Dopo il disastroso incendio del grattacielo londinese non so se commentare
l’improvvida trascuratezza dei
progettisti e costruttori o la tragedia dei due giovani architetti italiani che
vi sono periti. Cercherò di trattare in sintesi ambedue gli argomenti . Quanto
ai grattacieli ho già espresso il mio parere sia in questo blog che sul mio
libro L’altro architetto. Sono edifici
del primo novecento spacciati per ultramoderni solo in ragione del fatto che
fanno pubblicità al committente, in genere appartenente al mondo finanziario
globalizzato, che ha bisogno di apparire. Le giustificazioni del risparmio del
suolo non reggono di fronte agli sperperi di quest’ultimo da tutte le parti e
in particolare da noi. Senza considerare
fra l’altro che se un grattacielo è adibito a residenza, come in questo caso, occorrono
tanti posti macchina per gli abitanti che annullano il beneficio del risparmio
creando alla base dei non luoghi. Ho già espresso nel mio libro che in aree
fortemente urbanizzate il ritorno all’isolato, naturalmente rivisitato, sarebbe
auspicabile e che su un’area quadrata o rettangolare la volumetria in altezza è
recuperabile sul perimetro con numerosi vantaggi. Il motivo della permanenza
dell’ideologia delle torri è di altra natura e riguarda la psicologia del
potere supportato dalla Tecnica. Detto questo si può affermare che già in
partenza un’amministrazione che ammetta la costruzione in altezza senza limiti si pone fuori dal fine dell’architettura che
dovrebbe essere quello del benessere dell’abitante. Che dire poi delle teorie
cui si rifà la bioarchitettura che predica di non elevarsi oltre il sesto piano
per evitare squilibri eletromagnetici tanto più se le costruzioni sono in
acciaio, come nel caso della Grenfell Tower. E’ evidente che la triplice
condizione soggettiva di cura, attenzione e amore per costruire bellezza si va
a far benedire e il risultato in questo caso è drammaticamente lampante.
Purtroppo l’effetto del sine cura, oltre alla bruttezza che sempre coincide con
l’insalubrità, a volte è anche la pericolosità perchè questa trascuratezza
arriva fino alla scelta dei materiali e alla disattesa delle norme più
elementari di sicurezza. E’
evidente poi che se l’edificio ha come
destinatari gli abitanti a basso reddito,
come nel nostro caso, la trascuratezza diventa sciatteria e menefreghismo per
cui tutto si giustifica con i costi e con il risparmio anche se poi si spreca
sull’energia. Questo è quanto si può dire a proposito dei costruttori ed ora le
indagini, sempre tardive, chiariranno le responsabilità. Quasi per un destino crudele li sono rimasti
vittime due giovani architetti italiani, espatriati in cerca di lavoro perché in Italia erano sottopagati, vittime di un’architettura malata e di una
educazione e formazione altrettanto malata. E’ risaputo che i giovani
architetti nel nostro paese ormai sono in sovrappiù, un architetto ogni 460
abitanti è il frutto di una università, anzi forse di un sistema scolastico
staccato dalla realtà, che non sa
educare e non sa quello che propone, vende patacche che servono solo ad aumentare
la disoccupazione intellettuale giovanile. Tra l’altro benchè il nostro paese
sia il paese della Bellezza, con il maggior numero di siti patrimonio
universale dell’Unesco, queste facoltà, tuttora ancorate ad una visione
astratta e demiurgica dell’architetto frutto di falsi miti legati all’economia
del mattone e alle propagande mediatiche,
trascurano una formazione umanistica. Questo professionista è spesso
spinto alla competizione quantitativa e alla originalità senza qualità per progettare nuovi insediamenti anzichè
porre attenzione al già costruito. Il nuovo invece è sempre opera dell’archistar
di turno, prodotto mediatico che accontenta le manie di grandezza del
committente e dei mass media asserviti. Dai primi segnali infatti a Milano, dopo
l’esercitazione contro la città delle torri di Porta Volta e della ex Fiera, pare che l’occasione della riconversione degli scali ferroviari seguirà queste
stesse logiche. Che dire dunque di queste due giovani vite spezzate ? Mi
viene in mente l’apologo greco di Dedalo, architetto con manie di grandezza
che trasmette involontariamente al
figlio Icaro e quando insieme si alzano
in volo con ali di cera si vede disobbedire, nonostante le sue raccomandazioni
di non alzarsi troppo, e lo vede perire per aver sfidato il sole.
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domenica 18 giugno 2017
venerdì 17 marzo 2017
L'architetto oggi
Nell’antica Grecia i miti esemplificavano atteggiamenti dell’animo umano,
vizi e virtù. Per quanto riguarda la mania di grandezza e l’ambizione divorante
era pronto il mito di Dedalo e
Icaro. Dedalo era un architetto molto
famoso che non sopportava di avere dei rivali che lo superassero e avendo
scoperto che suo nipote, che lavorava con lui, ci tentava lo uccise. Per non
essere arrestato scappò a Creta e quivi costrui il famoso Labirinto. Poi dopo
un po’ di tempo volle tornare in patria ma il re glielo impediva allora
progettò e costruì delle ali di piume e cera che indossò e fece indossare al
figlio ammonendolo di non alzarsi troppo in volo perchè la cera con il calore
del sole si sarebbe sciolta. Il ragazzo, preso dall’ebrezza di volare non
stette a seguire i suoi consigli e si librò molto in alto finchè la cera si
sciolse e precipitò in mare perendovi. Perchè, vi direte, racconto questa
storia arcinota ? Come dicevo all’inizio i miti nascondono verità
psicologiche e il fatto che il protagonista di questo che esemplifica la
volontà di potenza smodata sia un architetto è sicuramente emblematico. Come
scrivevo nel mio libro L’altro architetto oggi questi professionisti si
dividono in quelli che non hanno coscienza sociale del proprio ruolo e quelli
che ce l’hanno. Questo si traduce in una minore o maggiore sensibilità verso i
problemi di sostenibilità ecologica e sociale. Ai primi possiamo ascrivere
quasi tutti i cosidetti archistar, o
perlomeno tutti quelli al servizio del capitale finanziario che i
mas _media esaltano per la loro genialità. I committenti li corteggiano
dopo aver contribuito alla loro fama e le loro architetture funzionano
esattamente come la pubblicità : più provoca e più colpisce nella
disattenzione generale e tanto più è assicurato il risultato pubblicitario. Quasi
sempre puntano sullo stupire, se non
intimorire, con qualcosa di portentoso, non a caso i temi sono quelli
che richiamano masse di utenti per eventi spettacolari, per inciso il concetto
di massa è tipico del novecento, fiere, musei, stadi, esposizioni
internazionali o in alternativa grattacieli altissimi per abitazioni di lusso.
In genere queste architetture nulla hanno a che fare con il genius loci e
difficilmente si integrano bene con la città preesistente, risultano invece
essere interventi squilibranti che utilizzano la tecnica per ottenere risultati
sorprendenti. Il grattacielo più alto in Dubai si spinge a circa 800 metri.
Questo garantisce per un certo periodo l’ammirazione e il consenso dei media e
di conseguenza del cittadino sprovveduto. Non a caso in genere tali manufatti
sorgono soprattutto in regioni scarsamente democratiche che vogliono così
mostrare la potenza della classe al potere.
Poi vi sono quelli con una buona coscienza sociale. Walter Gropius scrisse un famoso saggio dal
titolo Architettura Integrata per sostenere la necessità di una integrazione
dell’architettura nella città e descrisse il ruolo pubblico dell’architetto .
Questi ultimi non sono funzionali al potere finanziario perchè non aspirano a
volare troppo in alto come il famoso apologo riportato all’inizio. Sono quelli che cercano l’armonia e
l’eleganza più che la esibizione narcisistica di potenza. Inseguono la bellezza
e sanno realizzare progetti con cura, attenzione e amore che sono i presupposti
soggettivi per ottenerla. Sono questi che salveranno il mondo quando i prodotti
dei primi verranno dismessi perchè la cera delle loro ali si sarà sciolta.
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