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domenica 19 ottobre 2014

Il diritto a una casa

                                       Il sogno di una casa, olio su tela.

 La casa nelle antiche tradizioni aveva un significato che oggi si fa fatica a comprendere a causa della mentalità tecnicista e riduttiva che abbiamo assorbito: i riti fondativi nelle varie culture arcaiche sono un esempio dell'importanza che si dava all'avvenimento costituito dalla costruzione di una casa. Questo era un atto sacro: la costruzione  era considerata un' imitazione della cosmogonia degli dei e il centro della casa costituiva un axis mundi. Essa era il corpo più grande e veniva messa in relazione con la terra.  Casa e terra erano due archetipi femminili mentre il cielo era maschile. La casa era un tramite tra la terra e il cielo infatti originariamente le antiche capanne erano circolari e il cerchio era simbolo del cielo ma al tempo stesso era anche ventre, utero, e al centro vi era il palo portante che costituiva l'asse del mondo,l'elemento di congiunzione fra la terra e il cielo. I materiali che venivano usati erano selezionati con cura e appartenevano  al territorio circostante, erano gli elementi costitutivi del paesaggio, le pietre, il legno, la terra, e subivano trasformazioni semplici che avvenivano in accordo con i ritmi stagionali e con le strette necessità, non vi era alcuno spreco. Si era così sicuri che i materiali fossero i più adatti per vivere a contatto con l'uomo. I costruttori di case erano spesso anche sciamani, guaritori, uomini medicina che avevano anche  il compito di tenere lontano le malattie attraverso un corretto uso delle risorse naturali oltre che attraverso l'utilizzo di forme simboliche e riti propiziatori con funzione apotropaica. Ancora oggi nelle case contadine si possono osservare alcuni aspetti che richiamano questi antichi valori: l'uso ad esempio di affrescare con immagini sacre le facciate delle case, il camino come asse verticale che comunica con un mondo celeste di fate, elfi, streghe, santi, befane, antenati . Nelle fiabe vicino al camino i balocchi si animavano, prendevano anima. Il pensiero razionale, che ha determinato la rivoluzione scientifica e tecnologica, ha progressivamente allontanato l'uomo da questa concezione della casa come specchio del cosmo, ha infatti coniato espressioni tipiche che erano molto di moda nel secolo scorso: la macchina per vivere, la casa elettrica, la casa del futuro, e così via, mutuando il linguaggio del mondo della meccanica che della fisica è la parte che più ha avuto fortuna perchè responsabile delle grandi invenzioni tecniche del XIX secolo. Questa riduttività scientifica ha svuotato la casa dei suoi valori tradizionali e quindi l'aspetto psicologico affettivo, simbolico, della funzione di abitare in genere è stato spesso trascurato da tutti coloro che si sono occupati e si occupano del problema casa, dalla sua programmazione e progettazione alla sua realizzazione e infine vendita e fruizione ed anche da coloro che si interessano della salute psicofisica degli individui. Questo riesame, in senso simbolico, costituisce indubbiamente una riaffermazione della gravità per una persona di una sua qualità scadente, della sua inadeguatezza o addirittura della sua assenza. Il diritto alla casa, sancito dalla nostra costituzione agli art. 2 e 3, porta con sè altri diritti fondamentali quali il diritto alla privacy, il diritto allo sviluppo e alla non discriminazione ed infine il diritto a conseguire il più alto livello di salute mentale e fisica. Su questi argomenti si discuterà a Milano, alle Gallerie d'Italia, in Piazza della Scala 2, lunedì 10 novembre dalle 9.30 alle 13, siete tutti invitati.
Per chi fosse interessato potete vedere il video di presentazione qui http://video.tiscali.it/canali/Regioni/Lombardia/225159.html                  

martedì 7 ottobre 2014

Francesco d'Assisi


                                           Autunno, acquarello su carta cm. 26x32



L'altro giorno era la festa di San Francesco e indugiavo in alcune riflessioni poichè questo santo cristiano viene considerato il più ecumenico ed ecosofico di tutti i numerosi mistici saliti all'onore degli altari. Il suo messaggio assomiglia molto a quello dei maestri di yoga indiani. Il suo riferirsi al passo evangelico in cui si esorta il credente a non preoccuparsi del futuro ma di affidarsi alla Provvidenza è sempre piaciuto, soprattutto ai giovani che vi hanno sempre visto la gioia di vivere, fuori dagli schemi di potere e dai drammi del possesso. "Dolce è sentire che non sei più solo ma che fai parte di una immensa vita", come recita il suo cantico, è un liberarsi dall'ego per approdare alla vera pace del cuore, i maestri indiani direbbero  consapevolezza dell'essere o  coscienza universale. Ma che cosa ci dicono oggi questi messaggi?  Il mondo è dominato da un' economia dilapidatoria  di guerra e ovviamente è dilaniato da continui conflitti generati dall'avidità e dalla ricerca del potere. Se non fosse per paura sarebbe già scoppiata la terza guerra mondiale, il pontefice afferma giustamente che è già in atto a episodi staccati. La stessa Chiesa però, solo dopo settecento anni dalla sua scomparsa, ha prodotto un papa che ha adottato il suo nome per il suo pontificato, eppure questo santo è il patrono d'Italia. In un mondo dominato dal dio denaro come è possibile che Francesco d'Assisi possa comunicarci ancora qualcosa? Notiamo tuttavia che quando si parla di Lui tutto il mondo si inchina. Una delle più ricche e popolose città degli USA ha preso il suo nome. E' ipocrisia oppure è la coscienza di una strada da percorrere che però fatichiamo a seguire? 
L'ambientalismo attuale dice che se non la imbocchiamo rischiamo la catastrofe. Siamo dunque consapevoli che la cultura dell'Occidente non porta da nessuna parte e guardiamo al santo poverello come ad un esempio di un modo più rispettoso di relazionarsi con la natura, vista come emanazione del divino, Gandhi chiamava questo "ahimsa", non violenza. "Deus meus et omnia" invocava Francesco e il "Tutto" è l'intero universo materiale visto come il cosmos dei Greci, ovvero ogni cosa al posto giusto in un' armonia perfetta che è sigillo della bellezza. 
Il franco-algerino Pierre Rabhi ha scritto "Sobrietà felice" dove mostra, anche con una certa ironia, l'assurdità di una vita motivata dal denaro e dalla dilapidazione delle risorse. Non so se egli si sia ispirato anche al santo di Assisi, certo è che lui, nato nel mondo islamico più povero, è cresciuto in Francia e Francesco, il cui nome gli fu imposto dal padre mercante per onorare i suoi traffici in questo paese, tentò una conciliazione fra l'Islam e i crociati cristiani. Sincronicità? Speriamo. Mio padre, come il genitore di Rabhi, era un artigiano, o meglio ancora era permeato di spirito artigianale, il che presuppone la saggezza di non consumare per lo spreco ma riparare, conservare e riciclare, dobbiamo tornare a questa mentalità, a un nuovo modello di sviluppo,  come mi sforzo di esporre nel mio ultimo libro "L'altro architetto", ed. Casagrande. I giovani ci seguiranno come dimostra questa lettera inviatami da un giovane architetto che mi conforta più di ogni critica colta. http://mauriziospada.jimdo.com/

Salve, mi chiamo Andrea Jacopucci, sono un giovane architetto.
ho letto alcuni dei Suoi libri ed articoli, in particolare ho trovato molto interessante e formativo "L'altro Architetto".
L'ho cercata per complimentarmi con Lei di un testo cosi sensibile e coinvolgente, inoltre colgo l'occasione per ringraziarla del contributo che questo testo ha dato alla mia formazione.
Grazie ancora e complimenti.
un lettore

giovedì 18 settembre 2014

La poesia di Chagall

                                          Il riposo dello Stannik, disegno su carta di M. Ledda

Leggendo i commenti alla mostra di Chagall mi riaggancio ad un paragrafo del libro Ecologia e Bellezza, ed. Alinea, da me scritto nel 2004, dove definivo vera arte quella permeata di spirito religioso e l'artista un mistico. Qui affermavo inoltre  che questa non poteva essere etichettata secondo le classiche categorie della critica: figuratva, non figurativa, impressionista,espressionista, concreta, astratta, d'avanguardia o no, perchè la vera arte contiene la totalità e quindi anche gli opposti, coincidentia oppositorum è infatti una caratteristica divina. Quella di Chagall si attaglia bene a questa descrizione. Il filosofo russo Pavel Florenskij in una sua opera sulle icone affermava che l'arte occidentale seguiva una strada sbagliata e che  sarebbe stato utile rivederne il concetto stesso. Egli morì nel 1941 e quindi non aveva potuto vedere le degenerazioni succedutesi nella seconda metà del secolo. La tradizione russa, con il suo misticismo, indubbiamente ha invece salvato Chagall influenzando la sua opera e permettendogli di rimanere nel campo dell'arte pura. Abbiamo già detto in altre parti che l'artista è assimilabile ad uno sciamano che sa trasportare dal quotidiano al trascendente, fin dalle origini prendendo spunto dalle grotte di Lascaux. Seguendo questa convinzione si può affermare che tutta la buona arte del novecento desacralizzato è un tentativo di ricondursi al sacro, come realtà profonda, negli oggetti di vita del quotidiano filtrati attraverso l'attenzione artistica. La riflessione ecobiologica in atto conduce inevitabilmente a rivedere anche i canoni estetici e la stessa filosofia dell'arte. Il nuovo valore di "rispetto per la vita"in generale porta a riconsiderarne la funzione. E' una interpretazione di natura "sacrale", il contrario delle provocazioni sterili e ottuse di certa cosidetta avanguardia degli anni sessanta e settanta. Del resto, come dicevamo, la natura stessa della manifestazione artistica di per sè non è mai stata lontana da questo rispetto per la vita  se si accettano le ipotesi  sull'arte primitiva come capacità magica di evocare il potere delle immagini per ricondursi alla comunione originaria con il cosmo, nel significato dell'antico cosmos greco. Tutto questo per dire che accanto ad un'arte deviata verso risoluzioni autodistruttive il novecento ha visto anche personaggi e movimenti che si sono mantenuti fedeli e coerenti con il suo fine. Chagall ne è un esempio e la sua produzione lo dimostra, dove il mito, il sacro ed il magico si mescolano per condurre alla forza  unificante dell'amore, come colla creativa della vita. Mi piace qui citare Herman Hesse che affermava: "L'inizio di ogni arte è l'amore. Il valore e la portata di ogni arte saranno decisi innnanzitutto dalla capacità d'amore dell'artista."
Dobbiamo qui fare alcune considerazioni sulle scelte culturali di questa amministrazione comunale: prima la Merda d'artista e poi Chagall e Segantini. Evviva la libertà, ma ritengo che la coerenza sia una virtù preziosa che permette di riconoscere un orientamento impegnato al bene comune e magari anche educativo, visto che è di "sinistra". A questo proposito ricordo ancora un artista da me menzionato nei precedenti post e negligentemente lasciato nel dimenticatoio degli assessori alla cultura, benchè sollecitati da circa venti anni. Parlo del pittore Marius Ledda che ha un percorso artistico simile a quello di Chagall,  benchè non perseguitato in quanto ebreo: ha soggiornato infatti molti anni all'Est, Russia e Romania, e poi a Parigi ed in Costa Azzurra. Ha dedicato la sua vita all'arte ed il Comune possiede una ventina di opere che tiene nei sotterranei. Sarebbe ora che decidesse di premiare il merito, non credete?

lunedì 1 settembre 2014

La pittura


                                               I limoni di Sergia, acquerello cm 40x50

Perchè un architetto si diletta a dipingere anzicchè progettare? O più in generale che cosa spinge un uomo a trasformarsi in pittore?
Ritengo che per rispondere a questa domanda dobbiamo risalire ai primordi, all'arte primitiva delle grotte di Lascaux. Queste stupende opere, che raffigurano in genere animali, mostrano come la necessità di rappresentare il mondo naturale abbia origine antichissima e sia connaturata all'essere umano che manifesta l'esigenza di trascendere il quotidiano per entrare nella sfera del senza tempo. La funzione di questi dipinti aveva lo scopo di favorire la fusione con l'anima del mondo. Avevano infatti un significato apotropaico e magico che doveva aiutare il cacciatore o il raccoglitore a procurarsi il cibo necessario al nutrimento della sua tribù. Questo bisogno di rappresentazione e creazione, con lo sviluppo della civiltà diventa sempre più sofisticato, insegue l'ideologia dominante e si distacca dalla natura, come del resto la cultura si separa dal territorio e la città diventa il luogo tipico dell'arte. Ma la forza del segno è sempre attiva e ne è consapevole chi vuole educare e convincere, come ad esempio le religioni. Il fondamento sacro della pittura viene così regolamentato dai sacerdoti che ne sottolineano il valore simbolico. Tutta la forza creativa è così incanalata in regole precise che lasciano poco spazio alla fantasia, come nella pittura egizia, ma ordinano un linguaggio comprensibile alla comunità. Nella Grecia antica, mentre la cultura insegue la bellezza nella natura verso un ideale universale,  anche la pittura si sottomette a questa finalità e torna a occuparsi del naturale sia pure elevandolo e nobilitandolo.  Nel mondo islamico invece il divieto di rappresentare l'uomo spinge la pittura verso una iconoclastia che apre all'astratto e influenza anche il nostro medioevo. Il Rinascimento torna all'antichità per continuare nella ricerca del bello. Solo con l'epoca moderna la pittura e l'arte in genere si liberano dai vincoli religiosi ma perdono il loro potenziale di comunicazione.
Con il Romanticismo si sottolinea il valore della libertà dell'artista e della sua originalità che, senza più regole si cimenta a volte in sterili estetismi e in espressioni di disagi interiori. La ricerca della bellezza diventa la ricerca di verità sconcertanti e scomode con nuovi linguaggi espressivi in alternativa alla natura apparentemente dominata.
Oggi l'ecologia profonda come forma di pensiero riscopre la natura in tutti i campi, compresa la pittura che utilizza i mezzi più semplici , acqua e colori.
Se volete osservare alcuni miei lavori andate sul seguente sito.
http://mauriziospada.jimdo.com/











domenica 17 agosto 2014

Ancora di pace

                                     Consiglio di guerra matita su carta cm.20x30 di Marius Ledda

Mancano ormai solo circa otto mesi all’apertura di Expo 2015 e si spera che la manifestazione,  nonostante i contrattempi e gli scandali  abbia il giusto successo. I mass-media parlano  spesso di padiglioni e monumenti che si metteranno in mostra per stupire ma spesso dimenticano il tema dell’esposizione che è « nutrire il pianeta, energia per la vita ». Questo argomento dell’alimentazione ne trascina un altro conseguente che è quello della pace : senza quest’ultima infatti non si puo alimentare nessuno, nè tanto meno dare energia alla vita. Ho già affrontato in altri post questo tema e non mi voglio ripetere, chi fosse interessato puo leggersi Apologia di un disertore  o Pacifismo ai tempi della guerra di Siria. Come ho già detto altrove  l’unico italiano, milanese, che ha ricevuto il Nobel per la pace nel 1907 fu Ernesto Teodoro Moneta il cui busto staziona  dimenticato  ai giardini Montanelli. Moneta era un ex garibaldino massone che, dopo aver sperimentato di persona la terribile esperienza dei campi di battaglia si era convertito alla causa della pace di cui divenne un grande sostenitore seguendo le teorie di Kant sulla pace universale.  Alcune sue affermazioni furono addirittura alla base della nascita della Società delle Nazioni prima e dell’ONU poi. Tuttavia ricordiamo che sette anni dopo il premio Nobel, nel 1914, divenne inerventista allo scoppio della Grande Guerra. Vale a dire che i lumi della ragione non ci risparmiano  dalle tragedie.
Personalmente ritengo che la pace la si conquista cambiando modello culturale. Hillman ha mostrato quanto sia falso e retorico esaltare la pace quando in noi vi è un terribile « amore per la guerra », come titola uno dei suoi preziosi saggi. Il nuovo modello é quello di mettere al centro la bellezza, sia a livello personale che internazionale, nè l’economia nè lo sviluppo, e non è un caso che sia stato uno psicanalista a dirlo  perchè ha sperimentato l’animo umano.  Ai tempi di Moneta la psicanalisi non era ancora nata.  
Vi é invece un bel libro di Federico Bock, uscito nel 2007 a Milano presso OTMA edizioni, che molto intelligentemente tratta della questione della pace interiore che poi si riflette in quella esteriore . Uno dei protagonisti é un clochard che ha preso dimora su una panchina dei giardini Montanelli, appunto accanto al busto di Ernesto Teodoro Moneta con il quale dialoga su cosa sia la pace. I vari personaggi, oltre a lui, la trovano  quando recuperano se stessi e la propria bellezza attraverso un viaggio nell’isola greca di Serifo. L’isola di Serifo, questo è il titolo del romanzo, è una favola molto profonda ed anche divertente che mostra come sia la poesia e la creatività a vincere sulla stupidità  che porta alle guerre.

venerdì 1 agosto 2014

Ciao Guglielmo



In occasione della scomparsa dell'architetto Guglielmo Mozzoni voglio ricordarlo a tutti voi con  questo scritto. Ciao Guglielmo mi mancheranno le nostre telefonate periodiche.

L'architetto Mozzoni apparteneva a quella generazione che da giovane aveva molto creduto nella tecnologia e nel progresso e pensava di poter risolvere i mali del mondo con lo sviluppo della scienza. Ma contrariamente a molti suoi contemporanei ha sempre sentito un forte amore per la natura e quasi un sentimento religioso di appartenenza ad essa. Un atteggiamento mistico che traspare in tutte le sue opere, soprattutto le più umili come gli acquarelli, e che lo portava a provare una forte tensione tra l'esigenza del nuovo e il preesistente naturale, tanto in alcuni casi da farlo rinunciare all'incarico pur di rispettare il contesto. In certi lavori si nota un forte conflitto tra le esigenze di un razionalismo astratto, tipiche della sua formazione, con quelle più propriamente organicistiche e mimetiche che tendono a inserire il nuovo in maniera misurata e rispettosa prendendo spunto dalla particolarità del luogo e dalla sua "spiritualità". Nei suoi scritti si legge un senso di meraviglia per la vita e la sua bellezza, che non tutti sanno cogliere se non i veri artisti o chi, come lui, è stato sul punto di perderla. Non a caso Guglielmo Mozzoni durante la guerra, come Dostjewski, si è salvato all'ultimo momento dalla fucilazione. Il suo yumor, che nasceva anche da questo evento, era sincero e coinvolgente come quello di un bambino, pervaso com'era di stupore infantile ad ogni manifestarsi della vera creatività. Aveva un'etica epicurea, nel senso classico, di aspirazione alla felicità attraverso la saggezza e l'accettazione del piacere come principio di vita. Ma al tempo stesso Mozzoni si poneva anche alla ricerca di valori eterni che indagava con spirito e senso dell'umorismo.  Bisogna ammettere che dove riusciva a sintetizzare le esigenze razionali con il suo istinto naturalistico realizzava capolavori di architettura, che oggi si potrebbe definire ecologica per l'accennato rispetto del contesto naturale e storico. Questo si vede soprattutto nelle ville e in quegli interventi, come nel Friuli, dove cerca nei morfemi locali lo spunto formale delle sue opere. Questo suo bisogno di sintesi ed al tempo stesso la sua tendenza al gioco ed all'invenzione, poichè nulla per lui era da prendere troppo seriamente, lo condussero a progettare quella che lui chiamava Città-Ideale GM, una casa città, sulla scorta dei grandi utopisti ottocenteschi, però con caratteristiche del tutto particolari. L'idea di Mozzoni anche se utopistica (nel senso letterale di senza luogo) contiene alcuni aspetti che costituiscono fonte di riflessione sulla vita comunitaria che oggi si conduce nelle città e  come potrebbe essere migliorata. Intanto suggerisce soluzioni per il traffico veicolare sostituendolo con scale mobili e tapis roulants, inventa artifici per avere il verde accanto all'abitazione senza occupare troppo territorio e poi tocca tanti altri aspetti della vita che riguardano sia il lavoro che le relazioni. Insomma egli, attraverso una metafora, ci invita a ripensare la nostra civiltà ed a cosa si potrebbe fare per favorire la reciproca comprensione ed avviare un nuovo umanesimo.
Per la psicologia di derivazione junghiana vi sono degli archetipi che guidano i comportamenti umani alle varie stagioni della vita nel processo di identificazione, verso l'età avanzata abbiamo il Saggio ed il Folle, l'uno che riordina razionalmente il vissuto e l'altro che si diverte senza più odiosi doveri di rappresentanza, Mozzoni li aveva ben interpretati con questa sua città ideale garanzia di realizzazione della sua piena umanità, la stessa forma sferica è una rappresentazione del Sè.

venerdì 25 luglio 2014

La Casa degli artisti a Milano


                                                  Marius Ledda China su cartoncino 40x50
                                              Il Principe dei gigli dal Palazzo di Cnosso, Creta.


Corso Garibaldi 89A, Casa degli Artisti. Negli anni tra il 1932 e il 1935 il pittore Marius Ledda, di cui abbiamo parlato nei precedenti post denunciando la trascuratezza dell'Amministrazione Comunale nei suoi confronti, provenendo da Parigi venne ospitato con il suo studio nella suddetta Casa che era un esempio del mecenatismo milanese dell'epoca. Insieme a lui avevano l'atelier parecchi altri pittori di fama come Mario Sironi piuttosto che Lucio Fontana, prima dei tagli. L'edificio era stato progettato e realizzato per ospitare infatti gli artisti che frequentavano il quartere di Brera, allora effettivamente il crogiuolo della cultura figuratva milanese, non come oggi appannaggio di Banche e Sarti. I fratelli Bogani lo costruirono tra il 1910 e il 1913 come palazzo esclusivo di  laboratori artistici per scultori, pittori e fotografi. Ai vari piani infatti si distribuivano gli ateliers che si aprivano verso nord con delle grandi vetrate per la luce indiretta ed ampi terrazzi che si affacciavano su un giardino, uno dei rarissimi scampoli di verde del centro. Nel 1935 era stato espropriato dal Comune che prevedeva di dare in concessione ad alcune Società Edilizie tutto il quartiere per essere "riqualificato" secondo logiche speculative e quindi anche l'edificio in oggetto doveva essere abbattuto. Per fortuna la guerra scombinò tutto con i bombardamenti, non sempre questi sono dannosi, distrusse tutto intorno tranne la Casa degli artisti che miracolosamente rimase in piedi, a volte la creatività ha la meglio in condizioni estreme.. Anche nel dopoguerra continuò ad ospitare artisti, come Lilloni ad esempio, fino al 2007, anno in cui venne definitamente sgomberato con le forze dell'ordine e infine abbandonato. Domanda: cosa intende farne l'attuale amministrazione? Per ora non è chiaro e l'edificio si presenta in penose condizioni, tutto puntellato e ricoperto da impalcature. Nella Milano dei nuovi grattacieli voluti da un'amministrazione riverente al profitto ed al globalismo senza qualità ci sarà pure spazio per un esempio di quella che in altri tempi era l'etica della cosidetta borghesia illuminata: guadagnare sì da una parte ma per investire poi in un'idea di bellezza che passava attraverso il rispetto e l'ammirazione per gli artisti. Questo spirito oggi si è perso, come ho scritto in più occasioni, per ossequio al denaro che in questo inizio di secolo pare essere l'unico interesse di una cultura dominata dalle banche. Siamo in attesa di risposte convincenti.