Cerca nel blog

sabato 16 ottobre 2021

Master sulla bellezza


La bellezza è nella natura e noi impariamo ad apprezzarla fin dalla più tenera età. Il 900 ci ha alienati della sua presenza nelle cose e della nostra capacità di coglierla. E’ diventata un orpello e un lusso per pochi. Dobbiamo quindi riconquistare la nostra sensibilità sapendo che non ci è data gratuitamente ma è il frutto di un lavoro di approfondimento. Per quanto riguarda le opere dell’uomo la bellezza è il prodotto di un atteggiamento di cura, attenzione e amore per il proprio lavoro. Ecco perché l’Istituto Uomo e Ambiente, da sempre presente sui temi dell’ecologia e dell’estetica ha voluto organizzare questo corso on-line per chi vuole approfondire la tematica, soprattutto gli architetti che sono delegati a trasformare l’ambiente ma anche ogni persona intelligente.

Il corso è diviso in cinque giornate: la prima è dedicata alla filosofia perché è dalle opinioni generate da essa che provengono le scelte in campo estetico. La seconda è sulla natura con esperti che la studiano e la utilizzano con creatività. La terza verte sul paesaggio e sull’arte poiché anche quest’ultima nel secolo scorso ha deragliato dalla sua finalità naturale, cioè la bellezza.  La quarta è dedicata all’architettura ed infine l’ultima è sulla pratica e cioè come tradurre in azioni l’importante bisogno sociale di equilibrio, ordine, eleganza e coerenza che sono i principali attributi della bellezza.

 

sabato 4 settembre 2021


  

  

Transizione ecologica a Milano

Le prossime elezioni amministrative dove il sindaco uscente Beppe Sala si è iscritto ai Verdi e viene sostenuto dalla lista Europa Verde impone una riflessione sul significato di una politica ecologica. Oggi in piena pandemia va di moda essere ecologici ma cosa voglia dire questa affermazione riferendosi all’urbanistica di una città molti non sanno, immaginano abbia a che fare con più parchi, più alberi e l’aria meno inquinata. Questo si chiama riduzionismo ecologico o, usando un neologismo inglese, grenwashing o verde di facciata. Applicare il paradigma ecologico a una città non è cosa così semplice, non basta piantare alberi anche se questa è sicuramente cosa buona. Ricordo che il paradigma ecologico è la non separatezza dei fenomeni che si traduce in un pensiero sistemico. La città dunque viene vista come un organismo e non un meccanismo come nella recente tradizione modernista. In ogni organismo la parte è collegata al tutto e interagisce con le altre parti. La città dunque diventa il luogo fisico delle interrelazioni come in un ecosistema. Cosa vuol dire questo? Che se operiamo in un settore coinvolgiamo tutto il sistema,  il suo equilibrio, e se massimizziamo un aspetto gli altri perdono la loro ottimizzazione generando effetti  negativi che prima venivano compensati nell’equilibrio omeostatico generale. Questo vale anche per la città se la consideriamo da un punto di vista ecologico, dunque non si può agire per settori o per funzioni separate e soprattutto non si può operare con azioni che non prevedano retroazioni, cioè le conseguenze sul sistema.  Ora tornando a parlare di Milano con tutta la buona volontà non la si può considerare una città ecologica. Come si diceva tempo fa in uno dei nostri convegni,   qui operano due urbanistiche: una legata ai poteri finanziari che hanno costruito la città rendendola invivibile e tendono a realizzare i loro profitti a scapito del bene comune, sono il frutto di una politica neoliberista che esalta il mercato e vogliono disegnare un futuro appariscente aumentando ancor più i problemi di sostenibilità, l‘altra che vi si contrappone  vorrebbe disegnare una città più umana. Questa seconda è alternativa sia nelle idee sia nelle forze che la reggono. Le sue radici stanno nei comitati, nelle comunità, nelle cooperative, nei consorzi, nei sindacati e nelle associazioni democratiche della società civile che desiderano una migliore qualità della vita.  La prima segue il metodo tradizionale dello zoning e tende a separare inseguendo il dualismo classico centro periferia e pianifica per quartieri monofunzionali provocando emarginazione e conflitti. Fino ad ora, in particolar modo dall’amministrazione Albertini ma anche Moratti e finanche Pisapia, per non parlare dell’ultima giunta, i grandi gruppi finanziari hanno avuto mano libera e hanno dettato le regole del gioco incamerando i profitti e facendo pagare ai cittadini i disagi.  Una città ecologica inverte la tendenza, non si sottomette al capitale ma indirizza le scelte verso il benessere abitativo dei cittadini che non vengono più considerati consumatori passivi ma partecipanti attivi alle scelte urbanistiche. Ora la pandemia ha messo in luce alcune criticità, ha mostrato il grave problema degli emarginati e dei senza tetto ed è a questi che deve essere data risposta da parte dell’ente pubblico se si vuole rigenerare la città ricordando che non esiste benessere ambientale senza giustizia sociale e che le periferie degradate determinano uno squilibrio che arriva fino al centro enfatizzato. Ora Milano ha diverse opportunità per invertire la tendenza e contribuire alla costruzione della città ecologica che vuol diventare e le elenco qui di seguito. 

La riprogettazione delle aree dismesse e in particolare degli scali ferroviari con la finalità di un utilizzo rigenerante e integrato. L’incremento delle aree a verde rinunciando alla tentazione magniloquente  di un secondo stadio per il calcio con annesse speculazioni immobiliari. L’incentivazione dell’edilizia sociale. Il disincentivo dell’uso dell’auto privata a combustibile fossile. L’incentivo delle energie pulite e rinnovabili per i riscaldamenti domestici. La valorizzazione delle periferie. L’incentivazione della solidarietà e della partecipazione.

Questi sono i compiti per la nuova giunta se vuole realmente andare verso una transizione ecologica che non sia solo di facciata e fare di Milano una città bella che rispetta la vita vera.

 

mercoledì 12 maggio 2021

 


        UNA NUOVA ERA PER LE CASCINE LOMBARDE CENTRI DI CULTURA OLISTICA 
          ricerca effettuata con contributo di FC

                                  

                        
Perché l’Istituto Uomo e Ambiente vuole occuparsi della destinazione delle ultime cascine lombarde e in particolare di quelle intorno al capoluogo?

L’articolo 2 del nostro statuto recita

Art.2 (scopo e oggetto)

L’associazione non ha fini di lucro, essa ha lo scopo di formare una nuova cultura ambientale attraverso l’educazione e la ricerca ai fini di creare nuove identità  di operatori sensibili all’ecologia , all’architettura , al paesaggio e ai beni culturali attraverso un nuovo umanesimo  che travalichi il contrasto uomo-natura per ricreare una nuova  armonia e una nuova estetica. I principi che reggono l’attività dell’Istituto sono quelli della libertà di ricerca e di informazione e di un impegno democratico e pacifista nel tentativo di perseguire un ambiente più a misura della vita e dell’uomo partendo da una visione costruttiva ed umanitaria che mostri come alla base del benessere ci debba essere la finalità di non nuocere all’uomo e all’ambiente  come unità inscindibile. per ricreare una nuova  armonia e una nuova estetica

.

L’IUA nasce da una esperienza di protesta alla cementificazione del territorio ed alla distruzione sistematica del paesaggio consolidato in Lombardia ed in particolare nell’alta Brianza. Infatti alcuni studiosi nei primi anni ottanta, si misero al servizio di un comitato di abitanti che protestava per la trascuratezza di alcune amministrazioni comunali a proteggere le ultime aree naturali della zona. Da lì nacque il Parco regionale della valle del Curone con le sue cascine antiche ed ormai disabitate, per la maggior parte di proprietà di enti benefici. La ricchezza del territorio dal punto di vista culturale e naturalistico fu evidenziata da uno studio interdisciplinare commissionato dalla Regione Lombardia e poi pubblicato con la casa editrice Electa dal titolo: “Montevecchia e il suo circondario”. In questa ricerca si potè notare come un territorio apparentemente insignificante, amorfo e residuale può contenere gioielli di storia, di archeologia, di fauna, di botanica e di agricoltura. In seguito alla costituzione del parco con sede a Montevecchia le cascine sono state ristrutturate e sono divenute centri di agriturismo, sedi di cultura e produzione biologica. In particolare le due maggiori cascine, Galbusera Bianca e Galbusera Nera, sorte su antichissimi baluardi gallici da cui ricavano il nome ( Gallicus Albus Ager, le bianche fortificazioni dei Galli) sono state ristrutturate ricorrendo alla bioarchitettura di cui il nostro Istituto è stato uno dei pionieri. Questa relazione tra architettura, agricoltura e cultura olistica o ecologica è il fondamento di questo studio che si basa sul nuovo paradigma della cultura ambientalista e del pensiero ecosistemico: nulla è separato, tutto è in relazione. 


 La corte lombarda era la storia delle famiglie contadine e delle loro anime. Era il loro mondo. In tutte le stagioni il ritmo della giornata era scandito dal sole: all’alba presto nei campi e al tramonto il rientro a casa dopo il lavoro. Le cascine della Pianura Padana avevano una loro particolare tipologia abitativa caratterizzata dal grande cortile attorno al quale ruotava e si sviluppava la vita colonica di uno o più nuclei. Il termine cascina (XII sec.) origina dal latino volgare capsia (recinto per bestiame) in seguito divenuto capsina, poi cassina e infine cascina. Perlopiù le cascine avevano un accesso principale costituito da un grande portone ligneo e una corte che agevolava le relazioni tra le famiglie che accrescendosi potevano dare vita a micro comunità solidali tra loro. Questa tendenza nacque da alcune esigenze pratiche che consentivano di usufruire di servizi comuni come stalle, fienili, mulini, pozzi e forni per il pane e come difesa dai malintenzionati. Per tali motivi le corti avevano una tipica pianta a "L", a "U" oppure si presentavano completamente cinte. L’aia centrale serviva a battere e trebbiare il grano. La stalla svolgeva il duplice ruolo di ricovero per animali da tiro ma anche sociale come luogo di ritrovo per le famiglie che nelle sere d’inverno, al tepore del bestiame, si riunivano per ascoltare i racconti degli anziani. Un altro locale presente nelle corti lombarde era la casera dove venivano prodotti i formaggi. Le origini delle cascine lombarde risalgono al feudalesimo. La società medievale poggiava su forti basi rurali e l'agricoltura costituiva una delle principali componenti di sostegno. Le prime notizie documentate sono del X sec. e descrivono costruzioni realizzate con argilla e paglia la cui finalità era quella di deposito agricolo e fienile. Più in avanti furono costruite in malta, pietre, mattoni e con il tetto di tegole o coppi. Sottotetto, finestre, persiane porte e il gran portone d'ingresso erano in legno. Tipica era la presenza di un rustico costituito da una serie di colonne che sostenevano un tetto in tegole e uno spazio aperto ai lati. Le corti lombarde si concentravano prevalentemente nelle province di MilanoMonzaLodiCremonaMantova, nelle zone di pianura delle province di Bergamo, Brescia Varese, nella parte brianzola delle province di Como e Lecco e nella pianura della provincia pavese. Un significativo cambiamento delle corti è stata la modernizzazione dei processi agricoli che ne cambiarono la fisionomia. Nei decenni successivi molte corti lombarde vennero demolite mentre altre furono ristrutturate e convertite principalmente a uso pubblico con finalità sociali, istituzionali e culturali. In particolare a Milano sono sopravvissute circa un centinaio di cascine. Alcune hanno trovato utilizzo come biblioteche, aree di svago, centri di accoglienza (per anziani, disabili o tossicodipendenti). Altre sono rimaste aziende agricole in attività che ancor oggi lavorano secondo le antiche tradizioni lombarde. Tra queste, la cascina Campi a Quinto Romano, la cascina Molino del Paradiso (o della Braschetta) di Muggiano (cavalli e foraggio), la cascina Gaggioli, il Mulino della Pace Barona, la cascina Battivacco alla Barona (riso), la cascina Basmetto alla Barona (riso), la cascina Campazzo (latte) e la cascina Nosedo (latte e derivati). Sempre a sud della Barona, sono presenti le secentesche cascine San Marco e San Marchetto. Tra le più antiche cascine di Milano vi è la cascina Chiesa Rossa, un antichissimo Porticus rurale di epoca romana, nel tempo divenuto aula di culto cristiano. La caduta dell’impero romano e la successiva fase tardo-longobarda sono state le basi per la chiesa romanica soprastante le cui strutture sono ancora oggi visibili. Fonti del 1455 raccontano del corteo nuziale di Tristano Sforza e di Beatrice d’Este che, proveniente da Pavia e diretto a Milano, sostò a S. Maria RuffaRuffa o Russa, infine Rossa (la chiesina fatta di mattoni rossi). Oggi, gli edifici restaurati ospitano la biblioteca civica Chiesa Rossa del centro ricreativo-culturale creato nell’ex stalla di una tipica cascina lombarda seicentesca. Altre interessanti cascine sono: la cascina Malandra (o Torre del Ronco) che sorge nei pressi di Monzoro (area del Ticino) e la cascina Moirano (antico insediamento agricolo). Del XIII sec. sono la cascina Corte Regina, la cascina Linterno e la cascina Monluè. Risalenti al XIV secolo sono la cascina Garegnano (Lorenteggio) e la cascina Triulza (Trivulza nell’Ovest milanese). Del XV secolo sono la cascina Boscaiola (tenuta di caccia delle Signorie Visconti e Sforza), le cascine Guascona e Guasconcina, la cascina Monastero e la cascina Pozzobonelli. Risalenti al XVI secolo sono le cascine Casanova (periferia orientale Forlanini), Monterobbio (Barona - Parco Agricolo Sud), Torrette di Trenno, San Gregorio Vecchio e Selvanesco. Del XVII secolo sono due cascine dotate di impianti molinatori: Mulino Vettabbia (un mulino ad acqua) e Molino Dorino (con macine e ingranaggi ancora integri). In una mappa ottocentesca, il mulino della cascina prese la denominazione di Molino Lauzi dai precedenti proprietari. Qualche tempo dopo venne acquistato dalla famiglia Dorino. Nel 1986 venne aperta la fermata della linea metropolitana 1 rossa che dal Mulino prese il nome. Anche il fascino della Cassina de’ Pomm dura da secoli. Il suo nome risale al XV sec. quando Francesco Sforza volle lungo il Naviglio piccolo dei frutteti di mele, i pomm. Nel Cinquecento la famiglia Marino - De Leyva (che costruì Palazzo Marino di Milano), ampliò il plesso per costruire una villa padronale. Nel XVIII sec. la struttura fu trasformata in albergo-stazione di cambio per barche e cavalli. La Cassina de’ Pomm ospitò personalità illustri in visita a Milano tra cui Garibaldi e Napoleone. Anche Stendhal, Giacomo Casanova e Carlo Porta la citarono in alcune delle loro opere. Nella prima metà del XX sono legate alla Cascina memorie e curiosità del territorio. 

NUOVA VITA PER LE CASCINE LOMBARDE.

La Regione Lombardia con la legge n. 18 del novembre 2019 finalmente dopo il lavoro continuo dell'associazione 100 cascine, ha consentito il recupero delle strutture rurali dismesse o abbandonate. In sintesi la nuova norma permette il recupero degli edifici rurali dismessi o abbandonati, individuati dal PGT o con perizia che asseveri lo stato di abbandono di almeno 3 anni. I complessi rurali, centri di organizzazione della vita agricola, rappresentano i nodi principali del paesaggio agrario e costituiscono  gli elementi fondamentali di riconoscibilità del territorio. L'associazione 100 Cascine ha l'obiettivo di individuare e promuovere in collaborazione con i centri di ricerca e le istituzioni del territorio politiche e normative per insediare nuove funzioni all'interno delle cascine. Ad esempio centri di ricerca ed ospitalità, di formazione e di lavoro che possano rappresentare, in una logica multifunzionale, una fonte di reddito alternativo per la conservazione dei fabbricati storici e per la tutela del territorio dal consumo del suolo. 

                       La cascina del Guado

               


L'analisi della situazione attuale delle cascine lombarde ben descritta anche nel video presentato sopra, ci porta a considerare che queste strutture, che erano legate ad una economia essenzialmente agricola, dopo la rivoluzione industriale e terziaria spesso sono state lasciate nel degrado, ma a partire dagli anni 60, 70 e 80 del secolo scorso si andò sviluppando una cultura alternativa, ecologica e di protesta, soprattutto da parte di intellettuali e artisti, che contrapponendosi ad un urbanesimo consumistico generato da un capitalismo senza etica, si andò ad insediare in alcune cascine abbandonate dando il via ad un utilizzo alternativo delle vecchie strutture e creando importanti luoghi di produzione culturale anzichè agricola. Un esempio per tutte è la cascina del Guado a Robecchetto con Induno sul Naviglio Grande. 

La Cascina è sita nella depressione morenica della valle del Ticino, in comune di Robecchetto con Induno frazione Malvaglio nei pressi del luogo dove sorgeva il Molino del Guado, risalente ai mulini del Naviglio poi gestiti dall’Ordine degli Umiliati. Fino agli anni ‘50 vi era Osteria con alloggio. Sia il Molino che l’Osteria finirono demoliti entro quel periodo. Del Molino restano le grandi pietre in granito per l’appoggio delle “ruote”. La strada (breccia) che congiunge in 840 metri la provinciale con la località della Cascina del Guado è comunale, e portava fino al 1602 al ponte in legno che traversava il Naviglio. I Bossi che infeudavano Induno con Guado, non accettarono il ponte in pietra proposto dallo Stato di Milano e demolirono il ponte in legno. Successivamente si insediò un traghetto a fiume.

La Cascina, per alcune costituzioni di materiali impiegati, rivela l’antico insediamento del XVI secolo per una parte, mentre l’attuale assetto di pianta risale, presumibilmente alla fine del XVII secolo. La costruzione contadina, con la muratura ancora parzialmente in sassi del Ticino, ospitava da tre a sei fuochi (navirolli, campari e molinari) fino al più recente secolo XIX, in cui fu adibita a dimora di “Bergamini” in transumanza con i bovini a svernare.

 La Cascina è stata rilevata nell’anno 1969 dal pittore Daniele Oppi al rientro da New York. Sbrecciata al tetto in più punti, con finestre murate o devastate, appariva un rudere senza i serramenti o altre finiture. Il nuovo proprietario assecondava scrupolosamente l’impianto allo status quo (ancora oggi evidente) intervenendo con infissi e con la necessaria impiantistica, prendendo domicilio fisso in cascina e residenza nel comune di Robecchetto con Induno.

Nel 1971 una concessione edilizia consentiva l’occupazione dell’area di una rudimentale tettoia per costruire una loggia a colonne seicentesche in serizzo battuto a mano, provenienti da un cantiere di via Santa Sofia di Milano, sul fronte del Naviglio. Venivano mantenuti i piccoli capanni “rurali”.

L’atelier di Oppi diventa allora punto di ritrovo e libero riferimento per artisti, critici e operatori culturali, come Erik Gustafsson, Hector Roberto Carrasco (Mono), De Lima Medeiros, Augustin Espanol Viñas, Franca Lally, Max Capa, Franco Russo, Renzo Sommaruga, Giancarlo Gragnani, Henry Baviera, Oreste Amato, Dino Baranzelli, Piero Fabbri, Pino Colla, Cesare De Ferrari, Lacquaniti, Mario De Micheli, Mike Megale, Mike Selig, Bill Firschein, Luciano Capitini, Ernesto Tavernari, Adelina Aletti, Stefano Pizzi, Paolo Baratella, Leonardo Capano, Emilio Tadini, Mario Spinella, ecc. (anni 1969-1976). In quegli stessi anni veniva formandosi una biblioteca ed una emeroteca sempre più rilevante, fino agli attuali 14.000 pezzi circa. Contemporaneamente, con il contributo di molti giovani del territorio limitrofo, partiva l’attività “SPAZIO-PROVA per vivere, Arte fuori Arte, Lavoro fuori Lavoro”, un cantiere propositivo che creava opere in serigrafia manuale, l’edizione de “Il Guadolibro” (una raccolta testimoniale documentaria e artistica) e una collana di volumetti di riflessioni etico-sociali. Da un gruppo di questi stessi giovani nasceva la Cooperativa culturale Il Guado, 1973, poi trasformata in una Coop di lavoro, e una piccola Cooperativa Malvaglio “Bar Italia”, che aveva rilevato la licenza da un vecchio omonimo bar in frazione Malvaglio, dove si formò “La Bottega del Libro” e la LAL (Libera Associazione del Libro).

 Prendeva forma sulla base di una idea e un progetto strutturato da D. Oppi con i giovani locali e non  la funzione principale della Cooperativa il Guado, e cioè assistere, formare, predisporre, ed eseguire la comunicazione dell’Ente Locale per mezzo della stampa periodica.

Un progetto oramai oggi fortemente (e stabilmente) operativo.

Interessanti sono quegli aspetti di formazione e acculturazione che in forma spontanea e naturale hanno come matrice endogena la Cascina del Guado e la sua attività legata alla comunicazione, che negli anni successivi (dal 1978 al 1988) riprende i temi cari alla ricerca del design, della grafica, del marketing e della pubblicità innovativa a sedimento-base culturale. Una folta schiera di giovani cresce in questa sorta di terreno di coltura, avanzando in professionalità ed esperienza su due direttrici (o filoni) di intervento .

La vocazione editoriale ha sempre caratterizzato ogni iniziativa, mentre gli aspetti documentali hanno fatto sì che si accumulasse un interessante quanto fitto archivio dei materiali prodotti, consistenti in fotografie, filmati, ampia produzione di ciclostilati, opere grafiche in serigrafia e xilografia, opuscoli tipografici con composizione a mano, raccolte di disegni, ecc.. In varie occasioni questi materiali sono stati esposti in bacheche presso la sede della Cascina del Guado con visite periodiche organizzate dai distretti scolastici, per classi della scuola dell’obbligo dalle elementari alle medie. In altri casi le mostre sono state allestite presso le scuole o in sedi istituzionali.

 Al Guado si possono individuare cinque periodi principali:

 Primo periodo: Cantiere laboratorio con intensa attività insieme ad artisti delle varie discipline, ma soprattutto con i giovani del territorio alla ricerca di risposte alle loro pressanti domande epocali. Il gruppo di vita e lavoro formatosi per spontanea aggregazione è ampiamente documentato nei materiali d’archivio, tra cui molte pubblicazioni originali poi adottate dalla Lega per le Autonomie e Poteri Locali e le proposte per i circoli Arci e i circoli Legacoop. Il periodo è caratterizzato dal contatto il più possibile decentrato con le popolazioni del territorio limitrofo, praticamente dall’abbiatense, al magentino, fino al castanese.

 Secondo periodo: si tratta della continuazione pratica e applicativa dei principi del primo periodo. Si può parlare di trasformazione nel senso della razionalizzazione delle attività attraverso la fondazione della Cooperativa il Guado, avvenuta nell’aprile del 1973.

 Terzo periodo: la cascina del Guado vede svilupparsi la tendenza artistico-culturale, in parte riprendendo le motivazioni sia del primo che del secondo periodo, lavorando sulla preparazione di un’oggettistica di artigianato d’arte, sotto la denominazione di “Guado, Casa della Creatività”. Laboratorio di ceramica, torchio di incisione e basi serigrafiche, preparando oggetti originali, seriali, a piccola produzione firmata.

Nel 1991 il terzo periodo si arricchisce di nuovo impulso in direzione specificatamente artistico-culturale con la fondazione della Società Cooperativa Raccolto a.r.l. che ha sede presso la Cascina del Guado e che caratterizza tutte le iniziative degli ultimi anni.

In questa fase si incrementa ulteriormente il patrimonio documentale e librario e si intraprendono programmi di eventi e grandi eventi concentrati in collaborazione condiversi Enti Locali e Istituzioni o Fondazioni private di cui sono disponibili tutte le relative documentazioni.

Lo Statuto della Cooperativa prevede anche attività editoriali (RaccoltoEdizioni).

Nel 1995, al Guado, rinasce “il Foglio dell’Umanitaria” bollettino dello storico Ente fondato da P. Moisè Loria nel 1893 che ha come motto “aiutare i diseredati a risollevarsi da sé medesimi”. Daniele e Francesco Oppi, con gli artisti del Raccolto, saranno animatori di numerose iniziative culturali nei chiostri dell’Umanitaria fin dal 1994.

 Merita menzione il periodo 1998/2001 caratterizzato da alcune realizzazioni editoriali per il Politecnico di Milano, AA.VV. e materiali di comunicazione per la Valle Bormida, oltre alla cura editoriale del periodico della Fondazione Società Umanitaria.

 Quarto periodo: La nascita del Padiglione d’Arte Giovane di Inveruno caratterizza questa fase tuttora in evoluzione. Su impulso di Francesco Oppi, nel periodo 2001-2004, si potenziano le attività editoriali (Raccolto Edizioni) con il volume “Il Modello Umanitaria” (110° anniversario della Società umanitaria) e “La città ideale” (125° anniversario della SEAO) e poi altre rilevanti pubblicazioni storico documentarie.

 Gli anni 2002-2004 vedono lo sviluppo della incisività della cooperativa RACCOLTO dovuto principalmente a Francesco Oppi.

I giovani cominciano a ritornare protagonisti (come negli anni ‘70) alla Cascina del Guado.

Intanto, nel 2002, il Comune di Milano conferisce la Medaglia d’Oro di benemerenza, Ambrogino d’oro, a Daniele Oppi (Presidente della Cooperativa Raccolto).

Il 2006 è segnato dalla scomparsa di Daniele Oppi. L’eredità di intenti e di impegni portati a buon fine è enorme. La Cooperativa Raccolto elegge Francesco Oppi alla presidenza.

 Quinto periodo:

Si sviluppa e consolida il settore editoriale (tra il 2006 e il 2012 vengono curate e/o coordinate oltre 90 edizioni per privati ed Enti) e si rafforza l’impegno delle nuove generazioni di “guadisti”.

Il Guado è anche catalogato ufficialmente come struttura architettonica storica del territorio Lombardo, facente parte del patrimonio culturale e paesaggistico rappresentato dai nuclei rurali e dal sistema delle cascine presenti sul territorio della valle del Ticino. Esso è, difatti, indicato tra i beni di rilevanza culturale della Regione Lombardia.

                                    La cascina Castello



La cascina Castello a Spessa in provincia di Pavia, sulla sponda sinistra del Po, è un altro esempio  del riutilizzo delle cascine lombarde come centri della nuova attività culturale. E' un ampio edificio agricolo edificato nel XV secolo e ristrutturato secondo criteri di alta efficienza energetica, utilizzo di energie rinnovabili, con una particolare attenzione alla sua natura architettonico-storica e soluzioni che connotano questo progetto come modello di turismo sostenibile e accessibile a tutti grazie a un ostello che fa parte del centro culturale Artemista. Questa associazione porta avanti un progetto ambizioso rivolto al teatro e alla musica oltre a progetti sociali e di educazione ambientale. Artemista ha fatto rivivere la cascina con sale prove per danza, teatro, uno studio di registrazione e diverse sale di ripresa anche per grandi ensemble.

Il centro culturale Artemista nasce dall’esperienza e dalle progettualità che l’associazione ha condotto sul territorio e si configura come base per altre realtà artistiche e culturali.
L’associazione Artemista nasce nel 2004 dall’incontro di artisti di varie discipline attivi dai primi anni '90 con l’obiettivo di sviluppare progetti di produzione e formazione unendo linguaggi diversi: teatro, musica e arti visive.
Il centro culturale si è sviluppato dal 2009.
L'associazione ha creato il centro ridando vita alla Cascina Castello, edificio in parte del 1400 e in parte precedente all’anno 1000 nel comune di Spessa, paese di 606 abitanti nella campagna pavese sul fiume Po. Nella ristrutturazione sono state utilizzate tecniche di bioedilizia e si è puntato all’alta efficienza energetica che usa fonti rinnovabili. Hanno preso parte ai lavori maestranze, ma anche soci e volontari da tutto il mondo.
Artemista gestisce le attività del centro culturale (sale polifunzionali, studio di registrazione e ostello) e ha sviluppato negli anni la vocazione di residenza artistica multidisciplinare internazionale, organizza rassegne nel centro e nel territorio, realizza progetti culturali interdisciplinari sperimentando anche l'applicazione delle nuove tecnologie digitali sia nell'ambito della produzione che in quello della formazione rivolgendosi in particolare a giovani .


                                    La cascina Cuccagna



“Altro” ma ugualmente simbolo di un cambiamento e di un pensiero olistico volto al futuro è la settecentesca Cascina Cuccagna presente nella mappa del Catasto Teresiano del 1722 col nome di “Cassina Torchio”, un microcosmo agricolo e polifunzionale celato tra i palazzi di Corso Lodi a Milano. Abbandonata per molti anni si è trasformata in un luogo d’incontri e aggregazione grazie all’iniziativa di una rete di cittadini e all’associazione Consorzio Cantiere Cuccagna. Molto suggestiva ancora oggi al suo interno vibra l’antico spirito del luogo in cui un tempo i Padri Fatebenefratelli curavano gli orti e coltivavano le erbe officinali per l’Ospedale Maggiore. Riaperta nel 2012, a seguito di un restauro conservativo, ha sviluppato nel tempo progetti e attività legati agli stili di vita sostenibile, all’alimentazione sana, all’agricoltura urbana, all’economia circolare, alla scoperta del saper fare e all’integrazione sociale e culturale. Ogni martedì dalle 15,30 alle 20,00 un mercato agricolo, con prodotti a chilometro zero, riaccende l’immagine di un angolo di campagna . Un’iniziativa che si inserisce nel contesto partecipativo di Cascina Cuccagna e che contribuisce a rendere questo posto un avamposto agricolo all’interno della città.  


 

  


 


 

 

venerdì 26 febbraio 2021

Territorio e pensiero ecologico.


 Territorio e pensiero ecologico è il primo seminario che l'Istituto Uomo e Ambiente ha organizzato in collaborazione con la Casa dell'Agricoltura

mercoledì 28 ottobre 2020

Le ville di Delizia

 




                                           Le ville di delizia

 

            “L’autunno è una seconda primavera,

            quando ogni foglia è un fiore.”

                                                     (Albert Camus)

 

La pandemia ci ha portati verso nuovi stili di vita, fra questi anche quello della vacanza che, nelle diverse stagioni dell’anno, ha preso un nuovo passo. Si rivalutano luoghi a portata di regione o addirittura di provincia e in questo la Lombardia apre il suo copioso patrimonio ricordando le vacanze nelle ville di delizia dove la nobiltà e la borghesia milanese vi accedeva trasportata dall’andare lento delle carrozze. L’Italia ha una lunga tradizione di senso della vicinanza e della collettività ristretta. La pandemia ha accelerato un processo già in corso, il desiderio diffuso di decentrarsi verso zone rurali, collinari o periferiche ed anche ora che è autunno si programmano evasioni lampo in luoghi a portata di memoria che non sapevamo neppure di avere. Non si parte più in carrozza, ma in bici, in tandem, in macchine elettriche o in treno per scoprire quanto possa essere affascinante il foliage che adorna ville storiche come  Villa Arconati a Bollate definita la “Versailles” d’Italia grazie al gusto tipicamente barocco con giardini all’italiana elegantemente curati e con giochi d’acqua.

Le Ville di Delizia, nome coniato dall’incisore settecentesco Marc’Antonio dal Re, trovarono una sviluppo organico specie in Brianza il cui territorio nel settecento ne ha vissuto la grande stagione. Una magnificenza di architetture di giardini commissionati dalle grandi famiglie nobiliari dell’epoca fra cui i Borromeo, i Durini, i Trivulzio, gli Arese, i Taverna, i Morando. Sono residenze monumentali con vasti parchi e ricche di opere d’arte. Derivano queste loro caratteristiche peculiari dal fatto di essere state concepite come residenze di campagna in cui i nobili si ritiravano nei periodi di villeggiatura, dedicandosi allo svago e diletto nel pieno godimento della natura, della conversazione cortese, dell’arte, della musica, della poesia all’insegna della raffinatezza e del buon gusto. Spesso costituivano la residenza di rappresentanza del casato a cui appartenevano e di cui erano destinate a narrare gesta e fasti. Nel Rinascimento, in un periodo di generale benessere, nacque il fenomeno della villeggiatura inteso come periodo da dedicare al riposo preferibilmente in località esterne alla città, lungo i fiumi e in zone collinari che offrisse un ambiente salubre e una presenza umana estremamente ridotta. La scelta ricadeva in modo particolare sulle zone bagnate dal Naviglio Grande e dalla Martesana, in una zona che da Milano si espandeva verso il Varesotto guardando verso il lago maggiore e verso il lago di Como. Tuttavia oggi altri esempi ci giungono più a nord con villa Monastero a Varenna, sul lato lecchese del lago di Como o villa Bertarelli a Galbiate, poco distante da Lecco. Omate di Agrate Brianza ospita un gioiello senza tempo dell’architettura lombarda, Villa Trivulzio. Costruita nel sedicesimo secolo per i principi Trivulzio fu per lungo tempo una dimora prestigiosa e frequentata dalla crème della società europea e le sue delizie architettoniche furono anche narrate da Montesqieu nel 1728.  

 

 

 Le Ville di delizia, così chiamate da anni, sono una delle cose più affascinanti di Monza e di tutta la Brianza.

Quanto è bello passeggiare, a piedi o in bicicletta, osservando le meravigliose ville di delizia che popolano il Parco e la città?

Ma cosa sono le ville di delizia?

Il loro mito nacque grazie ad un trattato di Bartolomeo Taegio del 1559 che rese le ville di delizia uno status symbol della nobilta’ milanese e brianzola.

Sono delle residenze suburbane, lontane dalla città, nelle quali i nobili abitavano nei periodi di villeggiatura, soprattutto nel tratto fra i Navigli e verso la Brianza.

I nobili milanesi si allontanarono dalla metropoli a causa delle varie epidemie causate dalle carenze igieniche, dell’edilizia degradata e dall’inurbamento dalle campagne. E dove fuggire se non verso Monza ed i territori brianzoli?

La Brianza divenne così un paesaggio da paradiso campestre, grazie anche al clima più mite rispetto a Milano: ai tempi si vedevano continuamente carrozze di cavalli che andavano e venivano, artisti e celebrità ospiti da tutte le parti d’Europa.

Ci si ispirava alla vita campestre, all’amore per il bucolico tipico dei grandi poeti classici come Ovidio e Virgilio, ma anche dei grandi classici italiani come Petrarca, o rinascimentali, come Pico della Mirandola.

Nel trattato di Bartolomeo Taegio c’era un lungo esempio di ville di delizia che ancora oggi possiamo visitare ed ammirare: il conte Taverna, cancelliere del Re di Spagna, aveva la sua villa di delizia in Canonica; il cardinale Carlo Borromeo scelse invece Arona come residenza di campagna; Antonello Arcimboldi ne costrui’ una sulla via che collegava Milano a Monza; Donna Violante Sforza la volle sul lago di Como a Bellaggio.

Anche gli ecclesiastici si interessarono al mito delle ville di delizia, infatti il Cardinale Federigo Borromeo scrisse un trattatello dove invitava gli uomini di Chiesa ad un uso moderato delle residenze, per non lasciarsi troppo andare alla ricerca del piacere. Il cardinale sosteneva che a quel tempo il popolo viveva un momento difficile a causa della miseria e delle malattie, quindi non si doveva dare il cattivo esempio, anche se comunque la vita a contatto con la natura era ben voluta da Dio.

Le ville di delizia, oltre ad essere residenze di villeggiatura, furono anche teatri di grandi festeballi, battute di caccia, sedi di grandi raccolte d’arte e salotti letterari, tipici svaghi dell’aristocrazia milanese.

Monza la prima grande villa di delizia fu quella di Mirabello, voluta dai Signori di Monza, i conti Durini, o meglio, da Giuseppe Durini.

Egli scelse un’area a nord est del centro abitato, lungo il Lambro, zona favorevole per il clima, per la caccia, l’equitazione e le passeggiate nei campi.

I lavori furono diretti dal famoso architetto Gerolamo Quadrio che aveva già lavorato per il Duomo di Milano e quello di Como: egli scelse di costruire una villa a pianta a U con un corpo centrale dotato di portici e ali simmetriche laterali, tipiche delle residenze lombarde.

La villa venne chiamata Mirabello, ovvero belvedere, perchè si affacciava su un terrezzamento sopra il Lambro da cui si godeva di una bellissima vista.

Ora nella Villa Mirabello vengono spesso organizzati mostre ed eventi, che danno la possibilità di ammirare la sua grande bellezza.

Non dimenticate che c’è sempre la possibilità in Brianza di visitare le varie ville di delizia, per potersi così immergere in un piccolo mondo antico, fatto di dame e nobili, di balli sfarzosi, di magnifiche carrozze, di intrighi, di amori lontani e di cultura…tutto arricchito da una magnifica vita campestre…non sarebbe un po’ il sogno di tutti noi?





 

Villa Camperio a Villasanta, Villa Trivulzio ad Agrate Brianza, Villa Sottocasa a Vimercate, Villa Cusani Tittoni Traversi a Desio, Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno... Sono solo alcune delle splendide Ville di Delizia che potrai scoprire girando in bici per la Brianza monzese. Pronto a partire?

Le ville brianzole sono definite di “delizia” perché le antiche famiglie aristocratiche, proprietarie di queste terre, vi trascorrevano il loro tempo per oziare e godersi una bucolica serenità lontano dalla città. Se vuoi scoprire le più belle Ville di Delizia della Brianza monzese, puoi scegliere di farlo in bici, seguendo il percorso che parte da Villasanta, alle porte di Monza, e arriva a Cesano Maderno, nel Parco delle Groane. Il tracciato, adatto a tutti, si sviluppa per 41.8 km su asfalto e sterrato, con un dislivello positivo di 273m e negativo di 247m (pendenza max: 6.1%, -7.6%; pendio medio: 0.9%, -0.8%). La durata? Circa 4 ore.

ITINERARIO

Da Villa Camperio a Villasanta, punto di partenza del percorso, procedi su strada fino al centro di Concorezzo. Dal retro del Municipio segui via Volta, direzione Agrate. Passato il centro vai verso Omate proseguendo per il centro di Burago. Da via Villa ti immetti su una strada serrata e passati i campi e un parco arrivi nel centro di Vimercate. Continua in direzione di Oreno, lascia la piazza e arrivi alla villa. Costeggia il parco in direzione di Arcore. Dall’abitato raggiungia la SP 7 e prendi per Peregallo. Immettiti nel percorso del Parco Lambro sino al centro di Albiate e prosegui fino a Seregno. Attraversa la periferia di Desio e raggiungi il centro di Cesano Maderno. L’itinerario si concluderà nel Parco delle Groane dove potrai immergerti nei boschi e nelle brughiere che caratterizzavano in antichità l’intero territorio brianzolo.

PUNTI DI INTERESSE

Villa Camperio di Villasanta
Oggi sede della biblioteca civica fu costruita a fine ‘600 e dotata di un grande parco.
Info utili: Biblioteca Civica di Villasanta 
Telefono: 039.23754258
Geolocalizzazione su mappa: 45.6044, 9.30009

Villa Trivulzio ad Agrate Brianza
L’edificio, proprietà dei principi Trivulzio già dal ‘500, nel ‘700 venne trasformata in villa di delizia. A fine ‘800 il complesso fu rimaneggiato dall’architetto Majnoni e nel 2000 restauri ed interventi furono finalizzati al ripristino del monumentale giardino all’italiana e del parco.
Info utili: http://www.villatrivulzio.it/ 
Geolocalizzazione su mappa: 45.57921, 9.37762

Villa Mylius Oggioni a Burago di Molgora
La villa, edificata nel ‘700 in stile neoclassico, fu acquistata nel secolo successivo da Enrico Myilius (1769-1854), ricco uomo d’affari, mecenate e filantropo, di origini germaniche.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-01342/ 
Geolocalizzazione su mappa: 45.59473, 9.37961

Villa Sottocasa a Vimercate
L’edificio tardo settecentesco è una rivisitazione neoclassica della villa di delizia rinascimentale. Il prospetto principale, sobrio e severo, si distingue dalla facciata posteriore più decorativa.
Info utili: Telefono: 0396659488
E-mail: turismo@comune.vimercate.mb.it 
Geolocalizzazione su mappa: 45.61231, 9.3705

Villa Gallarati Scotti Vimercate (frazione Oreno)
Il monumentale complesso barocco venne profondamente trasformato con forme neoclassiche tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 dall’architetto Cantoni. La villa di delizia è caratterizzata da un parco monumentale.
Info utili: http://www.museomust.it/drupal/itinerari/luoghi/villa-gallarati-scotti 
Geolocalizzazione su mappa: 45.61738, 9.35432

Casino di Caccia Borromeo a Vimercate
L’edificio, appartenuto ai Borromeo dal XVII sec., è caratterizzato da muri realizzati con ciottoli posti a spina di pesce divisi da filari di mattoni. All’interno vi sono affreschi datati al 1460 in stile gotico internazionale.
Info utili: http://www.museomust.it/drupal/itinerari/luoghi/casino-di-caccia-borromeo 
Telefono: 0396659488 
E-mail:turismo@comune.vimercate.mb.it 
Geolocalizzazione su mappa: 45.6179, 9.35334

Villa Borromeo d’Adda ad Arcore
Posizionata su un’altura, la villa di delizia è articolata in tre blocchi ed è datata alla metà del ‘700. Nella porzione centrale sono conservati gli ambienti di maggiore pregio e ampiezza tra cui l’antica libreria. Nel parco è presente un giardino all’italiana e la scuderia.
Info utili: http://www.villaborromeoarcore.it/ 
Geolocalizzazione su mappa: 45.62675, 9.32146

Villa Taverna a Triguggio (frazione Canonica)
Il nucleo originario del complesso, un castelliere risalente al tardo cinquecento, venne trasformato in palazzo nel’700. L’area è decorata da statue roccocò e sul retro spicca un bel giardino all’italiana di gusto rinascimentale.
Info utili: http://www.villataverna-canonica.it/ 
Telefono: 334 1656 718; E-mail: info@villataverna-canonica.it 
Geolocalizzazione su mappa: 45.64857, 9.28246

Villa Cusani Tittoni Traversi a Desio
L’edificio conserva il tipico impianto a U delle ville di delizia del’700 ed è caratterizzato all’interno dell’abitato da decorazioni in stile eclettico. Nel corso dell’800 il complesso fu ristrutturato dall’architetto Palagi.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-02959/ 
Telefono: 0362 392240
Geolocalizzazione su mappa: 45.61794, 9.21494

Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno
Nel ‘600 la preesistente costruzione medievale fu trasformata in una villa di delizia riccamente impreziosita da stupende opere d’arte. Il cortile centrale è caratterizzato da una loggia alla genovese affacciata sul parco.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-02219/ 
Geolocalizzazione su mappa: 45.62842, 9.14721


Si ringraziano: