Perchè è cosi
difficile risanare le periferie? Come già esposto in un mio recente articolo è
stata la prima rivoluzione industriale a generare i grandi agglomerati
periferici, in Francia chiamati banlieues.Le fabbriche si sono stabilite fuori
dalle mura della città storica ed hanno pompato manodopera, dalle campagne
prima, dai paesi sottosviluppati e dal terzo mondo poi, che avendo necessità
abitative ha obbligato amministratori e imprenditori a costruire case nel
circondario. Quando le fabbriche si sono trasferite, nel processo di
terziarizzazione della città, sono rimaste le case con i grandi buchi delle
aree ex industriali. Queste abitazioni naturalmente non brillano per qualità e
soprattutto spesso mancano delle infrastrutture necessarie che l’amministrazione pubblica o i privati
lasciano in sospeso per anni. E’ emblematica la questione dei problemi legati
all’igiene edilizio nella fine ottocento in Inghilterra e da noi nella prima
metà del secolo scorso.Molte volte questa situazione è durata per diverso tempo
tanto da far crescere due o tre generazioni di abitanti in situazioni precarie.
Questa realtà ha provocato e approfondito il solco che separava e separa i
diseredati dai privilegiati, ovvero i poveri dai ricchi, oggi in regime di
globalismo e di sviluppo dei trasporti è più profonda la disuguaglianza fra
periferia e centro di una stessa città che tra paesi diversi. Teniamo presente
che ormai il termine “periferico”si applica a tutto cio’ che viene trascurato.
Infatti la casualità e l’abbandono, oltre alla trascuratezza, sono lo stigma di
queste conurbazioni dove regna il disprezzo per la vita comune. Plotino
affermava che è brutto cio’ che la nostra anima trascura, cioè senza cura, è evidente dunque che le categorie del brutto le troviamo prevalentemente in
periferia. Naturalmente cio’ non è sempre vero ma nell’immaginario comune è
cosi. Ora per rendere il brutto bello occorrono primariamente da parte del
soggetto pianificatore cura, attenzione e amore ma non è semplice in una
popolazione abituata da sempre al brutto. La cura è qui intesa come esecuzione
a regola d’arte, l’attenzione è il contrario di negligenza e disattenzione, nel
nostro caso rispetto al sito e all’utenza, il risultato migliore essendo sempre
quel manufatto che si potrebbe considerare come se fosse sempre esistito: cioè
che finisce per arricchire e completare un luogo. Infine l’amore è quindi una
volontà che inserisce il proprio fare in una finalità di benessere e rispetto
per la vita. Queste qualità soggettive si sostanziano poi negli oggetti in ordine, equilibrio, eleganza e coerenza.
Vi pare che queste siano condizioni facilmente raggiungibili? A volte occorrono
decenni per invertire la tendenza al degrado, non bastano interventi episodici
calati dall’alto e nemmeno abbattimenti a volte necessari. Torno a ripetere
quanto affermato in un mio precedente scritto e nel mio libro, “L’altro
architetto”, che la presenza del verde, nel senso di giardini ben curati,
alberi, fiori ed elementi vegetali puo’ aiutare a invertire la tendenza al
degrado perchè la loro bellezza, frutto della cura, è fortemente contagiosa,
come anche curare l’arredo urbano che denota ordine e presenza dell’autorità,
senza considerare il risanamento delle case i cui abitanti sono affetti da sick
building sindrome, sindrome da edificio malato, pare che il 20% del patrimonio
immobiliare italiano sia costruito con materiali che creano questo problema.
Senza fare i soliti proclami di interventi magniloquenti da affidare al solito
archistar di turno cominciamo da qui.
Queste note sono tratte dal libro L'altro architetto che verrà ripresentato il 7 ottobre ore 17 a Bordighera all'Istituto internazionale di Studi Liguri via Romana 39
Queste note sono tratte dal libro L'altro architetto che verrà ripresentato il 7 ottobre ore 17 a Bordighera all'Istituto internazionale di Studi Liguri via Romana 39