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venerdì 3 giugno 2022

La cultura della bellezza


"La politica dunque avrebbe come compito primario di ricondurre alla bellezza come rispetto per la vita, che naturalmente si traduce in rispetto per tutto ciò che vive, uomini e natura." Così Maurizio Spada ricolloca il concetto di bellezza, sottraendolo alla considerazione di accessorio di lusso, ancor più tale ora nella combinazione di emergenze climatiche, pandemiche e di guerra. Lo fa con 'La cultura della bellezza-Architettura, urbanistica, paesaggio: una riflessione ecologista', pubblicato da Albeggi Edizioni. Proprio di una riflessione ecologista si tratta: un approccio olistico e sistemico che, in modo molto scorrevole, consente al lettore di comprendere l'essenza concreta del nuovo mantra del 'cambio di paradigma'. Maurizio Spada fa questa operazione fuori da ogni ambiguità,  fuori da ogni luogo comune della simulazione del greenwashing, mettendo al centro dell'affresco che ci propone l'abitare, cioè il vivere consapevolmente la dimensione urbanizzata e la relazione con il territorio tutto. E' un richiamo all'etica della responsabilità, certamente, insieme all'esercizio di una azione dell'attività umana all'insegna della qualità e dell'armonia, questo è il paesaggio agroecologico e di un urbanesimo capaci di abilitare un ben essere nella nostra relazione con il vivente e con una comunità sociale capace di consapevolezza e di abilitazione della cittadinanza attiva. Ecco quindi l'arte ed i suoi linguaggi espressivi ricondotti alla loro funzione generativa che concorre alla capacità di visione per una politica del possibile, anche di fronte all'inaspettato, e non con mero riferimento all'esistente. La riflessione che delinea Maurizio Spada può apparire estranea al nuovo contesto del processo cognitivo, un contesto dallo spettro predefinito digitale, dentro la riproposizione, nel nome delle emergenze combinate, dei modelli più dissipativi di risorse, di cibo, di ambiente e di salute: dal carbone ai pesticidi, dalla fissione nucleare all'agricoltura intensiva. Mi auguro che il libro venga letto dagli insofferenti, prodotti dell'omologazione atomizzata dell'individualismo sovranista e stupori inediti. Mi auguro che questa lettura coltivi in loro una funzione inquieta, capace di porsi domande, di generare nuovi sguardi e la necessità di una ricomposizione della sfera antropologica del vivente con la sfera biologica. Come ben evidenzia Spada, la bellezza ha immediatamente e positivamente a che fare con l'economia. Infatti è chiaro a tutti che un sistema territoriale qualitativo: qualità ambientale, qualità dei servizi e infrastrutture, qualità sociale, qualità dell'offerta culturale, è un sistema abilitante per la produzione di valore nell'economia della conoscenza. Sia chiaro nell'economia non nella deriva finanziaria del valore nominale che l'ha sostituita. In questo senso è felice la chiosa di Ilaria Borletti Buitoni che, nella prefazione, chiede "Esiste un diritto alla bellezza? Sì, esiste come dovrebbe esistere una gestione del contesto che tanto incide sulla vita che tenda al bello perché ad esso si accompagna necessariamente quell'armonia tra Uomo e Natura che tutela l'ambiente e la salute di chi vi abita.".

Fiorello Cortiana



 

venerdì 23 novembre 2018

Manifesto sul diritto alla bellezza


venerdì 21 marzo 2014

L'eleganza dell'arte

Riprendo il discorso sull'arte del '900 affrontato nel post Delenda Ars del luglio scorso, in quella occasione avevo appena visitato una mostra sulla pittura dell'ottocento e del novecento ed avevo espresso il parere che su buona parte dell'arte del secondo novecento, cioè dagli anni '50 in poi, era meglio stendere un velo di oblio se proprio non la si voleva distruggere.  Oggi ricevo un invito per una mostra a Palazza Reale dedicata a Piero Manzoni e la sua merda d'artista. Avevo già detto, in altra mia pubblicazione, che l'arte concettuale è una mistificazione dell'arte e che sarebbe il caso che la cultura dell'Occidente rivedesse il significato stesso del termine. La mia opinione è che da quando il filosofo romantico Friedrich Schiller agli inizi dell' 800 ha affermato essere l'arte l'attività umana che crea da se le sue regole, e si è messo l'accento sull'originalità e la novità, abbiamo avuto un crescendo di provocazioni con lo scopo precipuo di stupire ed essere davanti a tutti nella ricerca dello strano. Il fatto poi che una filosofia prevalente tendesse alla smaterializzazione dell'arte ha fatto sì che quest'ultima si snaturasse per diventare "pura idea" e l'elemento teorico prevalesse su quello estetico. Questo termine deriva da aesthesis, in greco sensazione. Il termine snaturare non è usato a caso perchè l'arte nella sua natura ha bisogno dell'elemento materiale per esprimersi, nell'antica Grecia la techne (arte) era l'abilità dell'artigiano nel trattare la sua materia propria, lo scultore il marmo, il pittore i colori e così via , che una corrente contemporanea  intendesse per arte un concetto è un travisamento del suo significato. Inoltre è un falso perchè anche il concettuale si esprime con la materia, anche se fecale, nel nostro caso, inscatolata in belle lattine con tanto di scritte per essere collezionate.  E qui casca l'asino, si può così notare che sono i collezionisti che determinano il valore di un artista e di una sua opera e quanto più sono potenti tanto meno sopportano che quello che hanno collezionato, naturalmente consigliati da critici interessati, possa scendere di valore. Questa è un' operazione finanziaria che nulla ha a che fare con l'arte ed il suo significato che dalle origini delle grotte di Lascaux è sempre stato quello di unire il fenomeno al noumeno, la terra al cielo, direbbero i poeti,  mediante l'artista sciamano favorire la fusione con il cosmo, uso questo termine e non universo perchè per i Greci cosmos aveva un valore estetico, cioè legato alla bellezza. Tornando a noi, quindi a uno spirito ecologico, che oggi dovrebbe essere prevalente come rispetto per la vita anche in relazione al tema di Expo, suona offensivo che si vada a recuperare un artista folle, morto a trent'anni di cirrosi per il troppo bere.  Un' idea che vuole migliorare il mondo prima dovrebbe far bene a chi la propugna. Lui sostenuto da una cultura coprofaga e malata di narcisismo, esaltava le  proprie feci come  trionfo di Thanatos.  Questo giovane assessore  che, a fronte di una mia richiesta di una mostra su Marius Ledda, un grande artista (questo sì) che ha dedicato una lunga vita piena di avventure alla ricerca del sublime, dimenticato immeritatamente dai suoi predecessori, mi  ha fatto comunicare che Palazzo Reale è occupato fino a tutto il 2016 ci dovrà spiegare che cosa ci aspetta dopo la merda.

giovedì 12 dicembre 2013

Viva Mandela

La morte di Nelson Mandela e tutti i commenti sulla sua vita che sono apparsi sui mass-media ci portano a riflettere sulla figura dell'eroe e del saggio, modelli di riferimento dell'antichità classica, sostituiti  poi, in epoca cristiana, dal cavaliere e dal santo. Lui era sia l'uno che l'altro, almeno così lo descrivono i suoi commentatori. Che cosa dà più senso alla vita di un uomo se non la sua perfetta adesione al destino che un disegno provvidenziale gli ha assegnato? Tutti noi abbiamo un compito, palese o nascosto, che contribuisce all'arricchimento, in senso etico-spirituale, della società di cui facciamo parte. Lui il suo compito lo ha individuato nella difesa della libertà e ne è stato talmente convinto che ha affrontato qualsiasi prova, anche le peggiori, pur di mantenersi fedele a questa sua convinzione che gli veniva dal di dentro. Non molto diversamente vengono descritte le vite dei primi cristiani che affrontavano il martirio pur di non abiurare la propria fede o dei filosofi che affrontavano la prigione o il patibolo per non tradire le proprie convinzioni. Come i modelli classici la sua figura è di natura etica ed estetica insieme. L'ammirazione che genera in noi Mandela dipende anche dal fatto che in lui vediamo anche l'uomo felice, perchè realizzato, che ha vissuto una vita lunga ed appagante. In fin dei conti Aristotele diceva che le virtù sono fatte per la felicità e Nelson lo ha dimostrato sia nel dolore che nella gioia, trattando entrambi con sereno distacco. Infatti potrebbe sembrare in questo tripudio di elogi per una vita esemplare che si sia dimenticato il dolore ma questo è ben presente nella realtà naturale della vita di ogni individuo. Ma l'uomo realizzato, quindi stupendamente creativo, sa che il dolore ha comunque la funzione di indicare il cammino di vita se viene accettato. Il dolore "è la rottura del guscio della nostra intelligenza", dice Kalil Gibran. La creatività consiste infatti anche nella capacità di accettare il dolore, accoglierlo e trasformarlo in esperienza rigenerante. Il piacere e il dolore sono due opposti che hanno bisogno l'uno dell'altro. Come diceva il saggio Eraclito, le cose nascono dalla lotta dei contrari e quello che oggi è piacere magari domani sarà dolore. Tutto è relativo. L'etica stoica del grande Marco Aurelio, cui il nostro Nelson potrebbe essersi riferito, insegna dunque che non bisogna disperarsi nel dolore e rallegrarsi troppo nella gioia.  Tutto è relativo al nostro modo di essere e alla nostra interpretazione della posizione che occupiamo nel mondo. Grazie Mandela per avercelo ricordato  con la tua vita in questa epoca povera di modelli.