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mercoledì 26 ottobre 2016

Dei parchi urbani

                                              Giardimi Montanelli, acquarello su carta, 2009

Vedo sui giornali che a Milano si dibatte molto intorno alla destinazione a verde degli  ex scali ferroviari ed anche di altre aree, come se questa destinazione in se costituisca una panacea di tutti i mali della città. Ecco cosa scrivevo a proposito dei parchi su L’altro architetto.

Il problema del verde in città è annoso e si trascina dalla prima rivoluzione industriale. In genere nella città europea i parchi centrali sono i giardini dei palazzi nobiliari di un tempo, che sono diventati pubblici. All’esterno sono invece aree faticosamente sottratte alla speculazione edilizia e attrezzate per il tempo libero. Ora, non è detto che grandi aree verdi, a parte il benefico effetto sul clima urbano, siano luoghi di delizie: occorre che prima di tutto vi sia una buona sorveglianza, i quartieri che vi si affaccino non siano solo malfamati, e che quindi il parco non diventi a sua volta un non-luogo, abbandonato in certe ore del giorno. Esso va vissuto. Sarebbe meglio avere tanti piccoli giardini che non grandi parchi che nessuno gode. I grandi parchi dovrebbero funzionare come oasi del continuum costruito, dove chi vuole può avere la possibilità anche di praticare l’agricoltura e coltivarsi un orto: allora si avrebbe una presenza continua di persone che tornano alla natura per lavorare la terra come un tempo, con una produzione di frutti che può costituire una risorsa. Del resto anche il paesaggio agrario che circonda le aree urbane ha una sua nobiltà storica, che dovrebbe essere difesa. Vivendo nelle città, spesso, ci dimentichiamo che è dalla natura che scaturisce la vita, anche la nostra, e quindi il sentimento legato alla bellezza, che ce la fa scoprire, si rivolge in primis a lei, se accettiamo la definizione: bellezza uguale rispetto per la vita. La natura quindi è bella in quanto, per dirla con i Greci, è manifestazione di cosmos, ovvero dell’estetica dell’essere. Tuttavia in natura vigono le differenze: ogni organismo e luogo hanno un loro potenziale energetico relativo alla loro funzione nel sistema. Certi organismi noi li vediamo brutti perché li togliamo dal loro contesto vitale e proiettiamo su di loro le nostre parti poco gradevoli. Alla domanda se, allora, sia bella solo la natura, si può rispondere che è bella la natura, ma è altrettanto bella la produzione artistica in chiave ecologica. Ecco perché i giardini, i parchi e gli alberi nelle città ingentiliscono e umanizzano panorami artificiali a volte squallidi e costituiscono una componente estetica non indifferente nelle aree abitative e lavorative. Da L'altro architetto . Giampiero Casagrande editore

martedì 24 novembre 2015

Periferie


                                      Olio su tela, Nevicata in periferia

  La cosidetta rigenerazione urbana, termine  diventato di moda  tra gli urbanisti o presunti tali,  passa principalmente attraverso il risanamento delle periferie ma questa operazione non è facile. Si tratta di agire, attraverso interventi, sia sulla popolazione sia sul costruito che possono durare anche degli anni se non decenni. Poichè le amministrazioni comunali hanno una durata di cinque anni e spesso le azioni non sono eclatanti,  non sono cioè da esibire per le elezioni, il più delle volte quindi vengono trascurate quelle opere che sovente sono invisibili ma che danno l’avvio ad un processo di recupero. Invertire il degrado non è operazione da poco ma in alcuni casi bastano pochi e semplici interventi  che debbono pero' durare nel tempo dando la sensazione di una cura che prosegue.  A volte invece necessita intervenire drasticamente con l’abbattimento di interi edifici o quartieri irrecuperabili che determinano intorno malessere e trascuratezza, dove ad esempio vi sono situazioni malavitose.  Quello che urge prima di tutto è una conoscenza approfondita della situazione che metta in evidenza le cause del degrado e le potenzialità del sito.  Occorre fissare parametri, fare interviste e viverci  per sapere il livello di squallore della vita abitativa e senza la partecipazione degli  abitanti non è possibile recuperare alcunchè.  Le periferie sono una conseguenza della rivoluzione industriale, prima non esistevano: vi erano case per poveri e per ricchi mescolate dentro le mura cittadine, magari certi quartieri erano malfamati ma non erano rifiutati. Con l’avvento dell’industria si destinano aree esterne per gli operai inurbati dalla campagna e di conseguenza l’idea della periferia come zona di grado inferiore, di serie B rispetto al resto di città, nasce da li’. Oggi non è cambiato nulla, salvo le norme igieniche, ed ammassandosi più della metà della popolazione mondiale nelle aree urbane le periferie si sono estese a macchia d’olio e sono piene di cosidetti non luoghi. La loro integrazione è fondamentale per il benessere cittadino.  Per invertire il processo di degrado è necessario guardare il contesto periferico come un insieme di relazioni tra gli abitanti e tra questi e gli edifici. I ghetti nascono dove una parte viene abitata solo da soggetti ritenuti il rifiuto della società. Per risanare non serve inserire funzioni nobili, quali un teatro o un’ università, quando i residenti non sono coinvolti. Ogni intervento deve essere finalizzato  a servire chi abita e non a pompare popolazione dall’esterno  solo per alcune ore della giornata o giorni della settimana. Bisogna aprire ai bisogni primari degli abitanti e questo consiste in una casa decente in un contesto sano e vitale che si manifesta anche nelle piccole cose come l’arredo urbano, i giardini fioriti, orti di prossimità, negozi di vari generi,  non solo centri commerciali, biblioteche e librerie, sale riunioni , centri sanitari , sociali, religiosi ecc. La popolazione dovrebbe essere composta da diverse classi di cui la media prevalente, incentivata da un buon housing sociale. Gli interventi pubblici per i meno abbienti devono essere  dimensionati sul contesto e non essere accorpati e incombenti. Dove saranno necessari abbattimenti si creeranno giardini o verde coltivato. La  natura ha un ruolo fondamentale nel processo di inversione del degrado perchè necessita cura e il fatto contribuisce a generare la sensazione di avere un potere amico che si prende a cuore il benessere dei cittadini, e gli alberi ben curati ne sono la prova. E’ essenziale recuperare la sacralità del territorio e della vita su di esso. Poichè le periferie non hanno un passato dovrebbe essere valorizzato ogni cimelio e ogni rudere o reperto antico atto a ripercorrere la storia del luogo  al fine che l’abitante si senta di far parte di un substrato vitale con una sua dignità nel quale si sente inserito. Il sentimento dell’ appartenenza è fondamentale per evitare fenomeni di alienazione e di estraneamento generatori di disagi psicoemotivi. La bellezza, rispetto per la vita, la si deve recuperare nelle piccole dimensioni e nei cicli stagionali, quindi fiori e frutti saranno il nuovo skayline delle periferie.