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martedì 15 marzo 2016

Della bioarchitettura

                                                  Antibes, acquerello su carta

Da tempo l’ecologia da pura scienza della natura si  sta trasformando in un nuovo pensiero che investe anche le discipline umanistiche e in generale tutta la cultura di questo inizio millennio. Ogni tanto nella storia dell’uomo si presenta la necessità di cambiare il paradigma di partenza per una nuova interpretazione della realtà che permetta un migliore adattamento e uno scatto evolutivo. Di questi tempi è l’approccio sistemico bioecologico che in tutti i settori sembra costituire la nuova opportunità.  E’ inevitabile riflettere che questa nuova opportunità è in effetti molto antica, ma la nostra cultura, protesa verso altri traguardi l’ha trascurata. La sfida che oggi abbiamo di fronte è quella dell’accettazione della complessità e non separatezza delle cose. Ogni disciplina dunque puo’ essere riletta in questa chiave e l’architettura, essendo per tradizione la meno specialistica, bene si adatta ad essere rivisitata da un punto di vista ecologico ed olistico.  

Questo scrivevo nella premessa al mio libro L’uomo, l’ambiente, la casa. Verso un’etica bioecologica dell’architettura, del 1992, Guerrini Editore.  E’ cambiato qualcosa? E’ evidente che no. Siamo ancora li’ a dire le stesse cose come se  non fossero passati tutti questi anni. Gli architetti sono sempre più numerosi in Italia ma senza lavoro e l’architettura è sempre più appannaggio di investitori con la vanità di mostrare il proprio potere economico attraverso l’esibizione di edifici eventi che si stagliano anomali sulla città. Azioni contro la città anzicchè al servizio di essa. La cosidetta bioarchitettura, di cui noi siamo stati i precursori, ha solo costituito un ulteriore modo per distinguersi, narcisistico ed egoico, da parte di architetti e committenti che hanno voluto mettere in mostra la loro originalità. In alcuni casi archistar internazionali, che mai hanno mostrato sensibilità alla tematica ambientalista, ora si sono riciclati in senso ecologico rivestendo i propri grattacieli di elementi naturali e avanzate tecnologie pseudoecologiche. Qualcuno afferma che l’architetto dovrebbe essere un’antenna sensibile ai cambiamenti e dunque quello che in anni recenti era dettato dall’esaltazione del credo tecnoscientifico oggi è dettato dalle mode eco.  Ma in questo panorama l’integrazione dell’architettura nella città viene tranquillamente dimenticata e l’architetto Carlo Ratti pensa di costruire un edificio di 1609 metri coprendolo di elementi vegetali dei vari paesi, quasi un’Expo in verticale.