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venerdì 26 febbraio 2021

Territorio e pensiero ecologico.


 Territorio e pensiero ecologico è il primo seminario che l'Istituto Uomo e Ambiente ha organizzato in collaborazione con la Casa dell'Agricoltura

lunedì 8 luglio 2019

Proposta di rigenerazione urbana presentata al Comune di Milano




 



Progetto Ortica


Ogni territorio ha una sua vocazione, ogni territorio ha caratteri e ritmi propri. L’Ortica è un quartiere popolare, poco attraente, quindi ci siamo concentrati sull’idea che la gente possa usare gli spazi pubblici in modo intelligente e democratico dimostrando che da un ciuffo di ortiche si può tirar fuori la ricetta per il riscatto delle periferie a rischio. Infatti i  maggiori contenitori di biodiversità non sono i boschi o le aree protette ma le aiuole spartitraffico, le scarpate ferroviarie, i terreni industriali dove la vegetazione può tornare a svilupparsi. Ed è per questo che, dopo aver visitato il quartiere, ed averlo frequentato più anni, abbiamo valutato che il miglioramento della vita, in un processo di rigenerazione urbana che privilegi l’elemento naturale come mezzo di arricchimento qualitativo,  può avvenire tenendo presente le necessità insite,  per storia, tradizione e vocazionalità del luogo, soprattutto delle persone  che volessero imparare un mestiere a contatto con la natura fatto di lavoro e raccolto. Del resto il nome stesso di Ortica deriverebbe da orto o ortaglia, prendersi cura di un orto e produrre una parte del cibo che si consuma è  un modo  per ridare significato alla filiera alimentare e l’aula all’aperto in cui comprendere tutta insieme la rete della vita nelle sue infinite ramificazioni e connessioni. Esso infatti mette a frutto abilità manuali, sviluppo del pensiero sistemico interdipendente, capacità revisionali,  le conoscenze botaniche, la ricerca delle sementi e non ultimi il senso e il gusto dell’attesa.  Per questo  abbiamo considerato che gli interessati  si potrebbero dedicare all’apprendimento  di nozioni erboristiche al fine di creare in loco una spezieria che realizzi i suoi preparati attraverso la coltivazione di erbe. All’interno del quartiere potrebbe sorgere una struttura, nella quale sarebbero venduti i preparati ottenuti attraverso la coltivazione delle erbe e delle piante nei campi di proprietà comunale o in un edificio ad hoc.  Nelle aule disponibili o realizzabili saranno inoltre previsti corsi per tecnici degli orti botanici, per apicoltori, per coloro che vogliono apprendere nozioni di cucina naturale.  L’ informazione, affinchè sia anche una esperienza formativa, avverrà  creando una fornita biblioteca di food con testi che riguardano la tradizione della cucina lombarda di ieri e di oggi . Verrà, al contempo, svolta una sensibilizzazione al fine di creare un’agricoltura che sia anche arricchimento spirituale per chi la pratica. Saranno attivati stages per rispettare la natura e la tradizione partendo da quel che si è senza dimenticare le origini, insegnando l’utilizzo di erbe aromatiche e varietà floreali che richiamano insetti utili e impollinatori, come il fiordaliso, le calendule officinali, l’issopo, la senape bianca, la melissa, l’origano, il timo e la santoreggia. Seguendo la presenza locale si potrà creare una scuola di arte bianca con l’utilizzo delle farine alternative ricavate dagli antichi grani coltivati in loco.

Qualora la disponibilità di aree ad uso agricolo non fosse sufficiente si costruirà una struttura semipermanente in legno e vetro per colture sovrapposte a più piani, che potrebbe arrivare anche ad altezza considerevole, biotorre o vertical farm, cosi da dare l’impressione che la città restituisca il terreno sottratto per produrre cibo. Questo edificio, con una forma piramidale o a spirale per le note proprietà energetiche, al contempo utilizzerà e produrrà energie alternative, derivanti da geotermia, pompe di calore, sistemi solari, eolici e di reimpiego del vapore acqueo.  Qui saranno coltivati i prodotti ad uso alimentare.  Nell’edificio  alla base si posizionerà  la biblioteca di food internazionale  e un centro di accoglienza.  Si ipotizza inoltre di destinare uno spazio alla Spezieria . Il tipo di utenza dovrà aggregare, disoccupati, giovani  animati da uno spirito naturalistico, immigrati con permesso di soggiorno, studenti interessati all’utilizzo terapeutico e alimentare delle erbe che potranno abitare nei locali della struttura per brevi periodi seguendo una graduatoria con l’obiettivo di imparare un mestiere e  di recuperare il ruolo naturale del mondo agricolo come punto di partenza di una educazione ecologica al fine di conoscere la natura in un’ottica di conforto personale e di ritrovamento di se stessi.    


Questa scheda è stata presentata all'assessore Maran su sua sollecitazione.












           

















                                                                                                                                                                   
                                                                                                                        








                                         

                                 
                   

                  
     
    


lunedì 25 gennaio 2016

Poetica del paesaggio agricolo storico

                                      Papillon, acquarello su carta

 Oggi il naturale (nel senso di evoluzione senza intervento dell’uomo) non prevale più, è anzi in strettissima minoranza sulla crosta terrestre e in specie da noi in Europa, e in Italia in particolare,  per cui quello che rimane è ormai cosi poco che è sempre bello interessante e necessario. Il concetto di bellezza insomma appare spostato dall’arte alla natura, mentre prima bella era solo l’arte e la natura era bella dove il concetto estetico dominante trovava la propria conferma. Per dirla con Kant “ La natura era bella quando aveva l’apparenza dell’arte. A dire il vero l’ambientalismo più serio oggi si accorge che non vi è contraddizione tra naturale e artificiale qualora l’uomo abbia interpretato le sue esigenze più profonde e non abbia dato libero sfogo al suoi impulsi distruttivi, infatti Kant aggiunge:”E l’arte non puo’essere bella se non quando noi, pur essendo coscienti che è arte la consideriamo come natura”. L’artificiale è il naturale trasformato e se è la creatività che ha prevalso (come profonda natura genuina dell’homo faber) dà altrettanto benessere che il naturale autentico, anzi lo stesso naturale autentico, come si diceva, risulta in questa logica prodotto di una scelta creativa dell’uomo che individua come necessario e bello lasciare le cose come stanno. In sostanza questo concetto è assimilabile  al fare di coloro che creano opere d’arte raccogliendo e scegliendo elementi naturali per lasciarli cosi come sono.  La creatività dell’uomo sta nella selezione, nella cernita, nel riconoscere la superiorità delle forze creatrici della natura, nell’essere umile e scoprire che in determinate circostanze è meglio non intervenire. Questo non significa disprezzare la propria opera modificatrice, anzi significa valorizzarla individuando dove questa è necessaria e quindi “bella” e dove  no e quindi brutta.  Passando dunque a considerare il paesaggio agricolo storico possiamo dire che esso è il risultato della modificazione del selvaggio mediante elementi naturali, o meglio, mediante elementi organici viventi. L’uomo è stato guidato nella trasformazione agricola da preoccupazioni ben lontane da intenti estetici coscienti, pero’ nel paesaggio storico si nota un aspetto caratteristico dell’attività umana: quando prevale la creatività, sia pure inconsapevole e determinata da necessità contingenti, si ha benessere psichico. L’attività agricola tradizionale, in effetti, costituiva l’incontro creativo tra l’uomo e la natura: essa viene conosciuta e incanalata verso una maggiore capacità di vita, ecco perchè il mondo rurale ha sempre destato sensazioni di benessere. L’agricoltura tradizionale ha si  modificato l’ambiente naturale ma plasmandolo con le proprie mani nello sforzo umile e generoso di adattare il naturale ai bisogni fondamentali di vita e quindi a uno scopo creativo, non distruttivo.Le  mani dell’uomo e la terra hanno costituito una sintesi che, mossa da questo fondamentale intento creativo di dare più vita, più fiori, più frutti, il più delle volte ha prodotto un risultato anche estetico. Spesso il paesaggio che ne deriva è il risultato di uno sforzo collettivo che inconsciamente è artistico se per arte con Carl G. Jung si intende la capacità di esprimere le forze primigenie del nostro inconscio collettivo che sono tensione tra materia e spirito, tra profano e religioso sempre alla ricerca di nuove sintesi al fine di una esperienza del tutto. O anche se, con William Morris, si afferma che l’arte è il prodotto della gioia del proprio lavoro a un fine creativo. Se ancora, per godimento estetico si intende la capacità , attraverso l’arte , di  raggiungere l’intuizione del tutto e il sentimento dell’appartenenza quale visione, quale panorama più di quello di un paesaggio agricolo storico dona questa sensazione? Non per nulla un personaggio come Francesco d’Assisi, che è uno dei pochi esempi occidentali del sentimento dell’appartenenza, cresce in un ambiente  antropico-naturale come l’Umbria che esprime ad altissimo livello la sintesi cui si è accennato. Tutto cambia con l’introduzione delle tecnoscienze in campo agricolo alimentare in epoca moderna.

giovedì 22 ottobre 2015

Cibo e paesaggio


                                     Verdure dell'orto, acquarello su carta

  Circa 10.000 anni fa in zone del pianeta particolarmente fertili come il delta del Nilo o del fiume Giallo nasceva l’agricoltura, cioè l’uomo smise lo stato migratorio  alla ricerca di prodotti della natura di cui cibarsi per diventare stanziale coltivandoli. Da quel momento la produzione di cibo, in misura più o meno accentuata, apporta modifiche al territorio e quindi al paesaggio naturale. Queste modifiche seguono i cambiamenti dell’economia agricola nelle varie epoche come sottolineava Emilio Sereni nella sua Storia del paesaggio agrario italiano, a partire dalla colonizzazione greca fino ai giorni nostri, edito nel 1961 da Laterza. Le colture seguono dunque la cultura e viceversa. Cosi l’alimentazione di popolazioni sempre più numerose, proprio grazie alla possibilità di reperire il nutrimento, ha come conseguenza l’uso del disboscamento per ricavare terreno agricolo dove coltivare piante che lo producano. Fintanto che la città viveva delle coltivazioni delle terre del circondario anche il cittadino si rendeva conto della stretta interdipendenza tra uomo e natura. La produzione a km zero, come la si definisce oggi, costituiva proprio la più stretta relazione fra il produttore ed il consumatore, infatti quando nasce la città, come ci ricorda Louis Munford, nasce anche la separazione tra chi coltiva,  contadino, e chi consuma,  cittadino. Ma prima dell’epoca moderna questa frattura non arriva alla alienazione dalla coscienza  del consumatore inurbato di appartenere alla natura e di dipenderne. E’ in epoca industriale che cio’ avviene : quando cioè nascono le grandi compagnie per la produzione alimentare. Anche in questo campo le tecnoscenze introducono la convinzione che la natura sia dominata e sia un pozzo senza fondo con il conseguente suo impiego ai fini del profitto in una economia del denaro.  Oggi notiamo che più della metà della popolazione mondiale abita le aree urbane, cioè quelle zone cementificate prive di coltivazioni dove il cibo arriva da molto lontano seguendo le leggi del mercato tramite i mezzi di trasporto sempre più rapidi.  Nel resto del globo il territorio è soggetto ad ogni tipo di sfruttamento a fini agricoli o estrattivi e le aree selvatiche rimangono una stretta minoranza continuando ad essere minacciate dai disboscamenti con grave pericolo per la biodiversità, come recita la stessa Enciclica di Papa Francesco, Laudato si. Contemporaneamente questa cultura dello spreco e del consumo rapido produce grandi quantità di rifiuti  il cui smaltimento va a turbare gli equilibri naturali, in genere nei paesi più poveri.  Il paesaggio cosi non viene solo distrutto dall’industria edilizia e dalla cementificazione selvaggia ma anche dalla scriteriata produzione alimentare. Esempi sono le monoculture, le serre, le stalle, le porcilaie, i pollifici ecc. Tutto questo richiede una regolamentazione, che spesso non esiste, che tenga presente che « non di solo pane vive l’uomo » ma anche di bellezza e particolarmente in Italia dove il paesaggio costituisce una risorsa anche economica che va tutelata e rispettata trovando un equilibrio tra le due necessità. Del resto sta avanzando una cultura ecologica che promuove produzioni agricole anche nelle aree cittadine attraverso l’uso di orti di prossimità e l’utilizzo di alberi da frutto nei parchi urbani. Congiuntamente si riempiono terrazzi e tetti piani di vegetazione provocando cosi la nascita di una nuova coscienza che contribuirà alla salvaguardia della natura e questa è la migliore garanzia per il futuro delle nuove generazioni. Questo doveva essere messo inevidenza da EXPO e non la gastronomia dei vari paesi partecipanti insieme alle multinazionali del cibo. Si discuterà di questo giovedi 5 novembre mattino alla Società Umanitaria nell’ambito del convegno Cibo e Paesaggio.



lunedì 14 luglio 2014

Paesaggi

                                                            Infinito olio su tela 70x50

Tempo di vacanze, tempo di paesaggi inconsueti. Paesaggi rurali della nostra bella Italia sintesi armoniica di natura e cultura. Oggi il naturale risulta sempre bello perché natura primigenia in se, mentre l'artificiale qualche volta è bello ma spesso è brutto, contrariamente alla concezione greca, oggi spesso si vede l'intervento dell'uomo come deturpazione. D'altra parte in una situazione in cui lo sviluppo tecnologico ha messo l'uomo d'oggi nelle condizioni di avere la possibilità di distruggere completamente la vita, e quindi gli dà la responsabilità di mantenerla, il naturale appare come un ambiente artificialmente tenuto cosi, come memoria della natura primigenia e appare bello pur nelle contrastanti tendenze estetiche. Oggi  si puo notare che non vi è contraddizione tra naturale e artificiale qualora l'uomo abbia interpretato le sue esigenze più profonde e non abbia dato libero sfogo alla sua distruttività. Il naturale autentico risulta anzi come prodotto di una scelta creativa dell'uomo che individua come necessario e bello lasciare le cose come stanno. La creatività dell'uomo sta nella selezione, nella cernita, nel riconoscere la superiorità delle forze creatrici della natura, nell'essere umile e scoprire che in determinate circostanze é meglio non intervenire. Il paesaggio storico agricolo é il risultato della modificazione del selvaggio mediante elementi naturali o meglio mediante elementi organici viventi. L'uomo nella trasformazione agricola tradizionale é stato guidato da preoccupazioni ben lontane da intenti estetici coscienti, pero nel paesaggio storico si nota un aspetto caratteristico delle attività umane: quando prevale la creatività, sia pure inconsapevole e determinata da necessità contingenti, si ha benessere psichico, cioé bellezza. L'attività agricola ha in effetti tradizionalmente costituito l'incontro creativo tra l'uomo e la natura: questa viene conosciuta e incanalata verso una maggiore capacità di vita, ecco perchè il mondo agricolo ha da sempre destato sensazioni di benessere. Nell'agricoltura tradizionale l'uomo ha si modificato l'ambiente naturale ma plasmandolo con le proprie mani nello sforzo umile e generoso di adattare il naturale ai bisogni fondamentali di vita. Spesso il paesaggio che ne deriva è il risultato di uno sforzo collettivo che inconsciamente è artistico, se per arte con Jung si intende la capacità di esprimere le forze primigenie del nostro inconscio collettivo che sono tensione tra l'istintuale e il trascendente, tra materia e spirito, tra profano e religioso, alla ricerca di nuove sintesi al fine di una esperienza del tutto.