Cerca nel blog

mercoledì 18 marzo 2015

Della riforma della scuola di Stato

                                              Borgo ligure, acquarello su carta.

In Italia, come ho già avuto modo di osservare, ma evidentemente su questo non siamo mai smentiti dai governi della Repubblica, la scuola di ogni ordine e grado viene considerata più una remora che una risorsa. Gli insegnanti sono i più mal pagati della UE ed inevitabilmente sono anche i più impreparati. Con uno stipendio medio intorno ai 1500 Euro è normale che a tali impieghi accedano soltanto le persone che non hanno altre possibilità, quindi di bassa estrazione sociale e per lo più del sud, oppure gli idealisti o gli ingenui che ritengono attraverso la scuola di migliorare la società, come effettivamente sarebbe giusto che fosse. A questi ultimi ho appartenuto anch'io: essendo figlio di una maestra elementare che a sua volta era figlia di un maestro, fglio di un'altra maestra e così di seguito fino alla quarta o quinta generazione, ho ereditato lo spirito missionario che animava gli educatori di fine ottocento, tipo Cuore, che ritenevano giustamente che l'istruzione aiuta a migliorare le condizioni di vita di un popolo e nel caso italiano serviva a creare una identità nazionale che non esisteva.  La scuola di Stato dovrebbe quindi avere anche oggi la massima attenzione da parte dei politici e invece viene perennemente frustrata da tentativi di riforma inadeguati che dimostrano quanta poca considerazione vi sia in Italia per la formazione dei giovani e quindi per gli educatori.  Assistiamo insomma ad una sorta di mondo rovesciato dove le cose più importanti, formare degli uomini lo è, vengono relegate all'ultimo posto di attenzione e di retribuzione mentre le cose futili sono al primo posto e i governanti sono i meglio pagati di tutta Europa. Questo è scandaloso ma nessuno ci fa caso tutti presi con i miti televisivi di successo e ciò comporta  che, come dicevo, alla scuola accedano solo o idealisti sfigati, almeno così appaiono ai ragazzi, o il ceto intellettuale femminile che notoriamente è meno retribuito, signore sposate che integrano con il magro stipendio quello più consistente del marito. Abbiamo dunque un corpo docente demotivato, frustrato e fannullone che tira a campare e non ha nemmeno i mezzi per aggiornarsi, viaggiare e per arrivare adeguatamente a fine mese  mantenendo una famiglia. Un proletariato intellettuale pieno di rabbia che non può avere nessun ascendente sui giovani che è chiamato ad educare e se non si ha la stima e il rispetto del discente non c'è arte maieutica che tenga.  Personalmente quando ho assistito a questo degrado, peggiorato se possibile negli ultimi vent'anni, nonostante i miei ascendenti me ne sono andato occupandomi di educazione e formazione attraverso  l'Istituto Uomo e Ambiente da me fondato.   Stante così la situazione questo Renzi, novello Giamburrasca, ci propone la riforma dei presidi che diventano managers in erba e distribuiscono soldi, udite udite il 5% in più sullo stpendio dei più meritevoli che se non erro sarebbero su 1500 euro 75. Vi immaginate la competizione per accaparrarsi il malloppone! E la chiamano riforma della Buona Scuola. Cambiano i nomi ma non cambia la sostanza: la scuola italiana di Stato è la matrice di tutto il malessere generazionale al quale assistiamo in una secietà senza padri, per citare lo psichiatra Vittorino Andreoli.  

giovedì 19 febbraio 2015

Ancora della pace e della guerra

                                        Infinito, olio su tela, cm 50x70

Gandhi predicava l'ahimsa, la non violenza. Quasi tutti i pacifisti contemporanei in qualche misura si rifanno a lui che ha portato l'India all'indipendenza senza guerre civili. Invece noi oggi assistiamo continuamente alla violenza esercitata per conquistare il potere da parte di popolazioni che si affacciano ora alla modernità, intendendo con ciò la democrazia e il mercato. La crisi dell'Ucraina con le due fazioni in lotta, quella filorussa e quella filoeuropea sono un emblema. In Libia abbiamo una situazione analoga: quella dei ribelli filoislamici che attaccano il governo legittimo appoggiato dagli occidentali. La cifra degli ambiti di crisi che impensieriscono il mondo è la violenza e stupisce la facilità con cui intere popolazioni trovino organizzazione ed armi per esercitarla. Non siamo così ingenui da non sapere che questi ordigni bellici vengono forniti dallo stesso mondo occidentale che ipocritamente condanna le guerre. E' chiaro che se non si producessero armi da guerra e non si facessero affari notevoli sulla loro vendita in zone calde quanto meno si avrebbero situazioni più chiare e la fine dei conflitti per mancanza di strumenti. Invece abbiamo paesi, compreso il nostro, che producono e forniscono armi in cambio di denaro. Dove trovino poi i ribelli tutti questi soldi non è chiaro ma è evidente che li raccolgono da chi ha grossi interessi che la guerra continui. Possiamo di conseguenza affermare che è questo tipo di economia che scatena e sostiene le guerre e dunque è definibile come un'economia di guerra che si appoggia sulla violenza. Tornando a Gandhi egli aveva insegnato agli inglesi  e al mondo che non è necessaria la violenza se i tempi sono maturi per un cambiamento e le ragioni sono giuste. Purtroppo si continua invece a praticarla come mezzo di raggiungimento del potere. A coloro che affermano che l'Italia deve armarsi per difendersi si può dunque rispondere che si è vero in un mondo violento e fondato sull'ingiustizia e sull'interesse ma bisogna congiuntamente lavorare perchè questa situazione migliori, diminuisca la forbice tra ricchi e poveri e cessi il mercato delle armi e soprattutto l'Italia pensi ad investire quei fondi alla valorizzazione della bellezza che è nemica della guerra, nei sui paesaggi, nelle opere d'arte e nei suoi musei.  Si deve fare attenzione a non cadere nella trappola della emotività generata dai fautori dei conflitti che hanno interesse a risvegliare "l'occhio per ochio e dente per dente", antico codice d'onore che porta in sè i semi della vendetta. La pace la si conquista con un sano equilibrio che considera la risoluzione militare come l'ultima risorsa quando effettivamente tutte le altre sono fallite, senza fretta di arrivare alla conquista di una sicurezza che in questo mondo non esiste. Gandhi infatti affermava che anche la fretta indebita è violenza.  Come del resto lo è la pena di morte anche se comminata dai tribunali di paesi democratici. Essa porta in sè il messaggio che la vita di ognuno appartiene allo Stato che punirà togliendola a chi commette azioni gravi contrarie alle sue leggi. Ma la vita non appartiene all'organizzazione statale ed ha in sè un mistero irrisolvibile anche dalla scienza più avanzata. Fintanto che ci saranno paesi "sviluppati" che la praticano è chiaro che non si può ipocritamente denunciare  i fondamementalisti islamici che condannano a morte i prigionieri. In Cina lo scorso anno sono state eseguite 2400 sentenze di morte  e il codice penale prevede tale pena per 55 reati, tra cui ad esempio anche lo spaccio di droga. E'chiaro che tale situazione non viene propagandata perchè ne avrebbe danno l'immagine di un paese in grande sviluppo economico ma questa realtà viene comunemente accettata come del resto viene accettata anche negli Stati Uniti, grandi paladini della democrazia.   "Occhio per occhio dente per dente" è il codice di base anhe nei paesi cristiani. Del resto la stessa Chiesa cattolica ha accolto le logiche statali e con l'editto di Costantino ha fatto da supporto allo Stato di diritto romano dove era prevista le pena di morte e la tortura ed invece di influenzarne le leggi le ha adottate e praticate. Nello Stato del Vaticano infatti fino al 1969 era prevista la pena di morte e fu comminata l'ultima volta nel 1870 con l'uso della ghigliottina, per non parlare della Santa Inquisizione nei secoli precedenti . Ora l'ISIS condanna a morte per altri motivi e spettacolarizza l'esecuzione attraverso il potere dei media occidentali. Sta dunque all'Occidente "razionale e illuminato" non cadere nel tranello dell'emotività e dare l'esempio abolendo ovunque la pena di morte. Non è anche quello dei condannati dai tribunali occidentali uno spettacolo violento e raccapricciante?                

sabato 7 febbraio 2015

Il buon Presidente

                                         Il risveglio. 2013, olio su tela, cm. 50x70

Ecco, abbiamo il nuovo Presidente della Repubblica in Italia. Questo evento ci induce ad alcune riflessioni sulla natura del potere, sulla vita e sulla felicità. Sembra che questo  Mattarella sia una brava persona o che perlomeno sia un ex democristiano, cristiano per davvero. Lo dipingono come un uomo riservato e solitario esponente di una famiglia notabile di Palermo, dove il padre è stato anch’egli ministro e il fratello Presidente della Regione è stato ucciso dalla mafia. Mi pare una buona presentazione per chi deve rappresentare uno Stato come l’Italia. Mi chiedo come uno possa sentirsi catapultato sulla carica più importante della Repubblica.  Qui occorrono alcune rislessioni sulla natura del potere e sul desiderio di esso. Possiamo definirlo come la possibilità di alcuni di disporre della vita di altri. Al dilà della differenza tra il Potere di un Re e quello del Presidente di una repubblica, e tralasciando il contrasto tra un potere dispotico ed un potere democratico, sempre di quello si tratta, di incidere sulla vita di altri. E’ evidente che chi si occupa di politica vuole in qualche modo raggiungere il potere altrimenti farebbe altro. Platone diceva che se non vogliamo occuparci di politica lasciamo poi che al potere vadano gli stupidi e gli ignoranti.  Nel migliore dei casi si vuole raggiungere il potere per cambiare in meglio la vita del popolo ma anche per ambizione e cioè per sentirsi riveriti e ascoltati. Ognuno di noi aspira alla felicità, cerca il significato della sua vita e vuole compierlo,  vuole acquisire il senso della connessione con il trascendente, desidera che gli altri lo rispettino e vuole sentirsi sicuro. Tutto questo lo puo’ ottenere in diversi modi a seconda del suo livello di coscienza.  Si va dalla violenza sugli altri,  confondendo il dominio con la sicurezza, al sacrificio di se per gli altri, manifastezione della estrema forma d’amore.  E’ evidente che ai fini di una vita migliore per tutti sarebbe opportuno che al potere ci andassero questi ultimi ma purtroppo, da che mondo è mondo, non è cosi’,  le cariche più importanti le desiderano e le conquistano spesso i prepotenti, i malfattori e i demagoghi, per tralasciare i pazzi ed i sadici.  Il potere, proprio per questa sua caratteristica di illusione di superiorità, funziona come un droga : ti fa sentire forte e grande anche perchè oggetto di continuo servilismo  da parte dei collaboratori. Non a caso in tutte le tradizioni religiose il mistico, ovvero colui che vuole incontrare la verità, abbandona il potere come la più pericolosa delle idolatrie. Si ricordano le tentazioni di Gesù nel deserto per i cristiani. Tornando al tema della felicità, dunque essa non ha a che fare con il potere ma con l’interpretazione della propria natura. La saggezza greca diceva conosci te stesso e mantienti lontano dalle passioni, questo ti porterà all’eudemonia ,ovvero la felicità. Che c’é dunque da festeggiare per l’assunzione di un potere sia pure il più alto dello Stato ? Nel sessantotto uno slogan recitava : la fantasia al potere, sbagliando e confondendo fantasia con creatività, tuttavia il senso era che al potere ci andassero coloro che non si identificano con esso ma che usano le proprie risorse creative al servizio altrui . Speriamo che Mattarella sia fra questi. Il fatto che abbia mostrato molta riservatezza fa sperare che senta il peso di questa responsabilità e che non si esalti per il potere in se ma lo senta come il compimento della sua missione in questa vita.


                                           

giovedì 15 gennaio 2015

I fatti di Parigi

                                      Image, hommage a Monet, acquerello su carta 25x35

Non si possono passare sotto silenzio i fatti di Parigi e anche noi abbiamo fatto le nostre considerazioni in seguito anche al post del primo dell'anno. Dopo la massiccia manifestazione di solidarietà a Charlie Hebdo siamo tutti più sicuri che l'Occidente reagirà con la necessaria determinazione agli attacchi dei terroristi ma viene da chiedersi: il messaggio forte che ha rappresentato con l'aiuto dei media a chi era diretto? Se era diretto ai fondamentalisti credo che non li spaventi certo anzi ritengo che era quello che volevano, cioè dare il massimo di pubblicità al fatto di sangue che beninteso era una vendetta verso chi, in un certo senso, prendeva in giro la loro cultura, relegata in Francia come in Italia o in Germania alle periferie e quindi a uno stato di subalternità. In queste condizioni sociali, in cui chi si sente escluso guarda con rabbia e disperazione gli inclusi, senza speranza del proprio riscatto, dove la forbice tra chi ha troppo e chi non ha a sufficienza non sembra diminuire, la religione diventa il manifesto della propria identità che non può essere messa in discussione nè tanto meno farne oggetto di satira perchè ciò diventa profanazione. L'etimologia del termine ci aiuta a comprendere: profano significa fuori dal tempio dove vive la dimensione del sacro, come realtà profonda, atemporale. Quel nocciolo di verità che è in noi e che non subisce gli influssi del tempo profano. Una volta anche da noi esisteva un proverbio che recitava: "Scherza coi fanti e lascia stare i santi", ed il motivo era ben questo, i diseredati alla fine non hanno che la loro identità religiosa e considerano oltremodo svilente fare dell'ironia sul loro credo. In una situazione di disagio sociale e di ignoranza ci si ammazza anche per il tifo sportivo figuriamoci per una fede. Del resto l'Islamismo quando gli arabi erano conquistatori e quindi dominavano da noi in Sicilia o in Spagna era molto tollerante, molto più che le varie sette cristiane tra di loro che uccidevano e torturavano per questioni dottrinarie. L'Islam era allora la religione dei dominatori e poteva permettersi la tolleranza anche perchè nessuno si permetteva di fare dell'ironia. Quando si è ridotto alle popolazioni più povere dominate dal colonialismo occidentale è diventato intollerante proprio per le ragioni esposte sopra. Quindi a parer mio non si tratta di guerra di religioni ma di conflitto tra chi non ha e chi ha troppo, tra il sud e il nord del mondo, tra le periferie e i centri decisionali. La religione, in questo caso come in altri, è la divisa di appartenenza in un pensiero dualistico tipico tra l'altro della nostra cultura, o incultura, del cosidetto benessere e della competizione permanente. Nel mondo globalizzato dunque è il dio denaro ed il potere connesso che provoca questi conflitti. Oltretutto oggi si è aggiunta la tecnica che si è asservita al nuovo capitalismo di cui subiamo le scelte per ridurci consumatori passivi anzicchè cittadini democratoci. Quando dunque si parla di islamismo e di fondamentalismo si dovrebbe aggiungere che questa intolleranza proviene sì da un mondo che non ha conosciuto l'epoca dei Lumi ma che tale situazione è anche generata dalla grande disparità tra chi domina e chi subisce, tra chi ha molto e chi troppo poco. In sostanza si è costituito in Europa un nuovo quarto stato formato prevalentemente da soggetti di questa cultura. La religione, vissuta in superfice, è la loro distinzione. Ma del resto non dimentichiamo che anche in nome della Dea Ragione si è ammazzato molto. E' l'assolutismo dogmatico che è di per se intollerante, di qualunque natura esso sia, condito con la superficialità di un pensiero dicotomico e paranoico fomentato dalle ingiustizie sociali. L'illuminista Voltaire affermava nel suo saggio sulla tolleranza: "Siamo abbastanza religiosi per odiare e perseguitare ma non lo siamo abbastanza per amare e soccorrere". L'esortazione del mio post precedente su una maggior religiosità per la pace era in questo senso. Ecco perchè credo che a Milano la Moschea debba essere costruita e che debba essere la più bella possibile a dimostrazione della attenzione e del rispetto che ogni religiosità merita anche se si manifesta in un credo che appartiene, in Europa, alle nuove povertà, la ricerca della bellezza si sa è anche un antidoto all'amore per la guerra. Per questo ritengo che la manifestazione di Parigi con questa esibizione di capi di stato sia stata inutile e forse dannosa, perchè il messaggio presuppone un destinatario che in questo caso non è chiaro, quando si annida nelle ingiustizie della nostra stessa società.                    

giovedì 1 gennaio 2015

Primo dell'anno 2015

                                              Omaggio alla rosa, acquarello su carta 40x60

Il primo dell’anno é dedicato alla Pace e  ogni volta siamo qui a riflettere sul significato di questa ricorrenza e cosa voglia dire, nel profondo, questa parola. E’ sempre ambigua questa  aspirazione alla pace in un mondo che intanto prospera grazie alle guerre. Duemila anni di cristianesimo non hanno risolto il problema delle continue guerre che insanguinano, di volta in volta ,ora un paese ora un altro.  Adesso è la volta dell’Ucraina  ma non dimentichiamo il Medio Oriente e i paesi africani. Quando una questione diventa importante per l’opinione pubblica di una nazione subito si trova qualcuno disposto a uccidere e a sacrificare la vita per quella causa, anche se magari, passato un po’ di tempo, questa viene superata dai fatti e la gente non la tiene più in nessuna considerazione. Prendiamo ad esempio le guerre fra cattolici e protestanti nel seicento europeo : per circa trent’anni non si poteva sopportare che qualcuno professasse una dottrina diversa, alla fine non  importava più niente a nessuno ma intanto un sacco di gente era stata uccisa. Bisogna sempre trovare un nemico su cui scaricare le colpe del nostro malessere esistenziale e delle ingiustizie sociali.  Sembra che noi amiamo la guerra perché ci impedisce di guardarci dentro e di vedere il nostro lato ombra. Hillmann, come dicevo nei post precedenti sull’argomento, ha scritto un libro dal titolo significativo : Un terribile amore per la guerra. Le motivazioni dunque sono spesso, palesi o nascoste, di natura religiosa, anche perchè chi va in guerra e rischia la vita ritiene sempre di avere Dio o gli dei dalla sua parte, le ragioni economiche spesso sono una scusa per giustificare  la ferocia di una guerra.  Ma allora che fare ? E’ inevitabile questo precipitare nel pensiero dualistico amico-nemico ?  A parer mio no ma cio’richiede un notevole sforzo di educazione all’umiltà, alla pazienza, alla tolleranza e alla comprensione che oggi, primo dell’anno dedicato dalla Chiesa alla Madre di Gesù, ci ricordano che sono virtù femminili dimenticate dalla nostra cultura sia pur detta cristiana e pur anche a volte dagli stessi movimenti femministi. Allora si capirà che la violenza è stupidità e ignoranza ed essendo la causa di natura religiosa con un processo omeopatico si dovranno usare le religioni per guarire. La marcia per la Pace di Assisi, la città del Santo più olistico, ecumenico ed evangelico insieme, dimostra quanto affermo. Riflettendo sull’ attualità del messaggio francescano e leggendo che, da quando il Papa ha preso il nome del Santo Poverello, Assisi assiste ad un notevole incremento del turismo religioso viene da chiedersi come mai in duemila anni certi passaggi dei Vangeli sono stati trascurati dalla Chiesa fomentatrice nei secoli passati di guerre terribili . Si afferma che il cristianesimo sia la religione dell’amore ma quale esegesi dei Vangeli ha permesso la tortura, le  persecuzioni, i delitti e le guerre ? In nome di quale amore ? Francesco è una figura anomala o è la più corretta corrispondenza tra la Parola e l’azione ? Ogni grande spiritualità insegna il distacco dai beni materiali, dal potere, dalla fama e dagli onori. Vuoi vedere che è proprio per evitare le guerre fratricide ? Quando il cristiano ascolta il messaggio del suo fondatore , « Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come  la dà il mondo, io  la do a voi » (Giovanni 14/27)  comprende che questa condizione di pace è una totale rinuncia  al  proprio Ego e quindi alle ragioni della guerra e un abbandonarsi alla bellezza della vita ?        

martedì 9 dicembre 2014

Ancora del grattacielo

Mia moglie mi ha passato questo articolo apparso sabato 6 dicembre su D la Repubblica che io certamente non avrei mai letto perchè scritto da Inès de la Fressange, modella e stilista francese. Tuttavia mi devo ricredere poichè ne condivido appieno quasi tutto il contenuto . Un elogio quindi alla brava autrice.Vuol dire, almeno penso, che alla fine c'è una verità e che forse una certa stampa  sta occultando per favorire una ben nota economia speculativa che ruota intorno a grattacieli sempre più alti e sempre più costosi. Pare che l'altezza degli edifici, come scrive madame De la Frassange, continui a crescere e sia il simbolo della bellezza assoluta e della modernità tanto da scatenare in tutto il mondo,da Dubai, con la sua torre di 828 metri, a Shanghai, con la futura Bionic Tower di 1200 metri,  la competizione fra gli archistar che realizzeranno il grattacielo più alto. Ma, scrive la Frassange: " Chi ha voglia di ritrovarsi ogni giorno al sessantaduesimo piano, in un open space? Non è forse più accattivante l'idea di una città con piccoli edifici di pietra o mattoni, loft, spazi verdi e buoni ristoranti con giardino?" Certo Ines,  questo approccio alla città l'ho sempre sostenuto come si può leggere anche nel mo libro "L'altro architetto", Giampiero Casagrande Editore, che vi consiglio come regalo di Natale. Tra un tè e un pranzo potrebbe diventare una simpatica fonte di dibattito. Io comunque mi ritengo un architetto di "basse vedute" e sto ancora dalla parte di chi pensa che il grattacielo non ha un gran che di innovativo in un' epoca in cui si capisce l'importanza dell'ecologia. "Ma voi, durante un soggiorno a Parigi, preferireste alloggiare a Saint Germain des Près o negli edifici di vetro della Dèfense?" Domanda l'autrice dell'articolo citato. Io non ho dubbi preferirei alloggiare a Saint Germain ma anche se resto a Milano preferisco aggirarmi in Brera o tra le villette di via Lincoln, lì  posso camminare ammirando terrazzini pieni di fiori che nonostante sia quasi inverno mostrano il meglio di sè. E voi?

lunedì 1 dicembre 2014

Lettera di Armando

                                                     Fiori allo specchio, olio su tela  

A proposito degli sfratti e degli sgomberi di cui a Milano si discute e soprattutto si esegue, in attesa di EXPO, pubblichiamo la lettera di Armando pervenutaci prima del nostro convegno sull'emergenza abitativa del 10 novembre scorso. Esemplifica bene la situazione del diritto a una casa.

Milano 4.11.2014
Gentile direttore,
mi chiamo Armando e già dal mio nome potrà capire che le mie origini sono prettamente lombarde anche se questo dettaglio anagrafico è irrilevante di fronte a un problema che riguarda la casa e che coinvolge persone di diverse etnie ed età che vivono a Milano. Le chiedo innanzitutto scusa per non avere il coraggio di essere presente al suo convegno "Una casa per la vita" e di conseguenza per non avere la lealtà di guardare negli occhi il  suo pubblico raccontando ciò che io ho provato di fronte all'umiliazione di uno sfratto. La scelta di scriverle, evitando di espormi a volto scoperto tra i suoi invitati, nasce dal fatto che fino ad ora ho cercato di proteggere la mia famiglia e soprattutto mio figlio che adoro e che ha già sofferto abbastanza a causa di alcuni momenti di smarrimento dei propri genitori.
Ho cinquant'anni anni, sono laureato in lettere moderne, non penso di essere nè vecchio nè giovane, anzi per una certa cultura sono ancora identificato come un bamboccione e forse, visti i fatti e vista la mia a volte ancora dipendenza economica e morale dai miei anziani genitori,ex insegnanti elementari, appartengo anch'io a questa ironizzata categoria. Ciò che voglio narrarle, affinchè possa essere utile a qualcuno che si trova nelle condizioni da cui io sono passato, riguarda lo sfratto dalla casa  in cui ho abitato per circa dieci anni. Se chiudo gli occhi e ripenso a quel giorno in cui ho ricevuto dal tribunale  l'intimazione di sfratto per morosità  provo ancora un senso di inadeguatezza, accompagnato da vergogna, paura,senso di colpa, tormento, vuoto come quando si ha la sensazione che ormai la vita ha preso la strada dell'infelicità e nulla ha più senso . Premetto che sono religioso o,  quanto meno, ho una mia religione ed è stata questa, insieme a quell'angelo di mia moglie, a far sì che il giorno stabilito per lo sfratto esecutivo non si traducesse in un appuntamento con  la morte. L'appartamento in cui risiedevamo, situato in una zona semicentrale di Milano, era di circa settanta metriquadri e l'avevamo scelto insieme a Giovanna, mia moglie ingegnere, con l'entusiasmo di due ragazzini. Era piccolo e anche un po' scialbo ma aveva un delizioso terrazzino e questo raro dettaglio ci aveva convinti che, nonostante la richiesta da parte della proprietà fosse un po' altina, quello era il nostro nido, dopo tutto entrambi lavoravamo e pagare quell'affitto non sarebbe stato un problema. Per un certo numero di anni quella casa, che col tempo aveva assunto calore e sapore, era diventata il nostro luogo del cuore dove ci si ritrovava ogni sera a cena ad ascoltare i piccoli problemi del figlio che, mano mano, cresceva e dove le piante e i fiori del terrazzo mettevano radici sempre più lunghe come se ,allo stesso modo di noi, avessero pensato  che lì avrebbero vissuto per sempre. Poi è subentrata la crisi, mia moglie che lavorava per una multinazionale ha perso il posto, io che avevo una piccola libreria indipendente sono  fallito con la conseguenza, quasi immediata, di non poter più pagare l'affitto perchè quei pochi soldi che ancora avevamo da parte servivano per mangiare, per pagare le utenze e garantire almeno le cure mediche e scolastiche al figlio che cresceva. E' a questo punto che quella casa del cuore, tanto amata e che ormai profumava solo di noi, è diventata l'incubo delle nostre notti. Il proprietario, ricco immobiliarista con appartamenti in tutta Milano, in poco tempo ha scelto le vie legali e attraverso queste la congiura dello sfratto che, a poco a poco, ti toglie le forze perchè, nonostante tu sia incolpevole, non sai come uscire dalla tua morosità. Il proprietario dell'immobile diventa il tuo aguzzino, ti umilia, ti tortura diffidando di te e della tua buona fede, poi, in relazione alla legge in corso, ti sferra il colpo finale ottenendo l'intervento della forza pubblica e lo sgombero di quel nido che a tutti i costi cercavi di difendere. E' brutto dover lasciare così, con disperazione, quella che comunque era la propria abitazione, è brutto sapere che una tale mattina sfonderanno la tua porta e ti faranno lasciare tutto il tuo mondo, così com'è, dandoti l'opportunità entro due mesi di recuperare mobili e quant'altro, è brutto soprattutto spiegare tutto questo a un figlio adolescente e vedere che tua moglie soffre senza fartene una colpa e prova vergogna e rabbia verso una società dove è solo il denaro il sale della vita senza pensare che ci sono famiglie d'origine, come la mia e la sua, che avevano speso tutte le loro risorse economiche, con fatica ma soprattutto con orgoglio, per farci studiare e laureare.
Ecco, caro direttore, se vuole, visto che io al suo convegno non potrò esserci, per i motivi che ho esposto all'inizio, legga pure questa mia lettera, se lo ritiene, alla quale aggiungo un finale a sorpresa. Ce l'ho fatta ad evitare l'umiliazione dello sgombero grazie a un vero amico, uno di quelli che in questa società individualista è una  perla rara. Lui contrariamente al mio ex padrone di casa, a cui avevo chiesto tempo e pazienza, mi ha dato fiducia prestandomi i soldi occorrenti per andare in un luogo nuovo dove ricominciare a vivere. Ora con mia moglie abitiamo a Chiaravalle, abbiamo trovato un bilocale grazioso e dignitoso che sembra portarci anche fortuna poichè Giovanna ha nuovamente un posto di lavoro e col suo guadagno stiamo sistemando le nostre pendenze economiche. Io invece, proprio in questo borgo, sto piano piano rinascendo e con l'aiuto di un frate aprirò presto un'altra piccola libreria. Siamo stati alla fine fortunati, mio padre dice sempre che quando meno te l'aspetti è la provvidenza ad  aggiustare ogni cosa ed è quello che volevo ricordare a chi sta passando dalla mia stessa strada esortandolo a non perdere coraggio e soprattutto stima in se stesso. Infine vorrei dire poche  parole ai suoi interlocutori: la casa, scrivono certi autori di livello, è come una seconda pelle immaginate il dolore quando te la strappano. Giovanna quando passiamo in macchina nelle vicinanze della nostra vecchia abitazione mi chiede ancora: "Fai un altro giro, mi mancano le mie piante". Grazie per avermi letto, un cordiale saluto. Armando
   .