Oggi vorrei parlare di
Expo e di Noexpo. Questa manifestazione mondiale che doveva essere il fiore
all’occhiello di Milano rischia di diventare il motivo dominante per i prossimi
dibattiti preelettorali. Vale a dire che un evento di coinvolgimento globale diventa
uno spunto per le beghe di cortile della nostra politica. Il tema della
manifestazione con le sue implicazioni ecologiche prometteva molto ma c’era
anche da aspettarsi che le potenti multinazionali del cibo se ne
approfittassero per farsi publicità. Del resto è nella natura di queste
esposizioni prestarsi alla esibizione del potere della tecnica. Sono nate
proprio per mostrarlo verso la metà dell’ottocento, secolo della cieca fiducia
nella scienza. L’ultima
edizione toccata all’Italia, sempre a Milano nel 1906, infatti, aveva come tema
i trasporti, in omaggio al traforo del Sempione appena inaugurato, e fu
realizzata in Piazza d’Armi, attuale ex Fiera.
E’ chiaro che i centodieci anni passati da allora hanno cambiato di
molto la nostra sensibilità rispetto all’impatto della tecnica sul mondo
naturale. Due guerre mondiali con
milioni di morti e soprattutto lo sviluppo delle armi ci hanno obbligato a
guardare con una certa paura e diffidenza i prodotti delle scoperte
scientifiche soprattutto in ragione del fatto di aver messo nelle manni di
pochi la possibilità di distruggere tutti. Ora in tempi di globalizzazione e di
crisi ecologica, le comunicazioni e i trasporti si sono accelerati a dismisura
tanto che è da condividere l’opinione di
Marc Augè sugli eccessi della contemporaneità : eccesso di tempo, eccesso
di spazio ed eccesso di individualismo.
Bisognava tenerne conto nella progettazione dell’evento, come bisognava
tener conto che un tema simile, Nutrire il pianeta, in un momento di crisi planetaria
con le periferie in rivolta, poteva scatenare reazioni contrarie. Non voglio
entrare nel merito delle violenze degli
antagonisti o casseur, comunque in quanto violenze da condannare, ma si sa da
sempre che la rabbia accumulata poi si scatena in atti violenti, per fortuna
nel nostro caso perlopiù sulle cose. Il
fatto che l’organizzazione abbia preferito destinare un’area apposita all’evento
, anzicchè ad esempio diffonderlo in più punti della città, trasformandolo
cosi in una specie di Gardaland del
cibo, ha contribuito ad isolarlo dal contesto urbano e creerà problemi circa il
riutilizzo di quelle aree a fine Expo. Mi pare insomma che, come al solito, si
siano privilegiati gli interessi dei potenti e i vecchi schemi organizzativi.
Non voglio dire che cosi si
sarebbero evitate le contestazioni ma
almeno si sarebbe comunicato un messaggio più consono ai tempi che, come dicevo,
non sono quelli d’inizio novecento con l’ubriacatura di euforia per il progresso tecnico scientifico.
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