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sabato 17 maggio 2014

Ancora Merda d'artista

Parliamo ancora della Merda d'artista e dell'arte in generale a Milano. Ho ricevuto un messaggio della Skira, che cura i cataloghi delle principali mostre del Comune, con l'invito all'acquisto per 35 euro di quello della mostra su Manzoni e la Merda d'artista con tanto di riproduzione della scatoletta e la storia di questa bella idea. Mi sono già altrove espresso sull'arte concettuale e non sto a ripetere che a mio parere è solo una degenerazione di alcuni aspetti della corsa all'originalità come requisito principale dell'arte contemporanea, spirito dionisiaco, ricerca del coup de theàtre di chi se lo può permettere per far parlare i media e lucrare sulla stupidità di certo collezionismo. Il colmo è che Milano ha pure dedicato una via a questo folle trentenne invasato morto a quella giovane età di cirrosi epatica, come se fosse un eroe caduto sul campo di battaglia sacrificando la propria vita per amor patrio, in questo caso per amor dell'arte. Infatti morire da giovani è una prerogativa dei combattenti e delle guerre, lui la sua la combatteva con i bottiglioni di vino al bar Giamaica. Non è ora che la facciamo finita con questo falso tributo alla morte giovanile quasi fosse di per se una virtù e non è ora che rivediamo il rapporto tra quello che uno produce e la vita che conduce? Si dice che le idee camminano con le gambe degli uomini e quindi non è il caso che si riveda il significato di genialità e quello di una vita lunga e laboriosa dove il proprio fare è una sorta di missione che soddisfa e arricchisce, in tutti i campi, aldilà del successo mediatico? Prendo come esempio il caso di un'altro artista Marius Ledda di cui, come dicevo in un mio precedente post, ho chiesto all'attuale Assessore alla cultura Del Corno di dedicare una mostra a Palazzo Reale, richiesta fatta da più anni anche ai suoi predecessori, promessa e mai realizzata. Ora questo pittore oltre che avere un grande talento ha avuto una vita lunga ed esemplare di dedizione alla chiamata delle Muse o meglio del Daimon platonico. Nato nel 1880 e morto nel 1965 ha attraversato tutti i rivolgimenti dell'arte a partire dal Verismo napoletano per arrivare alle rivoluzioni cubista e futurista di cui ha subito gli influssi pur mantenendo una sua linea particolare. Infatti dopo l'accademia di Napoli con Volpe e Cammarana nel 1912 lo incotriamo al seguito delle truppe italiane a Tripoli ivi mandato dal Ministero della Guerra per comporre quadri di battaglie. Rientrato in Italia viene chiamato ad eseguire i ritratti dei reali del Montenegro, parenti della regina Elena. In seguito si trasferisce in Romania durante la prima Guerra Mondiale, poi in Russia dove viene colto dalla rivoluzione d'Ottobre, poi di nuovo in Romania quindi a Parigi a dialogare con i grandi. Infine di nuovo in Italia seguendo la sua ispirazione. Questa è una vita da additare ad esempio di coerenza, eleganza, equilibrio e ordine, presupposti per qualsiasi Bellezza.

domenica 4 maggio 2014

Guerre di religione

Parliamo ancora di guerra e di pace, le immagini dei cristiani uccisi e crocifissi in Siria ci inorridiscono, non possiamo sapere se sono autentiche perchè potrebbero essere manipolate dalla propaganda  e messe in rete per rovesciare lo sdegno generale dell’Occidente sulla parte nemica, tuttavia purtroppo sappiamo che simili atrocità non sono risparmiate nelle guerre e soprattutto in quelle a forte impronta religiosa. Il fatto di utilizzare i mezzi della Rete per documentarle fa parte delle possibilità messe in campo dalla tecnologia e al contempo fa parte degli eccessi della modernità, ma queste cose sono accadute anche in altri tempi, basti leggere i resoconti dei testimoni della conquista di Gerusalemme nella prima crociata per avere un saggio sulle atrocità dei cristiani riversate, in questo caso, sui mussulmani. Quando uno dei contendenti crede di avere  Dio dalla sua parte non vi sono limiti  alle atrocità ed al disprezzo della vita dell’avversario e purtroppo in tutte le guerre ogni contendente ritiene di avere questa esclusiva. Gli atti di fede non mi sono mai piaciuti proprio perchè presuppongono una scelta di campo rigida e irremovibile  che serve solo a svalutare le scelte di altri e ad aderire al pensiero riduttivo e dicotomico amico-nemico.   Con l’editto di Costantino, di cui lo scorso anno ricorreva l’anniversario, a mio parere, il Cristianesimo ha tradito il  suo messaggio per legarsi al potere. Tuttavia l’affermazione evangelica, « date a Cesare quel che é di Cesare e a Dio quel che é di Dio » lo ha messo in salvo da un abbraccio mortifero. In Europa infatti, benché  guerre di religioni terribili  si siano combattute, si é potuto sviluppare anche un pensiero laico e umanistico che sotto un certo profilo ha influenzato la stessa Chiesa.  Le democrazie occidentali, derivate dalla rivoluzione francese, hanno potuto nascere in conseguenza anche di questo. Non é accaduto la stessa cosa per l’Islam dove potere e religione sono rimasti uniti in un abbraccio inscindibile. Da qui la difficoltà dei regimi democratici  islamici di staccarsi dal fanatismo religioso. Personalmente ritengo che sarebbe una bella cosa che la Chiesa cattolica rinunciasse alla  recita del Credo nella Messa che è un lascito del Concilio di Trento, della controriforma e delle guerre tra cattolici e protestanti. Se Dio è amore,  come papa Bergoglio continua a sottolineara, non ha bisogno di tutte quelle affermazioni altisonanti che ai più non significano nulla perché  appartengono a una visione veterotestamentaria  superata e fautrice di divisioni fra gli uomini. Vorrei sottolineare la differenza fra fede e consapevolezza, la prima viene dall’esterno e prevede un’adesione ad una dottrina con un credo la seconda viene dall’interno e prevede un diverso stato di coscienza, più profondo, ottenuto con fatica e perrseveranza. Le religioni a questo livello di coscienza dovrebbero portare  ad uno stato, in cui ci si sente amore, invece che alle guerre, frutti della divisione generata dai credi.

martedì 22 aprile 2014

La città ecologica

Leggo sul Corriere che la giornata mondiale per l’ambiente quest’anno é dedicata alla città e l’articolo decrive ipotesi di ecopolis ipertecnologiche con edifici che, sia pure a risparmio energetico, si sviluppano in altezze vertiginose con la scusante di risparmiare suolo. Costruire in altezza é un modello architettonico dei primi del novecento spacciato per ultramoderno. Concesso che la nuova città ecologica nasce sulla  metropoli esistente si deve tuttavia affermare che la soluzione in altezza non si inquadra  nelle aspirazioni degli urbanisti a forte connotazione ecosofica. Qualcuno afferma che gli edifici abitativi non dovrebbero superare i quattro piani, noi non saremo cosi tassativi, si puo arrivare anche a sei-otto, ma la soluzione sta nel ritorno all’isolato urbano di antica tradizione. Questo era la carattaristica della città europea a partire dal medioevo, viene trasformato nel XIX secolo e viene abolito nel XX dal Movimento Moderno. In effetti l’architettura moderna si è definita e si definisce in contrapposizione alla città. Gli edifici alti dovrebbero essere limitati invece alla funzione del terziario oppure anche per ospitare coltivazioni speciali. Queste costruzioni chiamate biotorri o fattorie verticali moltiplicano per più piani il terreno che sottraggono alla base. Ma oggi il grave problema che una cultura ecologica dovrà risolvere  restano le periferie generatrici di malessere  e ghettizzazione dove esplodono periodicamente le rivolte violente che spesso hanno per protagonisti gli immigrati. Il fatto di essere degli esclusi li rende nemici e il resto della civitas li vive come pericolo. Questo impedisce la loro integrazione in una società sempre più rigida nella difesa dei priovilegi. Il fatto é che nella città vivono separate due realtà : quella degli inclusi e quella degli esclusi che abitano le periferie. Finché queste sono i luoghi dell’esclusione non si puo pensare di vivere felici nel resto della città. Occorre dunque creare zone di mescolanza sociale dove ogni soggetto si senta accettato per quello che é. Una società migliore produce manufatti migliori. Se non vi sono i presupposti perché ogni individuo abbia le opportunità per realizzarsi  e se le condizioni economiche sono sempre più distanziate e irrigidite è normale che non vi sia né bellezza né felicità perché vi è uno stato di guerra permanente tra chi ha troppo e chi ha troppo poco. La nuova polis dovrà essere prima di tutto città della pace dove le architetture manifesteranno questa passione per la bellezza come rispetto per la vita.  

domenica 13 aprile 2014

Giovani senza lavoro

Rilevo dai giornali questo dato: il 47% dei giovani è disoccupato. Spero che questo risulti solo per i giovani che non hanno un posto fisso perchè altrimenti la situazione sarebbe oltremodo drammatica. Non tanto per la mancanza di guadagno e quindi impoverimento delle famiglie d'origine, che sarebbe già grave, quanto per il potenziale di psicopatologie che una situazione del genere provoca: un serbatoio di rabbia, di scontento e di risentimenti pronto ad esplodere in mille forme ad ogni occasione ed  impedire comunque una vita democratica creativa fatta di riforme serie. In genere nella nostra cultura parliamo del lavoro come problema economico o giuridico ma questa è una visione limitata e riduttiva del problema. Esiste anche una dimensione psicologica e umana che non va sottovalutata. I Costituenti affermando che "l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro", art. 1 della Costituzione, evidentemente ne avevano ben chiara l'importanza sul piano umanistico. Il lavoro non è soltanto fatica, e quindi un dovere, in una società dove i ricchi non lavorano, non è il contrario del piacere e del divertimento, è invece l'attività che ti fa sentire vivo e partecipe, integrato nella società. Il lavoro ti dà la misura del tuo valore, l'impressione di contare perchè contribuisci alla costruzione del mondo. Certo c'è lavoro e lavoro, dopo la rivoluzione industriale quello operaio è diventato ripetitivo e alienante, oggetto di sfruttamento da parte del capitale come affermava Marx, ma pur anche perdendo i connotati del lavoro creativo dell'artigiano tuttavia era un modo per sentirsi utile, anche se sfruttato.Vi è quindi una condizione peggiore di quella di essere sfruttato, secondo il canone marxista, ed è quella di non esserlo per nulla. E' chiaro che nella società vi sono diversi livelli di attività, la bellezza sta proprio nella diversità, si va dalle attività che riguardano i bisogni primari del corpo fino a quelli dello spirito. Una società democratica sana prevede una mobilità sociale, ovvero i talenti giusti al posto giusto senza distinzione di classe ma per merito e competenza. Naturalmente non si può pretendere che ciò avvenga in maniera perfetta ed automatica ma almeno che ci sia questa aspirazione e dunque non esistano privilegi di casta. L'istruzione pubblica a questo dovrebbe servire: a pareggiare le sorti di coloro che vengono dal basso, i cosidetti "diseredati" usando un'espressione cara a Mosè Loria fondatore della Società Umanitaria, di cui quest'anno ricorre il bicentenario della nascita, e che appunto aveva devoluto il suo patrimonio per dare educazione e formazione a chi non se lo poteva permettere alla fine del XIX secolo. Invece in Italia assistiamo, soprattutto in momenti di crisi, ad una svalutazione continua del settore dell'istruzione e della cultura,  specialmente  professionale. Infatti che andiamo a raccontare agli allievi se li prepariamo a ricoprire incarichi che non ci sono? Osserviamo invece un irrigidimento della situazione  ed una chiusura degli accessi verso l'alto in favore di un familismo amorale che blocca la mobilità. Rimangono i mestieri e le professioni servili che vengono coperti dagli immigrati che sono disposti  a tutto. Ai nostri giovani, ai quali abbiamo dato un'istruzione nella speranza di un mondo migliore, che rimane?

lunedì 7 aprile 2014

Design e comunicazione, il Salone del Mobile

Rileggendo il post sulla creatività del 9,11,2013 cerco di collegarlo al Salone del Mobile o meglio alla Settimana del design a Milano. Bisogna riconoscere che negli anni un evento fieristico ha contagiato tutta la città che per una settimana si veste a festa e si riempie di Fuori Saloni che attirano sempre molto pubblico. Sì, perchè in verità la vera creatività e la dimostrazione di vitalità della città sta proprio in questa proliferazione di iniziative che allargano a macchia d'olio gli spazi espositivi. Non sempre si tratta di opere creative, a volte notiamo una certa ripetitività ed esibizionismo, ma siamo in queste giornate propensi ad assolvere tutti perchè consapevoli che sotto vi è gioia di partecipare, di contribuire in qualche modo a fare sistema, come si usa dire, per rendere migliore Milano, si sente nell'aria la festa di primavera, come quando nel dopoguerra vi era la fiera campionaria che ,dopo le ristrettezze del periodo bellico, nel paese della fame portava la cuccagna . Questo è un modello che dovrebbe essere perseguito anche da Expo, forse, come qualcuno inascoltato suggeriva, sarebbe stato meglio prevedere un evento distribuito in tutta la città anzicchè localizzarlo in un'area con tutti i problemi che genera l'utilizzo di questa nel dopo evento. Ma questo è un'altro discorso che ci riporta alla incapacità della nostra politica di essere effettivamente creativa, tuttavia qui non voglio fare il guastafeste, chi fosse interessato al rapporto fra potere e progetto lo invito a leggersi l'Altro architetto, Casagrande Editore in Lugano e Milano. Il design come termine inglese che riassume in se la creatività artistica nasce con la rivoluzione industriale quando il prodotto in serie, dovuto all'impiego della macchina come moderno mezzo di realizzazione dell'oggetto, necessita di un nuovo linguaggio e di un nuovo rapporto tra artigiano e industria. Il prototipo è sempre frutto di un lavoro artigianale ma  deve tener presente di doversi adattare  alla produzione in serie. Il pezzo unico è ormai un'eccezione per ricchi snob, l'etica del design è quella di mettere a disposizione di un pubblico più vasto e con mezzi economici più limitati quegli oggetti che un tempo erano solo delle classi abbienti. Dare quindi una veste esteticamente valida ad oggetti del quotidiano era il compito del design, il funzionalismo usando ad esempio il linguaggio di un Mondrian, rinnova il plasticismo tradizionale adattandolo al mezzo meccanico. Questo risale ai primi decenni del secolo scorso. Lo sviluppo dell'industria e della comunicazione hanno apportato anche in questo campo notevoli cambiamenti. Innanzitutto si è potuto constatare che la pubblicità conta molto più che un buon design, come nel campo artistico vale più la comunicazione che non il valore in se e un oggetto di scadente fattura ma comunicato  come buono prevale su quello effettivamente valido ma comunicato male. Nascono infatti i logo che garantiranno a priori la qualità in ragione del loro potere comunicativo. Si genera così un processo diseducativo che allontana dalla bellezza e dalla creatività.  Arredare invece una casa dovrebbe essere creare, fare una casa dovrebbe essere come scrivere dei versi o fare della musica. L'intuizione, l'invenzione e l'energia dovrebbero guidare il processo creativo per non cadere nella dipendenza dalle mode. Per quanto mi riguarda ho pensato di contribuire personalmente a questa festa della design week esponendo le mie opere pittoriche presso tre spazi: Atelier Selene Giorgi, vicolo Lavandai 6, Sotto il Gazebo, in via delle Asole e da Petali, in via Muratori 3.

venerdì 28 marzo 2014

Educazione artistica

Mentre la cultura del vecchio continente produce escrementi, in tutti i sensi in quanto esporta nel terzo mondo rifiuti tossici, la giovane weltanschauung africana produce capolavori. Ho già avuto modo nel mio libro Ecologia e Bellezza del 2004 ed. Alinea di definire l'artista come uno sciamano che aveva il compito di unire il mondo materiale con gli invisibili, questa del resto era la più antica concezione della sua funzione all'interno della comunità. In Africa e nei paesi del terzo mondo continua ad esserlo. Pavel Florenskij, il filosofo russo compatriota e contemporaneo di Wassily Kandinsky che per arrivare al suo astrattismo aveva fatto lunghi studi sulle popolazioni autoctone della Siberia e sul loro repertorio iconografico proprio per riuscire ad entrare nella veste dello sciamano,  come  ho già avuto modo di riferire, affermava che è difficile distinguere il folle dall' artista geniale, ambedue superano il mondo ordinario e sono ai confini della coscienza ma il primo sale al mondo invisibile e si porta dietro tutti i suoi fantasmi egocentrici perdendosi e credendo di essere un ispirato, il secondo sale al mondo ultrasensibile con umiltà, nudo, e ne ridiscende portandosi dietro cose ineffabili di quel mondo.  E' quello che possiamo dire nel primo caso per molti artisti europei degli ultimi sessant'anni a cominciare dai tagli di Fontana e dall'altra invece per i giovani artisti africani che partendo dalla loro cultura animista, attraverso l'uso del linguaggio simbolico,  totemico  e una tradizione artigianale raggiungono il livello del sacro. In effetti il vero artista  è un mistico. Il pittore del Togo Kikoko, qui sotto il link del suo sito dove si possono ammirare le immagini delle sue opere , è in questo senso emblematico. La sua pittura potrebbe definirsi astratta o surreale, usando categorie della tradizione culturale europea ma sono contrario a dare definizioni  che ingabbiano, si tratta in effetti di suggestive opere e la vera arte contiene la totalità. Questi lavori di grande impatto rievocano gli echi delle tradizioni africane, a cominciare dai richiami ai geroglifici egizi per finire con suggestive immagini piatte di forme animiche e organiche, che ci conducono al sentimento dell'appartenenza alla vita ed alla sua dimensione magica, le peak experience di Maslow, fuori dal tempo come si compete alla vera arte. Ma per raggiungere questi stati di coscienza  si deve essere disposti ad accedervi, a vedere la bellezza. Se non si è disponibili non la si vede. Bisogna avere l'animo aperto e gioioso. Sentirsi amati e amanti, parte di un tutto. Avere l'infinito nello spirito, essere fuori dal tempo nell'eterno presente. Ciò presuppone uno sforzo rieducativo che non molti sono disposti a fare, un lavoro di approfondimento che pochi mettono in atto in questa società superficiale del vecchio occidente, dell'abbondanza del superfluo e del consumo passivo. Andiamo allora a impararlo da quelle culture che lo fanno ancora.

venerdì 21 marzo 2014

L'eleganza dell'arte

Riprendo il discorso sull'arte del '900 affrontato nel post Delenda Ars del luglio scorso, in quella occasione avevo appena visitato una mostra sulla pittura dell'ottocento e del novecento ed avevo espresso il parere che su buona parte dell'arte del secondo novecento, cioè dagli anni '50 in poi, era meglio stendere un velo di oblio se proprio non la si voleva distruggere.  Oggi ricevo un invito per una mostra a Palazza Reale dedicata a Piero Manzoni e la sua merda d'artista. Avevo già detto, in altra mia pubblicazione, che l'arte concettuale è una mistificazione dell'arte e che sarebbe il caso che la cultura dell'Occidente rivedesse il significato stesso del termine. La mia opinione è che da quando il filosofo romantico Friedrich Schiller agli inizi dell' 800 ha affermato essere l'arte l'attività umana che crea da se le sue regole, e si è messo l'accento sull'originalità e la novità, abbiamo avuto un crescendo di provocazioni con lo scopo precipuo di stupire ed essere davanti a tutti nella ricerca dello strano. Il fatto poi che una filosofia prevalente tendesse alla smaterializzazione dell'arte ha fatto sì che quest'ultima si snaturasse per diventare "pura idea" e l'elemento teorico prevalesse su quello estetico. Questo termine deriva da aesthesis, in greco sensazione. Il termine snaturare non è usato a caso perchè l'arte nella sua natura ha bisogno dell'elemento materiale per esprimersi, nell'antica Grecia la techne (arte) era l'abilità dell'artigiano nel trattare la sua materia propria, lo scultore il marmo, il pittore i colori e così via , che una corrente contemporanea  intendesse per arte un concetto è un travisamento del suo significato. Inoltre è un falso perchè anche il concettuale si esprime con la materia, anche se fecale, nel nostro caso, inscatolata in belle lattine con tanto di scritte per essere collezionate.  E qui casca l'asino, si può così notare che sono i collezionisti che determinano il valore di un artista e di una sua opera e quanto più sono potenti tanto meno sopportano che quello che hanno collezionato, naturalmente consigliati da critici interessati, possa scendere di valore. Questa è un' operazione finanziaria che nulla ha a che fare con l'arte ed il suo significato che dalle origini delle grotte di Lascaux è sempre stato quello di unire il fenomeno al noumeno, la terra al cielo, direbbero i poeti,  mediante l'artista sciamano favorire la fusione con il cosmo, uso questo termine e non universo perchè per i Greci cosmos aveva un valore estetico, cioè legato alla bellezza. Tornando a noi, quindi a uno spirito ecologico, che oggi dovrebbe essere prevalente come rispetto per la vita anche in relazione al tema di Expo, suona offensivo che si vada a recuperare un artista folle, morto a trent'anni di cirrosi per il troppo bere.  Un' idea che vuole migliorare il mondo prima dovrebbe far bene a chi la propugna. Lui sostenuto da una cultura coprofaga e malata di narcisismo, esaltava le  proprie feci come  trionfo di Thanatos.  Questo giovane assessore  che, a fronte di una mia richiesta di una mostra su Marius Ledda, un grande artista (questo sì) che ha dedicato una lunga vita piena di avventure alla ricerca del sublime, dimenticato immeritatamente dai suoi predecessori, mi  ha fatto comunicare che Palazzo Reale è occupato fino a tutto il 2016 ci dovrà spiegare che cosa ci aspetta dopo la merda.