In occasione della scomparsa del presidente della Società Umanitaria Piero Amos
Nannini mi viene da riflettere sulla funzione che questo Ente ha avuto nel
passato e quello che il suo fondatore, Mosè Loria ,voleva che fosse. In una
visione illuminista di quegli anni, fine ottocento, una certa cultura di
origine massonica, credeva nella funzione educativa per dare, a chi non avesse
ricevuto in eredità potere e denaro, l’opportunità, attraverso la propria
intelligenza, di rilevarsi da soli.
Questo in polemica con la carità pietistica di marca cattolica che
tendeva a lasciare i rapporti di potere immutati. Dunque l’educazione per i
diseredati era un potente ascensore sociale che favoriva la risalita di chi,
pur avendo ricevuto dalla natura buone doti intellettuali, si vedeva costretto
a rinunciare ad utilizzarle per sè e per gli altri in ragione del fatto che non
era in grado di esprimerle ad esempio attraverso un linguaggio appropriato o
mediante la scrittura, ricordo per inciso che allora l’analfabetismo era la
principale piaga dei poveri. L’Umanitaria dunque, sospinta anche dai sindaci
socialisti di Milano nel primo novecento, si diede molto da fare nel settore
dell’assistenza e dell’istruzione per le classi deboli, sono degni di nota fra
l’altro i due quartieri modello costruiti a Milano nel 1906 e 1909, fino ad
essere esempio in Europa. Le numerose iniziative
sono ben documentate nella biblioteca dell’Ente. Durante il fascismo fu
ovviamente contrastata questa sua azione
e invece nel dopoguerra riprese splendore con la guida di Riccardo Bauer,
antifascista al confino con Pertini, che ne prese le redini fino al 68 facendo
costruire negli anni cinquanta addirittura un nuovo edificio in tardo
razionalismo che voleva, come scuola di arti e mestieri, emulare il Bauhaus di Gropius. Il 68 fu l’annus horribilis per l’Umanitaria
fondata ovviamente su un sistema di valutazione strettamente meritocratico.
Bauer diede le dimissioni sulla spinta di una contestazione tanto ideologica
quanto sterile e iniziò il declino. Le ultime due presidenze hanno tentato
qualche rilancio, ad esempio con una università della terza età, ma non hanno a
parer mio saputo interpretarne del tutto lo spirito che era quello di diventare
eccellenza culturale indipendente, per
attirare le forze intellettuali più illuminate e costituire punto di
riferimento per una classe politica che dice di volere l’uguaglianza ma nei
fatti la nega, ammalata di protagonismo narcisistico ovvero nevrosi da potere
come affermo nel mio libro L’altro architetto, non a caso ambientato in
Umanitaria. Anche oggi infatti la forbice tra ricchi e poveri è più che mai
larga, benchè l’istruzione sia aumentata sono apparse nuove povertà e nuove
disuguaglianze che un Ente come questo dovrebbe tentare di ridurre. Le nuove
disuguaglianze non sono più in relazione all’assenza di istruzione ma se mai
alla crisi del sistema dell’istruzione, dalla scuola pubblica all’università di
massa, che genera disoccupazione intellettuale tra i giovani privi di risorse
economiche, e alla conseguente
diffusione del familismo amorale a tutti i livelli e in ogni ambito. Per
arrivare a questo sarebbe necessario, in alcuni settori particolarmente in
crisi, offrire valide alternative, già accade con la musica o, con Nestore, negli
abbandoni scolastici ma si dovrebbe puntare più in alto come era un tempo la
scuola del libro di Steiner che faceva da punto di riferimento in Italia per la
grafica. Perchè non potrebbe essere l’architettura e l’ambiente che stanno particolarmente male
e costituiscono la sintesi di una società in crisi d’identità ?
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domenica 8 ottobre 2017
domenica 13 aprile 2014
Giovani senza lavoro
Rilevo dai giornali questo dato: il 47% dei giovani è disoccupato. Spero che questo risulti solo per i giovani che non hanno un posto fisso perchè altrimenti la situazione sarebbe oltremodo drammatica. Non tanto per la mancanza di guadagno e quindi impoverimento delle famiglie d'origine, che sarebbe già grave, quanto per il potenziale di psicopatologie che una situazione del genere provoca: un serbatoio di rabbia, di scontento e di risentimenti pronto ad esplodere in mille forme ad ogni occasione ed impedire comunque una vita democratica creativa fatta di riforme serie. In genere nella nostra cultura parliamo del lavoro come problema economico o giuridico ma questa è una visione limitata e riduttiva del problema. Esiste anche una dimensione psicologica e umana che non va sottovalutata. I Costituenti affermando che "l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro", art. 1 della Costituzione, evidentemente ne avevano ben chiara l'importanza sul piano umanistico. Il lavoro non è soltanto fatica, e quindi un dovere, in una società dove i ricchi non lavorano, non è il contrario del piacere e del divertimento, è invece l'attività che ti fa sentire vivo e partecipe, integrato nella società. Il lavoro ti dà la misura del tuo valore, l'impressione di contare perchè contribuisci alla costruzione del mondo. Certo c'è lavoro e lavoro, dopo la rivoluzione industriale quello operaio è diventato ripetitivo e alienante, oggetto di sfruttamento da parte del capitale come affermava Marx, ma pur anche perdendo i connotati del lavoro creativo dell'artigiano tuttavia era un modo per sentirsi utile, anche se sfruttato.Vi è quindi una condizione peggiore di quella di essere sfruttato, secondo il canone marxista, ed è quella di non esserlo per nulla. E' chiaro che nella società vi sono diversi livelli di attività, la bellezza sta proprio nella diversità, si va dalle attività che riguardano i bisogni primari del corpo fino a quelli dello spirito. Una società democratica sana prevede una mobilità sociale, ovvero i talenti giusti al posto giusto senza distinzione di classe ma per merito e competenza. Naturalmente non si può pretendere che ciò avvenga in maniera perfetta ed automatica ma almeno che ci sia questa aspirazione e dunque non esistano privilegi di casta. L'istruzione pubblica a questo dovrebbe servire: a pareggiare le sorti di coloro che vengono dal basso, i cosidetti "diseredati" usando un'espressione cara a Mosè Loria fondatore della Società Umanitaria, di cui quest'anno ricorre il bicentenario della nascita, e che appunto aveva devoluto il suo patrimonio per dare educazione e formazione a chi non se lo poteva permettere alla fine del XIX secolo. Invece in Italia assistiamo, soprattutto in momenti di crisi, ad una svalutazione continua del settore dell'istruzione e della cultura, specialmente professionale. Infatti che andiamo a raccontare agli allievi se li prepariamo a ricoprire incarichi che non ci sono? Osserviamo invece un irrigidimento della situazione ed una chiusura degli accessi verso l'alto in favore di un familismo amorale che blocca la mobilità. Rimangono i mestieri e le professioni servili che vengono coperti dagli immigrati che sono disposti a tutto. Ai nostri giovani, ai quali abbiamo dato un'istruzione nella speranza di un mondo migliore, che rimane?
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