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sabato 16 ottobre 2021

Master sulla bellezza


La bellezza è nella natura e noi impariamo ad apprezzarla fin dalla più tenera età. Il 900 ci ha alienati della sua presenza nelle cose e della nostra capacità di coglierla. E’ diventata un orpello e un lusso per pochi. Dobbiamo quindi riconquistare la nostra sensibilità sapendo che non ci è data gratuitamente ma è il frutto di un lavoro di approfondimento. Per quanto riguarda le opere dell’uomo la bellezza è il prodotto di un atteggiamento di cura, attenzione e amore per il proprio lavoro. Ecco perché l’Istituto Uomo e Ambiente, da sempre presente sui temi dell’ecologia e dell’estetica ha voluto organizzare questo corso on-line per chi vuole approfondire la tematica, soprattutto gli architetti che sono delegati a trasformare l’ambiente ma anche ogni persona intelligente.

Il corso è diviso in cinque giornate: la prima è dedicata alla filosofia perché è dalle opinioni generate da essa che provengono le scelte in campo estetico. La seconda è sulla natura con esperti che la studiano e la utilizzano con creatività. La terza verte sul paesaggio e sull’arte poiché anche quest’ultima nel secolo scorso ha deragliato dalla sua finalità naturale, cioè la bellezza.  La quarta è dedicata all’architettura ed infine l’ultima è sulla pratica e cioè come tradurre in azioni l’importante bisogno sociale di equilibrio, ordine, eleganza e coerenza che sono i principali attributi della bellezza.

 

mercoledì 28 ottobre 2020

Le ville di Delizia

 




                                           Le ville di delizia

 

            “L’autunno è una seconda primavera,

            quando ogni foglia è un fiore.”

                                                     (Albert Camus)

 

La pandemia ci ha portati verso nuovi stili di vita, fra questi anche quello della vacanza che, nelle diverse stagioni dell’anno, ha preso un nuovo passo. Si rivalutano luoghi a portata di regione o addirittura di provincia e in questo la Lombardia apre il suo copioso patrimonio ricordando le vacanze nelle ville di delizia dove la nobiltà e la borghesia milanese vi accedeva trasportata dall’andare lento delle carrozze. L’Italia ha una lunga tradizione di senso della vicinanza e della collettività ristretta. La pandemia ha accelerato un processo già in corso, il desiderio diffuso di decentrarsi verso zone rurali, collinari o periferiche ed anche ora che è autunno si programmano evasioni lampo in luoghi a portata di memoria che non sapevamo neppure di avere. Non si parte più in carrozza, ma in bici, in tandem, in macchine elettriche o in treno per scoprire quanto possa essere affascinante il foliage che adorna ville storiche come  Villa Arconati a Bollate definita la “Versailles” d’Italia grazie al gusto tipicamente barocco con giardini all’italiana elegantemente curati e con giochi d’acqua.

Le Ville di Delizia, nome coniato dall’incisore settecentesco Marc’Antonio dal Re, trovarono una sviluppo organico specie in Brianza il cui territorio nel settecento ne ha vissuto la grande stagione. Una magnificenza di architetture di giardini commissionati dalle grandi famiglie nobiliari dell’epoca fra cui i Borromeo, i Durini, i Trivulzio, gli Arese, i Taverna, i Morando. Sono residenze monumentali con vasti parchi e ricche di opere d’arte. Derivano queste loro caratteristiche peculiari dal fatto di essere state concepite come residenze di campagna in cui i nobili si ritiravano nei periodi di villeggiatura, dedicandosi allo svago e diletto nel pieno godimento della natura, della conversazione cortese, dell’arte, della musica, della poesia all’insegna della raffinatezza e del buon gusto. Spesso costituivano la residenza di rappresentanza del casato a cui appartenevano e di cui erano destinate a narrare gesta e fasti. Nel Rinascimento, in un periodo di generale benessere, nacque il fenomeno della villeggiatura inteso come periodo da dedicare al riposo preferibilmente in località esterne alla città, lungo i fiumi e in zone collinari che offrisse un ambiente salubre e una presenza umana estremamente ridotta. La scelta ricadeva in modo particolare sulle zone bagnate dal Naviglio Grande e dalla Martesana, in una zona che da Milano si espandeva verso il Varesotto guardando verso il lago maggiore e verso il lago di Como. Tuttavia oggi altri esempi ci giungono più a nord con villa Monastero a Varenna, sul lato lecchese del lago di Como o villa Bertarelli a Galbiate, poco distante da Lecco. Omate di Agrate Brianza ospita un gioiello senza tempo dell’architettura lombarda, Villa Trivulzio. Costruita nel sedicesimo secolo per i principi Trivulzio fu per lungo tempo una dimora prestigiosa e frequentata dalla crème della società europea e le sue delizie architettoniche furono anche narrate da Montesqieu nel 1728.  

 

 

 Le Ville di delizia, così chiamate da anni, sono una delle cose più affascinanti di Monza e di tutta la Brianza.

Quanto è bello passeggiare, a piedi o in bicicletta, osservando le meravigliose ville di delizia che popolano il Parco e la città?

Ma cosa sono le ville di delizia?

Il loro mito nacque grazie ad un trattato di Bartolomeo Taegio del 1559 che rese le ville di delizia uno status symbol della nobilta’ milanese e brianzola.

Sono delle residenze suburbane, lontane dalla città, nelle quali i nobili abitavano nei periodi di villeggiatura, soprattutto nel tratto fra i Navigli e verso la Brianza.

I nobili milanesi si allontanarono dalla metropoli a causa delle varie epidemie causate dalle carenze igieniche, dell’edilizia degradata e dall’inurbamento dalle campagne. E dove fuggire se non verso Monza ed i territori brianzoli?

La Brianza divenne così un paesaggio da paradiso campestre, grazie anche al clima più mite rispetto a Milano: ai tempi si vedevano continuamente carrozze di cavalli che andavano e venivano, artisti e celebrità ospiti da tutte le parti d’Europa.

Ci si ispirava alla vita campestre, all’amore per il bucolico tipico dei grandi poeti classici come Ovidio e Virgilio, ma anche dei grandi classici italiani come Petrarca, o rinascimentali, come Pico della Mirandola.

Nel trattato di Bartolomeo Taegio c’era un lungo esempio di ville di delizia che ancora oggi possiamo visitare ed ammirare: il conte Taverna, cancelliere del Re di Spagna, aveva la sua villa di delizia in Canonica; il cardinale Carlo Borromeo scelse invece Arona come residenza di campagna; Antonello Arcimboldi ne costrui’ una sulla via che collegava Milano a Monza; Donna Violante Sforza la volle sul lago di Como a Bellaggio.

Anche gli ecclesiastici si interessarono al mito delle ville di delizia, infatti il Cardinale Federigo Borromeo scrisse un trattatello dove invitava gli uomini di Chiesa ad un uso moderato delle residenze, per non lasciarsi troppo andare alla ricerca del piacere. Il cardinale sosteneva che a quel tempo il popolo viveva un momento difficile a causa della miseria e delle malattie, quindi non si doveva dare il cattivo esempio, anche se comunque la vita a contatto con la natura era ben voluta da Dio.

Le ville di delizia, oltre ad essere residenze di villeggiatura, furono anche teatri di grandi festeballi, battute di caccia, sedi di grandi raccolte d’arte e salotti letterari, tipici svaghi dell’aristocrazia milanese.

Monza la prima grande villa di delizia fu quella di Mirabello, voluta dai Signori di Monza, i conti Durini, o meglio, da Giuseppe Durini.

Egli scelse un’area a nord est del centro abitato, lungo il Lambro, zona favorevole per il clima, per la caccia, l’equitazione e le passeggiate nei campi.

I lavori furono diretti dal famoso architetto Gerolamo Quadrio che aveva già lavorato per il Duomo di Milano e quello di Como: egli scelse di costruire una villa a pianta a U con un corpo centrale dotato di portici e ali simmetriche laterali, tipiche delle residenze lombarde.

La villa venne chiamata Mirabello, ovvero belvedere, perchè si affacciava su un terrezzamento sopra il Lambro da cui si godeva di una bellissima vista.

Ora nella Villa Mirabello vengono spesso organizzati mostre ed eventi, che danno la possibilità di ammirare la sua grande bellezza.

Non dimenticate che c’è sempre la possibilità in Brianza di visitare le varie ville di delizia, per potersi così immergere in un piccolo mondo antico, fatto di dame e nobili, di balli sfarzosi, di magnifiche carrozze, di intrighi, di amori lontani e di cultura…tutto arricchito da una magnifica vita campestre…non sarebbe un po’ il sogno di tutti noi?





 

Villa Camperio a Villasanta, Villa Trivulzio ad Agrate Brianza, Villa Sottocasa a Vimercate, Villa Cusani Tittoni Traversi a Desio, Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno... Sono solo alcune delle splendide Ville di Delizia che potrai scoprire girando in bici per la Brianza monzese. Pronto a partire?

Le ville brianzole sono definite di “delizia” perché le antiche famiglie aristocratiche, proprietarie di queste terre, vi trascorrevano il loro tempo per oziare e godersi una bucolica serenità lontano dalla città. Se vuoi scoprire le più belle Ville di Delizia della Brianza monzese, puoi scegliere di farlo in bici, seguendo il percorso che parte da Villasanta, alle porte di Monza, e arriva a Cesano Maderno, nel Parco delle Groane. Il tracciato, adatto a tutti, si sviluppa per 41.8 km su asfalto e sterrato, con un dislivello positivo di 273m e negativo di 247m (pendenza max: 6.1%, -7.6%; pendio medio: 0.9%, -0.8%). La durata? Circa 4 ore.

ITINERARIO

Da Villa Camperio a Villasanta, punto di partenza del percorso, procedi su strada fino al centro di Concorezzo. Dal retro del Municipio segui via Volta, direzione Agrate. Passato il centro vai verso Omate proseguendo per il centro di Burago. Da via Villa ti immetti su una strada serrata e passati i campi e un parco arrivi nel centro di Vimercate. Continua in direzione di Oreno, lascia la piazza e arrivi alla villa. Costeggia il parco in direzione di Arcore. Dall’abitato raggiungia la SP 7 e prendi per Peregallo. Immettiti nel percorso del Parco Lambro sino al centro di Albiate e prosegui fino a Seregno. Attraversa la periferia di Desio e raggiungi il centro di Cesano Maderno. L’itinerario si concluderà nel Parco delle Groane dove potrai immergerti nei boschi e nelle brughiere che caratterizzavano in antichità l’intero territorio brianzolo.

PUNTI DI INTERESSE

Villa Camperio di Villasanta
Oggi sede della biblioteca civica fu costruita a fine ‘600 e dotata di un grande parco.
Info utili: Biblioteca Civica di Villasanta 
Telefono: 039.23754258
Geolocalizzazione su mappa: 45.6044, 9.30009

Villa Trivulzio ad Agrate Brianza
L’edificio, proprietà dei principi Trivulzio già dal ‘500, nel ‘700 venne trasformata in villa di delizia. A fine ‘800 il complesso fu rimaneggiato dall’architetto Majnoni e nel 2000 restauri ed interventi furono finalizzati al ripristino del monumentale giardino all’italiana e del parco.
Info utili: http://www.villatrivulzio.it/ 
Geolocalizzazione su mappa: 45.57921, 9.37762

Villa Mylius Oggioni a Burago di Molgora
La villa, edificata nel ‘700 in stile neoclassico, fu acquistata nel secolo successivo da Enrico Myilius (1769-1854), ricco uomo d’affari, mecenate e filantropo, di origini germaniche.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-01342/ 
Geolocalizzazione su mappa: 45.59473, 9.37961

Villa Sottocasa a Vimercate
L’edificio tardo settecentesco è una rivisitazione neoclassica della villa di delizia rinascimentale. Il prospetto principale, sobrio e severo, si distingue dalla facciata posteriore più decorativa.
Info utili: Telefono: 0396659488
E-mail: turismo@comune.vimercate.mb.it 
Geolocalizzazione su mappa: 45.61231, 9.3705

Villa Gallarati Scotti Vimercate (frazione Oreno)
Il monumentale complesso barocco venne profondamente trasformato con forme neoclassiche tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 dall’architetto Cantoni. La villa di delizia è caratterizzata da un parco monumentale.
Info utili: http://www.museomust.it/drupal/itinerari/luoghi/villa-gallarati-scotti 
Geolocalizzazione su mappa: 45.61738, 9.35432

Casino di Caccia Borromeo a Vimercate
L’edificio, appartenuto ai Borromeo dal XVII sec., è caratterizzato da muri realizzati con ciottoli posti a spina di pesce divisi da filari di mattoni. All’interno vi sono affreschi datati al 1460 in stile gotico internazionale.
Info utili: http://www.museomust.it/drupal/itinerari/luoghi/casino-di-caccia-borromeo 
Telefono: 0396659488 
E-mail:turismo@comune.vimercate.mb.it 
Geolocalizzazione su mappa: 45.6179, 9.35334

Villa Borromeo d’Adda ad Arcore
Posizionata su un’altura, la villa di delizia è articolata in tre blocchi ed è datata alla metà del ‘700. Nella porzione centrale sono conservati gli ambienti di maggiore pregio e ampiezza tra cui l’antica libreria. Nel parco è presente un giardino all’italiana e la scuderia.
Info utili: http://www.villaborromeoarcore.it/ 
Geolocalizzazione su mappa: 45.62675, 9.32146

Villa Taverna a Triguggio (frazione Canonica)
Il nucleo originario del complesso, un castelliere risalente al tardo cinquecento, venne trasformato in palazzo nel’700. L’area è decorata da statue roccocò e sul retro spicca un bel giardino all’italiana di gusto rinascimentale.
Info utili: http://www.villataverna-canonica.it/ 
Telefono: 334 1656 718; E-mail: info@villataverna-canonica.it 
Geolocalizzazione su mappa: 45.64857, 9.28246

Villa Cusani Tittoni Traversi a Desio
L’edificio conserva il tipico impianto a U delle ville di delizia del’700 ed è caratterizzato all’interno dell’abitato da decorazioni in stile eclettico. Nel corso dell’800 il complesso fu ristrutturato dall’architetto Palagi.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-02959/ 
Telefono: 0362 392240
Geolocalizzazione su mappa: 45.61794, 9.21494

Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno
Nel ‘600 la preesistente costruzione medievale fu trasformata in una villa di delizia riccamente impreziosita da stupende opere d’arte. Il cortile centrale è caratterizzato da una loggia alla genovese affacciata sul parco.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-02219/ 
Geolocalizzazione su mappa: 45.62842, 9.14721


Si ringraziano:






                                 



                                                           








 


   



 

 

 

 

 

 

 

 

 


domenica 18 giugno 2017

Grenfell Tower


Dopo il disastroso incendio del grattacielo londinese non so se commentare l’improvvida  trascuratezza dei progettisti e costruttori o la tragedia dei due giovani architetti italiani che vi sono periti. Cercherò di trattare in sintesi ambedue gli argomenti . Quanto ai grattacieli ho già espresso il mio parere sia in questo blog che sul mio libro L’altro architetto.  Sono edifici del primo novecento spacciati per ultramoderni solo in ragione del fatto che fanno pubblicità al committente, in genere appartenente al mondo finanziario globalizzato, che ha bisogno di apparire. Le giustificazioni del risparmio del suolo non reggono di fronte agli sperperi di quest’ultimo da tutte le parti e in particolare da noi.  Senza considerare fra l’altro che se un grattacielo è adibito a residenza, come in questo caso, occorrono tanti posti macchina per gli abitanti che annullano il beneficio del risparmio creando alla base dei non luoghi. Ho già espresso nel mio libro che in aree fortemente urbanizzate il ritorno all’isolato, naturalmente rivisitato, sarebbe auspicabile e che su un’area quadrata o rettangolare la volumetria in altezza è recuperabile sul perimetro con numerosi vantaggi. Il motivo della permanenza dell’ideologia delle torri è di altra natura e riguarda la psicologia del potere supportato dalla Tecnica. Detto questo si può affermare che già in partenza un’amministrazione che ammetta la costruzione in altezza senza limiti  si pone fuori dal fine dell’architettura che dovrebbe essere quello del benessere dell’abitante. Che dire poi delle teorie cui si rifà la bioarchitettura che predica di non elevarsi oltre il sesto piano per evitare squilibri eletromagnetici tanto più se le costruzioni sono in acciaio, come nel caso della Grenfell Tower. E’ evidente che la triplice condizione soggettiva di cura, attenzione e amore per costruire bellezza si va a far benedire e il risultato in questo caso è drammaticamente lampante. Purtroppo l’effetto del sine cura, oltre alla bruttezza che sempre coincide con l’insalubrità, a volte è anche la pericolosità perchè questa trascuratezza arriva fino alla scelta dei materiali e alla disattesa delle norme più elementari di sicurezza.  E’ evidente  poi che se l’edificio ha come destinatari  gli abitanti a basso reddito, come nel nostro caso, la trascuratezza diventa sciatteria e menefreghismo per cui tutto si giustifica con i costi e con il risparmio anche se poi si spreca sull’energia. Questo è quanto si può dire a proposito dei costruttori ed ora le indagini, sempre tardive, chiariranno le responsabilità.  Quasi per un destino crudele li sono rimasti vittime due giovani architetti italiani, espatriati in cerca di lavoro perché in Italia erano sottopagati, vittime di un’architettura malata e di una educazione e formazione altrettanto malata. E’ risaputo che i giovani architetti nel nostro paese ormai sono in sovrappiù, un architetto ogni 460 abitanti è il frutto di una università, anzi forse di un sistema scolastico staccato dalla realtà,  che non sa educare e non sa quello che propone,  vende patacche che servono solo ad aumentare la disoccupazione intellettuale giovanile. Tra l’altro benchè il nostro paese sia il paese della Bellezza, con il maggior numero di siti patrimonio universale dell’Unesco, queste facoltà, tuttora ancorate ad una visione astratta e demiurgica dell’architetto frutto di falsi miti legati all’economia del mattone e alle propagande mediatiche,  trascurano una formazione umanistica. Questo professionista è spesso spinto alla competizione quantitativa e alla originalità senza qualità  per progettare nuovi insediamenti anzichè porre attenzione al già costruito. Il nuovo invece è sempre opera dell’archistar di turno, prodotto mediatico che accontenta le manie di grandezza del committente e dei mass media asserviti. Dai primi segnali infatti a Milano, dopo l’esercitazione contro la città delle torri di Porta Volta e della ex Fiera, pare che l’occasione della riconversione degli scali ferroviari seguirà queste stesse logiche. Che dire dunque di queste due giovani vite spezzate ? Mi viene in mente l’apologo greco di Dedalo, architetto con manie di grandezza che  trasmette involontariamente al figlio Icaro e quando  insieme si alzano in volo con ali di cera si vede disobbedire, nonostante le sue raccomandazioni di non alzarsi troppo, e lo vede perire per aver sfidato il sole.   

venerdì 17 marzo 2017

L'architetto oggi




Nell’antica Grecia i miti esemplificavano atteggiamenti dell’animo umano, vizi e virtù. Per quanto riguarda la mania di grandezza e l’ambizione divorante  era pronto il mito di Dedalo e Icaro.  Dedalo era un architetto molto famoso che non sopportava di avere dei rivali che lo superassero e avendo scoperto che suo nipote, che lavorava con lui, ci tentava lo uccise. Per non essere arrestato scappò a Creta e quivi costrui il famoso Labirinto. Poi dopo un po’ di tempo volle tornare in patria ma il re glielo impediva allora progettò e costruì delle ali di piume e cera che indossò e fece indossare al figlio ammonendolo di non alzarsi troppo in volo perchè la cera con il calore del sole si sarebbe sciolta. Il ragazzo, preso dall’ebrezza di volare non stette a seguire i suoi consigli e si librò molto in alto finchè la cera si sciolse e precipitò in mare perendovi. Perchè, vi direte, racconto questa storia arcinota ? Come dicevo all’inizio i miti nascondono verità psicologiche e il fatto che il protagonista di questo che esemplifica la volontà di potenza smodata sia un architetto è sicuramente emblematico. Come scrivevo nel mio libro L’altro architetto oggi questi professionisti si dividono in quelli che non hanno coscienza sociale del proprio ruolo e quelli che ce l’hanno. Questo si traduce in una minore o maggiore sensibilità verso i problemi di sostenibilità ecologica e sociale. Ai primi possiamo ascrivere quasi tutti i cosidetti  archistar, o perlomeno tutti quelli al servizio del capitale finanziario che i mas _media esaltano per la loro genialità. I committenti li corteggiano dopo aver contribuito alla loro fama e le loro architetture funzionano esattamente come la pubblicità : più provoca e più colpisce nella disattenzione generale e tanto più è assicurato il risultato pubblicitario. Quasi sempre puntano sullo stupire, se non   intimorire, con qualcosa di portentoso, non a caso i temi sono quelli che richiamano masse di utenti per eventi spettacolari, per inciso il concetto di massa è tipico del novecento, fiere, musei, stadi, esposizioni internazionali o in alternativa grattacieli altissimi per abitazioni di lusso. In genere queste architetture nulla hanno a che fare con il genius loci e difficilmente si integrano bene con la città preesistente, risultano invece essere interventi squilibranti che utilizzano la tecnica per ottenere risultati sorprendenti. Il grattacielo più alto in Dubai si spinge a circa 800 metri. Questo garantisce per un certo periodo l’ammirazione e il consenso dei media e di conseguenza del cittadino sprovveduto. Non a caso in genere tali manufatti sorgono soprattutto in regioni scarsamente democratiche che vogliono così mostrare la potenza della classe al potere.  Poi vi sono quelli con una buona coscienza sociale.  Walter Gropius scrisse un famoso saggio dal titolo Architettura Integrata per sostenere la necessità di una integrazione dell’architettura nella città e descrisse il ruolo pubblico dell’architetto . Questi ultimi non sono funzionali al potere finanziario perchè non aspirano a volare troppo in alto come il famoso apologo riportato all’inizio.  Sono quelli che cercano l’armonia e l’eleganza più che la esibizione narcisistica di potenza. Inseguono la bellezza e sanno realizzare progetti con cura, attenzione e amore che sono i presupposti soggettivi per ottenerla. Sono questi che salveranno il mondo quando i prodotti dei primi verranno dismessi perchè la cera delle loro ali si sarà sciolta.     

martedì 15 marzo 2016

Della bioarchitettura

                                                  Antibes, acquerello su carta

Da tempo l’ecologia da pura scienza della natura si  sta trasformando in un nuovo pensiero che investe anche le discipline umanistiche e in generale tutta la cultura di questo inizio millennio. Ogni tanto nella storia dell’uomo si presenta la necessità di cambiare il paradigma di partenza per una nuova interpretazione della realtà che permetta un migliore adattamento e uno scatto evolutivo. Di questi tempi è l’approccio sistemico bioecologico che in tutti i settori sembra costituire la nuova opportunità.  E’ inevitabile riflettere che questa nuova opportunità è in effetti molto antica, ma la nostra cultura, protesa verso altri traguardi l’ha trascurata. La sfida che oggi abbiamo di fronte è quella dell’accettazione della complessità e non separatezza delle cose. Ogni disciplina dunque puo’ essere riletta in questa chiave e l’architettura, essendo per tradizione la meno specialistica, bene si adatta ad essere rivisitata da un punto di vista ecologico ed olistico.  

Questo scrivevo nella premessa al mio libro L’uomo, l’ambiente, la casa. Verso un’etica bioecologica dell’architettura, del 1992, Guerrini Editore.  E’ cambiato qualcosa? E’ evidente che no. Siamo ancora li’ a dire le stesse cose come se  non fossero passati tutti questi anni. Gli architetti sono sempre più numerosi in Italia ma senza lavoro e l’architettura è sempre più appannaggio di investitori con la vanità di mostrare il proprio potere economico attraverso l’esibizione di edifici eventi che si stagliano anomali sulla città. Azioni contro la città anzicchè al servizio di essa. La cosidetta bioarchitettura, di cui noi siamo stati i precursori, ha solo costituito un ulteriore modo per distinguersi, narcisistico ed egoico, da parte di architetti e committenti che hanno voluto mettere in mostra la loro originalità. In alcuni casi archistar internazionali, che mai hanno mostrato sensibilità alla tematica ambientalista, ora si sono riciclati in senso ecologico rivestendo i propri grattacieli di elementi naturali e avanzate tecnologie pseudoecologiche. Qualcuno afferma che l’architetto dovrebbe essere un’antenna sensibile ai cambiamenti e dunque quello che in anni recenti era dettato dall’esaltazione del credo tecnoscientifico oggi è dettato dalle mode eco.  Ma in questo panorama l’integrazione dell’architettura nella città viene tranquillamente dimenticata e l’architetto Carlo Ratti pensa di costruire un edificio di 1609 metri coprendolo di elementi vegetali dei vari paesi, quasi un’Expo in verticale.

giovedì 24 settembre 2015

Dell'architettura

                                           Coldirodi, acquerello su carta

   Oggi si dice che non esiste uno stile.  Ma che cosa è uno stile ? Ecco la risposta tradizionale : lo stile è l’espressione formale di una cultura. Gli ordini classici sono stili, anzi il termine stesso si rifà alla colonna, ognuno di essi si riferisce alla cultura di popolazioni greche che li hanno prodotti. L’ordine dorico è relativo ai Dori, popolazione severa e frugale poco dedita alle sottigliezze e ai sentimenti, non cosi gli ordini ionico e corinzio. Oggi non esiste più uno stile perchè la cultura occidentale liberista ha dato via libera ad ogni espressione provocatoria manipolata dai media che hanno una funzione totalmente diversa rispetto alla fruizione contemplativa della bellezza. Cosi non esiste più una forma riconosciuta che esprime il carattere della cultura dominante. Tutti possono produrre quello che vogliono purchè abbia le caratteristiche che servono per stupire e far parlare i mass- media. Il cosidetto stile internazionale è fondamentalmente assenza di stile. E’ chiaro che la provocazione reiterata finisce pêr diventare omologazione nella categoria del brutto, inteso come superficiale e senza cura. La globalizzazione produce identiche brutture nella banalità del fine, che non è più quello di aiutare a vivere felicemente ma quello di comunicare magniloquente e si sa che grdare fa male  anche se a volte serve, ma se gridano tutti alla fine si avrà un baccano infernale e non ci si intenderà più.  Come ci si puo’salvare ? A parer mio recuperando il significato della bellezza che presuppone un rapporto diverso con la natura dentro e fuori di noi e la riedificazione della  promessa di felicità che è insita nella ricerca di armonia fra uomo e ambiente. Un ritorno al regionalismo ? Non propriamente, nel senso che in architettura si sono sempre succeduti periodi di espansione e di contrazione. Oggi abbiamo  bisogno più di riflessione e di rispetto per la natura e il contesto perchè vi è anche una revisione dell’idea di progresso che sta alla base della cultura modernista. Va superata anche la dicotomia fra classico e anticlassico : c’è bisogno di più modestia. I temi cambiano : alcuni rimangono ma vengono trattati in modo nuovo, altri si aggiungono al repertorio dell’architettura, le forme si liberano dalla dipendenza di stili passati, come è giusto, ma spesso sono frutto di manie di grandezza senza nessun rispetto per la cultura ed il contesto. La bellezza di un nuovo intervento infatti ha due componenti : la cura e l’impegno di chi progetta a non violentare  il tessuto esistente, sia pure rapportandosi per contrasto, e la disponibilità della popolazione locale ad accettare il nuovo.  Quest’ultimo fatto è legato alla dimensione  e ai tempi. Un intervento che stravolge in pochi anni  il paesaggio consolidato è vissuto come una violenza e una scarsa considerazione che lo fa apparire brutto. Nel tempo questo giudizio puo’anche cambiare perchè i segni della vita lo ricoprono di nobiltà e l’abitudine lo rende familiare. Ma se questo non succede rimane un monumento senza senso e seza vita. Resta un non luogo dove si realizzano i tre eccessi della modernità : eccesso di spazio, eccesso di tempo ed eccesso di individualismo. 

giovedì 13 agosto 2015

Per Vittorio Borachia


                           La città ideale, acquarello e pastello su carta 

 E’ mancato in questi giorni di agosto un amico, collega e maestro, Vittorio Borachia. Sono addolorato e voglio ricordarlo parlando di lui per quello che ho potuto conoscerlo. Era essenzialmente un uomo buono, con un’etica piuttosto stoica. Mi risulta che a vent’anni era in marina durante la guerra e forse un po’ di quella disciplina marinaresca  lo aveva contagiato anche nella vita, aveva infatti le virtù dei grandi navigatori : onestà, coraggio, solidarietà, spirito d’avventura, riservatezza e culto dell’amicizia. Era infatti nativo di La Spezia, città che lui amava anche se viveva a Milano ed insegnava Urbanistica alla Facoltà di Architettura. Ho lavorato con lui ai piani delle oasi naturalistiche del mantovano, nei primi anni ottanta, cosi ho potuto conoscere il suo pensiero e la sua cultura. Nonostante appartenesse alla generazione che aveva creduto nella tecnica, nell’industria e nel progresso scientifico, tanto che disegno,insieme a Carlo Santi negli anni 50, una poltrona pieghevole in plastica per la Tecno, lui aveva fin da giovane maturato un amore per la natura che lo porto’ ad abbracciare in architettura l’organicismo di Frank Lloyd Wright che aveva conosciuto a Taliesin West, dove aveva passato un po’ di tempo per seguire il maestro da vicino.  Di questa influenza si puo’ vedere la traccia nella casa da lui progettata per la sua famiglia sopra Albavilla in provincia di Como. La sua attività professionale tuttavia è stata prevalentemente dedicata ai piani urbanistici dove per la prima volta si nota il tentativo di coniugare lo sviluppo con la sua sostenibilità ecologica. Per lui il bello in architettura è il prodotto conseguente di una urbanistica  ben fatta dove il lavoro dell’architetto si inserisce senza arroganza e provocazione ma con misura ed eleganza, frutto di una concezione aristocratica  della sua opera, nel senso etimologico originario di « la migliore ».  Ma è  proprio sul versante dell’ecologia applicata al territorio, costruito e naturale, che osserviamo la sua novità, considerando i tempi, erano gli anni 70 e 80. Fu infatti uno strenuo difensore del paesaggio come bene da conservare, soprattutto nella sua Liguria, aimè sconvolta dalla speculazione, applicando norme e leggi atte a proteggerlo. Vittorio era politicamente un socialista riformista ed è stato uno  dei miei riferimenti ai quali è dedicato il mio ultimo libro L’altro architetto, infatti la figura dell’insegnante  nel dialogo socratico si attaglia bene alla sua persona ed alla sua attività di professore e  presidente della Fondazione Labo’.   

venerdì 1 agosto 2014

Ciao Guglielmo



In occasione della scomparsa dell'architetto Guglielmo Mozzoni voglio ricordarlo a tutti voi con  questo scritto. Ciao Guglielmo mi mancheranno le nostre telefonate periodiche.

L'architetto Mozzoni apparteneva a quella generazione che da giovane aveva molto creduto nella tecnologia e nel progresso e pensava di poter risolvere i mali del mondo con lo sviluppo della scienza. Ma contrariamente a molti suoi contemporanei ha sempre sentito un forte amore per la natura e quasi un sentimento religioso di appartenenza ad essa. Un atteggiamento mistico che traspare in tutte le sue opere, soprattutto le più umili come gli acquarelli, e che lo portava a provare una forte tensione tra l'esigenza del nuovo e il preesistente naturale, tanto in alcuni casi da farlo rinunciare all'incarico pur di rispettare il contesto. In certi lavori si nota un forte conflitto tra le esigenze di un razionalismo astratto, tipiche della sua formazione, con quelle più propriamente organicistiche e mimetiche che tendono a inserire il nuovo in maniera misurata e rispettosa prendendo spunto dalla particolarità del luogo e dalla sua "spiritualità". Nei suoi scritti si legge un senso di meraviglia per la vita e la sua bellezza, che non tutti sanno cogliere se non i veri artisti o chi, come lui, è stato sul punto di perderla. Non a caso Guglielmo Mozzoni durante la guerra, come Dostjewski, si è salvato all'ultimo momento dalla fucilazione. Il suo yumor, che nasceva anche da questo evento, era sincero e coinvolgente come quello di un bambino, pervaso com'era di stupore infantile ad ogni manifestarsi della vera creatività. Aveva un'etica epicurea, nel senso classico, di aspirazione alla felicità attraverso la saggezza e l'accettazione del piacere come principio di vita. Ma al tempo stesso Mozzoni si poneva anche alla ricerca di valori eterni che indagava con spirito e senso dell'umorismo.  Bisogna ammettere che dove riusciva a sintetizzare le esigenze razionali con il suo istinto naturalistico realizzava capolavori di architettura, che oggi si potrebbe definire ecologica per l'accennato rispetto del contesto naturale e storico. Questo si vede soprattutto nelle ville e in quegli interventi, come nel Friuli, dove cerca nei morfemi locali lo spunto formale delle sue opere. Questo suo bisogno di sintesi ed al tempo stesso la sua tendenza al gioco ed all'invenzione, poichè nulla per lui era da prendere troppo seriamente, lo condussero a progettare quella che lui chiamava Città-Ideale GM, una casa città, sulla scorta dei grandi utopisti ottocenteschi, però con caratteristiche del tutto particolari. L'idea di Mozzoni anche se utopistica (nel senso letterale di senza luogo) contiene alcuni aspetti che costituiscono fonte di riflessione sulla vita comunitaria che oggi si conduce nelle città e  come potrebbe essere migliorata. Intanto suggerisce soluzioni per il traffico veicolare sostituendolo con scale mobili e tapis roulants, inventa artifici per avere il verde accanto all'abitazione senza occupare troppo territorio e poi tocca tanti altri aspetti della vita che riguardano sia il lavoro che le relazioni. Insomma egli, attraverso una metafora, ci invita a ripensare la nostra civiltà ed a cosa si potrebbe fare per favorire la reciproca comprensione ed avviare un nuovo umanesimo.
Per la psicologia di derivazione junghiana vi sono degli archetipi che guidano i comportamenti umani alle varie stagioni della vita nel processo di identificazione, verso l'età avanzata abbiamo il Saggio ed il Folle, l'uno che riordina razionalmente il vissuto e l'altro che si diverte senza più odiosi doveri di rappresentanza, Mozzoni li aveva ben interpretati con questa sua città ideale garanzia di realizzazione della sua piena umanità, la stessa forma sferica è una rappresentazione del Sè.

mercoledì 12 marzo 2014

La crisi dell'architettura

Leggo sul Corriere che in una intervista  il direttore della Biennale di Venezia dice  che l'architettura è in crisi.  Non mi sembra una grande novità. Da sempre essa è una metafora del potere e come tale costituisce il suo più antico mass-media. E' inevitabile che a fronte di un capitalismo senza etica, ormai globalizzato, abbiamo una architettura che punta solo ad apparire più che servire. Tuttavia costituisce il nostro spazio esistenziale e condiziona le nostre vite per cui sentiamo il disagio connesso alla sua criticità. La crisi dell'architettura costituisce una conferma della crisi della nostra cultura. Nel 1992 ho pubblicato un libro che indicava una via d'uscita per l'architettura, infatti il sottotitolo era Verso un'etica bioecologica dell'architettura, ma non mi pare che nel frattempo si siano fatti grandi passi in questo senso. E' avanzato il movimento cosidetto della bioarchitettura, con competizioni, liti e dispetti fra quelle realtà del terzo settore che lo promuovevano, come la nostra: ancora oggi vi è chi ritiene di essere il depositario del diritto di fregiarsi del nome "bioarchitettura". Questo dimostra che anche qui il potere, magari negato nella forma tradizionale, rispunta fuori come la sostanza dell'architettura. E quindi un potere malato non può che dare un'architettura in crisi.  Il nuovo capitalismo globalizzato ha come finalità il denaro e abbiamo una economia  basata sulla finanza anzicchè un'economia reale basata sulla produzione. Questo fatto tende a svalutare il manufatto in se che diventa utile solo se produce denaro. La tecnologia è piegata a questo fine e il valore di scambio trionfa sul valore d'uso. Anche l'architettura segue queste leggi dunque ci troviamo a subire edifici che hanno il solo scopo di esaltare il potere del denaro e di produrne dell'altro attraverso la spettacolarizzazione esaltata dai mass- media. Abbiamo di conseguenza architetture liberi eventi contro la città anzicchè architetture per la città. Gli archistar sono funzionali a questa situazione e sono utilizzati per ottenere il consenso dei media.  Un tempo si costruiva  con l'intento di produrre bellezza per i cittadini oggi si costruisce per produrre potenza da ostentare ai media asserviti a questa logica dagli stessi poteri forti  dell'economia. La politica, anche nei regimi democratici, è condizionata da questi poteri e mentre dovrebbe tutelare gli interessi di tutti in realtà per mantenere il potere tutela gli interessi dei capitali.    La crisi dell'architettura è dunque una crisi della committenza che è ammalata di nevrosi del potere dove con questo si intende volontà di potenza senza sentimento sociale.
Se volete approfondire l'argomento c'è il mio libro appena uscito, L'altro architetto, Edizioni Giampiero Casagrande editore in Lugano e Milano, info@cfs-editore.com

martedì 3 settembre 2013

Pacifismo ai tempi della guerra in Siria


Appena finita la guerra la mia famiglia era ancora sfollata in montagna, nella bergamasca. Avevo 3 o 4 anni e abitavamo una villa con un grande giardino. Una notte, nel campo di fronte al nostro cancello, al di la del viale di tigli, si sentirono delle urla, così mi dissero perché a quell'etá il sonno è profondo e non ricordo di averle sentite. Era inverno e c'era la neve che si stava scogliendo sul prato. Il mattino dopo mio padre mi portò con se a vedere cosa era successo. Attraversammo il campo in direzione di un gruppetto di persone che sostavano guardando a terra. Quando arrivammo ci accorgemmo di una grande macchia rossa nella neve. Avevano nella notte ucciso un uomo, pare un "fascista" che andava a trovare la moglie nel vicino sanatorio. Una vendetta di qualche presunto "partigiano" che non aveva deposto le armi. L'avevano ammazzato a calci e per terra, dopo che lo avevano portato via con un carretto, erano rimasti i denti rotti e il sangue. Perché raccontare questo aneddoto, vi chiederete? Perché credo che questo episiodio sia stato il mio primo contatto con un delitto assurdo, la banalitá del male e abbia segnato indelebilmente la mia sensibilitá. Da li è sorto il mio rifiuto della violenza e della guerra. Ma essere pacifista non è un problema da poco, i mass media ci rimandano in tempo reale le immagini di questi bambini siriani che assistono quotidianamente ai massacri della guerra civile. Diventaranno pacifisti? Non credo. Solo se saranno capaci di dominare la rabbia e la paura. Non è un compito facile e quindi la maggior parte saranno dominati dallo spirito di vendetta che fará di loro i fautori di altri conflitti. Questa è la turpe ereditá della guerra: creare i presuposti psicologici per altre guerre. Hilmann affermava che vi è "un terribile amore per la guerra", diventato poi il titolo di uno dei suoi ultimi libri. Estirpare questo archetipo è pressoché impossibile se non lo riconosciamo come tale. Ma noi viviamo in una societá organizzata su modelli che esaltano il conflitto. I valori che respiriamo fin dall'infanzia esaltano le virtu belliche che ritroviamo anche nella vita civile. Fino a non molto tempo fa, ancora oggi in provincia, il maschio si identificava con la divisa che in gioventù aveva indossato da militare. L'economia esalta la competitivitá con un linguaggio da guerra, conquiste di mercati, vittorie, sconfitte, combattimenti e il dio denaro regna sovrano. Le guerre hanno sempre dei risvolti economici, chi lucra sulla rabbia e la paura? L'opinione pubblica viene manipolata usando ad arte i mezzi di comunicazione di massa per provocare lo sdegno necessario per giustificare la guerra. Si parla infatti di guerra di immagini e della propaganda ma è su questo fondamento di aggressivitá, generato dalla paura e dalla rabbia, che poggia la morale publica che la promuove. Come per il dilemma siriano, Tolstoj si interrogava sulla moralitá di intervenire in un conflitto attraverso il suo personaggio Levin in Anna Karenina: "se tu vedi uno che assale una donna o un bambino che fai? Non intervieni?" Risposta: " Si ma questa è una mia scelta persoale per difendere il più debole e non per uccidere." Gli stati invece quando decidono di entrare in una guerra, da una parte o dall'altra, sanno che rilasciano licenza di uccidere come del resto lo sanno i produttori di armi che vendono ai contendenti. Bisognebbe denunciare e punire le banche che si prestano a questi trasferimenti di denaro come per il riciclo di origine mafiosa. Colpisci chi specula e guadagna con la guerra e toglierai di mezzo molte fonti che la alimentano. Veniamo ora al punto dolente della guerra siriana, dell'uso dei gas e dei bambini uccisi o resi orfani. La comunitá internazionale deve intervenire o no? A parere mio non si migliora la situazione aggiungendo della violenza alla violenza e aumentendo il substrato di paura e di rabbia. La guerra è un fuoco che si alimenta con le rivendicazioni, le vendette e le punizioni. Gli esempi della storia, anche recente, sono li a dimostrarlo. La follia si disarma con la pacatezza, la saggezza e la calma. Con il passaggio da un pensiero dicotomico ad un pensiero sistemico. Kant indicava due strade per la pace perpetua. Una è quella di un organismo di diritto internazionale riconosciuto che giudichi le cause fra stati, ed ora c'è l'ONU. La seconda è l'abolizione degli eserciti permanenti, ovvero la smilitarizazzione della societá e della cultura. Questa è ancora di là da venire e riguarda tutti, è una nuova cultura che coinvolge anche l'economia: altro che missili per operazioni chirurgiche. "La bellezza salverá il mondo" diceva il principe Miskin nell'Idiota di Dostoevskj, Hillmann diceva la stessa cosa in modo diverso, ma quale bellezza vi è nei missili che esplodendo producono altre macerie e morti oltre a quelli che giá ci sono? Diamo il mondo ai poeti e salveremo la terra. 

martedì 16 luglio 2013

il Gratta cielo

Il settimanale Sette del Corriere della Sera in data 14 giugno riporta un'intervista al solito Renzo Piano  che appare in copertina, come una star, con un'aria di falsa modestia  sentenziando che forse stiamo esagerando con i grattacieli. Senti chi parla, direbbe qualcuno. Infatti nel contempo difende ovviamente la sua Scheggia di Londra, edificio di oltre 300 metri, la costruzione più alta d'Europa. Afferma inoltre che l'architetto deve essere come un "sensore" che interpreta i cambiamenti della società. Viene da sorridere perché questa definizione in tutta la sua retorica fa invece trasparire quella più volgare che definisce l'architetto la puttana del Potere e suo compito sarebbe quello di interpretare le voglie del cliente. Infatti i grattacieli si fanno con i soldi e ce ne vogliono tanti per costruirli, oggi la tecnologia permette anche grandi altezze, impensabili fin agli anni sessanta, come a Dubai e in Cina, è solo una questione di denaro e questo è concentrato in poche mani che, sia nel mondo occidentale sia nei paesi emergenti, determinano le scelte urbanistiche e architettoniche. Allora si pone inevitabile la domanda: l'architettura la fa il committente o l'architetto? Da sempre l'architettura è un mass-media del potere, ne è la metafora, come ho già avuto modo di scrivere in un mio precedente articolo, dunque segue le stesse leggi. Abbiamo recentemente assistito a una sterile disputa tra Gregotti e Liberskind dove quest'ultimo accusava il primo di progettare per i regimi autoritari come la Cina e questi gli rispondeva piccato che lui invece era al servizio della grande finanza globalizzata. Botta e risposta che nascondono la crisi dell'architetto che vorrebbe essere demiurgo e invece non è che  "servo dei padroni", per usare un'espressione cara al sessantotto ma ormai dimenticata. Dunque un potere arrogante che vuole influenzare i media e incutere riverenza e timore non può che aspirare e stupire con la sfida tecnologica fregandosene del benessere dell'abitante. Ho in pubblicazione un mio libretto dove mi sono sforzato di mostrare che quando la bellezza, sia pure relativa alla propria epoca, ha cessato di essere considerata un bisogno fondamentale dell'uomo si è manifestata la produzione di ogni sorta di provocazioni dettate dall'esigenza di stupire più che di accogliere. Tornando ai grattacieli, sono la dimostrazione del teorema accennato e fintanto che un potere spocchioso e arrogante, sganciato dal territorio, avrà mano libera nella trasformazione urbana avremo questi segni evidenti della sua tracotanza, non reggono le giustificazioni pseudo urbanistiche di risparmio del suolo contro l'espansione a macchia d'olio della città anche perché questi mostri sacri in generale non risolvono il problema di dare una casa alle masse dei diseredati, invece  accolgono uffici di rappresentanza o case per ricchi esibizionisti. Dopo il disastro delle torri gemelle qualcuno aveva detto che il grattacielo era finito, invece si è continuato a costruirne in tutto il mondo e questo dimostra che ai poteri forti non interessano i segni del destino. Comunque qui si ricorda, per chi se lo scordasse, che la forma delle città si decide nelle giunte comunali, almeno da noi, e dunque sono queste, cioè la politica, che dovrebbe porre un freno allo strapotere dei soldi. A Milano l'amministrazione Albertini è stata una specie di Federico Barbarossa che ha stravolto lo skyline della città e la sua identità dando il via libera alla grande speculazione dei gruppi bancari. Il logo di Unicredit sulla "guglia" di Porta Nuova ce lo rammenta in ogni momento. E' vero, come dice Piano nell'intervista citata, che per l'architettura ci vogliono i tempi lunghi e che prima o poi anche queste trasformazioni verranno metabolizzate, salvo i casi, ormai numerosi, di edifici  che dopo qualche decennio diventano ecomostri vuoti da abbattere, tuttavia il costo per la comunità è troppo alto in termini di disagi urbani, non ultimo quello della congestione del traffico, mille abitanti concentrati in un edificio producono circa mille automobili in circolazione, alla faccia di qualsiasi Area C, e per favore non mi si parli di grattacieli ecologici che migliorerebbero l'inquinamento. L'attuale amministrazione risulta essere troppo timida di fronte alle pretese degli speculatori, vedi Citylife e Cerba. Come si diceva tempo fa in uno dei miei convegni, La città dei cittadini, a Milano operano due urbanistiche: una legata ai poteri che hanno costruito la città rendendola invivibile e  che vogliono disegnarne un futuro appariscente aumentando ancor più i problemi di sostenibilità, l'altra che vi si contrappone e che vorrebbe ridisegnare una città più umana. Questa seconda è alternativa sia nelle idee sia nelle forze che la reggono. Le sue radici stanno nei comitati, nelle comunità, nelle cooperative, nei consorzi, nei sindacati e nelle associazioni democratiche della società civile, tuttavia fatica a incidere sulle decisioni generali se non è sostenuta da quei politici ancorché eletti con i suoi voti.

Maurizio Spada