Che orribile tragedia il crollo del ponte Morandi
sul Polcevera a Genova ! Si rimane esterefatti di fronte alle immagini
diffuse dai media ed emergono dal nostro animo emozioni confuse di pietà,
rabbia e paura che ci costringono a riflettere sull’accaduto e sulle sue cause.
Secondo dati recenti più del 60% dei ponti costruiti in Italia dagli anni
cinquanta ai settanta sono a rischio cedimento. Cinque sono crollati negli
ultimi due anni. In questo caso il destino beffardo ha fatto cadere proprio un
simbolo della tecnica e della modernità di quando l’idea di progresso era
diventata un’incontrastata guida in ogni ambito del fare e l’ingegneria italiana
veniva ammirata in tutto il mondo. Oggi parliamo di mancata manutenzione, di
disastro annunciato da molti segnali e questo ci fa ancora più arrabbiare, ci
si sente fragili nelle mani di una economia che ha come primo obiettivo lucrare
guadagni sempre più alti a scapito della sicurezza e del bene comune. Galli
della Loggia sul Corriere si chiedeva dove fosse lo Stato e denunciava in
questa scarsa idea di Stato la causa dei mali italiani. Altri commentatori
hanno dichiarato che gli italiani sono contrari all’industria e al progresso e
quindi hanno favorito i contestatori della Gronda che avrebbe alleggerito il
traffico sul ponte maledetto. Personalmente ritengo che questo crollo, come del
resto gli altri, sia invece un segnale della debolezza del concetto di
progresso che aleggiava intorno alla metà del secolo scorso. Ho già scritto
diversi articoli su questo Blog, e nel mio libro L’altro architetto, di denuncia rispetto a questa idea di progresso e di economia.
Questo ponte crollato ne è l’emblema. Ciò infatti ha a che fare con il concetto di bellezza mescolata
alla volontà di potenza, da questo punto di vista era l’ogoglio di Genova che
si paragonava a New York. Questa bellezza però frutto della presuntuosa sfida
alle leggi della statica in nome del progresso mi rammentano l’apologo di
Dedalo e Icaro. La presunzione e la provocazione sono sentimenti negativi che
fanno disastri quando sono applicati all’architettura dei ponti soprattutto se
non accompagnati da una manutenzione necessaria. Ma tralasciando l’intento che
qualcuno definirebbe moralistico e invece cercando di interpretare la malattia
e non solo il sintomo mi riallaccio ad un mio articolo del 2016, a commento dei 50 anni dalla pubblicaione del libro di
Calvino Speculazione edilizia. La cementificazione della Liguria, che lo
scrittore denunciava già negli anni 60, è continuata in crescendo e l’hanno
chiamata boom economico, questa è la vera causa del crollo del ponte sul
Polcevera che simbolicamente ha spezzato in due le Riviere sfigurate da una
politica urbanistica improntata alla « deregulation » cui è stato dato
il nome di rapallizzazione a ricordare ciò
che è avvenuto nella ridente cittadina ligure. Cause generali dunque sono state l’aumento del
traffico e a monte la scelta di privilegiare il trasporto su gomma anzicchè su
rotaia, queste ed altre quisquilie sempre orientate da una economia che fa il bello e il cattivo tempo in Italia dove
la politica è fragile come il ponte e la bellezza è considerata un lusso.
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domenica 26 agosto 2018
venerdì 8 maggio 2015
Expo e Noexpo
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Oggi vorrei parlare di
Expo e di Noexpo. Questa manifestazione mondiale che doveva essere il fiore
all’occhiello di Milano rischia di diventare il motivo dominante per i prossimi
dibattiti preelettorali. Vale a dire che un evento di coinvolgimento globale diventa
uno spunto per le beghe di cortile della nostra politica. Il tema della
manifestazione con le sue implicazioni ecologiche prometteva molto ma c’era
anche da aspettarsi che le potenti multinazionali del cibo se ne
approfittassero per farsi publicità. Del resto è nella natura di queste
esposizioni prestarsi alla esibizione del potere della tecnica. Sono nate
proprio per mostrarlo verso la metà dell’ottocento, secolo della cieca fiducia
nella scienza. L’ultima
edizione toccata all’Italia, sempre a Milano nel 1906, infatti, aveva come tema
i trasporti, in omaggio al traforo del Sempione appena inaugurato, e fu
realizzata in Piazza d’Armi, attuale ex Fiera.
E’ chiaro che i centodieci anni passati da allora hanno cambiato di
molto la nostra sensibilità rispetto all’impatto della tecnica sul mondo
naturale. Due guerre mondiali con
milioni di morti e soprattutto lo sviluppo delle armi ci hanno obbligato a
guardare con una certa paura e diffidenza i prodotti delle scoperte
scientifiche soprattutto in ragione del fatto di aver messo nelle manni di
pochi la possibilità di distruggere tutti. Ora in tempi di globalizzazione e di
crisi ecologica, le comunicazioni e i trasporti si sono accelerati a dismisura
tanto che è da condividere l’opinione di
Marc Augè sugli eccessi della contemporaneità : eccesso di tempo, eccesso
di spazio ed eccesso di individualismo.
Bisognava tenerne conto nella progettazione dell’evento, come bisognava
tener conto che un tema simile, Nutrire il pianeta, in un momento di crisi planetaria
con le periferie in rivolta, poteva scatenare reazioni contrarie. Non voglio
entrare nel merito delle violenze degli
antagonisti o casseur, comunque in quanto violenze da condannare, ma si sa da
sempre che la rabbia accumulata poi si scatena in atti violenti, per fortuna
nel nostro caso perlopiù sulle cose. Il
fatto che l’organizzazione abbia preferito destinare un’area apposita all’evento
, anzicchè ad esempio diffonderlo in più punti della città, trasformandolo
cosi in una specie di Gardaland del
cibo, ha contribuito ad isolarlo dal contesto urbano e creerà problemi circa il
riutilizzo di quelle aree a fine Expo. Mi pare insomma che, come al solito, si
siano privilegiati gli interessi dei potenti e i vecchi schemi organizzativi.
Non voglio dire che cosi si
sarebbero evitate le contestazioni ma
almeno si sarebbe comunicato un messaggio più consono ai tempi che, come dicevo,
non sono quelli d’inizio novecento con l’ubriacatura di euforia per il progresso tecnico scientifico.
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Milan, Italie
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