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lunedì 3 febbraio 2014
Nuovo umanesimo?
Dove va la società? Siamo nell'epoca della tecnica ,ovvero della razionalità funzionale, dicono i filosofi, ma funzionale a chi? Al potere del denaro che è ristretto in poche mani e pilota le scelte economiche e politiche. Secondo alcuni non c'è scampo: è finita l'epoca dell'umanesimo e con essa la possibilità di invertire la rotta verso il baratro dell'autodistruzione. Io non son d'accordo con queste cassandre che fanno delle loro funeste previsioni un motivo di fama e di trionfo del loro ego. Ci vuole un nuovo umanesimo. In fin dei conti l'uomo a livello profondo è sempre uguale e le sue aspirazioni sono fondamentalmente sempre le stesse: vogliamo infatti essere felici, relizzarci,scoprire il significato della nostra esistenza e compierlo, nonchè acquisire il senso della connessione con il Trascendente. Il problema è come vogliamo realizzare queste mete. Vi sono quelli che ritengono che il loro destino sia quello di dominare e cercano con sempre più dominio un surrogato di eternità, sono per lo più coloro che cercano il potere a tutti i costi, vi sono altri che si rifugiano nelle religioni trovando nei riti e nei dogmi un appagamento al loro bisogno di infinito, gli uni non escludono gli altri ovvero a volte la religione copre l'esigenza di dominare, infine esistono i poeti, i mistici e i filosofi ovvero quelli che si immergono nel mare dell'essere e ne emergono con verità ineffabili. Questi ultimi sono i più creativi perchè sono i più distaccati dall'egolatria che prevede il culto della personalità e l'illusione che il potere sia succedaneo di immortalità, come del resto il sesso, non a caso Platone li aveva indicati come i Custodi. Purtroppo di queste tre categorie la prima è quella che è disposta a tutto pur di avere il Potere ed è anche quella che alla fine la spunta meglio sui poeti e i filosofi. In verità anche nelle democrazie noi mandiamo in genere al potere il peggio della società, basti vedere gli scandali di sesso e di denaro dei nostri politici che ultimamante riempiono i giornali. Inoltre i primi sono facile preda, proprio perchè hanno una personalità incompleta, di delirio di onnipotenza e da qui discendono tutte le degenerazioni che abbiamo osservato nel corso del' 900. Il sesso, proprio perchè è il portatore della vita, per questi diventa un'altra illusione di potenza e di immortalità e ciò vale sia per gli uomini che per le donne. A questo proposito basti pensare ai tempi dell'impero romano dove Messalina, prima moglie di Claudio, narra la cronaca di quell'epoca, si mascherava e faceva la gara in un lupanare con la più famosa prostituta a chi aveva più amplessi in un giorno. Come si vede nulla è nuovo sotto il sole per quanto riguarda le possibili degenerazioni di potere e di sesso, sono del resto arcinote le perversioni di Hitler. Ma forse proprio per questo si può pensare di correggerli. Come? Non è facile dare suggerimenti ma gli effetti di queste storture dovrebbero essere sempre comunicate da una generazione all'altra. Hanno ragione gli ebrei a temere che le nuove generazioni dimentichino la Shoah, il negazionismo ha questo scopo far dimenticare gli effetti della follia per illudersi di nuovo con il Potere.
sabato 25 gennaio 2014
Scienza e conoscenza
Lontano da noi l'idea di demonizzare la scienza. A quest'ultima si debbono infatti innumerevoli benefici in vari campi: quello medico ad esempio o quello delle comunicazioni, tanto per citare due settori in cui la ricerca scientifica ha fatto passi da gigante e continua a farli. In ambedue vi è stato un indubbio beneficio per le persone. Basti pensare agli antibiotici che hanno debellato malattie tradizionalmente mortali, come la tisi ad esempio, personalmente sono un beneficiato della pennicillina che a tre anni mi ha salvato dalla broncopolmonite. Nella comunicazione hanno reso possibili contatti diretti e liberi, in tempo reale anche a grande distanza, con internet e la telefonia mobile. Vi immaginate i fanti della prima guerra mondiale con il telefnino: "Ciao mamma vado all'assalto". Fuori dallo scherzo si potrebbe dire che non sarebbero stati possibili i segreti militari o gli effetti delle battaglie manipolabili dalla propaganda. La ipercomunicazione che oggi lamentiamo in questo senso è benefica. Ma come tutti gli strumenti può essere usata male. Marc Augè sentenzia che la contemporaneità genera tre eccessi, di tempo, di spazio e di individualità, diventano storia fatti relativamente vicini nel tempo, arrivano a noi fatti che accadono lontano e questi incidono sulla coscienza della persona che è troppo isolata e sola. Nel nostro tempo dobbiamo distinguere dunque scienza da scientismo. Quest'ultimo è l'idolatria della prima nonchè della tecnica sua applicazione e come tutte le idolatrie frutto di un pensiero assolutista che presume di possedere la Verità e quindi impermeabile a qualsiasi dubbio. Lo scientismo impedisce la conoscenza come coscienza della totalità. Il rischio di questo atteggiamento è che ogni cosa venga giustificata a priori come prodotto della scienza, la quale nel mondo attuale si è fortemente specializzata e parcellizzata. Ogni sapere abbraccia un settore specifico senza più contatti con il tutto. Ogni ricercatore si specializza solo nel suo campo perdendo la capacità di contestualizzare il suo sapere ma giustificandolo solo in relazione al metodo scientifico e non al suo fine, che dovrebbe essere quello di essere utile. Si perde così la coscienza della responsabilità globale. Se uno è ad esempio competente in un qualunque settore della chimica non gli importa sapere che fine faranno le sue ricerche. Non si può negare che oggi queste vengano spinte dagli interessi delle multinazionali del denaro, lontane da aspirazioni umanistiche, che lucrano sui nostri bisogni, anche fittizi, tramutandoli in affari e trasformandoci così in consumatori passivi.
sabato 18 gennaio 2014
Apologia di un disertore
Avevo un prozio che aveva fatto la Grande Guerra (di cui quest'anno ricorrono i cento anni ) e durante la ritirata di Caporetto ha disertato: è tornato a casa ed è rimasto nascosto in un armadio fino alla fine della guerra, avvenuta otto mesi dopo, per paura che i carabinieri lo scoprissero e lo fucilassero. Infatti i disertori venivano condannati alla fucilazione che veniva eseguita con processi sommari. I soldati della prima guerra mondiale o venivano uccisi dai nemici o dai propri superiori se non andavano all'assalto. Forse quello zio si sarà sentito in colpa per aver disertato ma oggi, se fosse ancora in vita, gli direi che ha fatto bene e che quelli che disertavano erano i migliori elementi di quella gioventù votata al macello da una cultura militarista esaltata rappresentata da generali tronfi e paranoici e da politici irresponsabili. Si dirà che i tempi erano quelli e che i paesi dell'Europa occidentale erano abituati a risolvere le loro controversie mediante l'uso delle armi, costume vecchio di millenni, ma nulla vieta di rileggere oggi quegli eventi alla luce di un pensiero ecologico e sistemico che pone sotto nuove prospettive la retorica della quarta guerra di indipendenza e della cosidetta vittoria. Sono passati solo cento anni in fin dei conti, tre generazioni, l'aggressività si è focalizzata in altri ambiti, gli stati in guerra sono diventati amici e fanno parte della Comunità Europea, hanno la stessa moneta e gli stessi interessi. I milioni di giovani morti nelle trincee per che cosa sono morti? "Chi per la patria muor vissuto è assai" recita un antico adagio per giustificare le giovani vite sacrificate nelle guerre ma non è così. Il concetto di patria è una stortura romantica voluta dai potenti che litigavano per pezzi di territori che ritenevano di dover annettere ai propri confini per false questioni di sicurezza o di prosperità. La guerra è la negazione assoluta della creatività perchè figlia della paura e della rabbia, Von Clausewiz diceva che essa non è nulla più che la continuazione della politica con altri mezzi, ma sono questi ultimi a fomentare le guerre. La Grande Guerra fu la prima generata dall'industria e dalla tecnica. Quest'ultima si contrappone all'homo religiosus, ovvero cercatore di bellezza. Alcuni storici indicano le due guerre mondiali del 900 come un'unica guerra durata quarant'anni con un' intervallo di venti perchè le ragioni dei due conflitti erano le stesse e il secondo frutto delle frustrazioni, dello spirito di vendetta del primo e della politica degli armamenti voluta dall'industria bellica. Lev Tolstoj indicava come soluzione al problema delle guerre la scomparsa del militarismo, in effetti questo produce la macchina bellica ovvero quella organizzazione rigida regolata dai rapporti di obbedienza assoluta agli ordini dei superiori da parte degli inferiori, che poi erano i poveri contadini e operai in un frainteso valore dell'onore e del coraggio. Per questo motivo sono orgoglioso di questo prozio disertore. Dopo ogni guerra vi è sempre stato un abbassamento culturale come un ritornare indietro di decenni perchè dopo ogni conflitto vi è un periodo, che dura almeno la vita dei contendenti, in cui si vive in una semplificazione fasulla, amico nemico, in un riduttivo dualismo determinato dai sensi di colpa, dalla paura e dalla rabbia degli ex nemici e queste emozioni nascoste impediscono la crescita. E' anche da notare che le guerre fanno sviluppare maggiormente la tecnologia, da cui l'opinione di alcuni che le guerre contribuiscano al progresso, ma fanno regredire la coscienza per cui a fronte di uno sviluppo del sapere tecnico abbiamo un'etica che è rimasta quella di duemila anni fa. Se in occidente, nonostante il cristianesimo,abbiamo ancora un'etica primitiva, è proprio a causa delle continue guerre che nel contempo però hanno sviluppato in modo abnorme la capacità distruttiva. Ecco allora apparire il significato dell'esortazione evangelica di amare il proprio nemico o di porgere l'altra guancia, è un' indicazione di cammino iniziatico che porta alla personalità totale, al sè appunto e al sentimento dell'appartenenza, alla bellezza dunque. Una proposta: perchè non togliamo dalle piazze e dalle vie delle città i nomi di soldati, generali e battaglie, ogni riferimento alle guerre in sintesi?
lunedì 6 gennaio 2014
Pace agli uomini di buona volontà
Il primo dell'anno dal 1968 la Chiesa Cattolica celebra la giornata mondiale della Pace. Parlare di questo argomento è sempre arduo perchè si rischia di essere ipocriti o superficiali, tenteremo di non esserlo ma mi preme trattarlo visto che siamo a inizio anno . Nel primo caso ci stanno tutti quei potenti (uomini e governi) che non rinunerebbero per nulla al mondo al loro potere e sono sempre intenti ad armarsi per difenderlo. I Romani antichi dicevano: Si vis pacem para bellum, è evidente che questa pace è ottenuta con la paura e il desiderio di pace è fittizio, è solo desiderio di dominio. Nel secondo caso ci stanno moltissimi cosidetti pacifisti e principalmente quelli che credono che sconfiggere la fame e la povertà porterà automaticamente alla pace, vale a dire che con strumenti di natura economica si migliora la natura umana. Con questo non voglio dire che le disuguaglianze e le ingiustizie non creino motivi di conflitti ma bisogna tener conto del fatto che sia i popoli poveri che quelli ricchi hanno da sempre esaltato le guerre come mezzo per risolvere le controversie di qualsiasi natura. Dunque mi direte che si deve fare? Intanto bisogna avere la consapevolezza della difficoltà di raggiungere una cultura di pace: l'uomo non è solo animale oeconomicus e quantunque la sua natura fosse anche pacifica, con tutti i dubbi del caso visto che il cristianesimo prevede un Salvatore che dice "vi lascio la pace vi do la mia pace", e il buddismo indica il Budda come colui che raggiunge l'illuminazione, cioè la pace, dopo grandi prove, ha comunque prodotto culture che hanno esaltato la guerra. Il fatto che Marte nell'antica Grecia fosse uno degli dei più importanti non era un caso. Noi oggi a nostra volta siamo immersi in una cultura bellica. Basti pensare al successo dei film di guerra ma anche alla stessa vita quotidiana e all'economia dove si mima il linguaggio militare. Vi è un bel libro di James Hilmann che sottolinea questi aspetti della nostra società e si intitola: Un terribile amore per la guerra. Per quanto riguarda il Nobel per la pace, che viene attribuito ogni anno a un personaggio noto per il suo impegno in questo ambito, non incide certo sulla mentalità comune. L'unico italiano che ha meritato il premio fu Ernesto Teodoro Moneta nel 1907, un milanese il cui busto si erge solitario e abbandonato nei giardini pubblici di Piazza Cavour, dimenticato da tutti. Questo ex garibaldino pentito era un cultore di Emanuele Kant, il filosofo tedesco indicava due condizioni strutturali per ottenere la pace perpetua: l'abolizione degli eserciti permanenti e la creazione di un organismo internazonale riconosciuto da tutti per dirimere le controversie fra Stati. Che ne è stato dei suoi suggerimenti dopo circa duecento anni? L'ONU è ferma agli equilibri della seconda guerra mondiale e quindi dominata dai vincitori e se l'Europa dovesse abolire gli eserciti addio economia. Per ora l'unico deterrente di una guerra mondiale è la paura delle armi atomiche e questo non è un buon viatico sulla strada della vera pace. Dai tempi di Moneta nel frattempo la psicologia ha scoperto l'inconscio e si è potuto constatare quanta influenza abbia nei comportamenti quotidiani e quanto l'aggressività umana risulti generata da pulsioni inconsce difficili da individuare perchè risalgono la storia, personale e della società di appartenenza.
Allora non vi è nulla da fare? Una terapia vi sarebbe ed è quella suggerita dal mito che tanta parte ha nel nostro inconscio appunto di uomini occidentali. Marte viene disarmato da Venere, dea della bellezza. E' quindi nella soddisfazione del bisogno di bellezza e nel riconoscerne la sacralità che si può evitare la guerra, per questo è necessario un nuovo paradigma che esalti valori non marziali. Il femminismo, che finalmente torna a farsi sentire, in parte ha contribuito a sradicare vecchi archetipi maschili legati alla figura del guerriero.Si dovrà dunque incrementare nella società quei modelli e quei valori che aprono al dialogo, alla comprensione ed al compromesso anzicchè alla competizione, alla durezza, all'intransigenza ed alla combattività. Un pensiero ecologico, sistemico, tradizionalmente più femminile che maschile, che superi le dicotomie. Venere apre al piacere dei sensi, ai tempi lenti , alla qualità ed alla cultura. Per questo vanno educati gli educatori affinchè esaltino una conoscenza del bello e non sarà certo la scienza parcellizzata al servizio di una economia ancorata ai valori dell'avere e del vivere in superficie, anzicchè a quelli dell'essere, che sarà in grado di fare questo.
Allora non vi è nulla da fare? Una terapia vi sarebbe ed è quella suggerita dal mito che tanta parte ha nel nostro inconscio appunto di uomini occidentali. Marte viene disarmato da Venere, dea della bellezza. E' quindi nella soddisfazione del bisogno di bellezza e nel riconoscerne la sacralità che si può evitare la guerra, per questo è necessario un nuovo paradigma che esalti valori non marziali. Il femminismo, che finalmente torna a farsi sentire, in parte ha contribuito a sradicare vecchi archetipi maschili legati alla figura del guerriero.Si dovrà dunque incrementare nella società quei modelli e quei valori che aprono al dialogo, alla comprensione ed al compromesso anzicchè alla competizione, alla durezza, all'intransigenza ed alla combattività. Un pensiero ecologico, sistemico, tradizionalmente più femminile che maschile, che superi le dicotomie. Venere apre al piacere dei sensi, ai tempi lenti , alla qualità ed alla cultura. Per questo vanno educati gli educatori affinchè esaltino una conoscenza del bello e non sarà certo la scienza parcellizzata al servizio di una economia ancorata ai valori dell'avere e del vivere in superficie, anzicchè a quelli dell'essere, che sarà in grado di fare questo.
domenica 29 dicembre 2013
Buon Anno
Leggo nei resoconti giornalistici dell'anno trascorso, come d'uso a fine anno, che una delle novità della politica italiana sarebbe quello di avere dei trenta -quarantenni al potere e che sarebbe da considerarsi segno di cambiamento in positivo. Non sono d'accordo con questa interpretazione dei media. La giovinezza in se non è una virtù. Abbiamo avuto anche in passato politici molto giovani che hanno lasciato un pessimo esempio di gestione del potere. Alcuni sono stati presi letteralmente con le mani nel sacco. A dire il vero il 68, nonostante sia stato una rivolta giovanile, non ha lasciato nulla nell'etica della gestione della cosa pubblica se non l'aspirazione a sgomitare per restare in posti di rilievo il più a lungo possibile. In verità più un politico è giovane e più ci si chiede come abbia fatto ad accedere ad alte cariche a quell'età se non con mezzi di dubbia natura. Certo un segnale positivo sta nel fatto che almeno è in atto un ricambio generazionale e che certe facce non le vedremo più tanto spesso in televisione ma non è questo il punto e non è certo questo che ci garantirà una vita migliore. Abbiamo contemporaneamente un presidente molto anziano che ha dimostrato di essere uno dei migliori politici di sempre. Dunque non è di giovani rampanti che ha bisogno la nostra politica e la nostra società. Il giovanilismo è un atteggiamento molto pericoloso, era molto presente nel fascismo e nel nazismo dove veniva esaltata la giovinezza come "primavera i bellezza". Tutte le rivolte che hanno portato a involuzioni verso regimi totalitari sono state effettuate da giovani ambiziosi e assolutisti. Non si tratta quindi di un fatto positivo in se che dei giovani salgano al governo della Repubblica quando altri coetanei sono senza lavoro. Non è una questione di età o di sesso il buon uso del potere per il bene comune, anzi è proprio dove manca la democrazia che assistiamo a governanti fanciulli: nelle monarchie di un tempo gli eredi al trono potevano essere anche dei minori. In una democrazia matura invece la scelta dei rappresentanti dovrebbe essere motivata da esperienza e merito. Altrimenti si cade nella demagogia dove le scelte sono determinate dalle emozioni e dalle suggestioni generate da chi riesce a intercettare l'umore del momento ed interpreta l'esigenza di una figura apparentemente forte che prometta cose impossibili.
Quello che noi auspichiamo invece per l'anno a venire è che la crisi abbia insegnato che nell'economia e nella politica, ovvero nel sistema di poteri ad esse relativo, si debba inserire più creatività, nell'accezione che qui ne abbiamo data, e non è detto che i giovani siano più creativi. Ciò vuol dire che la società deve permettere l'emergere dei veri talenti e delle forze che possano contribuire ad una maggiore giustizia sociale. Per raggiungere questo obiettivo è necessaria una nuova mobilità nella distribuzione dei poteri, che venga dunque abbandonato il familismo amorale, come viene definito all'estero il costume italiano di accesso ai privilegi, e che la società guarisca dalla nevrosi del potere, come volontà di potenza senza sentimento sociale. Questo sicuramente renderebbe la vita più bella, libera e degna di essere vissuta. I modelli dunque non sono da ricercare tra i giovani rampanti ma tra gli uomini di una certa età che hanno speso la vita per un obiettivo valido, gli esempi non mancano, da Papa Bergoglio a Mandela, ma la difficoltà sta nel seguire il loro esempio senza lasciarsi smarrire dalle sirene del potere a tutti i costi.
Quello che noi auspichiamo invece per l'anno a venire è che la crisi abbia insegnato che nell'economia e nella politica, ovvero nel sistema di poteri ad esse relativo, si debba inserire più creatività, nell'accezione che qui ne abbiamo data, e non è detto che i giovani siano più creativi. Ciò vuol dire che la società deve permettere l'emergere dei veri talenti e delle forze che possano contribuire ad una maggiore giustizia sociale. Per raggiungere questo obiettivo è necessaria una nuova mobilità nella distribuzione dei poteri, che venga dunque abbandonato il familismo amorale, come viene definito all'estero il costume italiano di accesso ai privilegi, e che la società guarisca dalla nevrosi del potere, come volontà di potenza senza sentimento sociale. Questo sicuramente renderebbe la vita più bella, libera e degna di essere vissuta. I modelli dunque non sono da ricercare tra i giovani rampanti ma tra gli uomini di una certa età che hanno speso la vita per un obiettivo valido, gli esempi non mancano, da Papa Bergoglio a Mandela, ma la difficoltà sta nel seguire il loro esempio senza lasciarsi smarrire dalle sirene del potere a tutti i costi.
sabato 21 dicembre 2013
Natale
Credo che questa ricorrenza meriti qualche riflessione soprattutto in questi tempi di crsi, non ho altro da proporre che ascoltare i poeti che sono le antenne sensibili dell' umanità. Riporto quindi lo scritto dell'amica Laura Tosca, poetessa e pittrice.
Natale
faccio fatica a credere che il più potente
abbia voluto indossare l'essere umano
per condividere la povertà
e comprenderne la miseria
faccio fatica a credere che, umile e
generoso, parlando di amore,
di uguaglianza e di pace,
sia stato torturato ed ucciso
faccio fatica a credere che abbia perdonato
le menzogne, la viltà e l'arroganza,
il tradimento, le ferite e la morte,
senza serbare rancore o desiderare vendetta
faccio fatica a credere che viviamo il Natale
di corsa, con addobbi e regali,
mostarda e berrettini a sonagli
senza rievocare con commozione e gratitudine
l'inizio di una vita sublime, irraggiungibile,
bussola della nostra esistenza.
Natale
faccio fatica a credere che il più potente
abbia voluto indossare l'essere umano
per condividere la povertà
e comprenderne la miseria
faccio fatica a credere che, umile e
generoso, parlando di amore,
di uguaglianza e di pace,
sia stato torturato ed ucciso
faccio fatica a credere che abbia perdonato
le menzogne, la viltà e l'arroganza,
il tradimento, le ferite e la morte,
senza serbare rancore o desiderare vendetta
faccio fatica a credere che viviamo il Natale
di corsa, con addobbi e regali,
mostarda e berrettini a sonagli
senza rievocare con commozione e gratitudine
l'inizio di una vita sublime, irraggiungibile,
bussola della nostra esistenza.
giovedì 12 dicembre 2013
Viva Mandela
La morte di Nelson Mandela e tutti i commenti sulla sua vita che sono apparsi sui mass-media ci portano a riflettere sulla figura dell'eroe e del saggio, modelli di riferimento dell'antichità classica, sostituiti poi, in epoca cristiana, dal cavaliere e dal santo. Lui era sia l'uno che l'altro, almeno così lo descrivono i suoi commentatori. Che cosa dà più senso alla vita di un uomo se non la sua perfetta adesione al destino che un disegno provvidenziale gli ha assegnato? Tutti noi abbiamo un compito, palese o nascosto, che contribuisce all'arricchimento, in senso etico-spirituale, della società di cui facciamo parte. Lui il suo compito lo ha individuato nella difesa della libertà e ne è stato talmente convinto che ha affrontato qualsiasi prova, anche le peggiori, pur di mantenersi fedele a questa sua convinzione che gli veniva dal di dentro. Non molto diversamente vengono descritte le vite dei primi cristiani che affrontavano il martirio pur di non abiurare la propria fede o dei filosofi che affrontavano la prigione o il patibolo per non tradire le proprie convinzioni. Come i modelli classici la sua figura è di natura etica ed estetica insieme. L'ammirazione che genera in noi Mandela dipende anche dal fatto che in lui vediamo anche l'uomo felice, perchè realizzato, che ha vissuto una vita lunga ed appagante. In fin dei conti Aristotele diceva che le virtù sono fatte per la felicità e Nelson lo ha dimostrato sia nel dolore che nella gioia, trattando entrambi con sereno distacco. Infatti potrebbe sembrare in questo tripudio di elogi per una vita esemplare che si sia dimenticato il dolore ma questo è ben presente nella realtà naturale della vita di ogni individuo. Ma l'uomo realizzato, quindi stupendamente creativo, sa che il dolore ha comunque la funzione di indicare il cammino di vita se viene accettato. Il dolore "è la rottura del guscio della nostra intelligenza", dice Kalil Gibran. La creatività consiste infatti anche nella capacità di accettare il dolore, accoglierlo e trasformarlo in esperienza rigenerante. Il piacere e il dolore sono due opposti che hanno bisogno l'uno dell'altro. Come diceva il saggio Eraclito, le cose nascono dalla lotta dei contrari e quello che oggi è piacere magari domani sarà dolore. Tutto è relativo. L'etica stoica del grande Marco Aurelio, cui il nostro Nelson potrebbe essersi riferito, insegna dunque che non bisogna disperarsi nel dolore e rallegrarsi troppo nella gioia. Tutto è relativo al nostro modo di essere e alla nostra interpretazione della posizione che occupiamo nel mondo. Grazie Mandela per avercelo ricordato con la tua vita in questa epoca povera di modelli.
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