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lunedì 1 dicembre 2014

Lettera di Armando

                                                     Fiori allo specchio, olio su tela  

A proposito degli sfratti e degli sgomberi di cui a Milano si discute e soprattutto si esegue, in attesa di EXPO, pubblichiamo la lettera di Armando pervenutaci prima del nostro convegno sull'emergenza abitativa del 10 novembre scorso. Esemplifica bene la situazione del diritto a una casa.

Milano 4.11.2014
Gentile direttore,
mi chiamo Armando e già dal mio nome potrà capire che le mie origini sono prettamente lombarde anche se questo dettaglio anagrafico è irrilevante di fronte a un problema che riguarda la casa e che coinvolge persone di diverse etnie ed età che vivono a Milano. Le chiedo innanzitutto scusa per non avere il coraggio di essere presente al suo convegno "Una casa per la vita" e di conseguenza per non avere la lealtà di guardare negli occhi il  suo pubblico raccontando ciò che io ho provato di fronte all'umiliazione di uno sfratto. La scelta di scriverle, evitando di espormi a volto scoperto tra i suoi invitati, nasce dal fatto che fino ad ora ho cercato di proteggere la mia famiglia e soprattutto mio figlio che adoro e che ha già sofferto abbastanza a causa di alcuni momenti di smarrimento dei propri genitori.
Ho cinquant'anni anni, sono laureato in lettere moderne, non penso di essere nè vecchio nè giovane, anzi per una certa cultura sono ancora identificato come un bamboccione e forse, visti i fatti e vista la mia a volte ancora dipendenza economica e morale dai miei anziani genitori,ex insegnanti elementari, appartengo anch'io a questa ironizzata categoria. Ciò che voglio narrarle, affinchè possa essere utile a qualcuno che si trova nelle condizioni da cui io sono passato, riguarda lo sfratto dalla casa  in cui ho abitato per circa dieci anni. Se chiudo gli occhi e ripenso a quel giorno in cui ho ricevuto dal tribunale  l'intimazione di sfratto per morosità  provo ancora un senso di inadeguatezza, accompagnato da vergogna, paura,senso di colpa, tormento, vuoto come quando si ha la sensazione che ormai la vita ha preso la strada dell'infelicità e nulla ha più senso . Premetto che sono religioso o,  quanto meno, ho una mia religione ed è stata questa, insieme a quell'angelo di mia moglie, a far sì che il giorno stabilito per lo sfratto esecutivo non si traducesse in un appuntamento con  la morte. L'appartamento in cui risiedevamo, situato in una zona semicentrale di Milano, era di circa settanta metriquadri e l'avevamo scelto insieme a Giovanna, mia moglie ingegnere, con l'entusiasmo di due ragazzini. Era piccolo e anche un po' scialbo ma aveva un delizioso terrazzino e questo raro dettaglio ci aveva convinti che, nonostante la richiesta da parte della proprietà fosse un po' altina, quello era il nostro nido, dopo tutto entrambi lavoravamo e pagare quell'affitto non sarebbe stato un problema. Per un certo numero di anni quella casa, che col tempo aveva assunto calore e sapore, era diventata il nostro luogo del cuore dove ci si ritrovava ogni sera a cena ad ascoltare i piccoli problemi del figlio che, mano mano, cresceva e dove le piante e i fiori del terrazzo mettevano radici sempre più lunghe come se ,allo stesso modo di noi, avessero pensato  che lì avrebbero vissuto per sempre. Poi è subentrata la crisi, mia moglie che lavorava per una multinazionale ha perso il posto, io che avevo una piccola libreria indipendente sono  fallito con la conseguenza, quasi immediata, di non poter più pagare l'affitto perchè quei pochi soldi che ancora avevamo da parte servivano per mangiare, per pagare le utenze e garantire almeno le cure mediche e scolastiche al figlio che cresceva. E' a questo punto che quella casa del cuore, tanto amata e che ormai profumava solo di noi, è diventata l'incubo delle nostre notti. Il proprietario, ricco immobiliarista con appartamenti in tutta Milano, in poco tempo ha scelto le vie legali e attraverso queste la congiura dello sfratto che, a poco a poco, ti toglie le forze perchè, nonostante tu sia incolpevole, non sai come uscire dalla tua morosità. Il proprietario dell'immobile diventa il tuo aguzzino, ti umilia, ti tortura diffidando di te e della tua buona fede, poi, in relazione alla legge in corso, ti sferra il colpo finale ottenendo l'intervento della forza pubblica e lo sgombero di quel nido che a tutti i costi cercavi di difendere. E' brutto dover lasciare così, con disperazione, quella che comunque era la propria abitazione, è brutto sapere che una tale mattina sfonderanno la tua porta e ti faranno lasciare tutto il tuo mondo, così com'è, dandoti l'opportunità entro due mesi di recuperare mobili e quant'altro, è brutto soprattutto spiegare tutto questo a un figlio adolescente e vedere che tua moglie soffre senza fartene una colpa e prova vergogna e rabbia verso una società dove è solo il denaro il sale della vita senza pensare che ci sono famiglie d'origine, come la mia e la sua, che avevano speso tutte le loro risorse economiche, con fatica ma soprattutto con orgoglio, per farci studiare e laureare.
Ecco, caro direttore, se vuole, visto che io al suo convegno non potrò esserci, per i motivi che ho esposto all'inizio, legga pure questa mia lettera, se lo ritiene, alla quale aggiungo un finale a sorpresa. Ce l'ho fatta ad evitare l'umiliazione dello sgombero grazie a un vero amico, uno di quelli che in questa società individualista è una  perla rara. Lui contrariamente al mio ex padrone di casa, a cui avevo chiesto tempo e pazienza, mi ha dato fiducia prestandomi i soldi occorrenti per andare in un luogo nuovo dove ricominciare a vivere. Ora con mia moglie abitiamo a Chiaravalle, abbiamo trovato un bilocale grazioso e dignitoso che sembra portarci anche fortuna poichè Giovanna ha nuovamente un posto di lavoro e col suo guadagno stiamo sistemando le nostre pendenze economiche. Io invece, proprio in questo borgo, sto piano piano rinascendo e con l'aiuto di un frate aprirò presto un'altra piccola libreria. Siamo stati alla fine fortunati, mio padre dice sempre che quando meno te l'aspetti è la provvidenza ad  aggiustare ogni cosa ed è quello che volevo ricordare a chi sta passando dalla mia stessa strada esortandolo a non perdere coraggio e soprattutto stima in se stesso. Infine vorrei dire poche  parole ai suoi interlocutori: la casa, scrivono certi autori di livello, è come una seconda pelle immaginate il dolore quando te la strappano. Giovanna quando passiamo in macchina nelle vicinanze della nostra vecchia abitazione mi chiede ancora: "Fai un altro giro, mi mancano le mie piante". Grazie per avermi letto, un cordiale saluto. Armando
   .

giovedì 20 novembre 2014

Paesaggio in pericolo.

                                        Borgo del Ponente Ligure, acquarello su carta.

Trent'anni sono trascorsi dalla pubblicazione di un mio libro redatto per conto della Regione Lombardia e con la collaborazione di vari esperti come Paolo Pastonesi, Enrico Banfi, Alfredo Pollini, Aldo Zurlini ed altri, un lavoro interdisciplinare su un pezzo di territorio molto delicato a nord di Milano verso Lecco, Montevecchia e il suo circondario, titolo dell'opera edita da Electa. Quel lavoro mi è stato recentemente ricordato da un professore dell'università di Ginevra in occasione dell'uscita del mio ultimo libro, L'altro architetto, uscito a febbraio con l'editore svizzero Casagrande. Perchè vi chiederete ricordo questo testo? Semplicemente perchè è una ricerca che cercava di dare una lettura sistemica al territorio abitato, cioè l'ecumene, interpretandolo come se fosse un palinsesto da decifrare per metterne in evidenza la complessità. Questo lavoro aprì la strada alla costituzione del Parco del Curone e Montevecchia che oggi costituisce un piccolo gioiello naturalistico al centro della Brianza ma non è questo che volevo ricordare. Il nostro intento era di mostrare come il territorio italiano fosse tutto un condensato di natura e storia di estremo interesse ed una zona apparentemente anonima, indagata in profondità, potesse mostrare aspetti di grande valore tanto da farne un luogo molto visitato da un pubblico eterogeneo, così da paragonarlo al Parco di Monza per numero di presenze domenicali. In questi trent'anni, nonostante il movimento e il partito dei verdi e l'ambientalismo ormai diffuso come coscienza, non è cambiato nulla per quanto riguarda il consumo del suolo e la prevenzione dei dissesti idrogeologici. Ogni anno abbiamo almeno un 'alluvione in qualche parte d'Italia, per non parlare delle frane. La politica non è stata in grado di porre in sicurezza il paesaggio italiano. Ogni governo considera i beni ambientali come una voce di secondaria importanza e il rilancio dell'economia per forza di cose deve passare attraverso l'attività edilizia. Così abbiamo continui assalti ad un equilibrio territoriale che ad ogni temporale mostra la sua fragilità. Inutile ricordare ai nostri governanti che l'Italia è il paese con più siti dichiarati Patrimonio universale dall'Unesco e che anche il turismo culturale è una risorsa notevole per un'economia intelligente. Ad ogni nuovo governo si spera sempre che ciò accada ma si rimane sempre delusi. Anche  questo attuale formato da giovani rampanti, rottamatori di tutti, finisce per copiare i precedenti: accusano sempre gli altri e a parole risolvono tutto ma poi non fanno nulla per cambiare le cose e l'economia rimane ancorata all'attività edilizia ed alla cementificazione. E' da notare un paradosso per l'Italia: è il paesaggio più importante del pianeta da un punto di vista culturale ed ha la popolazione con meno cultura, rispetto agli altri paesi europei, uno su tre dei suoi abitanti è analfabeta di ritorno. Si legge meno che nel resto d'Europa e si investe meno nell'educazione. Gli insegnanti infatti sono i peggio pagati dell'UE. Abbiamo come conseguenza una popolazione mediamente ignorante che si lascia attrarre dalle sirene del populismo: Berlusconi giustamente diceva ai suoi che il pubblico televisivo, suo elettorato, andava considerato come un infante di dieci anni da trattare come tale. Vale a dire che abbiamo una popolazione che elegge i suoi rappresentanti con la pancia e non con la testa. Vedi dopo tangentopoli i Bossi, lo stesso Berlusconi, i Grillo e ora i Renzi. Abbiamo in sostanza i politici che ci meritiamo ma il paesaggio, che non è solo nostro, non li merita.              

lunedì 3 novembre 2014

La casa popolare

                                         Case dei ferrovieri, acquerello su carta

Guardando le realizzazioni di edilizia popolare a Milano, a partire dalla legge Luzzatti del 1908, si ha la triste impressione che la necessità di dare la casa a masse di immigrati che negli anni ,soprattutto sessanta e settanta, si trasferivano da sud a nord  del paese, sia stata una scusa per costruire male.  Dietro quelle soluzioni massificanti si intravedono le ideologie di quegli anni che oggi, a  quaranta,cinquant'anni di distanza, mostrano tutta la loro usura e le conseguenze nefaste sulla viviblità di quei quartieri: la fiducia acritica nel progresso tecnologico e nei nuovi materiali, nella prefabbricazione pesante, nell'urbanistica dello zoning e di conseguenza della semplificazione e del riduzionismo hanno generato l'emarginazione reale e simbolica delle nostre attuali periferie. Il termine stesso "casa popolare" è un errore storico che stiamo scontando a caro prezzo. Il bisogno di casa non dovrebbe essere etichettato in base al censo o alla classe sociale e suddiviso in localizzazioni più o meno separate, questo ha determinatato   la periferizzazione di masse di cittadini che oggi siamo impegnati a combattere. Questo bisogno in teoria non dovrebbe essere oggetto di affarismo e speculazione ma al contrario avere la garanzia di soddisfazione per tutti in quanto la casa è necessaria allo sviluppo psicofisico dell'individuo. Questo si scontra con la realtà del mercato immobiliare ben lontana dalle finalità sociali e di mutuo soccorso. Il bisogno di casa invece, come si sa, fin dai tempi antichi è sempre stato oggetto di grandi speculazioni anche se il fenomeno delle periferie è un tipico prodotto della città moderna industriale: nella città antica infatti le classi povere abitavano case povere ma all'interno delle mura mescolate alle dimore dei signori di cui erano al servizio. Quest'anno sono 135 anni dalla nascita di una realtà milanese al servizio della casa, intesa come bene sociale, la Società Edificatrice Abitazioni Operaie,la prima cooperativa a proprietà indivisa per la realizzazione di case per i lavoratori. La città giardino , prevista in Porta Vittoria e realizzata solo in parte nelle casette dei ferrovieri in via Lincoln, ci riporta a tutt'altro clima. Oggi quel villaggetto appare perfettamente integrato nel tessuto cittadino ed è diventato un luogo privilegiato abitato da ricchi intellettuali. Leggendo la storia della nascita di questa società cooperativa ci si rende conto che quanto ai bisogni non è cambiato molto da  allora. Sono nati, è vero, gli IACP (oggi Aler) ma contemporaneamente è aumentata in maniera esponenziale la domanda di case a bassi costi e oggi, dopo il trasferimento delle industrie, in una tendenza alla terziarizzazione della città,le classi meno abbienti sono cambiate: oltre ad una fascia consistente prevalentemente composta da extracomunitari immigrati in grado di accedere ai bandi per le case popolari  ve n' è una più cospicua  di persone, per lo più giovani ma non solo, che non hanno un reddito adeguato per il libero mercato dell'affitto. Nel frattempo le periferie, generate dalla politica dell'edilizia pubblica anni '60 e '70 con concezioni riduttive e magniloquenti, sono sempre più invivibili.
In realtà dal puntodi vista abitativo Milano risulta una città a bassa vivibilità: a fronte di un centro che si è completamente terziarizzato con funzioni forti, uffici di rappresentanza, banche,commercio di lusso e spettacolo, dove abita una percentuale molto bassa di privilegiati si riscontra una fascia periferica, che ormai ingloba i comuni di prima cintura, dove risiede la maggior parte della popolazione, spesso in condizioni di disagio per la mancanza di servizi e di vita comunitaria. Si ha un generale degrado rispetto a quella che un tempo era una normale vita cittadina e il problema del traffico e dell'inquinamento nascono nascono proprio da questa città rfiutata. Essa, anche alla luce di una urbanologia influenzata dalla riflessione ecologica, va concepita come un insieme di sistemi interconnessi  che, come negli organismi viventi, influiscono uno sull'altro: la complessità è bellezza e tutto ciò che si semplifica decade. Non si possono separare le funzioni dell'abitare seza arrecare grave danno alla qualità della vita. Con la concezione riduttiva,  meccanicistica e massificante dei decenni scorsi oggi abbiamo il problema di periferie da riqualificare oltre che  quello di costruire nuove case.

Di questo si discuterà il 10 novembre dalle 10 alle 13 alle Gallerie d'Italia in piazza della Scala 6 a Milano. Qui sotto il programma.




domenica 19 ottobre 2014

Il diritto a una casa

                                       Il sogno di una casa, olio su tela.

 La casa nelle antiche tradizioni aveva un significato che oggi si fa fatica a comprendere a causa della mentalità tecnicista e riduttiva che abbiamo assorbito: i riti fondativi nelle varie culture arcaiche sono un esempio dell'importanza che si dava all'avvenimento costituito dalla costruzione di una casa. Questo era un atto sacro: la costruzione  era considerata un' imitazione della cosmogonia degli dei e il centro della casa costituiva un axis mundi. Essa era il corpo più grande e veniva messa in relazione con la terra.  Casa e terra erano due archetipi femminili mentre il cielo era maschile. La casa era un tramite tra la terra e il cielo infatti originariamente le antiche capanne erano circolari e il cerchio era simbolo del cielo ma al tempo stesso era anche ventre, utero, e al centro vi era il palo portante che costituiva l'asse del mondo,l'elemento di congiunzione fra la terra e il cielo. I materiali che venivano usati erano selezionati con cura e appartenevano  al territorio circostante, erano gli elementi costitutivi del paesaggio, le pietre, il legno, la terra, e subivano trasformazioni semplici che avvenivano in accordo con i ritmi stagionali e con le strette necessità, non vi era alcuno spreco. Si era così sicuri che i materiali fossero i più adatti per vivere a contatto con l'uomo. I costruttori di case erano spesso anche sciamani, guaritori, uomini medicina che avevano anche  il compito di tenere lontano le malattie attraverso un corretto uso delle risorse naturali oltre che attraverso l'utilizzo di forme simboliche e riti propiziatori con funzione apotropaica. Ancora oggi nelle case contadine si possono osservare alcuni aspetti che richiamano questi antichi valori: l'uso ad esempio di affrescare con immagini sacre le facciate delle case, il camino come asse verticale che comunica con un mondo celeste di fate, elfi, streghe, santi, befane, antenati . Nelle fiabe vicino al camino i balocchi si animavano, prendevano anima. Il pensiero razionale, che ha determinato la rivoluzione scientifica e tecnologica, ha progressivamente allontanato l'uomo da questa concezione della casa come specchio del cosmo, ha infatti coniato espressioni tipiche che erano molto di moda nel secolo scorso: la macchina per vivere, la casa elettrica, la casa del futuro, e così via, mutuando il linguaggio del mondo della meccanica che della fisica è la parte che più ha avuto fortuna perchè responsabile delle grandi invenzioni tecniche del XIX secolo. Questa riduttività scientifica ha svuotato la casa dei suoi valori tradizionali e quindi l'aspetto psicologico affettivo, simbolico, della funzione di abitare in genere è stato spesso trascurato da tutti coloro che si sono occupati e si occupano del problema casa, dalla sua programmazione e progettazione alla sua realizzazione e infine vendita e fruizione ed anche da coloro che si interessano della salute psicofisica degli individui. Questo riesame, in senso simbolico, costituisce indubbiamente una riaffermazione della gravità per una persona di una sua qualità scadente, della sua inadeguatezza o addirittura della sua assenza. Il diritto alla casa, sancito dalla nostra costituzione agli art. 2 e 3, porta con sè altri diritti fondamentali quali il diritto alla privacy, il diritto allo sviluppo e alla non discriminazione ed infine il diritto a conseguire il più alto livello di salute mentale e fisica. Su questi argomenti si discuterà a Milano, alle Gallerie d'Italia, in Piazza della Scala 2, lunedì 10 novembre dalle 9.30 alle 13, siete tutti invitati.
Per chi fosse interessato potete vedere il video di presentazione qui http://video.tiscali.it/canali/Regioni/Lombardia/225159.html                  

martedì 7 ottobre 2014

Francesco d'Assisi


                                           Autunno, acquarello su carta cm. 26x32



L'altro giorno era la festa di San Francesco e indugiavo in alcune riflessioni poichè questo santo cristiano viene considerato il più ecumenico ed ecosofico di tutti i numerosi mistici saliti all'onore degli altari. Il suo messaggio assomiglia molto a quello dei maestri di yoga indiani. Il suo riferirsi al passo evangelico in cui si esorta il credente a non preoccuparsi del futuro ma di affidarsi alla Provvidenza è sempre piaciuto, soprattutto ai giovani che vi hanno sempre visto la gioia di vivere, fuori dagli schemi di potere e dai drammi del possesso. "Dolce è sentire che non sei più solo ma che fai parte di una immensa vita", come recita il suo cantico, è un liberarsi dall'ego per approdare alla vera pace del cuore, i maestri indiani direbbero  consapevolezza dell'essere o  coscienza universale. Ma che cosa ci dicono oggi questi messaggi?  Il mondo è dominato da un' economia dilapidatoria  di guerra e ovviamente è dilaniato da continui conflitti generati dall'avidità e dalla ricerca del potere. Se non fosse per paura sarebbe già scoppiata la terza guerra mondiale, il pontefice afferma giustamente che è già in atto a episodi staccati. La stessa Chiesa però, solo dopo settecento anni dalla sua scomparsa, ha prodotto un papa che ha adottato il suo nome per il suo pontificato, eppure questo santo è il patrono d'Italia. In un mondo dominato dal dio denaro come è possibile che Francesco d'Assisi possa comunicarci ancora qualcosa? Notiamo tuttavia che quando si parla di Lui tutto il mondo si inchina. Una delle più ricche e popolose città degli USA ha preso il suo nome. E' ipocrisia oppure è la coscienza di una strada da percorrere che però fatichiamo a seguire? 
L'ambientalismo attuale dice che se non la imbocchiamo rischiamo la catastrofe. Siamo dunque consapevoli che la cultura dell'Occidente non porta da nessuna parte e guardiamo al santo poverello come ad un esempio di un modo più rispettoso di relazionarsi con la natura, vista come emanazione del divino, Gandhi chiamava questo "ahimsa", non violenza. "Deus meus et omnia" invocava Francesco e il "Tutto" è l'intero universo materiale visto come il cosmos dei Greci, ovvero ogni cosa al posto giusto in un' armonia perfetta che è sigillo della bellezza. 
Il franco-algerino Pierre Rabhi ha scritto "Sobrietà felice" dove mostra, anche con una certa ironia, l'assurdità di una vita motivata dal denaro e dalla dilapidazione delle risorse. Non so se egli si sia ispirato anche al santo di Assisi, certo è che lui, nato nel mondo islamico più povero, è cresciuto in Francia e Francesco, il cui nome gli fu imposto dal padre mercante per onorare i suoi traffici in questo paese, tentò una conciliazione fra l'Islam e i crociati cristiani. Sincronicità? Speriamo. Mio padre, come il genitore di Rabhi, era un artigiano, o meglio ancora era permeato di spirito artigianale, il che presuppone la saggezza di non consumare per lo spreco ma riparare, conservare e riciclare, dobbiamo tornare a questa mentalità, a un nuovo modello di sviluppo,  come mi sforzo di esporre nel mio ultimo libro "L'altro architetto", ed. Casagrande. I giovani ci seguiranno come dimostra questa lettera inviatami da un giovane architetto che mi conforta più di ogni critica colta. http://mauriziospada.jimdo.com/

Salve, mi chiamo Andrea Jacopucci, sono un giovane architetto.
ho letto alcuni dei Suoi libri ed articoli, in particolare ho trovato molto interessante e formativo "L'altro Architetto".
L'ho cercata per complimentarmi con Lei di un testo cosi sensibile e coinvolgente, inoltre colgo l'occasione per ringraziarla del contributo che questo testo ha dato alla mia formazione.
Grazie ancora e complimenti.
un lettore

giovedì 18 settembre 2014

La poesia di Chagall

                                          Il riposo dello Stannik, disegno su carta di M. Ledda

Leggendo i commenti alla mostra di Chagall mi riaggancio ad un paragrafo del libro Ecologia e Bellezza, ed. Alinea, da me scritto nel 2004, dove definivo vera arte quella permeata di spirito religioso e l'artista un mistico. Qui affermavo inoltre  che questa non poteva essere etichettata secondo le classiche categorie della critica: figuratva, non figurativa, impressionista,espressionista, concreta, astratta, d'avanguardia o no, perchè la vera arte contiene la totalità e quindi anche gli opposti, coincidentia oppositorum è infatti una caratteristica divina. Quella di Chagall si attaglia bene a questa descrizione. Il filosofo russo Pavel Florenskij in una sua opera sulle icone affermava che l'arte occidentale seguiva una strada sbagliata e che  sarebbe stato utile rivederne il concetto stesso. Egli morì nel 1941 e quindi non aveva potuto vedere le degenerazioni succedutesi nella seconda metà del secolo. La tradizione russa, con il suo misticismo, indubbiamente ha invece salvato Chagall influenzando la sua opera e permettendogli di rimanere nel campo dell'arte pura. Abbiamo già detto in altre parti che l'artista è assimilabile ad uno sciamano che sa trasportare dal quotidiano al trascendente, fin dalle origini prendendo spunto dalle grotte di Lascaux. Seguendo questa convinzione si può affermare che tutta la buona arte del novecento desacralizzato è un tentativo di ricondursi al sacro, come realtà profonda, negli oggetti di vita del quotidiano filtrati attraverso l'attenzione artistica. La riflessione ecobiologica in atto conduce inevitabilmente a rivedere anche i canoni estetici e la stessa filosofia dell'arte. Il nuovo valore di "rispetto per la vita"in generale porta a riconsiderarne la funzione. E' una interpretazione di natura "sacrale", il contrario delle provocazioni sterili e ottuse di certa cosidetta avanguardia degli anni sessanta e settanta. Del resto, come dicevamo, la natura stessa della manifestazione artistica di per sè non è mai stata lontana da questo rispetto per la vita  se si accettano le ipotesi  sull'arte primitiva come capacità magica di evocare il potere delle immagini per ricondursi alla comunione originaria con il cosmo, nel significato dell'antico cosmos greco. Tutto questo per dire che accanto ad un'arte deviata verso risoluzioni autodistruttive il novecento ha visto anche personaggi e movimenti che si sono mantenuti fedeli e coerenti con il suo fine. Chagall ne è un esempio e la sua produzione lo dimostra, dove il mito, il sacro ed il magico si mescolano per condurre alla forza  unificante dell'amore, come colla creativa della vita. Mi piace qui citare Herman Hesse che affermava: "L'inizio di ogni arte è l'amore. Il valore e la portata di ogni arte saranno decisi innnanzitutto dalla capacità d'amore dell'artista."
Dobbiamo qui fare alcune considerazioni sulle scelte culturali di questa amministrazione comunale: prima la Merda d'artista e poi Chagall e Segantini. Evviva la libertà, ma ritengo che la coerenza sia una virtù preziosa che permette di riconoscere un orientamento impegnato al bene comune e magari anche educativo, visto che è di "sinistra". A questo proposito ricordo ancora un artista da me menzionato nei precedenti post e negligentemente lasciato nel dimenticatoio degli assessori alla cultura, benchè sollecitati da circa venti anni. Parlo del pittore Marius Ledda che ha un percorso artistico simile a quello di Chagall,  benchè non perseguitato in quanto ebreo: ha soggiornato infatti molti anni all'Est, Russia e Romania, e poi a Parigi ed in Costa Azzurra. Ha dedicato la sua vita all'arte ed il Comune possiede una ventina di opere che tiene nei sotterranei. Sarebbe ora che decidesse di premiare il merito, non credete?