La
bellezza è nella natura e noi impariamo ad apprezzarla fin dalla più tenera
età. Il 900 ci ha alienati della sua presenza nelle cose e della nostra
capacità di coglierla. E’ diventata un orpello e un lusso per pochi. Dobbiamo
quindi riconquistare la nostra sensibilità sapendo che non ci è data
gratuitamente ma è il frutto di un lavoro di approfondimento. Per quanto
riguarda le opere dell’uomo la bellezza è il prodotto di un atteggiamento di
cura, attenzione e amore per il proprio lavoro. Ecco perché l’Istituto Uomo e
Ambiente, da sempre presente sui temi dell’ecologia e dell’estetica ha voluto
organizzare questo corso on-line per chi vuole approfondire la tematica,
soprattutto gli architetti che sono delegati a trasformare l’ambiente ma anche
ogni persona intelligente.
Il corso è diviso in cinque giornate: la prima è dedicata
alla filosofia perché è dalle opinioni generate da essa che provengono le
scelte in campo estetico. La seconda è sulla natura con esperti che la studiano
e la utilizzano con creatività. La terza verte sul paesaggio e sull’arte poiché
anche quest’ultima nel secolo scorso ha deragliato dalla sua finalità naturale,
cioè la bellezza. La quarta è dedicata
all’architettura ed infine l’ultima è sulla pratica e cioè come tradurre in
azioni l’importante bisogno sociale di equilibrio, ordine, eleganza e coerenza
che sono i principali attributi della bellezza.
Le prossime elezioni amministrative
dove il sindaco uscente Beppe Sala si è iscritto ai Verdi e viene sostenuto dalla
lista Europa Verde impone una riflessione sul significato di una politica
ecologica. Oggi in piena pandemia va di moda essere ecologici ma cosa voglia
dire questa affermazione riferendosi all’urbanistica di una città molti non
sanno, immaginano abbia a che fare con più parchi, più alberi e l’aria meno
inquinata. Questo si chiama riduzionismo ecologico o, usando un neologismo
inglese, grenwashing o verde di facciata. Applicare il paradigma ecologico a
una città non è cosa così semplice, non basta piantare alberi anche se questa è
sicuramente cosa buona. Ricordo che il paradigma ecologico è la non separatezza
dei fenomeni che si traduce in un pensiero sistemico. La città dunque viene
vista come un organismo e non un meccanismo come nella recente tradizione
modernista. In ogni organismo la parte è collegata al tutto e interagisce con
le altre parti. La città dunque diventa il luogo fisico delle interrelazioni come
in un ecosistema. Cosa vuol dire questo? Che se operiamo in un settore
coinvolgiamo tutto il sistema,il suo
equilibrio, e se massimizziamo un aspetto gli altri perdono la loro
ottimizzazione generando effetti negativi che prima venivano compensati
nell’equilibrio omeostatico generale. Questo vale anche per la città se la
consideriamo da un punto di vista ecologico, dunque non si può agire per
settori o per funzioni separate e soprattutto non si può operare con azioni che
non prevedano retroazioni, cioè le conseguenze sul sistema.Ora tornando a parlare di Milano con tutta la
buona volontà non la si può considerare una città ecologica. Come si diceva
tempo fa in uno dei nostri convegni, qui operano due urbanistiche: una legata ai poteri
finanziari che hanno costruito la città rendendola invivibile e tendono a
realizzare i loro profitti a scapito del bene comune, sono il frutto di una
politica neoliberista che esalta il mercato e vogliono disegnare un futuro
appariscente aumentando ancor più i problemi di sostenibilità, l‘altra che vi
si contrappone vorrebbe disegnare una città più umana. Questa seconda è
alternativa sia nelle idee sia nelle forze che la reggono. Le sue radici stanno
nei comitati, nelle comunità, nelle cooperative, nei consorzi, nei sindacati e
nelle associazioni democratiche della società civile che desiderano una
migliore qualità della vita. La prima
segue il metodo tradizionale dello zoning e tende a separare inseguendo il
dualismo classico centro periferia e pianifica per quartieri monofunzionali
provocando emarginazione e conflitti. Fino ad ora, in particolar modo dall’amministrazione
Albertini ma anche Moratti e finanche Pisapia, per non parlare dell’ultima
giunta, i grandi gruppi finanziari hanno avuto mano libera e hanno dettato le
regole del gioco incamerando i profitti e facendo pagare ai cittadini i
disagi.Una città ecologica inverte la
tendenza, non si sottomette al capitale ma indirizza le scelte verso il
benessere abitativo dei cittadini che non vengono più considerati consumatori
passivi ma partecipanti attivi alle scelte urbanistiche. Ora la pandemia ha
messo in luce alcune criticità, ha mostrato il grave problema degli emarginati
e dei senza tetto ed è a questi che deve essere data risposta da parte
dell’ente pubblico se si vuole rigenerare la città ricordando che non esiste
benessere ambientale senza giustizia sociale e che le periferie degradate
determinano uno squilibrio che arriva fino al centro enfatizzato. Ora Milano ha
diverse opportunità per invertire la tendenza e contribuire alla costruzione
della città ecologica che vuol diventare e le elenco qui di seguito.
La riprogettazione delle aree
dismesse e in particolare degli scali ferroviari con la finalità di un utilizzo
rigenerante e integrato. L’incremento delle aree a verde rinunciando alla
tentazione magniloquentedi un secondo
stadio per il calcio con annesse speculazioni immobiliari. L’incentivazione
dell’edilizia sociale. Il disincentivo dell’uso dell’auto privata a
combustibile fossile. L’incentivo delle energie pulite e rinnovabili per i
riscaldamenti domestici. La valorizzazione delle periferie. L’incentivazione
della solidarietà e della partecipazione.
Questi sono i compiti per la nuova
giunta se vuole realmente andare verso una transizione ecologica che non sia
solo di facciata e fare di Milano una città bella che rispetta la vita vera.
mercoledì 12 maggio 2021
UNA NUOVA ERA PER LE CASCINE LOMBARDE CENTRI DI CULTURA OLISTICA
ricerca effettuata con contributo di FC
Perché l’Istituto Uomo e
Ambiente vuole occuparsi della destinazione delle ultime cascine lombarde e in
particolare di quelle intorno al capoluogo?
L’articolo 2 del nostro statuto
recita
Art.2 (scopo e oggetto)
L’associazione non ha fini di lucro, essa ha lo scopo di formare una nuova cultura ambientale attraverso l’educazione e la ricerca ai fini di creare nuove identità di operatori sensibili all’ecologia , all’architettura , al paesaggio e ai beni culturali attraverso un nuovo umanesimo che travalichi il contrasto uomo-natura per ricreare una nuova armonia e una nuova estetica. I principi che reggono l’attività dell’Istituto sono quelli della libertà di ricerca e di informazione e di un impegno democratico e pacifista nel tentativo di perseguire un ambiente più a misura della vita e dell’uomo partendo da una visione costruttiva ed umanitaria che mostri come alla base del benessere ci debba essere la finalità di non nuocere all’uomo e all’ambiente come unità inscindibile. per ricreare
una nuova armonia e una nuova estetica
.
L’IUA nasce da una esperienza di protesta alla
cementificazione del territorio ed alla distruzione sistematica del paesaggio
consolidato in Lombardia ed in particolare nell’alta Brianza. Infatti alcuni
studiosi nei primi anni ottanta, si misero al servizio di un comitato di
abitanti che protestava per la trascuratezza di alcune amministrazioni comunali
a proteggere le ultime aree naturali della zona. Da lì nacque il Parco
regionale della valle del Curone con le sue cascine antiche ed ormai
disabitate, per la maggior parte di proprietà di enti benefici. La ricchezza
del territorio dal punto di vista culturale e naturalistico fu evidenziata da
uno studio interdisciplinare commissionato dalla Regione Lombardia e poi
pubblicato con la casa editrice Electa dal titolo: “Montevecchia e il suo
circondario”. In questa ricerca si potè notare come un territorio
apparentemente insignificante, amorfo e residuale può contenere gioielli di
storia, di archeologia, di fauna, di botanica e di agricoltura. In seguito alla
costituzione del parco con sede a Montevecchia le cascine sono state
ristrutturate e sono divenute centri di agriturismo, sedi di cultura e
produzione biologica. In particolare le due maggiori cascine, Galbusera Bianca
e Galbusera Nera, sorte su antichissimi baluardi gallici da cui ricavano il
nome ( Gallicus Albus Ager, le bianche fortificazioni dei Galli) sono state
ristrutturate ricorrendo alla bioarchitettura di cui il nostro Istituto è stato
uno dei pionieri. Questa relazione tra architettura, agricoltura e cultura
olistica o ecologica è il fondamento di questo studio che si basa sul nuovo
paradigma della cultura ambientalista e del pensiero ecosistemico: nulla è
separato, tutto è in relazione.
La corte lombardaera la storia delle famiglie contadine e delle loro anime. Era il loro mondo. In tutte le stagioni il ritmo della giornata era scandito dal sole: all’alba
presto nei campi e al tramonto il rientro a casa dopo il lavoro. Le cascine della Pianura Padana avevano
una loro particolare tipologia abitativa caratterizzata dal grande cortile attorno al quale ruotava e si sviluppava la vita colonica di uno o più nuclei.
Il termine cascina (XII
sec.) origina dal latino volgare capsia (recinto per bestiame) in seguito
divenuto capsina,
poi cassina e
infine cascina.
Perlopiù le cascine avevano un accesso principale costituito da un grande
portone ligneo e una corte che agevolava le relazioni tra le famiglie che
accrescendosi potevano dare vita a micro comunità solidali tra loro. Questa
tendenza nacque da alcune esigenze pratiche che consentivano di usufruire di
servizi comuni come stalle, fienili, mulini, pozzi e forni per il pane e come
difesa dai malintenzionati. Per tali motivi le corti avevano una tipica pianta
a "L", a "U" oppure si presentavano completamente
cinte. L’aia centrale serviva
a battere e trebbiare il grano. La stallasvolgeva il duplice ruolo di ricovero per animali da tiro ma anche sociale come luogo di ritrovo per le famiglie che
nelle sere d’inverno, al tepore del bestiame, si riunivano per ascoltare i
racconti degli anziani. Un altro locale presente nelle corti lombarde era
la casera dove
venivano prodotti i formaggi. Le origini delle cascine lombarde risalgono al feudalesimo.
La società medievale poggiava su forti basi rurali e l'agricoltura costituiva una delle principali
componenti di sostegno.
Le prime notizie documentate sono del X sec. e descrivono costruzioni
realizzate con argilla e paglia la cui finalità era quella di deposito agricolo
e fienile. Più in avanti furono costruite in malta, pietre, mattoni e con il
tetto di tegole o coppi. Sottotetto, finestre, persiane porte e il gran portone
d'ingresso erano in legno. Tipica era la presenza di un rustico costituito da
una serie di colonne che sostenevano un tetto in tegole e uno spazio aperto ai
lati. Le corti lombarde si
concentravano prevalentemente nelle province di Milano, Monza, Lodi, Cremona, Mantova, nelle zone di
pianura delle province di Bergamo, Brescia e Varese, nella parte brianzola
delle province di Como e
Lecco e nella pianura dellaprovinciapavese.
Un significativo cambiamento delle corti è stata la modernizzazione dei processi
agricoli che ne cambiarono la fisionomia. Nei decenni successivi molte corti
lombarde vennero demolite mentre altre furono ristrutturate e convertite
principalmente a uso pubblico con finalità sociali, istituzionali e culturali.
In particolare a Milano sono
sopravvissute circa un centinaio di cascine. Alcune hanno
trovato utilizzo come biblioteche, aree di svago, centri di accoglienza (per
anziani, disabili o tossicodipendenti). Altre sono rimaste aziende agricole in
attività che ancor oggi lavorano secondo le antiche tradizioni lombarde. Tra
queste, la cascina Campi a
Quinto Romano, la cascina Molino
delParadiso (o
della Braschetta)
di Muggiano (cavalli e foraggio), la cascina Gaggioli, il Mulino della Pace Barona, la
cascina Battivacco alla
Barona (riso), la cascina Basmetto alla
Barona (riso), la cascina Campazzo (latte)
e la cascina Nosedo (latte
e derivati). Sempre a sud della Barona, sono presenti le secentesche
cascine San Marco e San Marchetto. Tra le più
antiche cascine di Milano vi è la cascina Chiesa Rossa, un antichissimo Porticus rurale di epoca
romana, nel tempo divenuto aula di cultocristiano. La caduta
dell’impero romano e la successiva fase tardo-longobarda sono state le basi per
la chiesa romanica soprastante le cui strutture sono ancora oggi visibili.
Fonti del 1455 raccontano del corteo nuziale di Tristano Sforza e di Beatrice
d’Este che, proveniente da Pavia e diretto a Milano, sostò a S. Maria Ruffa, Ruffa o Russa, infine Rossa (la chiesina fatta di
mattoni rossi). Oggi, gli edifici restaurati ospitano la biblioteca civica Chiesa Rossa del
centro ricreativo-culturale creato nell’ex stalla di una tipica cascina lombarda seicentesca.
Altre interessanti cascine sono: la cascina Malandra (o Torre del Ronco) che sorge nei
pressi di Monzoro (area del Ticino) e la cascina Moirano (antico
insediamento agricolo). Del XIII sec. sono la cascina Corte Regina, la
cascina Linterno e
la cascina Monluè.
Risalenti al XIV secolo sono la cascina Garegnano (Lorenteggio) e la cascina Triulza (Trivulza nell’Ovest
milanese). Del XV
secolo sono la cascina Boscaiola (tenuta
di caccia delle Signorie Visconti e Sforza), le cascine Guascona e Guasconcina, la cascina Monastero e la
cascina Pozzobonelli.
Risalenti al XVI secolo sono le cascine Casanova (periferia orientale Forlanini), Monterobbio (Barona -Parco Agricolo Sud), Torrette di
Trenno, San GregorioVecchio e Selvanesco. Del XVII secolo
sono due cascine dotate di impianti molinatori: Mulino Vettabbia (un
mulino ad acqua) e Molino
Dorino (con macine e ingranaggi ancora integri). In una
mappa ottocentesca, il mulino della cascina prese la denominazione di Molino Lauzi dai precedenti
proprietari. Qualche tempo dopo venne acquistato dalla famiglia Dorino. Nel 1986 venne aperta la
fermata della linea metropolitana 1 rossa che dal Mulino prese il nome. Anche
il fascino della Cassina
de’ Pomm dura da secoli. Il suo nome risale al XV sec.
quando Francesco Sforza volle lungo il Naviglio piccolo dei frutteti di mele, i pomm. Nel Cinquecento la
famiglia Marino - De Leyva (che
costruì Palazzo Marino di
Milano), ampliò il plesso per costruire una villa padronale. Nel XVIII sec. la
struttura fu trasformata in albergo-stazione di cambio per barche e cavalli. La
Cassina de’ Pomm ospitò personalità illustri in visita a Milano tra cui
Garibaldi e Napoleone. Anche Stendhal, Giacomo Casanova e Carlo Porta la
citarono in alcune delle loro opere. Nella prima metà del XX sono legate alla
Cascina memorie e curiosità del territorio.
NUOVA VITA PER LE CASCINE LOMBARDE.
La Regione Lombardia con la legge n. 18 del novembre 2019 finalmente dopo il lavoro continuo dell'associazione 100 cascine, ha consentito il recupero delle strutture rurali dismesse o abbandonate. In sintesi la nuova norma permette il recupero degli edifici rurali dismessi o abbandonati, individuati dal PGT o con perizia che asseveri lo stato di abbandono di almeno 3 anni. I complessi rurali, centri di organizzazione della vita agricola, rappresentano i nodi principali del paesaggio agrario e costituiscono gli elementi fondamentali di riconoscibilità del territorio. L'associazione 100 Cascine ha l'obiettivo di individuare e promuovere in collaborazione con i centri di ricerca e le istituzioni del territorio politiche e normative per insediare nuove funzioni all'interno delle cascine. Ad esempio centri di ricerca ed ospitalità, di formazione e di lavoro che possano rappresentare, in una logica multifunzionale, una fonte di reddito alternativo per la conservazione dei fabbricati storici e per la tutela del territorio dal consumo del suolo.
La cascina del Guado
L'analisi della situazione attuale delle cascine lombarde ben descritta anche nel video presentato sopra, ci porta a considerare che queste strutture, che erano legate ad una economia essenzialmente agricola, dopo la rivoluzione industriale e terziaria spesso sono state lasciate nel degrado, ma a partire dagli anni 60, 70 e 80 del secolo scorso si andò sviluppando una cultura alternativa, ecologica e di protesta, soprattutto da parte di intellettuali e artisti, che contrapponendosi ad un urbanesimo consumistico generato da un capitalismo senza etica, si andò ad insediare in alcune cascine abbandonate dando il via ad un utilizzo alternativo delle vecchie strutture e creando importanti luoghi di produzione culturale anzichè agricola. Un esempio per tutte è la cascina del Guado a Robecchetto con Induno sul Naviglio Grande.
La Cascina è sita nella
depressione morenica della valle del Ticino, in comune di Robecchetto con
Induno frazione Malvaglio nei pressi del luogo dove sorgeva il Molino del
Guado, risalente ai mulini del Naviglio poi gestiti dall’Ordine degli Umiliati. Fino agli anni ‘50 vi era Osteria
con alloggio. Sia il Molino che l’Osteria finirono demoliti entro quel periodo.
Del Molino restano le grandi pietre in granito per l’appoggio delle “ruote”. La strada (breccia) che congiunge
in 840 metri la provinciale con la località della Cascina del Guado è comunale,
e portava fino al 1602 al ponte in legno che traversava il Naviglio. I Bossi
che infeudavano Induno con Guado, non accettarono il ponte in pietra proposto
dallo Stato di Milano e demolirono il ponte in legno. Successivamente si
insediò un traghetto a fiume.
La Cascina, per alcune
costituzioni di materiali impiegati, rivela l’antico insediamento del XVI
secolo per una parte, mentre l’attuale assetto di pianta risale,
presumibilmente alla fine del XVII secolo. La costruzione contadina, con la
muratura ancora parzialmente in sassi del Ticino, ospitava da tre a sei fuochi
(navirolli, campari e molinari) fino al più recente secolo XIX, in cui fu
adibita a dimora di “Bergamini” in transumanza con i bovini a svernare.
La Cascina è stata rilevata
nell’anno 1969 dal pittore Daniele Oppi al rientro da New York. Sbrecciata al
tetto in più punti, con finestre murate o devastate, appariva un rudere senza i
serramenti o altre finiture. Il nuovo proprietario assecondava
scrupolosamente l’impianto allo status quo (ancora oggi evidente) intervenendo
con infissi e con la necessaria impiantistica, prendendo domicilio fisso in
cascina e residenza nel comune di Robecchetto con Induno.
Nel 1971 una concessione edilizia
consentiva l’occupazione dell’area di una rudimentale tettoia per costruire una
loggia a colonne seicentesche in serizzo battuto a mano, provenienti da un
cantiere di via Santa Sofia di Milano, sul fronte del Naviglio. Venivano
mantenuti i piccoli capanni “rurali”.
L’atelier di Oppi diventa allora
punto di ritrovo e libero riferimento per artisti, critici e operatori
culturali, come Erik Gustafsson, Hector Roberto Carrasco (Mono), De Lima
Medeiros, Augustin Espanol Viñas, Franca Lally, Max Capa, Franco Russo, Renzo
Sommaruga, Giancarlo Gragnani, Henry Baviera, Oreste Amato, Dino Baranzelli,
Piero Fabbri, Pino Colla, Cesare De Ferrari, Lacquaniti, Mario De Micheli, Mike
Megale, Mike Selig, Bill Firschein, Luciano Capitini, Ernesto Tavernari,
Adelina Aletti, Stefano Pizzi, Paolo Baratella, Leonardo Capano, Emilio Tadini,
Mario Spinella, ecc. (anni 1969-1976). In quegli stessi anni veniva formandosi
una biblioteca ed una emeroteca sempre più rilevante, fino agli attuali 14.000
pezzi circa. Contemporaneamente, con il
contributo di molti giovani del territorio limitrofo, partiva l’attività
“SPAZIO-PROVA per vivere, Arte fuori Arte, Lavoro fuori Lavoro”, un cantiere
propositivo che creava opere in serigrafia manuale, l’edizione de “Il
Guadolibro” (una raccolta testimoniale documentaria e artistica) e una collana
di volumetti di riflessioni etico-sociali. Da un gruppo di questi stessi
giovani nasceva la Cooperativa culturale Il Guado, 1973, poi trasformata in una
Coop di lavoro, e una piccola Cooperativa Malvaglio “Bar Italia”, che aveva
rilevato la licenza da un vecchio omonimo bar in frazione Malvaglio, dove si
formò “La Bottega del Libro” e la LAL (Libera Associazione del Libro).
Prendeva forma sulla base di una
idea e un progetto strutturato da D. Oppi con i giovani locali e non la funzione principale della Cooperativa il
Guado, e cioè assistere, formare, predisporre, ed eseguire la comunicazione
dell’Ente Locale per mezzo della stampa periodica.
Un progetto oramai oggi
fortemente (e stabilmente) operativo.
Interessanti sono quegli aspetti
di formazione e acculturazione che in forma spontanea e naturale hanno come
matrice endogena la Cascina del Guado e la sua attività legata alla
comunicazione, che negli anni successivi (dal 1978 al 1988) riprende i temi
cari alla ricerca del design, della grafica, del marketing e della pubblicità
innovativa a sedimento-base culturale. Una folta schiera di giovani cresce in
questa sorta di terreno di coltura, avanzando in professionalità ed esperienza
su due direttrici (o filoni) di intervento .
La vocazione editoriale ha sempre
caratterizzato ogni iniziativa, mentre gli aspetti documentali hanno fatto sì
che si accumulasse un interessante quanto fitto archivio dei materiali
prodotti, consistenti in fotografie, filmati, ampia produzione di ciclostilati,
opere grafiche in serigrafia e xilografia, opuscoli tipografici con
composizione a mano, raccolte di disegni, ecc.. In varie occasioni questi
materiali sono stati esposti in bacheche presso la sede della Cascina del Guado
con visite periodiche organizzate dai distretti scolastici, per classi della
scuola dell’obbligo dalle elementari alle medie. In altri casi le mostre sono
state allestite presso le scuole o in sedi istituzionali.
Al Guado si possono
individuare cinque periodi principali:
Primo periodo: Cantiere laboratorio
con intensa attività insieme ad artisti delle varie discipline, ma soprattutto
con i giovani del territorio alla ricerca di risposte alle loro pressanti
domande epocali. Il gruppo di vita e lavoro formatosi per spontanea
aggregazione è ampiamente documentato nei materiali d’archivio, tra cui molte
pubblicazioni originali poi adottate dalla Lega per le Autonomie e Poteri
Locali e le proposte per i circoli Arci e i circoli Legacoop. Il periodo è
caratterizzato dal contatto il più possibile decentrato con le popolazioni del
territorio limitrofo, praticamente dall’abbiatense, al magentino, fino al
castanese.
Secondo periodo: si tratta
della continuazione pratica e applicativa dei principi del primo periodo. Si
può parlare di trasformazione nel senso della razionalizzazione delle attività
attraverso la fondazione della Cooperativa il Guado, avvenuta nell’aprile del
1973.
Terzo periodo: la cascina
del Guado vede svilupparsi la tendenza artistico-culturale, in parte
riprendendo le motivazioni sia del primo che del secondo periodo, lavorando
sulla preparazione di un’oggettistica di artigianato d’arte, sotto la
denominazione di “Guado, Casa della Creatività”. Laboratorio di ceramica,
torchio di incisione e basi serigrafiche, preparando oggetti originali,
seriali, a piccola produzione firmata.
Nel 1991 il terzo periodo si
arricchisce di nuovo impulso in direzione specificatamente artistico-culturale
con la fondazione della Società Cooperativa Raccolto a.r.l. che ha sede presso
la Cascina del Guado e che caratterizza tutte le iniziative degli ultimi anni.
In questa fase si incrementa
ulteriormente il patrimonio documentale e librario e si intraprendono programmi
di eventi e grandi eventi concentrati in collaborazione condiversi Enti Locali
e Istituzioni o Fondazioni private di cui sono disponibili tutte le relative
documentazioni.
Lo Statuto della Cooperativa
prevede anche attività editoriali (RaccoltoEdizioni).
Nel 1995, al Guado, rinasce “il
Foglio dell’Umanitaria” bollettino dello storico Ente fondato da P. Moisè Loria
nel 1893 che ha come motto “aiutare i diseredati a risollevarsi da sé
medesimi”. Daniele e Francesco Oppi, con gli artisti del Raccolto, saranno
animatori di numerose iniziative culturali nei chiostri dell’Umanitaria fin dal
1994.
Merita menzione il periodo
1998/2001 caratterizzato da alcune realizzazioni editoriali per il Politecnico
di Milano, AA.VV. e materiali di comunicazione per la Valle Bormida, oltre alla
cura editoriale del periodico della Fondazione Società Umanitaria.
Quarto periodo: La nascita
del Padiglione d’Arte Giovane di Inveruno caratterizza questa fase tuttora in
evoluzione. Su impulso di Francesco Oppi, nel
periodo 2001-2004, si potenziano le attività editoriali (Raccolto Edizioni) con
il volume “Il Modello Umanitaria” (110° anniversario della Società umanitaria)
e “La città ideale” (125° anniversario della SEAO) e poi altre rilevanti
pubblicazioni storico documentarie.
Gli anni 2002-2004 vedono lo
sviluppo della incisività della cooperativa RACCOLTO dovuto principalmente a
Francesco Oppi.
I giovani cominciano a ritornare
protagonisti (come negli anni ‘70) alla Cascina del Guado.
Intanto, nel 2002, il Comune di
Milano conferisce la Medaglia d’Oro di benemerenza, Ambrogino d’oro, a Daniele
Oppi (Presidente della Cooperativa Raccolto).
Il 2006 è segnato dalla scomparsa
di Daniele Oppi. L’eredità di intenti e di impegni portati a buon fine è
enorme. La Cooperativa Raccolto elegge Francesco Oppi alla presidenza.
Quinto periodo:
Si sviluppa e consolida il
settore editoriale (tra il 2006 e il 2012 vengono curate e/o coordinate oltre
90 edizioni per privati ed Enti) e si rafforza l’impegno delle nuove
generazioni di “guadisti”.
Il Guado è anche catalogato
ufficialmente come struttura architettonica storica del territorio Lombardo,
facente parte del patrimonio culturale e paesaggistico rappresentato dai nuclei
rurali e dal sistema delle cascine presenti sul territorio della valle del
Ticino. Esso è, difatti, indicato tra i beni di rilevanza culturale della
Regione Lombardia.
La cascina Castello
La cascina Castello a Spessa in provincia di Pavia, sulla sponda sinistra del Po, è un altro esempio del riutilizzo delle cascine lombarde come centri della nuova attività culturale. E' un ampio edificio agricolo edificato nel XV secolo e ristrutturato secondo criteri di alta efficienza energetica, utilizzo di energie rinnovabili, con una particolare attenzione alla sua natura architettonico-storica e soluzioni che connotano questo progetto come modello di turismo sostenibile e accessibile a tutti grazie a un ostello che fa parte del centro culturale Artemista. Questa associazione porta avanti un progetto ambizioso rivolto al teatro e alla musica oltre a progetti sociali e di educazione ambientale. Artemista ha fatto rivivere la cascina con sale prove per danza, teatro, uno studio di registrazione e diverse sale di ripresa anche per grandi ensemble.
Il centro
culturale Artemista nasce dall’esperienza e dalle progettualità che l’associazione
ha condotto sul territorio e si configura come base per altre realtà artistiche
e culturali.
L’associazione Artemista nasce nel 2004 dall’incontro di artisti di varie
discipline attivi dai primi anni '90 con l’obiettivo di sviluppare progetti di
produzione e formazione unendo linguaggi diversi: teatro, musica e arti visive.
Il centro culturale si è sviluppato dal 2009.
L'associazione ha creato il centro ridando vita alla Cascina Castello, edificio
in parte del 1400 e in parte precedente all’anno 1000 nel comune di Spessa,
paese di 606 abitanti nella campagna pavese sul fiume Po. Nella
ristrutturazione sono state utilizzate tecniche di bioedilizia e si è puntato
all’alta efficienza energetica che usa fonti rinnovabili. Hanno preso parte ai
lavori maestranze, ma anche soci e volontari da tutto il mondo.
Artemista gestisce le attività del centro culturale (sale polifunzionali,
studio di registrazione e ostello) e ha sviluppato negli anni la vocazione di
residenza artistica multidisciplinare internazionale, organizza rassegne nel
centro e nel territorio, realizza progetti culturali interdisciplinari
sperimentando anche l'applicazione delle nuove tecnologie digitali sia
nell'ambito della produzione che in quello della formazione rivolgendosi in
particolare a giovani .
La cascina Cuccagna
“Altro” ma ugualmente simbolo
di un cambiamento e di un pensiero olistico volto al futuro è la settecentesca
Cascina Cuccagna presente nella mappa del Catasto Teresiano del 1722 col nome
di “Cassina Torchio”, un microcosmo agricolo e polifunzionale celato tra i
palazzi di Corso Lodi a Milano. Abbandonata per molti anni si è trasformata in
un luogo d’incontri e aggregazione grazie all’iniziativa di una rete di
cittadini e all’associazione Consorzio Cantiere Cuccagna. Molto suggestiva
ancora oggi al suo interno vibra l’antico spirito del luogo in cui un tempo i
Padri Fatebenefratelli curavano gli orti e coltivavano le erbe officinali per
l’Ospedale Maggiore. Riaperta nel 2012, a seguito di un restauro conservativo,
ha sviluppato nel tempo progetti e attività legati agli stili di vita sostenibile,
all’alimentazione sana, all’agricoltura urbana, all’economia circolare, alla
scoperta del saper fare e all’integrazione sociale e culturale. Ogni martedì
dalle 15,30 alle 20,00 un mercato agricolo, con prodotti a chilometro zero,
riaccende l’immagine di un angolo di campagna . Un’iniziativa che si inserisce
nel contesto partecipativo di Cascina Cuccagna e che contribuisce a rendere
questo posto un avamposto agricolo all’interno della città.
La pandemia ci ha portati verso
nuovi stili di vita, fra questi anche quello della vacanza che, nelle diverse
stagioni dell’anno, ha preso un nuovo passo. Si rivalutano luoghi a portata di
regione o addirittura di provincia e in questo la Lombardia apre il suo copioso
patrimonio ricordando le vacanze nelle ville di delizia dove la nobiltà e la
borghesia milanese vi accedeva trasportata dall’andare lento delle carrozze.
L’Italia ha una lunga tradizione di senso della vicinanza e della collettività
ristretta. La pandemia ha accelerato un processo già in corso, il desiderio
diffuso di decentrarsi verso zone rurali, collinari o periferiche ed anche ora
che è autunno si programmano evasioni lampo in luoghi a portata di memoria che
non sapevamo neppure di avere. Non si parte più in carrozza, ma in bici, in
tandem, in macchine elettriche o in treno per scoprire quanto possa essere
affascinante il foliage che adorna ville storiche comeVilla Arconati a Bollate definita la
“Versailles” d’Italia grazie al gusto tipicamente barocco con giardini
all’italiana elegantemente curati e con giochi d’acqua.
Le Ville di Delizia, nome coniato
dall’incisore settecentesco Marc’Antonio dal Re, trovarono una sviluppo
organico specie in Brianza il cui territorio nel settecento ne ha vissuto la
grande stagione. Una magnificenza di architetture di giardini commissionati
dalle grandi famiglie nobiliari dell’epoca fra cui i Borromeo, i Durini, i
Trivulzio, gli Arese, i Taverna, i Morando. Sono residenze monumentali con
vasti parchi e ricche di opere d’arte. Derivano queste loro caratteristiche
peculiari dal fatto di essere state concepite come residenze di campagna in cui
i nobili si ritiravano nei periodi di villeggiatura, dedicandosi allo svago e
diletto nel pieno godimento della natura, della conversazione cortese,
dell’arte, della musica, della poesia all’insegna della raffinatezza e del buon
gusto. Spesso costituivano la residenza di rappresentanza del casato a cui
appartenevano e di cui erano destinate a narrare gesta e fasti. Nel
Rinascimento, in un periodo di generale benessere, nacque il fenomeno della
villeggiatura inteso come periodo da dedicare al riposo preferibilmente in località
esterne alla città, lungo i fiumi e in zone collinari che offrisse un ambiente
salubre e una presenza umana estremamente ridotta. La scelta ricadeva in modo
particolare sulle zone bagnate dal Naviglio Grande e dalla Martesana, in una
zona che da Milano si espandeva verso il Varesotto guardando verso il lago
maggiore e verso il lago di Como. Tuttavia oggi altri esempi ci giungono più a
nord con villa Monastero a Varenna, sul lato lecchese del lago di Como o villa
Bertarelli a Galbiate, poco distante da Lecco. Omate di Agrate Brianza ospita
un gioiello senza tempo dell’architettura lombarda, Villa Trivulzio. Costruita
nel sedicesimo secolo per i principi Trivulzio fu per lungo tempo una dimora
prestigiosa e frequentata dalla crème della società europea e le sue delizie
architettoniche furono anche narrate da Montesqieu nel 1728.
Le Ville di delizia, così chiamate
da anni, sono una delle cose più affascinanti di Monza e di tutta la Brianza.
Quanto è bello passeggiare, a piedi o in bicicletta, osservando le
meravigliose ville di delizia che popolano il Parco e la città?
Ma cosa sono le ville di delizia?
Il loro mito nacque grazie ad un trattato di Bartolomeo Taegio del 1559
che rese le ville di delizia uno status symbol della nobilta’
milanese e brianzola.
Sono delle residenze suburbane, lontane dalla città, nelle quali i
nobili abitavano nei periodi di villeggiatura, soprattutto nel tratto fra i
Navigli e verso la Brianza.
I nobili milanesi si allontanarono dalla metropoli a causa delle varie
epidemie causate dalle carenze igieniche, dell’edilizia degradata e dall’inurbamento
dalle campagne. E dove fuggire se non verso Monza ed i territori brianzoli?
La Brianza divenne
così un paesaggio da paradiso campestre, grazie anche al clima più mite rispetto a Milano: ai tempi si vedevano
continuamente carrozze di cavalli che andavano e venivano, artisti e celebrità
ospiti da tutte le parti d’Europa.
Ci si ispirava alla vita campestre, all’amore per il bucolico tipico dei
grandi poeti classici come Ovidio e Virgilio, ma anche dei grandi classici
italiani come Petrarca, o rinascimentali, come Pico della Mirandola.
Nel trattato di Bartolomeo Taegio c’era un lungo esempio di ville di
delizia che ancora oggi possiamo visitare ed ammirare: il conte Taverna, cancelliere del Re di
Spagna, aveva la sua villa di delizia in Canonica; il cardinale Carlo Borromeo scelse invece Arona come residenza di campagna; Antonello
Arcimboldi ne costrui’ una sulla via che
collegava Milano a Monza; Donna Violante Sforza la volle sul lago di Como a Bellaggio.
Anche gli ecclesiastici si interessarono al mito delle ville di delizia,
infatti il Cardinale Federigo Borromeo scrisse un trattatello dove invitava gli
uomini di Chiesa ad un uso moderato delle residenze, per non lasciarsi troppo
andare alla ricerca del piacere. Il cardinale sosteneva che a quel tempo il
popolo viveva un momento difficile a causa della miseria e delle malattie,
quindi non si doveva dare il cattivo esempio, anche se comunque la vita a
contatto con la natura era ben voluta da Dio.
Le ville di delizia, oltre ad essere residenze di villeggiatura, furono
anche teatri di grandi feste, balli, battute di caccia, sedi di grandi
raccolte d’arte e salotti letterari, tipici svaghi
dell’aristocrazia milanese.
A Monza la prima grande villa di delizia fu
quella di Mirabello, voluta dai Signori di Monza, i conti Durini, o meglio, da Giuseppe
Durini.
Egli scelse un’area a nord est del centro abitato, lungo il Lambro, zona
favorevole per il clima, per la caccia, l’equitazione e le passeggiate nei
campi.
I lavori furono diretti dal famoso architetto Gerolamo Quadrio che aveva
già lavorato per il Duomo di Milano e quello di Como: egli scelse di costruire
una villa a pianta a U con un corpo centrale dotato di portici e ali
simmetriche laterali, tipiche delle residenze lombarde.
La villa venne chiamata Mirabello, ovvero belvedere, perchè si affacciava su
un terrezzamento sopra il Lambro da cui si godeva di una bellissima vista.
Ora nella Villa Mirabello vengono spesso organizzati mostre ed eventi,
che danno la possibilità di ammirare la sua grande bellezza.
Non dimenticate che c’è sempre la possibilità in Brianza di visitare le
varie ville di delizia, per potersi così immergere in un piccolo mondo antico,
fatto di dame e nobili, di balli sfarzosi, di magnifiche carrozze, di intrighi,
di amori lontani e di cultura…tutto arricchito da una magnifica vita
campestre…non sarebbe un po’ il sogno di tutti noi?
Villa Camperio a Villasanta, Villa
Trivulzio ad Agrate Brianza, Villa Sottocasa a Vimercate, Villa Cusani Tittoni
Traversi a Desio, Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno... Sono solo alcune
delle splendide Ville di Delizia che potrai scoprire girando in bici per la
Brianza monzese. Pronto a partire?
Le
ville brianzole sono definite di “delizia” perché le antiche famiglie
aristocratiche, proprietarie di queste terre, vi trascorrevano il loro tempo
per oziare e godersi una bucolica serenità lontano dalla città. Se vuoi
scoprire le più belle Ville di Delizia della Brianza monzese, puoi scegliere di
farlo in bici, seguendo il percorso che parte da Villasanta, alle porte di
Monza, e arriva a Cesano Maderno, nel Parco delle Groane. Il tracciato, adatto
a tutti, si sviluppa per 41.8 km su asfalto e sterrato, con un dislivello positivo
di 273m e negativo di 247m (pendenza max: 6.1%, -7.6%; pendio medio: 0.9%,
-0.8%). La durata? Circa 4 ore.
ITINERARIO
Da
Villa Camperio a Villasanta, punto di partenza del percorso, procedi su strada
fino al centro di Concorezzo. Dal retro del Municipio segui via Volta,
direzione Agrate. Passato il centro vai verso Omate proseguendo per il centro
di Burago. Da via Villa ti immetti su una strada serrata e passati i campi e un
parco arrivi nel centro di Vimercate. Continua in direzione di Oreno, lascia la
piazza e arrivi alla villa. Costeggia il parco in direzione di Arcore.
Dall’abitato raggiungia la SP 7 e prendi per Peregallo. Immettiti nel percorso
del Parco Lambro sino al centro di Albiate e prosegui fino a Seregno.
Attraversa la periferia di Desio e raggiungi il centro di Cesano Maderno.
L’itinerario si concluderà nel Parco delle Groane dove potrai immergerti nei
boschi e nelle brughiere che caratterizzavano in antichità l’intero territorio
brianzolo.
PUNTI
DI INTERESSE
Villa
Camperio di Villasanta
Oggi sede della biblioteca civica fu costruita a fine ‘600 e dotata di un
grande parco.
Info utili: Biblioteca Civica di Villasanta
Telefono: 039.23754258
Geolocalizzazione su mappa: 45.6044, 9.30009
Villa
Trivulzio ad Agrate Brianza
L’edificio, proprietà dei principi Trivulzio già dal ‘500, nel ‘700 venne
trasformata in villa di delizia. A fine ‘800 il complesso fu rimaneggiato
dall’architetto Majnoni e nel 2000 restauri ed interventi furono finalizzati al
ripristino del monumentale giardino all’italiana e del parco.
Info utili: http://www.villatrivulzio.it/
Geolocalizzazione su mappa: 45.57921, 9.37762
Villa
Mylius Oggioni a Burago di Molgora
La villa, edificata nel ‘700 in stile neoclassico, fu acquistata nel secolo
successivo da Enrico Myilius (1769-1854), ricco uomo d’affari, mecenate e
filantropo, di origini germaniche.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-01342/
Geolocalizzazione su mappa: 45.59473, 9.37961
Villa
Sottocasa a Vimercate
L’edificio tardo settecentesco è una rivisitazione neoclassica della villa di
delizia rinascimentale. Il prospetto principale, sobrio e severo, si distingue
dalla facciata posteriore più decorativa.
Info utili: Telefono: 0396659488
E-mail: turismo@comune.vimercate.mb.it
Geolocalizzazione su mappa: 45.61231, 9.3705
Villa
Gallarati Scotti Vimercate (frazione Oreno)
Il monumentale complesso barocco venne profondamente trasformato con forme
neoclassiche tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 dall’architetto Cantoni.
La villa di delizia è caratterizzata da un parco monumentale.
Info utili: http://www.museomust.it/drupal/itinerari/luoghi/villa-gallarati-scotti
Geolocalizzazione su mappa: 45.61738, 9.35432
Casino
di Caccia Borromeo a Vimercate
L’edificio, appartenuto ai Borromeo dal XVII sec., è caratterizzato da muri
realizzati con ciottoli posti a spina di pesce divisi da filari di mattoni.
All’interno vi sono affreschi datati al 1460 in stile gotico internazionale.
Info utili: http://www.museomust.it/drupal/itinerari/luoghi/casino-di-caccia-borromeo
Telefono: 0396659488
E-mail:turismo@comune.vimercate.mb.it
Geolocalizzazione su mappa: 45.6179, 9.35334
Villa
Borromeo d’Adda ad Arcore
Posizionata su un’altura, la villa di delizia è articolata in tre blocchi ed è
datata alla metà del ‘700. Nella porzione centrale sono conservati gli ambienti
di maggiore pregio e ampiezza tra cui l’antica libreria. Nel parco è presente
un giardino all’italiana e la scuderia.
Info utili: http://www.villaborromeoarcore.it/
Geolocalizzazione su mappa: 45.62675, 9.32146
Villa
Taverna a Triguggio (frazione Canonica)
Il nucleo originario del complesso, un castelliere risalente al tardo
cinquecento, venne trasformato in palazzo nel’700. L’area è decorata da statue
roccocò e sul retro spicca un bel giardino all’italiana di gusto
rinascimentale.
Info utili: http://www.villataverna-canonica.it/
Telefono: 334 1656 718; E-mail: info@villataverna-canonica.it
Geolocalizzazione su mappa: 45.64857, 9.28246
Villa
Cusani Tittoni Traversi a Desio
L’edificio conserva il tipico impianto a U delle ville di delizia del’700 ed è
caratterizzato all’interno dell’abitato da decorazioni in stile eclettico. Nel
corso dell’800 il complesso fu ristrutturato dall’architetto Palagi.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-02959/
Telefono: 0362 392240
Geolocalizzazione su mappa: 45.61794, 9.21494
Palazzo Arese Borromeo a
Cesano Maderno
Nel ‘600 la preesistente costruzione medievale fu trasformata in una villa di
delizia riccamente impreziosita da stupende opere d’arte. Il cortile centrale è
caratterizzato da una loggia alla genovese affacciata sul parco.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-02219/
Geolocalizzazione su mappa: 45.62842, 9.14721