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lunedì 14 luglio 2014

Paesaggi

                                                            Infinito olio su tela 70x50

Tempo di vacanze, tempo di paesaggi inconsueti. Paesaggi rurali della nostra bella Italia sintesi armoniica di natura e cultura. Oggi il naturale risulta sempre bello perché natura primigenia in se, mentre l'artificiale qualche volta è bello ma spesso è brutto, contrariamente alla concezione greca, oggi spesso si vede l'intervento dell'uomo come deturpazione. D'altra parte in una situazione in cui lo sviluppo tecnologico ha messo l'uomo d'oggi nelle condizioni di avere la possibilità di distruggere completamente la vita, e quindi gli dà la responsabilità di mantenerla, il naturale appare come un ambiente artificialmente tenuto cosi, come memoria della natura primigenia e appare bello pur nelle contrastanti tendenze estetiche. Oggi  si puo notare che non vi è contraddizione tra naturale e artificiale qualora l'uomo abbia interpretato le sue esigenze più profonde e non abbia dato libero sfogo alla sua distruttività. Il naturale autentico risulta anzi come prodotto di una scelta creativa dell'uomo che individua come necessario e bello lasciare le cose come stanno. La creatività dell'uomo sta nella selezione, nella cernita, nel riconoscere la superiorità delle forze creatrici della natura, nell'essere umile e scoprire che in determinate circostanze é meglio non intervenire. Il paesaggio storico agricolo é il risultato della modificazione del selvaggio mediante elementi naturali o meglio mediante elementi organici viventi. L'uomo nella trasformazione agricola tradizionale é stato guidato da preoccupazioni ben lontane da intenti estetici coscienti, pero nel paesaggio storico si nota un aspetto caratteristico delle attività umane: quando prevale la creatività, sia pure inconsapevole e determinata da necessità contingenti, si ha benessere psichico, cioé bellezza. L'attività agricola ha in effetti tradizionalmente costituito l'incontro creativo tra l'uomo e la natura: questa viene conosciuta e incanalata verso una maggiore capacità di vita, ecco perchè il mondo agricolo ha da sempre destato sensazioni di benessere. Nell'agricoltura tradizionale l'uomo ha si modificato l'ambiente naturale ma plasmandolo con le proprie mani nello sforzo umile e generoso di adattare il naturale ai bisogni fondamentali di vita. Spesso il paesaggio che ne deriva è il risultato di uno sforzo collettivo che inconsciamente è artistico, se per arte con Jung si intende la capacità di esprimere le forze primigenie del nostro inconscio collettivo che sono tensione tra l'istintuale e il trascendente, tra materia e spirito, tra profano e religioso, alla ricerca di nuove sintesi al fine di una esperienza del tutto.

mercoledì 12 marzo 2014

La crisi dell'architettura

Leggo sul Corriere che in una intervista  il direttore della Biennale di Venezia dice  che l'architettura è in crisi.  Non mi sembra una grande novità. Da sempre essa è una metafora del potere e come tale costituisce il suo più antico mass-media. E' inevitabile che a fronte di un capitalismo senza etica, ormai globalizzato, abbiamo una architettura che punta solo ad apparire più che servire. Tuttavia costituisce il nostro spazio esistenziale e condiziona le nostre vite per cui sentiamo il disagio connesso alla sua criticità. La crisi dell'architettura costituisce una conferma della crisi della nostra cultura. Nel 1992 ho pubblicato un libro che indicava una via d'uscita per l'architettura, infatti il sottotitolo era Verso un'etica bioecologica dell'architettura, ma non mi pare che nel frattempo si siano fatti grandi passi in questo senso. E' avanzato il movimento cosidetto della bioarchitettura, con competizioni, liti e dispetti fra quelle realtà del terzo settore che lo promuovevano, come la nostra: ancora oggi vi è chi ritiene di essere il depositario del diritto di fregiarsi del nome "bioarchitettura". Questo dimostra che anche qui il potere, magari negato nella forma tradizionale, rispunta fuori come la sostanza dell'architettura. E quindi un potere malato non può che dare un'architettura in crisi.  Il nuovo capitalismo globalizzato ha come finalità il denaro e abbiamo una economia  basata sulla finanza anzicchè un'economia reale basata sulla produzione. Questo fatto tende a svalutare il manufatto in se che diventa utile solo se produce denaro. La tecnologia è piegata a questo fine e il valore di scambio trionfa sul valore d'uso. Anche l'architettura segue queste leggi dunque ci troviamo a subire edifici che hanno il solo scopo di esaltare il potere del denaro e di produrne dell'altro attraverso la spettacolarizzazione esaltata dai mass- media. Abbiamo di conseguenza architetture liberi eventi contro la città anzicchè architetture per la città. Gli archistar sono funzionali a questa situazione e sono utilizzati per ottenere il consenso dei media.  Un tempo si costruiva  con l'intento di produrre bellezza per i cittadini oggi si costruisce per produrre potenza da ostentare ai media asserviti a questa logica dagli stessi poteri forti  dell'economia. La politica, anche nei regimi democratici, è condizionata da questi poteri e mentre dovrebbe tutelare gli interessi di tutti in realtà per mantenere il potere tutela gli interessi dei capitali.    La crisi dell'architettura è dunque una crisi della committenza che è ammalata di nevrosi del potere dove con questo si intende volontà di potenza senza sentimento sociale.
Se volete approfondire l'argomento c'è il mio libro appena uscito, L'altro architetto, Edizioni Giampiero Casagrande editore in Lugano e Milano, info@cfs-editore.com