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venerdì 1 agosto 2014

Ciao Guglielmo



In occasione della scomparsa dell'architetto Guglielmo Mozzoni voglio ricordarlo a tutti voi con  questo scritto. Ciao Guglielmo mi mancheranno le nostre telefonate periodiche.

L'architetto Mozzoni apparteneva a quella generazione che da giovane aveva molto creduto nella tecnologia e nel progresso e pensava di poter risolvere i mali del mondo con lo sviluppo della scienza. Ma contrariamente a molti suoi contemporanei ha sempre sentito un forte amore per la natura e quasi un sentimento religioso di appartenenza ad essa. Un atteggiamento mistico che traspare in tutte le sue opere, soprattutto le più umili come gli acquarelli, e che lo portava a provare una forte tensione tra l'esigenza del nuovo e il preesistente naturale, tanto in alcuni casi da farlo rinunciare all'incarico pur di rispettare il contesto. In certi lavori si nota un forte conflitto tra le esigenze di un razionalismo astratto, tipiche della sua formazione, con quelle più propriamente organicistiche e mimetiche che tendono a inserire il nuovo in maniera misurata e rispettosa prendendo spunto dalla particolarità del luogo e dalla sua "spiritualità". Nei suoi scritti si legge un senso di meraviglia per la vita e la sua bellezza, che non tutti sanno cogliere se non i veri artisti o chi, come lui, è stato sul punto di perderla. Non a caso Guglielmo Mozzoni durante la guerra, come Dostjewski, si è salvato all'ultimo momento dalla fucilazione. Il suo yumor, che nasceva anche da questo evento, era sincero e coinvolgente come quello di un bambino, pervaso com'era di stupore infantile ad ogni manifestarsi della vera creatività. Aveva un'etica epicurea, nel senso classico, di aspirazione alla felicità attraverso la saggezza e l'accettazione del piacere come principio di vita. Ma al tempo stesso Mozzoni si poneva anche alla ricerca di valori eterni che indagava con spirito e senso dell'umorismo.  Bisogna ammettere che dove riusciva a sintetizzare le esigenze razionali con il suo istinto naturalistico realizzava capolavori di architettura, che oggi si potrebbe definire ecologica per l'accennato rispetto del contesto naturale e storico. Questo si vede soprattutto nelle ville e in quegli interventi, come nel Friuli, dove cerca nei morfemi locali lo spunto formale delle sue opere. Questo suo bisogno di sintesi ed al tempo stesso la sua tendenza al gioco ed all'invenzione, poichè nulla per lui era da prendere troppo seriamente, lo condussero a progettare quella che lui chiamava Città-Ideale GM, una casa città, sulla scorta dei grandi utopisti ottocenteschi, però con caratteristiche del tutto particolari. L'idea di Mozzoni anche se utopistica (nel senso letterale di senza luogo) contiene alcuni aspetti che costituiscono fonte di riflessione sulla vita comunitaria che oggi si conduce nelle città e  come potrebbe essere migliorata. Intanto suggerisce soluzioni per il traffico veicolare sostituendolo con scale mobili e tapis roulants, inventa artifici per avere il verde accanto all'abitazione senza occupare troppo territorio e poi tocca tanti altri aspetti della vita che riguardano sia il lavoro che le relazioni. Insomma egli, attraverso una metafora, ci invita a ripensare la nostra civiltà ed a cosa si potrebbe fare per favorire la reciproca comprensione ed avviare un nuovo umanesimo.
Per la psicologia di derivazione junghiana vi sono degli archetipi che guidano i comportamenti umani alle varie stagioni della vita nel processo di identificazione, verso l'età avanzata abbiamo il Saggio ed il Folle, l'uno che riordina razionalmente il vissuto e l'altro che si diverte senza più odiosi doveri di rappresentanza, Mozzoni li aveva ben interpretati con questa sua città ideale garanzia di realizzazione della sua piena umanità, la stessa forma sferica è una rappresentazione del Sè.

venerdì 25 luglio 2014

La Casa degli artisti a Milano


                                                  Marius Ledda China su cartoncino 40x50
                                              Il Principe dei gigli dal Palazzo di Cnosso, Creta.


Corso Garibaldi 89A, Casa degli Artisti. Negli anni tra il 1932 e il 1935 il pittore Marius Ledda, di cui abbiamo parlato nei precedenti post denunciando la trascuratezza dell'Amministrazione Comunale nei suoi confronti, provenendo da Parigi venne ospitato con il suo studio nella suddetta Casa che era un esempio del mecenatismo milanese dell'epoca. Insieme a lui avevano l'atelier parecchi altri pittori di fama come Mario Sironi piuttosto che Lucio Fontana, prima dei tagli. L'edificio era stato progettato e realizzato per ospitare infatti gli artisti che frequentavano il quartere di Brera, allora effettivamente il crogiuolo della cultura figuratva milanese, non come oggi appannaggio di Banche e Sarti. I fratelli Bogani lo costruirono tra il 1910 e il 1913 come palazzo esclusivo di  laboratori artistici per scultori, pittori e fotografi. Ai vari piani infatti si distribuivano gli ateliers che si aprivano verso nord con delle grandi vetrate per la luce indiretta ed ampi terrazzi che si affacciavano su un giardino, uno dei rarissimi scampoli di verde del centro. Nel 1935 era stato espropriato dal Comune che prevedeva di dare in concessione ad alcune Società Edilizie tutto il quartiere per essere "riqualificato" secondo logiche speculative e quindi anche l'edificio in oggetto doveva essere abbattuto. Per fortuna la guerra scombinò tutto con i bombardamenti, non sempre questi sono dannosi, distrusse tutto intorno tranne la Casa degli artisti che miracolosamente rimase in piedi, a volte la creatività ha la meglio in condizioni estreme.. Anche nel dopoguerra continuò ad ospitare artisti, come Lilloni ad esempio, fino al 2007, anno in cui venne definitamente sgomberato con le forze dell'ordine e infine abbandonato. Domanda: cosa intende farne l'attuale amministrazione? Per ora non è chiaro e l'edificio si presenta in penose condizioni, tutto puntellato e ricoperto da impalcature. Nella Milano dei nuovi grattacieli voluti da un'amministrazione riverente al profitto ed al globalismo senza qualità ci sarà pure spazio per un esempio di quella che in altri tempi era l'etica della cosidetta borghesia illuminata: guadagnare sì da una parte ma per investire poi in un'idea di bellezza che passava attraverso il rispetto e l'ammirazione per gli artisti. Questo spirito oggi si è perso, come ho scritto in più occasioni, per ossequio al denaro che in questo inizio di secolo pare essere l'unico interesse di una cultura dominata dalle banche. Siamo in attesa di risposte convincenti.






lunedì 14 luglio 2014

Paesaggi

                                                            Infinito olio su tela 70x50

Tempo di vacanze, tempo di paesaggi inconsueti. Paesaggi rurali della nostra bella Italia sintesi armoniica di natura e cultura. Oggi il naturale risulta sempre bello perché natura primigenia in se, mentre l'artificiale qualche volta è bello ma spesso è brutto, contrariamente alla concezione greca, oggi spesso si vede l'intervento dell'uomo come deturpazione. D'altra parte in una situazione in cui lo sviluppo tecnologico ha messo l'uomo d'oggi nelle condizioni di avere la possibilità di distruggere completamente la vita, e quindi gli dà la responsabilità di mantenerla, il naturale appare come un ambiente artificialmente tenuto cosi, come memoria della natura primigenia e appare bello pur nelle contrastanti tendenze estetiche. Oggi  si puo notare che non vi è contraddizione tra naturale e artificiale qualora l'uomo abbia interpretato le sue esigenze più profonde e non abbia dato libero sfogo alla sua distruttività. Il naturale autentico risulta anzi come prodotto di una scelta creativa dell'uomo che individua come necessario e bello lasciare le cose come stanno. La creatività dell'uomo sta nella selezione, nella cernita, nel riconoscere la superiorità delle forze creatrici della natura, nell'essere umile e scoprire che in determinate circostanze é meglio non intervenire. Il paesaggio storico agricolo é il risultato della modificazione del selvaggio mediante elementi naturali o meglio mediante elementi organici viventi. L'uomo nella trasformazione agricola tradizionale é stato guidato da preoccupazioni ben lontane da intenti estetici coscienti, pero nel paesaggio storico si nota un aspetto caratteristico delle attività umane: quando prevale la creatività, sia pure inconsapevole e determinata da necessità contingenti, si ha benessere psichico, cioé bellezza. L'attività agricola ha in effetti tradizionalmente costituito l'incontro creativo tra l'uomo e la natura: questa viene conosciuta e incanalata verso una maggiore capacità di vita, ecco perchè il mondo agricolo ha da sempre destato sensazioni di benessere. Nell'agricoltura tradizionale l'uomo ha si modificato l'ambiente naturale ma plasmandolo con le proprie mani nello sforzo umile e generoso di adattare il naturale ai bisogni fondamentali di vita. Spesso il paesaggio che ne deriva è il risultato di uno sforzo collettivo che inconsciamente è artistico, se per arte con Jung si intende la capacità di esprimere le forze primigenie del nostro inconscio collettivo che sono tensione tra l'istintuale e il trascendente, tra materia e spirito, tra profano e religioso, alla ricerca di nuove sintesi al fine di una esperienza del tutto.

martedì 1 luglio 2014

Il sacro e il profano


                                                                 I l  sacro e il profano 

La perdita della bellezza nel mondo contemporaneo è da rferirsi alla perdita del sacro, nel senso che il sacro è la realtà profonda. Il profano, che etimologicamente significa fuori dal tempio, è la realtà superficiale, quotidiana, mentre il sacro è la realtà sotto la superficie. La cifra del profano è la quantità, quella del sacro è la qualità. Il Novecento è il trionfo del profano, segnalato anche dagli artisti che denunciano questa perdita con i loro inquietanti manichini senza volto o, in campo letterario, con il pirandelliano, Uno, nessuno, centomila. Usando la metafora mitologica è la vittoria dei titani sugli dei, e quando vincono i titani c'è la perdita dell'armonia e il cosmo si trasforma in caos. Kosmos in greco antico ha un significato che va oltre quello dell'italiano universo, con cui lo traduciamo: il cosmo è sacro perchè divino ordine ed armonia, ogni cosa al posto giusto e quindi bellezza. Con la perdita del sentimento del sacro si è persa dunque la bellezza. Non per nulla la cosmetica che riguarda la bellezza del corpo deriva da cosmo. Lo scientismo del Novecento ci ha allontanati dalla bellezza cosmica, che cogliamo solo con la poesia, la quale nasce dal sentimento del bello, ovvero dalla creatività, in greco antico il verbo poieo, da cui deriva il vocabolo italiano poesia, vuol dire creare.

domenica 22 giugno 2014

Ecosofia

                                                       Liguria da salvare, acquerello 38x50

Ecosofia è un neologismo che mette in relazione l'amore per il sapere con l'amore per l'ambiente e la sua conservazione. Dunque un sapere utile all'equilibrio uomo e ambiente, ovvero l'ecologia profonda come forma di pensiero. Nasce cosi una rinnovata attenzione a quello che si rischia di perdere per sempre e cioè il paesaggio come sintesi di natura e cultura formatasi nei secoli. Questo rinnova anche un nuovo interesse per i valori umani.
La cultura che ne scaturisce cambia anche il nostro giudizio estetico: quello che prima appariva bello perchè generava ammirazione per la volontà di potenza e le possibilità della tecnica, ora ci appare incombente e pericoloso per la nostra salute e per quella del pianeta.
La bellezza di una costruzione risulta quindi da una delicata alchimia tra la capacità di chi l' ha progettata e costruita di mettersi in relazione con il contesto ambientale e umano e la capacità di chi ne fruisce di mettersi in uno stato contemplativo che permette di percepire questa attenzione alla vita  e alla felicità. Ma tutto questo si genera solo in condizioni particolari di pienezza del vivere e soprattutto di soddisfazione e di gioia, emozioni che passano attraverso l'individuazione e l'appartenenza   e sono messe in fuga dal titanismo incombente imposto dal di fuori che stravolge il paesaggio consolidato.

giovedì 12 giugno 2014

Ancora arte concettuale? No grazie


                                                          In cammino per Santiago


Leggo con meraviglia e un certo sogghigno che qualcuno ha impiccato Catellan, in effige naturalmente, era un manichino di cera con le sue sembianze appeso ad un albero. Chi la fa l'aspetti direbbe il saggio, qualcuno ha voluto dimostrare quanto ridicole siano certe performances di arte contemporanea con la loro pretesa di ergersi al disopra del sentire comune. Ho già detto che per me non si tratta di arte ma di esibizione narcisistica di disagi interiori che hanno la pretesa di interpretare lo spirito dell'epoca e che, per il fatto di essere mostruosi, nel senso latino di portentosi e provocatori, fanno colpo sui mass-media e dunque costituiscono un potenziale di comunicazione che suscita attenzione e quindi pubblico. Il solito Catellan è capace di richiamare molta attenzione vuoi in negativo che in positivo, a quest'ultima categoria appartengno quei pochi potenti che hanno fatto salire le sue quotazioni vertiginosamente e che plaudono interessati ad ogni sua esibizione, alla prima invece appartengono quei tanti, come me, che vorrebbero essere lasciati in pace da queste provocazioni in un mondo reale che già di per sè ne è pieno: ai famosi eccessi della "surmodernitè" di Marc Augè sono da aggiungere anche questi. Ma veniamo ai fatti: dieci anni fa "regnava" a Milano il sindaco Albertini amante delle installazioni provocatorie purchè di richiamo internazionale, vedi Alba di luce davanti alla stazione Centrale, L'ago e il filo in Piazza Cadorna, Liberskind alla ex fiera ecc, va da sè che il personaggio non poteva non vedere di buon occhio la possibilità di mettersi in mostra attraverso le performances di uno come Catellan. Dunque il suddetto artista pensò bene che esibire dei manichini raffiguranti bambini appesi per il collo alla quercia di piazza XXIV maggio fosse abbastanza scioccante da far parlare tutti i media. E così fu. Infatti tutti i giornali ne parlarono e ci furono i soliti stucchevoli dibattiti su ciò che era arte e ciò che non lo era. Nel frattempo un muratore sensibile, offeso da questa macabra rappresentazione, si arrampicò sull'albero e zac, tagliò le corde agli impiccati che caddero al suolo. La maggior parte della gente applaudì ma non il Comune che denunciò il poveretto per danneggiamento di opera d'arte e credo che fu anche processato. Non so che fine abbia fatto ma forse quelli che hanno impiccato Catellan in effige, dieci anni dopo, hanno voluto vendicarlo e lanciare questo messaggio:"Siamo stufi di queste performances degli "artisti" contemporanei, dei Piero Manzoni, dei Catellan, delle Abramovich e compagnia cantante, siamo stufi dalla negatività umana ingigantita dai mass-media, vogliamo ritornare ad un'arte che insegua la bellezza come rispetto per la vita e come promessa di felicità, vogliamo provare emozioni positive e non essere continuamente provocati da emozioni legate alla rabbia e alla paura. Di questo dovrebbero tener conto gli amministratori prima di lasciar spazio a qualche matto ricco e alle sue esternazioni e visto che si lamentano tanto degli writers dovrebbero magari chiudere un occhio in più là dove sia individuato un valore di arte nel senso suddetto, oltretutto è gratis.  Tra l'altro farebbe anche meglio agli assessori alla cultura visto che uno di questi è svenuto durante una perfomance di Marina Abramovich. 

lunedì 2 giugno 2014

La beffa di Livorno

Sono passati trent'anni dalla famosa beffa dei falsi Modigliani ma pare che l'etablissement dell'arte occidentale contemporanea non abbia imparato nulla dalla lezione, anzi addirittura si pensa di organizzare una mostra con i falsi che sicuramente richiameranno un vasto pubblico. Vale a dire non importa se quello era uno scherzo poichè ne ha parlato tutto il mondo il valore di quei sassi è diventato la loro capacità di attrazione che si traduce anche in denaro. La storia è questa per chi non la coscesse. Tre giovani studenti, appena usciti dalla maturità liceale, osservavano da un ponte le ricerche di una scavatrice in un canale di Livorno perchè qualche storico aveva messo in giro la voce che il bel Modì prima di trasferirsi definitivamente a Parigi, dove morì, lasciò la sua città arrabbiato contro di essa e gettò furente delle sue sculture in un fosso. Da qui le ricerche. I tre ragazzi si divertivano a veder tirar su di tutto tranne che le sculture e pervasi di spiritaccio toscano organizzarono la beffa mentre anche un altro "artista" si cimentava in ben due falsi. La sera buttarono in acqua ciascuno il proprio capolavoro gli uni all'insaputa dell'altro. Il mattino dopo ecco che nel tripudio generale la scavatrice trova  le tre teste di pietra. I media i tutto il mondo ne parlano, grandi critici dell'epoca, da Argan a Ragghianti, ci cascano. E sì che Argan aveva scritto Salvezza e caduta dell'arte moderna. Si organizza una mostra, si trovano i soldi, che solitamente per la cultura non si trovano mai, per un catalogo di lusso. Quando i ragazzi confessano ai giornali lo scherzo non gli credono, devono andare in televisione e far vedere come hanno fatto. La curatrice ha un malore. Il mondo del'arte è scosso. Una cultura sana avrebbe reagito rimettendo in discussione alcuni  dei pilastri dell'arte contemporanea: ad esempio il culto dell'avanguardismo e della provocazione, della originalità e della personalità, invece nulla. Ancora oggi si ride della beffa ma il nostro mondo consumista,in verità  del culto del denaro, ha metabolizzato anche questo, anzi come per la Merda d'artista ci saranno sicuramente  dei collezionisti che vorranno appropriarsi di questi falsi e qualcuno dirà che valgono perchè realizzati con intenzione artistica
                                                    Il risveglio, olio su tela cm. 50x70