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domenica 13 aprile 2014

Giovani senza lavoro

Rilevo dai giornali questo dato: il 47% dei giovani è disoccupato. Spero che questo risulti solo per i giovani che non hanno un posto fisso perchè altrimenti la situazione sarebbe oltremodo drammatica. Non tanto per la mancanza di guadagno e quindi impoverimento delle famiglie d'origine, che sarebbe già grave, quanto per il potenziale di psicopatologie che una situazione del genere provoca: un serbatoio di rabbia, di scontento e di risentimenti pronto ad esplodere in mille forme ad ogni occasione ed  impedire comunque una vita democratica creativa fatta di riforme serie. In genere nella nostra cultura parliamo del lavoro come problema economico o giuridico ma questa è una visione limitata e riduttiva del problema. Esiste anche una dimensione psicologica e umana che non va sottovalutata. I Costituenti affermando che "l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro", art. 1 della Costituzione, evidentemente ne avevano ben chiara l'importanza sul piano umanistico. Il lavoro non è soltanto fatica, e quindi un dovere, in una società dove i ricchi non lavorano, non è il contrario del piacere e del divertimento, è invece l'attività che ti fa sentire vivo e partecipe, integrato nella società. Il lavoro ti dà la misura del tuo valore, l'impressione di contare perchè contribuisci alla costruzione del mondo. Certo c'è lavoro e lavoro, dopo la rivoluzione industriale quello operaio è diventato ripetitivo e alienante, oggetto di sfruttamento da parte del capitale come affermava Marx, ma pur anche perdendo i connotati del lavoro creativo dell'artigiano tuttavia era un modo per sentirsi utile, anche se sfruttato.Vi è quindi una condizione peggiore di quella di essere sfruttato, secondo il canone marxista, ed è quella di non esserlo per nulla. E' chiaro che nella società vi sono diversi livelli di attività, la bellezza sta proprio nella diversità, si va dalle attività che riguardano i bisogni primari del corpo fino a quelli dello spirito. Una società democratica sana prevede una mobilità sociale, ovvero i talenti giusti al posto giusto senza distinzione di classe ma per merito e competenza. Naturalmente non si può pretendere che ciò avvenga in maniera perfetta ed automatica ma almeno che ci sia questa aspirazione e dunque non esistano privilegi di casta. L'istruzione pubblica a questo dovrebbe servire: a pareggiare le sorti di coloro che vengono dal basso, i cosidetti "diseredati" usando un'espressione cara a Mosè Loria fondatore della Società Umanitaria, di cui quest'anno ricorre il bicentenario della nascita, e che appunto aveva devoluto il suo patrimonio per dare educazione e formazione a chi non se lo poteva permettere alla fine del XIX secolo. Invece in Italia assistiamo, soprattutto in momenti di crisi, ad una svalutazione continua del settore dell'istruzione e della cultura,  specialmente  professionale. Infatti che andiamo a raccontare agli allievi se li prepariamo a ricoprire incarichi che non ci sono? Osserviamo invece un irrigidimento della situazione  ed una chiusura degli accessi verso l'alto in favore di un familismo amorale che blocca la mobilità. Rimangono i mestieri e le professioni servili che vengono coperti dagli immigrati che sono disposti  a tutto. Ai nostri giovani, ai quali abbiamo dato un'istruzione nella speranza di un mondo migliore, che rimane?

2 commenti:

  1. Caro Maurizio, le tue preoccupazioni sono condivisibili e ci dobbiamo domandare: che cosa possiamo fare per invertire la tendenza e diminuire il tasso di disoccupazione? In passato gli economisti, i partiti politici, i sindacati hanno formulato le loro proposte spesso in contrasto gli uni con gli altri e nessuno sembra conoscere la formula magica per aumentare l’occupazione specie quella giovanile. Le proposte abbracciano tutto lo spettro: da chi afferma che occorra vietare i licenziamenti e abbassare l’età della pensione per liberare posti per i giovani, a chi sostiene che l’occupazione aumenterebbe rendendo meno rigide le norme sui licenziamenti. Io non sono un esperto né un economista, ma mi faccio alcune domande. In Italia i sindacati dei lavoratori hanno un notevole potere, in passato hanno anche fatto cadere dei governi, alcuni loro rappresentanti hanno ricoperto importanti cariche istituzionali: Bertinotti è stato presidente della Camera dei deputati, Epifani è stato segretario del Pd ed è attualmente deputato, la Polverini è stata presidente della Regione Lazio e l’ex-sindacalista Franco Marini poco è mancato che divenisse presidente della Repubblica. E’ tuttavia paradossale che di fronte a tanto potere, in Italia gli stipendi dei lavoratori sono tra i più bassi e il tasso di disoccupazione tra i più alti d’Europa. A me era sembrata interessante la proposta di Pietro Ichino: adottare il sistema della cosiddetta flexecurity, che tuttavia i sindacati osteggiano: al posto di Renzi avrei scelto Ichino come ministro del lavoro. Con questo non voglio affermare che i sindacati siano i soli responsabili della situazione attuale: ci sono la crisi economica, l’enorme debito pubblico, la corruzione e gli altri mali italiani che ben conosciamo.

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    1. Sono per la maggior parte d'accordoo con quanto affermi. Mi confermi comunque che è il sistema di potere che in Italia non va e i sindacati appartengono a questo. La mancanza di mobilità sociale provoca irrigidimento di posizioni e valutazioni approssimative della realtà. Anche io non sono un economista ma ritengo che attualmente è proprio l'economia che deve essere messa in discussione. Bisogna creare posti di lavoro là dove a mio parere non si è mai investito e principalmente nei settori del turismo e della cultura. Non conosco la proposta di Ichino ma ritengo tu abbia ragione proponendolo come ministro del lavoro. A me questo governo Renzi mi sembra un po' troppo allegro e privo di uomini di riflessione ed esperienza. Cambiare per cambiare non è mai stato un buon viatico. Comunque le proposte sembrano valide ma tra il dire e il fare...

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