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mercoledì 12 marzo 2014

La crisi dell'architettura

Leggo sul Corriere che in una intervista  il direttore della Biennale di Venezia dice  che l'architettura è in crisi.  Non mi sembra una grande novità. Da sempre essa è una metafora del potere e come tale costituisce il suo più antico mass-media. E' inevitabile che a fronte di un capitalismo senza etica, ormai globalizzato, abbiamo una architettura che punta solo ad apparire più che servire. Tuttavia costituisce il nostro spazio esistenziale e condiziona le nostre vite per cui sentiamo il disagio connesso alla sua criticità. La crisi dell'architettura costituisce una conferma della crisi della nostra cultura. Nel 1992 ho pubblicato un libro che indicava una via d'uscita per l'architettura, infatti il sottotitolo era Verso un'etica bioecologica dell'architettura, ma non mi pare che nel frattempo si siano fatti grandi passi in questo senso. E' avanzato il movimento cosidetto della bioarchitettura, con competizioni, liti e dispetti fra quelle realtà del terzo settore che lo promuovevano, come la nostra: ancora oggi vi è chi ritiene di essere il depositario del diritto di fregiarsi del nome "bioarchitettura". Questo dimostra che anche qui il potere, magari negato nella forma tradizionale, rispunta fuori come la sostanza dell'architettura. E quindi un potere malato non può che dare un'architettura in crisi.  Il nuovo capitalismo globalizzato ha come finalità il denaro e abbiamo una economia  basata sulla finanza anzicchè un'economia reale basata sulla produzione. Questo fatto tende a svalutare il manufatto in se che diventa utile solo se produce denaro. La tecnologia è piegata a questo fine e il valore di scambio trionfa sul valore d'uso. Anche l'architettura segue queste leggi dunque ci troviamo a subire edifici che hanno il solo scopo di esaltare il potere del denaro e di produrne dell'altro attraverso la spettacolarizzazione esaltata dai mass- media. Abbiamo di conseguenza architetture liberi eventi contro la città anzicchè architetture per la città. Gli archistar sono funzionali a questa situazione e sono utilizzati per ottenere il consenso dei media.  Un tempo si costruiva  con l'intento di produrre bellezza per i cittadini oggi si costruisce per produrre potenza da ostentare ai media asserviti a questa logica dagli stessi poteri forti  dell'economia. La politica, anche nei regimi democratici, è condizionata da questi poteri e mentre dovrebbe tutelare gli interessi di tutti in realtà per mantenere il potere tutela gli interessi dei capitali.    La crisi dell'architettura è dunque una crisi della committenza che è ammalata di nevrosi del potere dove con questo si intende volontà di potenza senza sentimento sociale.
Se volete approfondire l'argomento c'è il mio libro appena uscito, L'altro architetto, Edizioni Giampiero Casagrande editore in Lugano e Milano, info@cfs-editore.com

2 commenti:

  1. Penso anch'io che un' architettura squilibrata tra forma e funzione- come quella prodotta oggi da alcuni architetti di grido- trasmetta un senso di futilità e di inutilità.
    Mi sembra però che il criterio di distinzione tra buona e cattiva architettura non sia facilmente definibile, perlomeno nei tempi brevi. Mi viene in mente che i grandi architetti barocchi ,ai loro tempi, venivano spregiativamente definiti "i novatori" perchè infrangevano i canoni dell'architettura del tempo. Avevano forse dei committenti più illuminati ma credo che oggi come allora l'architettura abbia un ruolo.
    ancillare rispetto al potere.Se le cose stanno così , l'architettura può essere solo un "suggeritore" del potere ma non è in grado di incidere sulle scelte di fondo di un sistema economico .Pronto eventualmente a cambiare idea dopo che avrò letto il libro dell'architetto Spada

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  2. Caro Carlo sono d'accordo che ogni periodo ha visto il conflitto tra gli innovatori e i conservatori ma ai tempi del barocco il dissidio riguardava più che altro i canoni estetici e i committenti erano comunque orientati da un bisogno di bellezza che si manifestava attrverso l'importanza che veniva attribuita all'artista il cui compito era quello di raggiungerla, inoltre il nuovo era di dimensioni limitate tanto da non costituire una frattura nel paesaggio consolidato. Ora proprio per la dimensione e per la perdita della finalità è diverso: il nuovo attraverso la tecnologia che lo permette nel breve periodo può distruggere il vecchio ed omologare ogni panorama con la perdita di una identità costruita in diversi secoli. Allora i committenti potenti erano la Chiesa e pochi Signori con mezzi tecnici non molto diversi dagli antichi Romani oggi i potenti sono le multinazionali con mezzi assai maggiori. Come dici tu l'architettura non può cambiare il mondo ma un nuovo pensiero umanistico sì.

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