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domenica 2 giugno 2019
martedì 19 marzo 2019
Gropius e il Bauhaus, cento anni di storia.
Battello in partenza, acquerello su carta
Quest’anno ricorre il
centenario della nascita del Bauhaus. Voglio quindi mettere insieme alcune
riflessioni su questa scuola di arti e mestieri che ha influenzato l’arte e l’architettura del XX secolo. Nel
1976, fresco di laurea e molto confuso sul mio futuro professionale, nella
biblioteca di mio suocero ereditata da mia moglie trovai il libro di Walter
Gropius dal titolo Architettura Integrata, fu per me una illuminazione perché
tratteggiava la figura di architetto educatore e la sua funzione nella società
moderna. Per quel che mi è stato possibile
ho cercato di seguirlo: prima in una scuola professionale del mobile e
dell’arredamento, l’Ipsia di Lissone e poi con la fondazione dell’Istituto Uomo
e Ambiente e l’organizzazione dei suoi corsi.
Nel 1919 tuttavia le problematiche che doveva affrontare l’architettura
erano piuttosto diverse rispetto ad
oggi, in primis si doveva trovare un accordo tra arte, artigianato e le
macchine. L’industria richiedeva un nuovo plasticismo, una nuova estetica
adatta ai “moderni mezzi di produzione”in un periodo in cui la cultura
occidentale confidava molto nella tecnica e nel suo futuro radioso. Tanto è
vero che gli emblemi del Bauhaus sono i dipinti di Piet Mondrian o le poltrone
in tubolare d’acciaio di Breuer. Per
quanto riguarda l’architettura lo stesso edificio di Dessau progettato da
Gropius ne è l’icona: finestre a nastro, pareti lisce e bianche, tetti piani,
ovvero tutte le caratteristiche poi prescritte dai teorici del
razionalismo. Certo una rivoluzione
rispetto all’architettura neoclassica o eclettica allora imperante ed ancora
oggi subiamo il fascino di quelle forme geometriche. Anche in Italia queste
teorie hanno attecchito con ritardo,
basti pensare alla casa del fascio di Terragni a Como fino ad arrivare alla parte
nuova della Società Umanitaria a Milano che piuttosto tardi, nel 1956, voleva
imitare l’edificio di Gropius. Negli anni però il suo messaggio si è degradato e la semplificazione funzionale
è diventata trascuratezza coprendo, con gli assunti teorici del funzionalismo, le esigenze della speculazione edilizia
soprattutto nel dopoguerra. Come spesso succede gli epigoni hanno quasi sempre
travisato, per interesse, il dettato razionalistico e con il bum economico
questo vizio si è moltiplicato a dismisura. La generazione di architetti che ci
ha preceduto era cosi inebriata di questi concetti tanto da bandire il fine
della bellezza, considerandola una cosa superata. Oggi il panorama culturale è
tendenzialmente cambiato, anzi direi che si è ribaltato. La tecnica che si è
sviluppata in modo esponenziale ha prodotto essa stessa le condizioni per
mettere in crisi quei dettami: non è più considerata la panacea di tutti i mali
dell’umanità, come ingenuamente credevano i futuristi di allora, ma essa stessa
viene considerata un pericolo per la vita del pianeta, se usata male. Dunque
l’architetto seguendo i suggerimenti dello stesso Gropius dovrebbe prenderne
atto. Infatti è nata proprio su queste nuove istanze legate all’ecologia la
bioarchitettura o l’architettura ecologica che, sorta in primis proprio nella
patria del Bauhaus, utilizza elementi naturali che erano stati banditi e la
stessa decorazione non ha più necessità di sottostare al dictat di Loos:”Il
meno è il più”. L’architetto dunque proprio seguendo il modello descritto in
Architettura Integrata dovrebbe farsi carico della responsabilità di un
ambiente più a misura della vita e tornare alla ricerca della bellezza come
fine ultimo del fare umano.
Per questo motivo l’Istituto
organizza quest’anno un master sulla bellezza http://www.uomoeambiente.org
domenica 8 ottobre 2017
Dove va l'Umanitaria?
In occasione della scomparsa del presidente della Società Umanitaria Piero Amos
Nannini mi viene da riflettere sulla funzione che questo Ente ha avuto nel
passato e quello che il suo fondatore, Mosè Loria ,voleva che fosse. In una
visione illuminista di quegli anni, fine ottocento, una certa cultura di
origine massonica, credeva nella funzione educativa per dare, a chi non avesse
ricevuto in eredità potere e denaro, l’opportunità, attraverso la propria
intelligenza, di rilevarsi da soli.
Questo in polemica con la carità pietistica di marca cattolica che
tendeva a lasciare i rapporti di potere immutati. Dunque l’educazione per i
diseredati era un potente ascensore sociale che favoriva la risalita di chi,
pur avendo ricevuto dalla natura buone doti intellettuali, si vedeva costretto
a rinunciare ad utilizzarle per sè e per gli altri in ragione del fatto che non
era in grado di esprimerle ad esempio attraverso un linguaggio appropriato o
mediante la scrittura, ricordo per inciso che allora l’analfabetismo era la
principale piaga dei poveri. L’Umanitaria dunque, sospinta anche dai sindaci
socialisti di Milano nel primo novecento, si diede molto da fare nel settore
dell’assistenza e dell’istruzione per le classi deboli, sono degni di nota fra
l’altro i due quartieri modello costruiti a Milano nel 1906 e 1909, fino ad
essere esempio in Europa. Le numerose iniziative
sono ben documentate nella biblioteca dell’Ente. Durante il fascismo fu
ovviamente contrastata questa sua azione
e invece nel dopoguerra riprese splendore con la guida di Riccardo Bauer,
antifascista al confino con Pertini, che ne prese le redini fino al 68 facendo
costruire negli anni cinquanta addirittura un nuovo edificio in tardo
razionalismo che voleva, come scuola di arti e mestieri, emulare il Bauhaus di Gropius. Il 68 fu l’annus horribilis per l’Umanitaria
fondata ovviamente su un sistema di valutazione strettamente meritocratico.
Bauer diede le dimissioni sulla spinta di una contestazione tanto ideologica
quanto sterile e iniziò il declino. Le ultime due presidenze hanno tentato
qualche rilancio, ad esempio con una università della terza età, ma non hanno a
parer mio saputo interpretarne del tutto lo spirito che era quello di diventare
eccellenza culturale indipendente, per
attirare le forze intellettuali più illuminate e costituire punto di
riferimento per una classe politica che dice di volere l’uguaglianza ma nei
fatti la nega, ammalata di protagonismo narcisistico ovvero nevrosi da potere
come affermo nel mio libro L’altro architetto, non a caso ambientato in
Umanitaria. Anche oggi infatti la forbice tra ricchi e poveri è più che mai
larga, benchè l’istruzione sia aumentata sono apparse nuove povertà e nuove
disuguaglianze che un Ente come questo dovrebbe tentare di ridurre. Le nuove
disuguaglianze non sono più in relazione all’assenza di istruzione ma se mai
alla crisi del sistema dell’istruzione, dalla scuola pubblica all’università di
massa, che genera disoccupazione intellettuale tra i giovani privi di risorse
economiche, e alla conseguente
diffusione del familismo amorale a tutti i livelli e in ogni ambito. Per
arrivare a questo sarebbe necessario, in alcuni settori particolarmente in
crisi, offrire valide alternative, già accade con la musica o, con Nestore, negli
abbandoni scolastici ma si dovrebbe puntare più in alto come era un tempo la
scuola del libro di Steiner che faceva da punto di riferimento in Italia per la
grafica. Perchè non potrebbe essere l’architettura e l’ambiente che stanno particolarmente male
e costituiscono la sintesi di una società in crisi d’identità ?
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