Quest’anno ricorre il
centenario della nascita del Bauhaus. Voglio quindi mettere insieme alcune
riflessioni su questa scuola di arti e mestieri che ha influenzato l’arte e l’architettura del XX secolo. Nel
1976, fresco di laurea e molto confuso sul mio futuro professionale, nella
biblioteca di mio suocero ereditata da mia moglie trovai il libro di Walter
Gropius dal titolo Architettura Integrata, fu per me una illuminazione perché
tratteggiava la figura di architetto educatore e la sua funzione nella società
moderna. Per quel che mi è stato possibile
ho cercato di seguirlo: prima in una scuola professionale del mobile e
dell’arredamento, l’Ipsia di Lissone e poi con la fondazione dell’Istituto Uomo
e Ambiente e l’organizzazione dei suoi corsi.
Nel 1919 tuttavia le problematiche che doveva affrontare l’architettura
erano piuttosto diverse rispetto ad
oggi, in primis si doveva trovare un accordo tra arte, artigianato e le
macchine. L’industria richiedeva un nuovo plasticismo, una nuova estetica
adatta ai “moderni mezzi di produzione”in un periodo in cui la cultura
occidentale confidava molto nella tecnica e nel suo futuro radioso. Tanto è
vero che gli emblemi del Bauhaus sono i dipinti di Piet Mondrian o le poltrone
in tubolare d’acciaio di Breuer. Per
quanto riguarda l’architettura lo stesso edificio di Dessau progettato da
Gropius ne è l’icona: finestre a nastro, pareti lisce e bianche, tetti piani,
ovvero tutte le caratteristiche poi prescritte dai teorici del
razionalismo. Certo una rivoluzione
rispetto all’architettura neoclassica o eclettica allora imperante ed ancora
oggi subiamo il fascino di quelle forme geometriche. Anche in Italia queste
teorie hanno attecchito con ritardo,
basti pensare alla casa del fascio di Terragni a Como fino ad arrivare alla parte
nuova della Società Umanitaria a Milano che piuttosto tardi, nel 1956, voleva
imitare l’edificio di Gropius. Negli anni però il suo messaggio si è degradato e la semplificazione funzionale
è diventata trascuratezza coprendo, con gli assunti teorici del funzionalismo, le esigenze della speculazione edilizia
soprattutto nel dopoguerra. Come spesso succede gli epigoni hanno quasi sempre
travisato, per interesse, il dettato razionalistico e con il bum economico
questo vizio si è moltiplicato a dismisura. La generazione di architetti che ci
ha preceduto era cosi inebriata di questi concetti tanto da bandire il fine
della bellezza, considerandola una cosa superata. Oggi il panorama culturale è
tendenzialmente cambiato, anzi direi che si è ribaltato. La tecnica che si è
sviluppata in modo esponenziale ha prodotto essa stessa le condizioni per
mettere in crisi quei dettami: non è più considerata la panacea di tutti i mali
dell’umanità, come ingenuamente credevano i futuristi di allora, ma essa stessa
viene considerata un pericolo per la vita del pianeta, se usata male. Dunque
l’architetto seguendo i suggerimenti dello stesso Gropius dovrebbe prenderne
atto. Infatti è nata proprio su queste nuove istanze legate all’ecologia la
bioarchitettura o l’architettura ecologica che, sorta in primis proprio nella
patria del Bauhaus, utilizza elementi naturali che erano stati banditi e la
stessa decorazione non ha più necessità di sottostare al dictat di Loos:”Il
meno è il più”. L’architetto dunque proprio seguendo il modello descritto in
Architettura Integrata dovrebbe farsi carico della responsabilità di un
ambiente più a misura della vita e tornare alla ricerca della bellezza come
fine ultimo del fare umano.
Per questo motivo l’Istituto
organizza quest’anno un master sulla bellezza http://www.uomoeambiente.org
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