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giovedì 23 gennaio 2020

Rigenerare le periferie








              Pulire le scritte sui muri è un primo passo per la dignità di un quartiere (Baggio)




Il seguente scritto  di Giovanni Poletti, ex presidente della cooperativa Abitare, sua relazione al nostro ultimo convegno sulla casa, rappresenta per noi la modalità giusta per operare una rigenerazione urbana.

Non è molto semplice definire cosa sia la BELLEZZA legata alla casa ed al suo contesto.
 In generale credo che ognuno abbia una reazione diversa davanti alla BELLEZZA, e ritengo che queste diversità di sensazioni siano ricollegabili ai differenti stati d’animo, ai problemi che ci si porta addosso e alla complessiva situazione ambientale.
Ma se è impossibile rispondere ai problemi personali è tuttavia attuabile una politica del BELLO, inteso quale combinazione tra efficienza, funzionalità, qualità ambientale e sociale e abitazione, ma non nel senso del rifugio, del fuggire, del chiudere la porta blindata perché fuori il mondo è cattivo e mi vuole male. Quando mai chi vive queste situazioni può vedere attorno a sé la BELLEZZA?
BELLEZZA vuol dire anche armonia, ordine, direi buon gusto.
Si è vero, ma vediamo la BELLEZZA attorno a noi quando c’è pulizia, quando i servizi tecnici del caseggiato funzionano, quando il verde è ben tenuto, quando la raccolta differenziata viene attuata correttamente, quando qualcuno interviene nel caso di mancato rispetto del regolamento, quando si esce in strada e le buche nell’asfalto vengono coperte, ecc….
Vengo a qualche cosa di più concreto, convinto che qualsiasi intervento di risanamento, di riconversione al BELLO, debba tenere conto di chi lo deve fruire e contribuire al suo mantenimento.
Cambiare un citofono rotto, cancellare scritte sui muri o sugli ascensori, avere paura a scendere in cantina o quant’altro, senza accompagnare l’intervento risanatore con una riqualificazione sociale, vuol dire riprodurre la malattia senza fare terapia.
Ovviamente non sto parlando delle nuove bellissime costruzioni che mi riempiono di soddisfazione per la mia Città, ma per le quali lascio ogni considerazione ad altri che interverranno questa mattina.
Mi riferisco a quella grande parte della Città che non fa parte del BELLO di Milano ed i cui abitanti raramente sono nelle condizioni di vedere e godere del BELLO.
Ripropongo una sintesi del Programma degli interventi già attuati su 1.700 abitazioni di una grande Cooperativa Edificatrice, a Niguarda, oggi Coop. Abitare con 2.750 abitazioni, a seguito della fusione con le Coop. Edificatrici di Affori e Dergano. 
I problemi che si presentavano erano i soliti, dopo anni di mancati interventi di manutenzione ordinaria poi diventati ovviamente di straordinaria manutenzione. Conseguentemente il comportamento degli abitanti   denotava un certo distacco dalla Cooperativa e dai suoi valori fondanti.
All’inizio del mio mandato mi sono chiesto se veramente conoscessi le famiglie che vi alloggiavano e quali fossero le loro attese, i problemi più acuti, le partite più in sofferenza. Incaricammo due assistenti sociali di svolgere una ricerca mirata a tal fine
 Contemporaneamente abbiamo svolto una indagine sul patrimonio, sullo stato conservativo, ma con un occhio alle questioni più critiche e come risolverle cogliendo l’occasione degli interventi programmabili per fare un salto in avanti per la qualità dell’abitare.
In quel periodo la Lega delle Cooperative del settore abitazione cambiò il concetto di Cooperativa di Abitazione in Cooperativa di Abitanti. Questa non fu una mera variazione lessicale, ma la base, la motivazione profonda di un radicale cambiamento della strategia gestionale delle Cooperative.
Davanti ad uno strisciante problema di impoverimento di quella cultura della partecipazione e della solidarietà, i grandi pilastri degli   ideali cooperativi ci si rese conto che anche un valido programma di interventi   sul patrimonio abitativo della Cooperativa non era sufficiente ad invertire una rotta che ci stava portando diritto a diventare un insieme di condomini litigiosi.
Una indagine del 1994 aveva evidenziato che circa il 40% dei soci abitanti si era espresso positivamente circa l’acquisto dei loro alloggi.
Era il segnale che il Corpo Sociale, la Cooperativa si stava disgregando e che si doveva intervenire parallelamente in diverse direzioni.
Decidemmo una operazione a tenaglia: da un lato un esteso programma di interventi sul patrimonio edilizio, quasi di riqualificazione e dall’altro un programma di rilancio, di rafforzamento del tessuto sociale
Tema numero 1) il programma di interventi sul patrimonio edilizio
Durata 15 anni, finanziamento dei costi pari a 25 milioni di euro, con mutui venticinquennali, costi a carico dei soci, sulla base della superficie degli alloggi, senza distinzione della vetustà del quartiere, contributo a carico del bilancio della Cooperativa pari al 15%.
Tutti iniziarono a rimborsare i costi indipendentemente dalla   realizzazione degli interventi e dei loro costi.
Va rilevato che fu posta grande attenzione alla qualità degli interventi con i seguenti punti di forza:
- identificazione ed eliminazione dell’amianto, nel rispetto delle vigenti normative. E non fu poca cosa anche in termini di costi.
- cappotto termico o insufflaggio per le facciate in rifacimento
-realizzazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica su tutti i tetti disponibili, con una produzione  di 900 Kw di picco (contro una produzione italiana di 50.000 Kw.)
- aumento del verde in misura del 20% e realizzazione di giardini con programmi pluriennali di manutenzione
-ammodernamento delle centrali termiche, con l’adozione di caldaie di ultima generazione e delle pompe di calore
-piano di ammodernamento degli ascensori.
- realizzazione in tutti i quartieri di aree giochi per i bambini
- ammodernamento degli impianti di ascensori realizzati in tutte le case.

Tema numero 2: attenzione al Corpo Sociale
L’indagine espletata sul corpo sociale valutando soprattutto le fasce più deboli o quelle situazioni segnalate in difficoltà, mise in evidenza che il problema più grave era la solitudine.
Causa primaria era lo sfilacciamento dei rapporti familiari in particolare delle persone anziane; le conseguenze erano il loro decadimento psico-fisico, con l’abbandono delle terapie, la trascuratezza complessiva della persona e dell’alloggio.
Ci siamo chiesti cosa mettere in campo per dare una risposta ai problemi evidenziati e più in generale su quali basi rilanciare e rafforzare il tessuto sociale.
Abbiamo voluto scommettere su due obbiettivi:
LA CULTURA E LA SOCIALIZZAZIONE
PER LA CULTURA furono realizzati il teatro della Cooperativa di via Hermada la cui programmazione dopo 14 anni è più viva che mai e di alta qualità, con dieci posti di lavoro.
Il Centro Culturale di via Hermada, dotato di una libreria con circa 10.000 volumi ed un posto di lavoro
L’edizione di un periodico della Cooperativa inteso come “lavagna” a disposizione dei Soci
Spettacoli nei cortili
PER LA SOCIALIZZAZIONE, furono realizzate in ogni quartiere, spazi dedicati alle attività sociali, con un fondo cassa ed un coordinamento, gestiti direttamente dai Soci
Con la Caritas Ambrosiana è in atto un servizio di trasporto dei Soci in difficoltà e bisognosi di assistenza sanitaria o per l’espletamento di incombenze amministrative, ecc..
Queste le iniziative di alto significato sociale ma anche espressione di una cultura cooperativa che si apre al territorio con numerose iniziative:
ANZIANI: 
- 900 anziani in difficoltà affiancati da un programma di monitoraggio
- distribuzione pasti caldi, servizio oggi effettuato dal comune.
- Monitoraggio e prevenzione della legionella
- Case dell’acqua in ogni quartiere
GIOVANI :
- realizzazione Centro giovani
- assegnazioni alloggi a studenti e rifugiati
DISABILI
-la realizzazione di un Centro di assistenza per persone con disabilità anche non socie, gestito dalla Coop. Diapason e situato all’interno di un   nostro quartiere con 35 presenze quotidiane,
-l’assegnazione di alloggi a particolari condizioni a Cooperative attive in ambiti della disabilità anche psichiatrica.
In tutti i quartieri è presente il servizio di portierato
Ogni tre anni sono rieletti i Consigli di Quartiere
In sostanza l’obbiettivo di fondo era LA PRESENZA CONCRETA DELLA COOPERATIVA là dove i bisogni erano più significativi
In circa 20 anni di attività delle nostre iniziative sociali anche aperte al territorio non abbiamo mai dovuto registrare lamentele o mugugni da parte  da parte degli abitanti.
Sottolineo che quanto sin qui detto non erano buone idee ma precise e durature iniziative messe in atto.


DUE BREVI CONSIDERAZIONI:
Le ristrutturazioni alla data odierna non hanno richiesto alcun intervento riparatore.
 Le gare d’appalto non sono avvenute con la regola del massimo ribasso, ma sulla base del miglior rapporto costi- benefici, rispetto al capitolato di gara.
I risultati sul piano sociale possono essere definiti buoni, ma non esaltanti. Le conseguenze della crisi hanno inciso come in tutte le situazioni sui redditi delle famiglie e conseguentemente sulla partecipazione e sulla disponibilità ad assumersi responsabilità organizzative ed operative

Consentitemi alcune annotazioni.
Siamo tutti consapevoli che grandi aree da dedicare all’edilizia   residenziale non ci sono a meno che non le si voglia togliere al verde. Fatto che non credo sia possibile, dopo la promessa del Comune di piantare tre milioni di alberi.
Sappiamo che la popolazione aumenta e presenta una domanda abitativa diversa al passato, molti diventano cittadini a tempo determinato.
Sappiamo anche che una larga parte dell’edilizia residenziale pubblica e privata è vetusta, anche in condizioni disastrose rispetto ai parametri medi della sostenibilità tecnico - ambientale.
Costruire in altezza diventa una necessità, ma dà risposte al tema della residenzialità? Non risolve i problemi anzidetti.
Diventa difficile parlare di BELLEZZA, di ECOLOGIA in quelle situazioni.
ECOLOGIA vuol dire difesa dell’ambiente, ovviamente non quello esistente in gran parte della Città, dunque dobbiamo creare una nuova Milano. Si può sognare! ma chi guarda una cartolina di Milano dieci anni fa ed oggi, nota una forte differenza.
Sogni? Cominciamo a non fermarci allo Stadio di San Siro, ma mandare avanti la riconversione degli scali ferroviari.
Mlano è la Città dell’accoglienza, ma non può disporre di una normativa “ambrosiana” dell’integrazione e questa assenza legislativa, ma soprattutto politica e culturale, non consente di governare l’integrazione e l’insediamento degli immigrati. Anche per queste situazioni bisogna creare opportunità di abitazioni anche miste. Capisco che i sogni richiedono soldi. Ma sono problemi ormai inderogabili. A volte sul tema casa ho la sensazione che tra la Regione ed il Comune di Milano esista una conflittualità che ha tutta la parvenza di essere strumentale in vista delle prossime elezioni amministrative, che avranno le periferie quale terreno di scontro, peraltro non vedo un altro terreno di attacco all’attuale Amministrazione comunale.
Bisogna recuperare nel medio periodo un livello accettabile di sicurezza percepita.  Estremizzando anche via Padova e viale Monza potrebbero avere un quid di BELLEZZA se la sera la gente potesse passeggiare senza paura.
Milano è una Città amabile, dà grandi sensazioni, noi la vorremmo ancora più bella, più vissuta, con una ampia armonizzazione centro/periferia. Il Comune sta attuando una politica più rivolta alle periferie che nel passato, ma se non si risolvono certi nodi, proprio legati alla casa, difficilmente potremo parlare di BELLEZZA in una vasta parte della città.
Ma tutte queste buone intenzioni sono sotto il coperchio dell’inquinamento. Si potrà parlare a lungo di BELLEZZA se i fattori di inquinamento si aggravano sempre più, se Area C e B sono pannicelli caldi che non risolvono il problema?
Viaggiando in superficie con i mezzi pubblici salta agli occhi l’enorme numero di macchine ferme ai margini delle strade riducendo le vie a sensi unici e determinando una media delle velocità a minimi sopportabili.  Un problema enorme del quale non vedo la soluzione, ma sul quale auspicherei una riflessione
Il fenomeno dell’urbanizzazione di enormi masse di persone, sta facendo esplodere molte grandi città. Inquinamento, differenze sociali, ghettizzazione dei poveri, si creano situazioni esplosive, che in alcune realtà sono già ingestibili. Venti, trenta milioni di individui che si accalcano continuamente, che si muovono a ritmi frenetici non possono essere il futuro dell’umanità. Sembra peraltro impensabile un ritorno alla campagna, alla montagna, al vivere bucolico.
Milano ha 1.400.000 abitanti ed è prevista in crescita per i prossimi dieci anni.
Le città come Milano sono entità ancora governabili, ma certi fenomeni anche se si presentano con molta minore violenza, ci devono far riflettere. E credo che ci stiamo attardando.












venerdì 30 settembre 2016

Ancora di periferie

                                            L'albero dei poeti, acquarello su carta 2011

Perchè è cosi difficile risanare le periferie? Come già esposto in un mio recente articolo è stata la prima rivoluzione industriale a generare i grandi agglomerati periferici, in Francia chiamati banlieues.Le fabbriche si sono stabilite fuori dalle mura della città storica ed hanno pompato manodopera, dalle campagne prima, dai paesi sottosviluppati e dal terzo mondo poi, che avendo necessità abitative ha obbligato amministratori e imprenditori a costruire case nel circondario. Quando le fabbriche si sono trasferite, nel processo di terziarizzazione della città, sono rimaste le case con i grandi buchi delle aree ex industriali. Queste abitazioni naturalmente non brillano per qualità e soprattutto spesso mancano delle infrastrutture necessarie che  l’amministrazione pubblica o i privati lasciano in sospeso per anni. E’ emblematica la questione dei problemi legati all’igiene edilizio nella fine ottocento in Inghilterra e da noi nella prima metà del secolo scorso.Molte volte questa situazione è durata per diverso tempo tanto da far crescere due o tre generazioni di abitanti in situazioni precarie. Questa realtà ha provocato e approfondito il solco che separava e separa i diseredati dai  privilegiati, ovvero i poveri dai ricchi, oggi in regime di globalismo e di sviluppo dei trasporti è più profonda la disuguaglianza fra periferia e centro di una stessa città che tra paesi diversi. Teniamo presente che ormai il termine “periferico”si applica a tutto cio’ che viene trascurato. Infatti la casualità e l’abbandono, oltre alla trascuratezza, sono lo stigma di queste conurbazioni dove regna il disprezzo per la vita comune. Plotino affermava che è brutto cio’ che la nostra anima trascura, cioè senza cura, è evidente dunque che le categorie del brutto le troviamo prevalentemente in periferia. Naturalmente cio’ non è sempre vero ma nell’immaginario comune è cosi. Ora per rendere il brutto bello occorrono primariamente da parte del soggetto pianificatore cura, attenzione e amore ma non è semplice in una popolazione abituata da sempre al brutto. La cura è qui intesa come esecuzione a regola d’arte, l’attenzione è il contrario di negligenza e disattenzione, nel nostro caso rispetto al sito e all’utenza, il risultato migliore essendo sempre quel manufatto che si potrebbe considerare come se fosse sempre esistito: cioè che finisce per arricchire e completare un luogo. Infine l’amore è quindi una volontà che inserisce il proprio fare in una finalità di benessere e rispetto per la vita. Queste qualità soggettive si sostanziano poi negli oggetti  in ordine, equilibrio, eleganza e coerenza. Vi pare che queste siano condizioni facilmente raggiungibili? A volte occorrono decenni per invertire la tendenza al degrado, non bastano interventi episodici calati dall’alto e nemmeno abbattimenti a volte necessari. Torno a ripetere quanto affermato in un mio precedente scritto e nel mio libro, “L’altro architetto”, che la presenza del verde, nel senso di giardini ben curati, alberi, fiori ed elementi vegetali puo’ aiutare a invertire la tendenza al degrado perchè la loro bellezza, frutto della cura, è fortemente contagiosa, come anche curare l’arredo urbano che denota ordine e presenza dell’autorità, senza considerare il risanamento delle case i cui abitanti sono affetti da sick building sindrome, sindrome da edificio malato, pare che il 20% del patrimonio immobiliare italiano sia costruito con materiali che creano questo problema. Senza fare i soliti proclami di interventi magniloquenti da affidare al solito archistar di turno cominciamo da qui. 

Queste note sono tratte dal libro L'altro architetto che verrà ripresentato il 7 ottobre ore 17 a Bordighera  all'Istituto internazionale di Studi Liguri via Romana 39  

martedì 24 novembre 2015

Periferie


                                      Olio su tela, Nevicata in periferia

  La cosidetta rigenerazione urbana, termine  diventato di moda  tra gli urbanisti o presunti tali,  passa principalmente attraverso il risanamento delle periferie ma questa operazione non è facile. Si tratta di agire, attraverso interventi, sia sulla popolazione sia sul costruito che possono durare anche degli anni se non decenni. Poichè le amministrazioni comunali hanno una durata di cinque anni e spesso le azioni non sono eclatanti,  non sono cioè da esibire per le elezioni, il più delle volte quindi vengono trascurate quelle opere che sovente sono invisibili ma che danno l’avvio ad un processo di recupero. Invertire il degrado non è operazione da poco ma in alcuni casi bastano pochi e semplici interventi  che debbono pero' durare nel tempo dando la sensazione di una cura che prosegue.  A volte invece necessita intervenire drasticamente con l’abbattimento di interi edifici o quartieri irrecuperabili che determinano intorno malessere e trascuratezza, dove ad esempio vi sono situazioni malavitose.  Quello che urge prima di tutto è una conoscenza approfondita della situazione che metta in evidenza le cause del degrado e le potenzialità del sito.  Occorre fissare parametri, fare interviste e viverci  per sapere il livello di squallore della vita abitativa e senza la partecipazione degli  abitanti non è possibile recuperare alcunchè.  Le periferie sono una conseguenza della rivoluzione industriale, prima non esistevano: vi erano case per poveri e per ricchi mescolate dentro le mura cittadine, magari certi quartieri erano malfamati ma non erano rifiutati. Con l’avvento dell’industria si destinano aree esterne per gli operai inurbati dalla campagna e di conseguenza l’idea della periferia come zona di grado inferiore, di serie B rispetto al resto di città, nasce da li’. Oggi non è cambiato nulla, salvo le norme igieniche, ed ammassandosi più della metà della popolazione mondiale nelle aree urbane le periferie si sono estese a macchia d’olio e sono piene di cosidetti non luoghi. La loro integrazione è fondamentale per il benessere cittadino.  Per invertire il processo di degrado è necessario guardare il contesto periferico come un insieme di relazioni tra gli abitanti e tra questi e gli edifici. I ghetti nascono dove una parte viene abitata solo da soggetti ritenuti il rifiuto della società. Per risanare non serve inserire funzioni nobili, quali un teatro o un’ università, quando i residenti non sono coinvolti. Ogni intervento deve essere finalizzato  a servire chi abita e non a pompare popolazione dall’esterno  solo per alcune ore della giornata o giorni della settimana. Bisogna aprire ai bisogni primari degli abitanti e questo consiste in una casa decente in un contesto sano e vitale che si manifesta anche nelle piccole cose come l’arredo urbano, i giardini fioriti, orti di prossimità, negozi di vari generi,  non solo centri commerciali, biblioteche e librerie, sale riunioni , centri sanitari , sociali, religiosi ecc. La popolazione dovrebbe essere composta da diverse classi di cui la media prevalente, incentivata da un buon housing sociale. Gli interventi pubblici per i meno abbienti devono essere  dimensionati sul contesto e non essere accorpati e incombenti. Dove saranno necessari abbattimenti si creeranno giardini o verde coltivato. La  natura ha un ruolo fondamentale nel processo di inversione del degrado perchè necessita cura e il fatto contribuisce a generare la sensazione di avere un potere amico che si prende a cuore il benessere dei cittadini, e gli alberi ben curati ne sono la prova. E’ essenziale recuperare la sacralità del territorio e della vita su di esso. Poichè le periferie non hanno un passato dovrebbe essere valorizzato ogni cimelio e ogni rudere o reperto antico atto a ripercorrere la storia del luogo  al fine che l’abitante si senta di far parte di un substrato vitale con una sua dignità nel quale si sente inserito. Il sentimento dell’ appartenenza è fondamentale per evitare fenomeni di alienazione e di estraneamento generatori di disagi psicoemotivi. La bellezza, rispetto per la vita, la si deve recuperare nelle piccole dimensioni e nei cicli stagionali, quindi fiori e frutti saranno il nuovo skayline delle periferie.


lunedì 3 novembre 2014

La casa popolare

                                         Case dei ferrovieri, acquerello su carta

Guardando le realizzazioni di edilizia popolare a Milano, a partire dalla legge Luzzatti del 1908, si ha la triste impressione che la necessità di dare la casa a masse di immigrati che negli anni ,soprattutto sessanta e settanta, si trasferivano da sud a nord  del paese, sia stata una scusa per costruire male.  Dietro quelle soluzioni massificanti si intravedono le ideologie di quegli anni che oggi, a  quaranta,cinquant'anni di distanza, mostrano tutta la loro usura e le conseguenze nefaste sulla viviblità di quei quartieri: la fiducia acritica nel progresso tecnologico e nei nuovi materiali, nella prefabbricazione pesante, nell'urbanistica dello zoning e di conseguenza della semplificazione e del riduzionismo hanno generato l'emarginazione reale e simbolica delle nostre attuali periferie. Il termine stesso "casa popolare" è un errore storico che stiamo scontando a caro prezzo. Il bisogno di casa non dovrebbe essere etichettato in base al censo o alla classe sociale e suddiviso in localizzazioni più o meno separate, questo ha determinatato   la periferizzazione di masse di cittadini che oggi siamo impegnati a combattere. Questo bisogno in teoria non dovrebbe essere oggetto di affarismo e speculazione ma al contrario avere la garanzia di soddisfazione per tutti in quanto la casa è necessaria allo sviluppo psicofisico dell'individuo. Questo si scontra con la realtà del mercato immobiliare ben lontana dalle finalità sociali e di mutuo soccorso. Il bisogno di casa invece, come si sa, fin dai tempi antichi è sempre stato oggetto di grandi speculazioni anche se il fenomeno delle periferie è un tipico prodotto della città moderna industriale: nella città antica infatti le classi povere abitavano case povere ma all'interno delle mura mescolate alle dimore dei signori di cui erano al servizio. Quest'anno sono 135 anni dalla nascita di una realtà milanese al servizio della casa, intesa come bene sociale, la Società Edificatrice Abitazioni Operaie,la prima cooperativa a proprietà indivisa per la realizzazione di case per i lavoratori. La città giardino , prevista in Porta Vittoria e realizzata solo in parte nelle casette dei ferrovieri in via Lincoln, ci riporta a tutt'altro clima. Oggi quel villaggetto appare perfettamente integrato nel tessuto cittadino ed è diventato un luogo privilegiato abitato da ricchi intellettuali. Leggendo la storia della nascita di questa società cooperativa ci si rende conto che quanto ai bisogni non è cambiato molto da  allora. Sono nati, è vero, gli IACP (oggi Aler) ma contemporaneamente è aumentata in maniera esponenziale la domanda di case a bassi costi e oggi, dopo il trasferimento delle industrie, in una tendenza alla terziarizzazione della città,le classi meno abbienti sono cambiate: oltre ad una fascia consistente prevalentemente composta da extracomunitari immigrati in grado di accedere ai bandi per le case popolari  ve n' è una più cospicua  di persone, per lo più giovani ma non solo, che non hanno un reddito adeguato per il libero mercato dell'affitto. Nel frattempo le periferie, generate dalla politica dell'edilizia pubblica anni '60 e '70 con concezioni riduttive e magniloquenti, sono sempre più invivibili.
In realtà dal puntodi vista abitativo Milano risulta una città a bassa vivibilità: a fronte di un centro che si è completamente terziarizzato con funzioni forti, uffici di rappresentanza, banche,commercio di lusso e spettacolo, dove abita una percentuale molto bassa di privilegiati si riscontra una fascia periferica, che ormai ingloba i comuni di prima cintura, dove risiede la maggior parte della popolazione, spesso in condizioni di disagio per la mancanza di servizi e di vita comunitaria. Si ha un generale degrado rispetto a quella che un tempo era una normale vita cittadina e il problema del traffico e dell'inquinamento nascono nascono proprio da questa città rfiutata. Essa, anche alla luce di una urbanologia influenzata dalla riflessione ecologica, va concepita come un insieme di sistemi interconnessi  che, come negli organismi viventi, influiscono uno sull'altro: la complessità è bellezza e tutto ciò che si semplifica decade. Non si possono separare le funzioni dell'abitare seza arrecare grave danno alla qualità della vita. Con la concezione riduttiva,  meccanicistica e massificante dei decenni scorsi oggi abbiamo il problema di periferie da riqualificare oltre che  quello di costruire nuove case.

Di questo si discuterà il 10 novembre dalle 10 alle 13 alle Gallerie d'Italia in piazza della Scala 6 a Milano. Qui sotto il programma.




martedì 22 aprile 2014

La città ecologica

Leggo sul Corriere che la giornata mondiale per l’ambiente quest’anno é dedicata alla città e l’articolo decrive ipotesi di ecopolis ipertecnologiche con edifici che, sia pure a risparmio energetico, si sviluppano in altezze vertiginose con la scusante di risparmiare suolo. Costruire in altezza é un modello architettonico dei primi del novecento spacciato per ultramoderno. Concesso che la nuova città ecologica nasce sulla  metropoli esistente si deve tuttavia affermare che la soluzione in altezza non si inquadra  nelle aspirazioni degli urbanisti a forte connotazione ecosofica. Qualcuno afferma che gli edifici abitativi non dovrebbero superare i quattro piani, noi non saremo cosi tassativi, si puo arrivare anche a sei-otto, ma la soluzione sta nel ritorno all’isolato urbano di antica tradizione. Questo era la carattaristica della città europea a partire dal medioevo, viene trasformato nel XIX secolo e viene abolito nel XX dal Movimento Moderno. In effetti l’architettura moderna si è definita e si definisce in contrapposizione alla città. Gli edifici alti dovrebbero essere limitati invece alla funzione del terziario oppure anche per ospitare coltivazioni speciali. Queste costruzioni chiamate biotorri o fattorie verticali moltiplicano per più piani il terreno che sottraggono alla base. Ma oggi il grave problema che una cultura ecologica dovrà risolvere  restano le periferie generatrici di malessere  e ghettizzazione dove esplodono periodicamente le rivolte violente che spesso hanno per protagonisti gli immigrati. Il fatto di essere degli esclusi li rende nemici e il resto della civitas li vive come pericolo. Questo impedisce la loro integrazione in una società sempre più rigida nella difesa dei priovilegi. Il fatto é che nella città vivono separate due realtà : quella degli inclusi e quella degli esclusi che abitano le periferie. Finché queste sono i luoghi dell’esclusione non si puo pensare di vivere felici nel resto della città. Occorre dunque creare zone di mescolanza sociale dove ogni soggetto si senta accettato per quello che é. Una società migliore produce manufatti migliori. Se non vi sono i presupposti perché ogni individuo abbia le opportunità per realizzarsi  e se le condizioni economiche sono sempre più distanziate e irrigidite è normale che non vi sia né bellezza né felicità perché vi è uno stato di guerra permanente tra chi ha troppo e chi ha troppo poco. La nuova polis dovrà essere prima di tutto città della pace dove le architetture manifesteranno questa passione per la bellezza come rispetto per la vita.