Gaspare Lo Buglio era poco più che un ragazzo quando
partecipò alla fondazione dell’Istituto Uomo e Ambiente nel 1984. Era un
giovane architetto che veniva da Palermo e ci eravamo conosciuti all’Ipsia di
Lissone dove insegnavamo, lui si infervorò subito per le idee che allora andavo
mettendo a fuoco in merito alla necessità di rifondare l’architettura su basi
ecologiche, partecipò dunque all’atto costitutivo dell’associazione. Successivamente,
non ricordo i motivi, ci perdemmo di vista fin quando una decina d’anni fa si
presentò ad uno dei nostri numerosi convegni in Umanitaria e ricominciò a frequentarci.
Da allora è stato socio sostenitore ed ha partecipato alle nostre numerose
riunioni. Aveva un grande interesse per Leonardo da Vinci ed era diventato suo profondo
studioso e conoscitore. Raccontava di aver scoperto il nome della misteriosa modella per La
Gioconda e che ne avrebbe rivelate le prove in una esposizione che stava
preparando da lungo tempo. Lo andai a trovare dove abitava solo in modo molto spartano per scoprire i
suoi segreti ma era piuttosto riservato. Scoprimmo che amava una gattina che
gli faceva compagnia nel suo soggiorno bohemien. Lo scorso anno lo invitai a
tenere una relazione sull'armonia nell'ambito del convegno Sano, bello, felice
in architettura. Fu una rivelazione che piacque a tutti per la profondità e la
preparazione. Fra l’altro parlò della bellezza come antidoto alla guerra
mostrando i dipinti rinascimentali che ritraggono Venere e Marte dopo il coito
da cui nacque Armonia e mostrando come Venere riesca a domare Marte. Fu tra i primi a sottoscrivere il nostro Manifesto sul diritto alla bellezza naturale che presentammo lo scorso autunno. Ora se ne
è andato in silenzio a sessantasei anni improvvisamente, e misteriosamente come
aveva vissuto, nell'anno delle celebrazioni della ricorrenza della morte del
suo Leonardo da Vinci tanto amato lasciandoci un po’ tutti sgomenti e un po’ tristi
per non averlo forse pienamente compreso.
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martedì 29 ottobre 2019
domenica 18 giugno 2017
Grenfell Tower
Dopo il disastroso incendio del grattacielo londinese non so se commentare
l’improvvida trascuratezza dei
progettisti e costruttori o la tragedia dei due giovani architetti italiani che
vi sono periti. Cercherò di trattare in sintesi ambedue gli argomenti . Quanto
ai grattacieli ho già espresso il mio parere sia in questo blog che sul mio
libro L’altro architetto. Sono edifici
del primo novecento spacciati per ultramoderni solo in ragione del fatto che
fanno pubblicità al committente, in genere appartenente al mondo finanziario
globalizzato, che ha bisogno di apparire. Le giustificazioni del risparmio del
suolo non reggono di fronte agli sperperi di quest’ultimo da tutte le parti e
in particolare da noi. Senza considerare
fra l’altro che se un grattacielo è adibito a residenza, come in questo caso, occorrono
tanti posti macchina per gli abitanti che annullano il beneficio del risparmio
creando alla base dei non luoghi. Ho già espresso nel mio libro che in aree
fortemente urbanizzate il ritorno all’isolato, naturalmente rivisitato, sarebbe
auspicabile e che su un’area quadrata o rettangolare la volumetria in altezza è
recuperabile sul perimetro con numerosi vantaggi. Il motivo della permanenza
dell’ideologia delle torri è di altra natura e riguarda la psicologia del
potere supportato dalla Tecnica. Detto questo si può affermare che già in
partenza un’amministrazione che ammetta la costruzione in altezza senza limiti si pone fuori dal fine dell’architettura che
dovrebbe essere quello del benessere dell’abitante. Che dire poi delle teorie
cui si rifà la bioarchitettura che predica di non elevarsi oltre il sesto piano
per evitare squilibri eletromagnetici tanto più se le costruzioni sono in
acciaio, come nel caso della Grenfell Tower. E’ evidente che la triplice
condizione soggettiva di cura, attenzione e amore per costruire bellezza si va
a far benedire e il risultato in questo caso è drammaticamente lampante.
Purtroppo l’effetto del sine cura, oltre alla bruttezza che sempre coincide con
l’insalubrità, a volte è anche la pericolosità perchè questa trascuratezza
arriva fino alla scelta dei materiali e alla disattesa delle norme più
elementari di sicurezza. E’
evidente poi che se l’edificio ha come
destinatari gli abitanti a basso reddito,
come nel nostro caso, la trascuratezza diventa sciatteria e menefreghismo per
cui tutto si giustifica con i costi e con il risparmio anche se poi si spreca
sull’energia. Questo è quanto si può dire a proposito dei costruttori ed ora le
indagini, sempre tardive, chiariranno le responsabilità. Quasi per un destino crudele li sono rimasti
vittime due giovani architetti italiani, espatriati in cerca di lavoro perché in Italia erano sottopagati, vittime di un’architettura malata e di una
educazione e formazione altrettanto malata. E’ risaputo che i giovani
architetti nel nostro paese ormai sono in sovrappiù, un architetto ogni 460
abitanti è il frutto di una università, anzi forse di un sistema scolastico
staccato dalla realtà, che non sa
educare e non sa quello che propone, vende patacche che servono solo ad aumentare
la disoccupazione intellettuale giovanile. Tra l’altro benchè il nostro paese
sia il paese della Bellezza, con il maggior numero di siti patrimonio
universale dell’Unesco, queste facoltà, tuttora ancorate ad una visione
astratta e demiurgica dell’architetto frutto di falsi miti legati all’economia
del mattone e alle propagande mediatiche,
trascurano una formazione umanistica. Questo professionista è spesso
spinto alla competizione quantitativa e alla originalità senza qualità per progettare nuovi insediamenti anzichè
porre attenzione al già costruito. Il nuovo invece è sempre opera dell’archistar
di turno, prodotto mediatico che accontenta le manie di grandezza del
committente e dei mass media asserviti. Dai primi segnali infatti a Milano, dopo
l’esercitazione contro la città delle torri di Porta Volta e della ex Fiera, pare che l’occasione della riconversione degli scali ferroviari seguirà queste
stesse logiche. Che dire dunque di queste due giovani vite spezzate ? Mi
viene in mente l’apologo greco di Dedalo, architetto con manie di grandezza
che trasmette involontariamente al
figlio Icaro e quando insieme si alzano
in volo con ali di cera si vede disobbedire, nonostante le sue raccomandazioni
di non alzarsi troppo, e lo vede perire per aver sfidato il sole.
martedì 15 marzo 2016
Della bioarchitettura
Antibes, acquerello su carta
Da tempo l’ecologia
da pura scienza della natura si sta
trasformando in un nuovo pensiero che investe anche le discipline umanistiche e
in generale tutta la cultura di questo inizio millennio. Ogni tanto nella
storia dell’uomo si presenta la necessità di cambiare il paradigma di partenza
per una nuova interpretazione della realtà che permetta un migliore adattamento
e uno scatto evolutivo. Di questi tempi è l’approccio sistemico bioecologico
che in tutti i settori sembra costituire la nuova opportunità. E’ inevitabile riflettere che questa nuova
opportunità è in effetti molto antica, ma la nostra cultura, protesa verso
altri traguardi l’ha trascurata. La sfida che oggi abbiamo di fronte è quella
dell’accettazione della complessità e non separatezza delle cose. Ogni
disciplina dunque puo’ essere riletta in questa chiave e l’architettura,
essendo per tradizione la meno specialistica, bene si adatta ad essere
rivisitata da un punto di vista ecologico ed olistico.
Questo scrivevo nella
premessa al mio libro L’uomo, l’ambiente, la casa. Verso un’etica bioecologica
dell’architettura, del 1992, Guerrini Editore.
E’ cambiato qualcosa? E’ evidente che no. Siamo ancora li’ a dire le
stesse cose come se non fossero passati
tutti questi anni. Gli architetti sono sempre più numerosi in Italia ma senza
lavoro e l’architettura è sempre più appannaggio di investitori con la vanità
di mostrare il proprio potere economico attraverso l’esibizione di edifici
eventi che si stagliano anomali sulla città. Azioni contro la città anzicchè al
servizio di essa. La cosidetta bioarchitettura, di cui noi siamo stati i
precursori, ha solo costituito un ulteriore modo per distinguersi, narcisistico
ed egoico, da parte di architetti e committenti che hanno voluto mettere in
mostra la loro originalità. In alcuni casi archistar internazionali, che mai
hanno mostrato sensibilità alla tematica ambientalista, ora si sono riciclati
in senso ecologico rivestendo i propri grattacieli di elementi naturali e
avanzate tecnologie pseudoecologiche. Qualcuno afferma che l’architetto
dovrebbe essere un’antenna sensibile ai cambiamenti e dunque quello che in anni
recenti era dettato dall’esaltazione del credo tecnoscientifico oggi è dettato
dalle mode eco. Ma in questo panorama
l’integrazione dell’architettura nella città viene tranquillamente dimenticata e l’architetto Carlo Ratti pensa di costruire un edificio di 1609 metri
coprendolo di elementi vegetali dei vari paesi, quasi un’Expo in verticale.
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