e che non potrà mai essere vinta. Uno che aveva a cuore le vite e il benessere della sua gente, che valgono molto di più dei confini territoriali, poteva organizzare una resistenza in modo diverso così che la loro contesa rimanesse confinata. Invece appellandosi all’idea di libertà, che lui è ben lontano dal conoscere visto che l’ha tolta ai russofoni, ha scatenato una guerra per conto degli americani, ed ora tutto l’Occidente, che vogliono destabilizzare la Russia e non si sa dove si andrà a finire. Se non voleva prendere la strada della resistenza passiva alla Gandhi, poteva almeno ispirarsi alla nostra resistenza con attacchi limitati alle postazioni militari nei territori occupati senza pretendere di fare il condottiero di un esercito vincitore per conto degli USA. Ora un accordo è molto difficile con tutti quei morti e con questo attore che non rinuncia alla sua parte. Il grave di questa faccenda in Italia è che queste cose le dica Berlusconi e non un partito che si richiami al socialismo, per il quale infatti i veri nemici sono i padroni e non quelli aldilà dei confini

martedì 15 marzo 2022

La pace e la guerra in Ucraina



In questa guerra fra Russia e Ucraina, come in tutte le guerre, la complessità della vita si riduce al dualismo amici-nemici. Questo è il dramma della violenza, si arriva alla guerra quando la coscienza si restringe per focalizzarsi su un nemico da distruggere. E’ sempre stato così e già Eschilo affermava che in guerra la prima vittima è la verità: ciascuno si convince della propria ragione e la considera una verità assoluta per la quale è giusto sacrificare la propria vita e quella altrui. Passato il momento della follia riduttiva si torna alla comprensione ed alla complessità dei sentimenti e quello che prima era inaccettabile e per il quale era onorevole uccidere e morire diventa indifferente o addirittura attraente. In guerra perdono tutti vincitori e vinti perché la coscienza collettiva degli uni si riempie di sensi di colpa e quella degli altri di rancore e odio. Le morti degli uni e degli altri segnano la vita delle comunità che finiscono per esaltare le virtù belliche per dare un senso al morire della loro gioventù e inventano slogan famosi come: “chi per la patria muor vissuto è assai”. Si obietterà ma se mi aggrediscono o invadono il mio territorio è da vigliacchi non reagire né difendersi. Qui entriamo nei distinguo tra guerre giuste e ingiuste, abbiamo già detto che quando si usano le armi per uccidere è sempre ingiusto. Ho già citato in un altro punto il pensiero di Tolstoj, che tenne contatti anche con Gandhi, attraverso il suo personaggio Levin, un conto è la morale individuale che nel caso di un litigio fra due persone ti fa intervenire per difendere il più debole, anche arrivando ad uccidere, un conto è la morale degli Stati quando entrano in guerra che ti danno la licenza di uccidere chi non conosci perché porta un’altra divisa. Ogni società punisce l’assassinio in periodi di pace, quando scoppia una guerra allora non solo è permesso ma è anche encomiabile. Gandhi di fronte alla prepotenza delle forze occupanti, gli inglesi, aveva inventato un’azione non violenta, la satyagraha, cioè resistenza passiva. In che consiste? Di fronte ad un potere ingiusto e occupante ti rifiuti di collaborare, blocchi tutte le attività civili in modo che la vita diventi difficile se non impossibile per chi ha invaso. Questo è un modo non violento di reagire. Questo doveva essere praticato dagli ucraini verso una potenza schiacciante come quella dell’armata russa, del resto la storia insegna che eserciti potentissimi, come quello di Napoleone ad esempio, sono stati sconfitti, dopo aver invaso, dalla non collaborazione della popolazione e dall’astuzia dei generali che non hanno mai dato battaglia. Sarebbe stato un insegnamento al mondo e un messaggio di maggior levatura morale che avrebbe nuociuto a Putin più che una resistenza armata  comunque destinata a soccombere con migliaia di morti e il rischio di un allargamento del conflitto. Si sarebbero risparmiate molte vite umane ed il coinvolgimento dei civili.    


 

martedì 11 aprile 2017

della produzione di armi

                   


Papa Francesco nel suo messaggio il giorno delle Palme ha detto di pregare perchè tra l’altro si convertano i cuori dei produttori e dei trafficanti di armi. Questa affermazione mi pare rivoluzionaria, non so se ci si rende conto della sua portata. Nel nostro mondo occidentale così civile e cristianizzato la produzione di armi da guerra è ai primi  posti nella classifica dell’industria manifatturiera. Il che vuol dire che la nostra economia si regge anche sulla fabbricazione e la vendita di armi. Ad esempio in Italia il settore è quello più florido, pure in periodo di crisi, dal 2011 è aumentato del 48 percento con un fatturato di circa 20 miliardi l’anno. Vi sono industrie insospettabili che producono armi  e questa esportazione si rivolge principalmente verso il medio oriente teatro di guerre. Si ha un bel dire che servono alla difesa e che la nostra costituzione ripudia la guerra come mezzo per risolvere i conflitti fra Stati ma se ne è permessa la produzione e la vendita è chiaro che servendo per la guerra  il settore sarà più o meno florido in relazione all’andamento dei conflitti nel mondo. Viviamo una evidente schizofrenia :  ripudiamo la violenza e la guerra ma il nostro benessere si sostiene con la produzione di armi da guerra. Non si può difendere il paradosso con la scusa della difesa del lavoro e dell’occupazione. Se ci saranno produttori di armi ci saranno guerre anche se apparentemente verranno vendute a paesi non in guerra. Emanuele Kant giustamente diceva che finchè vi saranno eserciti permanenti verrà sempre voglia di servirsene, altrimenti a che servono i militari e le armi ? Il lavoro lo si dovrebbe garantire in altri settori ad esempio incentivando il settore dei beni ambientali e culturali, in un paese come il nostro dovrebbe essere il settore trainante invece è ancora sottovalutato rispetto alle sue potenzialità. Un bell’esempio per il nostro paese sarebbe la riconversione delle fabbriche di armi in qualcosa di utile per la pace che viene assicurata non certo dagli arsenali bellici sia pure con la scusa della difesa. Se dividiamo il mondo in amici e nemici prima o poi ci ritroveremo con le armi in mano. Ermete Trismegisto affermava « come sopra cosi sotto » o come dentro cosi fuori se vogliamo evitare le guerre dobbiamo unificarci, far pace con noi stessi, integrarci, rivolgerci alla nostra parte bambina, si deve innescare la compassione ed evitare il potere come dominio. Riempirci di poesia insomma e di sentimento della bellezza. Accedere dunque alla dimensione estetica e sacra del nostro essere. Non a caso Dostoevskij affermava che la bellezza salverà il mondo.  Per le armi si dovrebbe fare come per la droga, vietare la produzione e sanzionare l’eventuale commercio, si suppone infatti che facciano più male delle sostanze stupefacenti.  Sarebbe così anche più facile prevenire gli attentati terroristici indagando sul traffico illegale. Ma sarà difficile se il Pil nazionale dipende anche da questo settore. Per questo dicevo che l’affermazione del Papa è in qualche modo eversiva.

mercoledì 14 settembre 2016

Assisi città della pace

                                           Bouquet di rose inglesi, acquarello su carta

Assisi capitale della pace da domenica 18 a martedi 20 settembre. Leggo sui quotidiani che 450 capi religiosi si trovano nella città di San Francesco per promuovere la pace. Iniziativa ormai alla trentesima edizione, visto che fu istituita da Giovanni Paolo II nel 1986, raccoglie molti consensi e contraddice chi afferma che sono le religioni a scatenare le guerre. E’ vero che nel passato vi sono state guerre combattute per motivi religiosi ma il fondamento è sempre la ricerca del potere e del prevalere gli uni sugli altri in un pensiero dominante dualistico che divide l’umanità in amici e nemici. Questo non succedeva solo per le religioni ma altresi per le patrie intese come qualcosa di assoluto che alimentava la competizione fra gli esseri umani. In verità le guerre vengono scatenate dalla volontà di potenza. Giustamente François Mauriac affermava che Nietzche è il filosofo del senso comune infatti le nostre abitudini fomentano la volontà di potenza. Vogliamo essere i migliori, i più bravi i più più di tutto e non ci sentiamo mai appagati, creando cosi il conflitto in noi e con gli altri. Nella psicologia buddista si afferma che in noi coabitano i semi di tutto, della gioia e della solidarietà come della paura e della rabbia, queste sementi sono a livello conscio o inconscio, sotterraneo, bisogna alimentare i semi positivi della creatività, della concordia e della felicità anzicchè quelli negativi dell’odio e della paura. L’iniziativa di Assisi va vista in quest’ottica perchè purtroppo noi viviamo in un mondo che innaffia continuamente sentimenti negativi attraverso la continua competizione e la continua esaltazione di bisogni fittizi che ingigantiscono il  sentimento della mancanza. Il consumismo è alla base della nostra economia e ci rende perennemente scontenti, la sobrietà invece puo’ essere felice in quanto non alimenta continue mancanze ma si soddisfa del poco. Se mettiamo insieme volontà di potenza e sentimento della mancanza abbiamo l’esplosivo che scatena le guerre. Del resto una econonomia che si sostiene anche con la produzione di ordigni bellici non puo’ essere cosi ipocrita da pretendere la pace. Ho già scritto di Kant che diceva essere presupposti per una pace perpetua un organismo internazionale riconosciuto per dirimere le contese fra stati e l’abolizione degli eserciti permanenti. Queste sono due condizioni utopiche ancora lontane da essere raggiunte nonostante l’Onu. E’ comunque bene che i capi religiosi si riuniscano nel nome della pace ad Assisi, città bellissima e patria del Santo più amato, per i motivi che dicevamo e perchè la vicinanza della bellezza puo’ essere un antidoto alla guerra, Venere disarma Marte ma bisogna passare dalla filosofia dualistica dell’essere e del non essere a quella unificante dell’interessere. Francesco infatti cantava:”Dolce è sentire che non sei più solo ma che fai parte di una immensa vita”.

sabato 6 agosto 2016

Guerra di religione?

                                       Grimaldi, confine italo-francese, acquarello su carta.

Oggi il Corriere della Sera riporta un articolo di Antonio Polito dove si afferma che gli atti terroristici dei fondamentalisti dell’Isis sono una guerra di religione contrariamente a quanto afferma Papa Franncesco che dice essere una guerra a episodi ma non di religione. Personalmente ritengo che abbia ragione il Pontefice. Bisogna infatti analizzare il significato di religioso e di religione. I vocaboli derivano da religo che in latino significa legare insieme, unificare, ho affermato in altro contesto l’uomo essere animale religioso, cioè sempre alla ricerca di unità e trascendenza, religione è l’insieme delle pratiche e dei riti per soddisfare questi bisogni. Le religioni, a volte, legandosi con il potere strumentalizzano cio’ ai fini del dominare.  Questo giustificherebbe l’affermazione di Marx che la religione è l’oppio dei popoli ma esiste un fondamentale sentimento dell’animo umano anche per chi si dichiara laico o ateo. Non necessariamente si è religiosi perchè si aderisce a una fede o a un credo. L’uomo religioso è l’uomo profondo, quello che va aldilà delle contingenze del mondo. “Vi do la pace, la mia pace, non come la da il mondo” è un’affermazione evangelica che traduce bene il senso di tutto questo. L’uomo religioso, che aderisca o no a una religione, non puo’ essere un uomo di guerra. Dunque ne consegue che la guerra non è di religione. La guerra è una folle conseguenza del desiderio di potere, non puo’ essere di religione ma puo’ essere uno scontro tra due Fedi, quando queste sono  superficialmente prese come giustificazione al nostro dualismo e dicotomia di pensiero e alla nostra esigenza di dominio. Dio allora è una proiezione del nostro odio e desiderio di vendetta verso chi abbiamo scelto come nemico perchè si oppone alla nostra mania di grandezza e di potenza. Hillman giustamente osservava che dopo Auschwitz il Dio dell’Antico testamento era morto. Ora pare che sia risorto con l’Isis  

giovedì 19 febbraio 2015

Ancora della pace e della guerra

                                        Infinito, olio su tela, cm 50x70

Gandhi predicava l'ahimsa, la non violenza. Quasi tutti i pacifisti contemporanei in qualche misura si rifanno a lui che ha portato l'India all'indipendenza senza guerre civili. Invece noi oggi assistiamo continuamente alla violenza esercitata per conquistare il potere da parte di popolazioni che si affacciano ora alla modernità, intendendo con ciò la democrazia e il mercato. La crisi dell'Ucraina con le due fazioni in lotta, quella filorussa e quella filoeuropea sono un emblema. In Libia abbiamo una situazione analoga: quella dei ribelli filoislamici che attaccano il governo legittimo appoggiato dagli occidentali. La cifra degli ambiti di crisi che impensieriscono il mondo è la violenza e stupisce la facilità con cui intere popolazioni trovino organizzazione ed armi per esercitarla. Non siamo così ingenui da non sapere che questi ordigni bellici vengono forniti dallo stesso mondo occidentale che ipocritamente condanna le guerre. E' chiaro che se non si producessero armi da guerra e non si facessero affari notevoli sulla loro vendita in zone calde quanto meno si avrebbero situazioni più chiare e la fine dei conflitti per mancanza di strumenti. Invece abbiamo paesi, compreso il nostro, che producono e forniscono armi in cambio di denaro. Dove trovino poi i ribelli tutti questi soldi non è chiaro ma è evidente che li raccolgono da chi ha grossi interessi che la guerra continui. Possiamo di conseguenza affermare che è questo tipo di economia che scatena e sostiene le guerre e dunque è definibile come un'economia di guerra che si appoggia sulla violenza. Tornando a Gandhi egli aveva insegnato agli inglesi  e al mondo che non è necessaria la violenza se i tempi sono maturi per un cambiamento e le ragioni sono giuste. Purtroppo si continua invece a praticarla come mezzo di raggiungimento del potere. A coloro che affermano che l'Italia deve armarsi per difendersi si può dunque rispondere che si è vero in un mondo violento e fondato sull'ingiustizia e sull'interesse ma bisogna congiuntamente lavorare perchè questa situazione migliori, diminuisca la forbice tra ricchi e poveri e cessi il mercato delle armi e soprattutto l'Italia pensi ad investire quei fondi alla valorizzazione della bellezza che è nemica della guerra, nei sui paesaggi, nelle opere d'arte e nei suoi musei.  Si deve fare attenzione a non cadere nella trappola della emotività generata dai fautori dei conflitti che hanno interesse a risvegliare "l'occhio per ochio e dente per dente", antico codice d'onore che porta in sè i semi della vendetta. La pace la si conquista con un sano equilibrio che considera la risoluzione militare come l'ultima risorsa quando effettivamente tutte le altre sono fallite, senza fretta di arrivare alla conquista di una sicurezza che in questo mondo non esiste. Gandhi infatti affermava che anche la fretta indebita è violenza.  Come del resto lo è la pena di morte anche se comminata dai tribunali di paesi democratici. Essa porta in sè il messaggio che la vita di ognuno appartiene allo Stato che punirà togliendola a chi commette azioni gravi contrarie alle sue leggi. Ma la vita non appartiene all'organizzazione statale ed ha in sè un mistero irrisolvibile anche dalla scienza più avanzata. Fintanto che ci saranno paesi "sviluppati" che la praticano è chiaro che non si può ipocritamente denunciare  i fondamementalisti islamici che condannano a morte i prigionieri. In Cina lo scorso anno sono state eseguite 2400 sentenze di morte  e il codice penale prevede tale pena per 55 reati, tra cui ad esempio anche lo spaccio di droga. E'chiaro che tale situazione non viene propagandata perchè ne avrebbe danno l'immagine di un paese in grande sviluppo economico ma questa realtà viene comunemente accettata come del resto viene accettata anche negli Stati Uniti, grandi paladini della democrazia.   "Occhio per occhio dente per dente" è il codice di base anhe nei paesi cristiani. Del resto la stessa Chiesa cattolica ha accolto le logiche statali e con l'editto di Costantino ha fatto da supporto allo Stato di diritto romano dove era prevista le pena di morte e la tortura ed invece di influenzarne le leggi le ha adottate e praticate. Nello Stato del Vaticano infatti fino al 1969 era prevista la pena di morte e fu comminata l'ultima volta nel 1870 con l'uso della ghigliottina, per non parlare della Santa Inquisizione nei secoli precedenti . Ora l'ISIS condanna a morte per altri motivi e spettacolarizza l'esecuzione attraverso il potere dei media occidentali. Sta dunque all'Occidente "razionale e illuminato" non cadere nel tranello dell'emotività e dare l'esempio abolendo ovunque la pena di morte. Non è anche quello dei condannati dai tribunali occidentali uno spettacolo violento e raccapricciante?                

giovedì 15 gennaio 2015

I fatti di Parigi

                                      Image, hommage a Monet, acquerello su carta 25x35

Non si possono passare sotto silenzio i fatti di Parigi e anche noi abbiamo fatto le nostre considerazioni in seguito anche al post del primo dell'anno. Dopo la massiccia manifestazione di solidarietà a Charlie Hebdo siamo tutti più sicuri che l'Occidente reagirà con la necessaria determinazione agli attacchi dei terroristi ma viene da chiedersi: il messaggio forte che ha rappresentato con l'aiuto dei media a chi era diretto? Se era diretto ai fondamentalisti credo che non li spaventi certo anzi ritengo che era quello che volevano, cioè dare il massimo di pubblicità al fatto di sangue che beninteso era una vendetta verso chi, in un certo senso, prendeva in giro la loro cultura, relegata in Francia come in Italia o in Germania alle periferie e quindi a uno stato di subalternità. In queste condizioni sociali, in cui chi si sente escluso guarda con rabbia e disperazione gli inclusi, senza speranza del proprio riscatto, dove la forbice tra chi ha troppo e chi non ha a sufficienza non sembra diminuire, la religione diventa il manifesto della propria identità che non può essere messa in discussione nè tanto meno farne oggetto di satira perchè ciò diventa profanazione. L'etimologia del termine ci aiuta a comprendere: profano significa fuori dal tempio dove vive la dimensione del sacro, come realtà profonda, atemporale. Quel nocciolo di verità che è in noi e che non subisce gli influssi del tempo profano. Una volta anche da noi esisteva un proverbio che recitava: "Scherza coi fanti e lascia stare i santi", ed il motivo era ben questo, i diseredati alla fine non hanno che la loro identità religiosa e considerano oltremodo svilente fare dell'ironia sul loro credo. In una situazione di disagio sociale e di ignoranza ci si ammazza anche per il tifo sportivo figuriamoci per una fede. Del resto l'Islamismo quando gli arabi erano conquistatori e quindi dominavano da noi in Sicilia o in Spagna era molto tollerante, molto più che le varie sette cristiane tra di loro che uccidevano e torturavano per questioni dottrinarie. L'Islam era allora la religione dei dominatori e poteva permettersi la tolleranza anche perchè nessuno si permetteva di fare dell'ironia. Quando si è ridotto alle popolazioni più povere dominate dal colonialismo occidentale è diventato intollerante proprio per le ragioni esposte sopra. Quindi a parer mio non si tratta di guerra di religioni ma di conflitto tra chi non ha e chi ha troppo, tra il sud e il nord del mondo, tra le periferie e i centri decisionali. La religione, in questo caso come in altri, è la divisa di appartenenza in un pensiero dualistico tipico tra l'altro della nostra cultura, o incultura, del cosidetto benessere e della competizione permanente. Nel mondo globalizzato dunque è il dio denaro ed il potere connesso che provoca questi conflitti. Oltretutto oggi si è aggiunta la tecnica che si è asservita al nuovo capitalismo di cui subiamo le scelte per ridurci consumatori passivi anzicchè cittadini democratoci. Quando dunque si parla di islamismo e di fondamentalismo si dovrebbe aggiungere che questa intolleranza proviene sì da un mondo che non ha conosciuto l'epoca dei Lumi ma che tale situazione è anche generata dalla grande disparità tra chi domina e chi subisce, tra chi ha molto e chi troppo poco. In sostanza si è costituito in Europa un nuovo quarto stato formato prevalentemente da soggetti di questa cultura. La religione, vissuta in superfice, è la loro distinzione. Ma del resto non dimentichiamo che anche in nome della Dea Ragione si è ammazzato molto. E' l'assolutismo dogmatico che è di per se intollerante, di qualunque natura esso sia, condito con la superficialità di un pensiero dicotomico e paranoico fomentato dalle ingiustizie sociali. L'illuminista Voltaire affermava nel suo saggio sulla tolleranza: "Siamo abbastanza religiosi per odiare e perseguitare ma non lo siamo abbastanza per amare e soccorrere". L'esortazione del mio post precedente su una maggior religiosità per la pace era in questo senso. Ecco perchè credo che a Milano la Moschea debba essere costruita e che debba essere la più bella possibile a dimostrazione della attenzione e del rispetto che ogni religiosità merita anche se si manifesta in un credo che appartiene, in Europa, alle nuove povertà, la ricerca della bellezza si sa è anche un antidoto all'amore per la guerra. Per questo ritengo che la manifestazione di Parigi con questa esibizione di capi di stato sia stata inutile e forse dannosa, perchè il messaggio presuppone un destinatario che in questo caso non è chiaro, quando si annida nelle ingiustizie della nostra stessa società.                    

domenica 17 agosto 2014

Ancora di pace

                                     Consiglio di guerra matita su carta cm.20x30 di Marius Ledda

Mancano ormai solo circa otto mesi all’apertura di Expo 2015 e si spera che la manifestazione,  nonostante i contrattempi e gli scandali  abbia il giusto successo. I mass-media parlano  spesso di padiglioni e monumenti che si metteranno in mostra per stupire ma spesso dimenticano il tema dell’esposizione che è « nutrire il pianeta, energia per la vita ». Questo argomento dell’alimentazione ne trascina un altro conseguente che è quello della pace : senza quest’ultima infatti non si puo alimentare nessuno, nè tanto meno dare energia alla vita. Ho già affrontato in altri post questo tema e non mi voglio ripetere, chi fosse interessato puo leggersi Apologia di un disertore  o Pacifismo ai tempi della guerra di Siria. Come ho già detto altrove  l’unico italiano, milanese, che ha ricevuto il Nobel per la pace nel 1907 fu Ernesto Teodoro Moneta il cui busto staziona  dimenticato  ai giardini Montanelli. Moneta era un ex garibaldino massone che, dopo aver sperimentato di persona la terribile esperienza dei campi di battaglia si era convertito alla causa della pace di cui divenne un grande sostenitore seguendo le teorie di Kant sulla pace universale.  Alcune sue affermazioni furono addirittura alla base della nascita della Società delle Nazioni prima e dell’ONU poi. Tuttavia ricordiamo che sette anni dopo il premio Nobel, nel 1914, divenne inerventista allo scoppio della Grande Guerra. Vale a dire che i lumi della ragione non ci risparmiano  dalle tragedie.
Personalmente ritengo che la pace la si conquista cambiando modello culturale. Hillman ha mostrato quanto sia falso e retorico esaltare la pace quando in noi vi è un terribile « amore per la guerra », come titola uno dei suoi preziosi saggi. Il nuovo modello é quello di mettere al centro la bellezza, sia a livello personale che internazionale, nè l’economia nè lo sviluppo, e non è un caso che sia stato uno psicanalista a dirlo  perchè ha sperimentato l’animo umano.  Ai tempi di Moneta la psicanalisi non era ancora nata.  
Vi é invece un bel libro di Federico Bock, uscito nel 2007 a Milano presso OTMA edizioni, che molto intelligentemente tratta della questione della pace interiore che poi si riflette in quella esteriore . Uno dei protagonisti é un clochard che ha preso dimora su una panchina dei giardini Montanelli, appunto accanto al busto di Ernesto Teodoro Moneta con il quale dialoga su cosa sia la pace. I vari personaggi, oltre a lui, la trovano  quando recuperano se stessi e la propria bellezza attraverso un viaggio nell’isola greca di Serifo. L’isola di Serifo, questo è il titolo del romanzo, è una favola molto profonda ed anche divertente che mostra come sia la poesia e la creatività a vincere sulla stupidità  che porta alle guerre.

martedì 3 settembre 2013

Pacifismo ai tempi della guerra in Siria


Appena finita la guerra la mia famiglia era ancora sfollata in montagna, nella bergamasca. Avevo 3 o 4 anni e abitavamo una villa con un grande giardino. Una notte, nel campo di fronte al nostro cancello, al di la del viale di tigli, si sentirono delle urla, così mi dissero perché a quell'etá il sonno è profondo e non ricordo di averle sentite. Era inverno e c'era la neve che si stava scogliendo sul prato. Il mattino dopo mio padre mi portò con se a vedere cosa era successo. Attraversammo il campo in direzione di un gruppetto di persone che sostavano guardando a terra. Quando arrivammo ci accorgemmo di una grande macchia rossa nella neve. Avevano nella notte ucciso un uomo, pare un "fascista" che andava a trovare la moglie nel vicino sanatorio. Una vendetta di qualche presunto "partigiano" che non aveva deposto le armi. L'avevano ammazzato a calci e per terra, dopo che lo avevano portato via con un carretto, erano rimasti i denti rotti e il sangue. Perché raccontare questo aneddoto, vi chiederete? Perché credo che questo episiodio sia stato il mio primo contatto con un delitto assurdo, la banalitá del male e abbia segnato indelebilmente la mia sensibilitá. Da li è sorto il mio rifiuto della violenza e della guerra. Ma essere pacifista non è un problema da poco, i mass media ci rimandano in tempo reale le immagini di questi bambini siriani che assistono quotidianamente ai massacri della guerra civile. Diventaranno pacifisti? Non credo. Solo se saranno capaci di dominare la rabbia e la paura. Non è un compito facile e quindi la maggior parte saranno dominati dallo spirito di vendetta che fará di loro i fautori di altri conflitti. Questa è la turpe ereditá della guerra: creare i presuposti psicologici per altre guerre. Hilmann affermava che vi è "un terribile amore per la guerra", diventato poi il titolo di uno dei suoi ultimi libri. Estirpare questo archetipo è pressoché impossibile se non lo riconosciamo come tale. Ma noi viviamo in una societá organizzata su modelli che esaltano il conflitto. I valori che respiriamo fin dall'infanzia esaltano le virtu belliche che ritroviamo anche nella vita civile. Fino a non molto tempo fa, ancora oggi in provincia, il maschio si identificava con la divisa che in gioventù aveva indossato da militare. L'economia esalta la competitivitá con un linguaggio da guerra, conquiste di mercati, vittorie, sconfitte, combattimenti e il dio denaro regna sovrano. Le guerre hanno sempre dei risvolti economici, chi lucra sulla rabbia e la paura? L'opinione pubblica viene manipolata usando ad arte i mezzi di comunicazione di massa per provocare lo sdegno necessario per giustificare la guerra. Si parla infatti di guerra di immagini e della propaganda ma è su questo fondamento di aggressivitá, generato dalla paura e dalla rabbia, che poggia la morale publica che la promuove. Come per il dilemma siriano, Tolstoj si interrogava sulla moralitá di intervenire in un conflitto attraverso il suo personaggio Levin in Anna Karenina: "se tu vedi uno che assale una donna o un bambino che fai? Non intervieni?" Risposta: " Si ma questa è una mia scelta persoale per difendere il più debole e non per uccidere." Gli stati invece quando decidono di entrare in una guerra, da una parte o dall'altra, sanno che rilasciano licenza di uccidere come del resto lo sanno i produttori di armi che vendono ai contendenti. Bisognebbe denunciare e punire le banche che si prestano a questi trasferimenti di denaro come per il riciclo di origine mafiosa. Colpisci chi specula e guadagna con la guerra e toglierai di mezzo molte fonti che la alimentano. Veniamo ora al punto dolente della guerra siriana, dell'uso dei gas e dei bambini uccisi o resi orfani. La comunitá internazionale deve intervenire o no? A parere mio non si migliora la situazione aggiungendo della violenza alla violenza e aumentendo il substrato di paura e di rabbia. La guerra è un fuoco che si alimenta con le rivendicazioni, le vendette e le punizioni. Gli esempi della storia, anche recente, sono li a dimostrarlo. La follia si disarma con la pacatezza, la saggezza e la calma. Con il passaggio da un pensiero dicotomico ad un pensiero sistemico. Kant indicava due strade per la pace perpetua. Una è quella di un organismo di diritto internazionale riconosciuto che giudichi le cause fra stati, ed ora c'è l'ONU. La seconda è l'abolizione degli eserciti permanenti, ovvero la smilitarizazzione della societá e della cultura. Questa è ancora di là da venire e riguarda tutti, è una nuova cultura che coinvolge anche l'economia: altro che missili per operazioni chirurgiche. "La bellezza salverá il mondo" diceva il principe Miskin nell'Idiota di Dostoevskj, Hillmann diceva la stessa cosa in modo diverso, ma quale bellezza vi è nei missili che esplodendo producono altre macerie e morti oltre a quelli che giá ci sono? Diamo il mondo ai poeti e salveremo la terra.