La città ideale, acquarello e pastello su carta
E’ mancato in questi giorni di agosto un amico, collega e maestro, Vittorio Borachia. Sono addolorato e voglio ricordarlo parlando di lui per quello che ho potuto conoscerlo. Era essenzialmente un uomo buono, con un’etica piuttosto stoica. Mi risulta che a vent’anni era in marina durante la guerra e forse un po’ di quella disciplina marinaresca lo aveva contagiato anche nella vita, aveva infatti le virtù dei grandi navigatori : onestà, coraggio, solidarietà, spirito d’avventura, riservatezza e culto dell’amicizia. Era infatti nativo di La Spezia, città che lui amava anche se viveva a Milano ed insegnava Urbanistica alla Facoltà di Architettura. Ho lavorato con lui ai piani delle oasi naturalistiche del mantovano, nei primi anni ottanta, cosi ho potuto conoscere il suo pensiero e la sua cultura. Nonostante appartenesse alla generazione che aveva creduto nella tecnica, nell’industria e nel progresso scientifico, tanto che disegno,insieme a Carlo Santi negli anni 50, una poltrona pieghevole in plastica per la Tecno, lui aveva fin da giovane maturato un amore per la natura che lo porto’ ad abbracciare in architettura l’organicismo di Frank Lloyd Wright che aveva conosciuto a Taliesin West, dove aveva passato un po’ di tempo per seguire il maestro da vicino. Di questa influenza si puo’ vedere la traccia nella casa da lui progettata per la sua famiglia sopra Albavilla in provincia di Como. La sua attività professionale tuttavia è stata prevalentemente dedicata ai piani urbanistici dove per la prima volta si nota il tentativo di coniugare lo sviluppo con la sua sostenibilità ecologica. Per lui il bello in architettura è il prodotto conseguente di una urbanistica ben fatta dove il lavoro dell’architetto si inserisce senza arroganza e provocazione ma con misura ed eleganza, frutto di una concezione aristocratica della sua opera, nel senso etimologico originario di « la migliore ». Ma è proprio sul versante dell’ecologia applicata al territorio, costruito e naturale, che osserviamo la sua novità, considerando i tempi, erano gli anni 70 e 80. Fu infatti uno strenuo difensore del paesaggio come bene da conservare, soprattutto nella sua Liguria, aimè sconvolta dalla speculazione, applicando norme e leggi atte a proteggerlo. Vittorio era politicamente un socialista riformista ed è stato uno dei miei riferimenti ai quali è dedicato il mio ultimo libro L’altro architetto, infatti la figura dell’insegnante nel dialogo socratico si attaglia bene alla sua persona ed alla sua attività di professore e presidente della Fondazione Labo’.