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mercoledì 14 settembre 2016

Assisi città della pace

                                           Bouquet di rose inglesi, acquarello su carta

Assisi capitale della pace da domenica 18 a martedi 20 settembre. Leggo sui quotidiani che 450 capi religiosi si trovano nella città di San Francesco per promuovere la pace. Iniziativa ormai alla trentesima edizione, visto che fu istituita da Giovanni Paolo II nel 1986, raccoglie molti consensi e contraddice chi afferma che sono le religioni a scatenare le guerre. E’ vero che nel passato vi sono state guerre combattute per motivi religiosi ma il fondamento è sempre la ricerca del potere e del prevalere gli uni sugli altri in un pensiero dominante dualistico che divide l’umanità in amici e nemici. Questo non succedeva solo per le religioni ma altresi per le patrie intese come qualcosa di assoluto che alimentava la competizione fra gli esseri umani. In verità le guerre vengono scatenate dalla volontà di potenza. Giustamente François Mauriac affermava che Nietzche è il filosofo del senso comune infatti le nostre abitudini fomentano la volontà di potenza. Vogliamo essere i migliori, i più bravi i più più di tutto e non ci sentiamo mai appagati, creando cosi il conflitto in noi e con gli altri. Nella psicologia buddista si afferma che in noi coabitano i semi di tutto, della gioia e della solidarietà come della paura e della rabbia, queste sementi sono a livello conscio o inconscio, sotterraneo, bisogna alimentare i semi positivi della creatività, della concordia e della felicità anzicchè quelli negativi dell’odio e della paura. L’iniziativa di Assisi va vista in quest’ottica perchè purtroppo noi viviamo in un mondo che innaffia continuamente sentimenti negativi attraverso la continua competizione e la continua esaltazione di bisogni fittizi che ingigantiscono il  sentimento della mancanza. Il consumismo è alla base della nostra economia e ci rende perennemente scontenti, la sobrietà invece puo’ essere felice in quanto non alimenta continue mancanze ma si soddisfa del poco. Se mettiamo insieme volontà di potenza e sentimento della mancanza abbiamo l’esplosivo che scatena le guerre. Del resto una econonomia che si sostiene anche con la produzione di ordigni bellici non puo’ essere cosi ipocrita da pretendere la pace. Ho già scritto di Kant che diceva essere presupposti per una pace perpetua un organismo internazionale riconosciuto per dirimere le contese fra stati e l’abolizione degli eserciti permanenti. Queste sono due condizioni utopiche ancora lontane da essere raggiunte nonostante l’Onu. E’ comunque bene che i capi religiosi si riuniscano nel nome della pace ad Assisi, città bellissima e patria del Santo più amato, per i motivi che dicevamo e perchè la vicinanza della bellezza puo’ essere un antidoto alla guerra, Venere disarma Marte ma bisogna passare dalla filosofia dualistica dell’essere e del non essere a quella unificante dell’interessere. Francesco infatti cantava:”Dolce è sentire che non sei più solo ma che fai parte di una immensa vita”.

3 commenti:

  1. Non vorrei essere un guastafeste, ma sono del parere che codeste manifestazioni per la pace siano inutili. I rappresentanti delle varie religioni si riuniscono, pregano insieme, fanno edificanti proclami a favore della pace nel mondo, ricevono il plauso dei capi di governo e poi tutto ritorna come prima. (Una stranezza: il Dalai Lama non è stato invitato: forse per non dispiacere alla Cina? Ma le religioni non dicono di essere dalla parte dei più deboli?)
    Del resto il fatto che dopo che il rito si ripete da trent’anni, le guerre nel mondo siano aumentate dovrebbe far riflettere anche i credenti. Il cardinale Martini diceva: la differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa.
    C’è poi una paradossale asimmetria: se qualche giorno dopo la manifestazione si realizzasse veramente la pace auspicata, i religiosi direbbero: merito delle nostre preghiere, avete visto che sono utili? se invece le guerre non cessassero, essi continuerebbero a proclamare l’utilità di tali manifestazioni. È come se uno portasse un televisore guasto a un tecnico che lo dichiara riparabile, e continuasse a credere alle sue capacità professionali anche se l’apparecchio dopo la riparazione non funzionasse.
    È vero che non tutte le guerre sono causate dalle religioni, anche se ci sono state guerre di religione e che in questo momento vi è un conflitto nell’ambito della religione islamica tra sunniti e sciiti; inoltre i fondamentalisti islamici hanno in pratica dichiarato guerra anche alle altre religioni.
    Del resto la stessa Chiesa cattolica non esclude del tutto il ricorso alle armi. In passato alla vigilia delle grandi battaglie, entrambi gli eserciti schierati non mancavano di celebrare solenni Te Deum per invocare la vittoria; tuttavia, come acutamente osservava lo scrittore francese Victor Hugo, stranamente Dio esaudiva quasi sempre la preghiera dell’esercito più forte. Si dirà: cose d’altri tempi. Tuttavia cosí recita il catechismo emanato nel 2005 da Benedetto XVI (Compendio art. 483): L’uso della forza militare è moralmente giustificato dalla presenza contemporanea delle seguenti condizioni: certezza di un durevole e grave danno subito; inefficacia di ogni alternativa pacifica; fondate possibilità di successo; assenza di mali peggiori, considerata l’odierna potenza dei mezzi di distruzione.
    Quindi solo lo stato più forte e potente (fatte salve le altre condizioni) sarebbe moralmente giustificato nell’uso della forza militare nei confronti di uno stato militarmente molto più debole: dottrina singolare, anche se forse ispirata a un passo del vagelo di Luca (14, 31 – 32).
    Secondo me, contro le guerre, molto più utile delle preghiere sarebbe il bombardamento non con esplosivi, ma con libri, giornali, riviste, cassette musicali, trasmissioni radiofoniche. Il risultato certo non sarebbe immediato, ma prima o poi, siccome è innata nel genere umano la curiosità, il seme della cultura produrrebbe i suoi frutti. Con quello che costa una sola bomba, si potrebbero scaraventare sui belligeranti tonnellate di strumenti culturali, ovviamente tradotti nelle lingue locali. Utopia? Forse, del resto quest’anno si celebra il cinquecentesimo anniversario del romanzo Utopia di Tommaso Moro.

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  2. Caro Pino come al solito sei molto informato e in parte concordo con te sulla cultura come antidoto alla guerra. Dico solo in parte perché anche i colti a volte non sono intelligenti. Infatti un adagio che mi piace molto recita "essere intelligenti non significa essere colti ma sapere come essere soddisfatti in qualsiasi circostanza, questa condizione non puo' essere generata da uno spirito competitivo. Quanto alla manifestazione di Assisi forse è inutile se la vedi come una richiesta di aiuto ad una Potenza soprannaturale che dovrebbe far cessare i conflitti ma a me pare invece molto utile nel senso da me indicato come momento di riflessione sulla degenerazione delle Fedi e sulla necessità di un umanesimo nuovo.

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  3. Vorrei aggiungere che le idee camminano con le gambe degli uomini e quindi anche l'idea di Dio cammina con quelle stesse gambe dunque non è inutile che gli uomini di diverse religioni si incontrino almeno per affermare che il pensiero religioso non è bellicista. Quanto a Tommaso Moro mi risulta che si sia fatto tagliare la testa pur di non abiurare il suo sentimento religioso a favore del Potere del Re.

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