Oggi si dice che non esiste uno stile. Ma che cosa è uno stile ? Ecco la risposta tradizionale : lo stile è l’espressione formale di una cultura. Gli ordini classici sono stili, anzi il termine stesso si rifà alla colonna, ognuno di essi si riferisce alla cultura di popolazioni greche che li hanno prodotti. L’ordine dorico è relativo ai Dori, popolazione severa e frugale poco dedita alle sottigliezze e ai sentimenti, non cosi gli ordini ionico e corinzio. Oggi non esiste più uno stile perchè la cultura occidentale liberista ha dato via libera ad ogni espressione provocatoria manipolata dai media che hanno una funzione totalmente diversa rispetto alla fruizione contemplativa della bellezza. Cosi non esiste più una forma riconosciuta che esprime il carattere della cultura dominante. Tutti possono produrre quello che vogliono purchè abbia le caratteristiche che servono per stupire e far parlare i mass- media. Il cosidetto stile internazionale è fondamentalmente assenza di stile. E’ chiaro che la provocazione reiterata finisce pêr diventare omologazione nella categoria del brutto, inteso come superficiale e senza cura. La globalizzazione produce identiche brutture nella banalità del fine, che non è più quello di aiutare a vivere felicemente ma quello di comunicare magniloquente e si sa che grdare fa male anche se a volte serve, ma se gridano tutti alla fine si avrà un baccano infernale e non ci si intenderà più. Come ci si puo’salvare ? A parer mio recuperando il significato della bellezza che presuppone un rapporto diverso con la natura dentro e fuori di noi e la riedificazione della promessa di felicità che è insita nella ricerca di armonia fra uomo e ambiente. Un ritorno al regionalismo ? Non propriamente, nel senso che in architettura si sono sempre succeduti periodi di espansione e di contrazione. Oggi abbiamo bisogno più di riflessione e di rispetto per la natura e il contesto perchè vi è anche una revisione dell’idea di progresso che sta alla base della cultura modernista. Va superata anche la dicotomia fra classico e anticlassico : c’è bisogno di più modestia. I temi cambiano : alcuni rimangono ma vengono trattati in modo nuovo, altri si aggiungono al repertorio dell’architettura, le forme si liberano dalla dipendenza di stili passati, come è giusto, ma spesso sono frutto di manie di grandezza senza nessun rispetto per la cultura ed il contesto. La bellezza di un nuovo intervento infatti ha due componenti : la cura e l’impegno di chi progetta a non violentare il tessuto esistente, sia pure rapportandosi per contrasto, e la disponibilità della popolazione locale ad accettare il nuovo. Quest’ultimo fatto è legato alla dimensione e ai tempi. Un intervento che stravolge in pochi anni il paesaggio consolidato è vissuto come una violenza e una scarsa considerazione che lo fa apparire brutto. Nel tempo questo giudizio puo’anche cambiare perchè i segni della vita lo ricoprono di nobiltà e l’abitudine lo rende familiare. Ma se questo non succede rimane un monumento senza senso e seza vita. Resta un non luogo dove si realizzano i tre eccessi della modernità : eccesso di spazio, eccesso di tempo ed eccesso di individualismo.
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giovedì 24 settembre 2015
Dell'architettura
Coldirodi, acquerello su carta
Oggi si dice che non esiste uno stile. Ma che cosa è uno stile ? Ecco la risposta tradizionale : lo stile è l’espressione formale di una cultura. Gli ordini classici sono stili, anzi il termine stesso si rifà alla colonna, ognuno di essi si riferisce alla cultura di popolazioni greche che li hanno prodotti. L’ordine dorico è relativo ai Dori, popolazione severa e frugale poco dedita alle sottigliezze e ai sentimenti, non cosi gli ordini ionico e corinzio. Oggi non esiste più uno stile perchè la cultura occidentale liberista ha dato via libera ad ogni espressione provocatoria manipolata dai media che hanno una funzione totalmente diversa rispetto alla fruizione contemplativa della bellezza. Cosi non esiste più una forma riconosciuta che esprime il carattere della cultura dominante. Tutti possono produrre quello che vogliono purchè abbia le caratteristiche che servono per stupire e far parlare i mass- media. Il cosidetto stile internazionale è fondamentalmente assenza di stile. E’ chiaro che la provocazione reiterata finisce pêr diventare omologazione nella categoria del brutto, inteso come superficiale e senza cura. La globalizzazione produce identiche brutture nella banalità del fine, che non è più quello di aiutare a vivere felicemente ma quello di comunicare magniloquente e si sa che grdare fa male anche se a volte serve, ma se gridano tutti alla fine si avrà un baccano infernale e non ci si intenderà più. Come ci si puo’salvare ? A parer mio recuperando il significato della bellezza che presuppone un rapporto diverso con la natura dentro e fuori di noi e la riedificazione della promessa di felicità che è insita nella ricerca di armonia fra uomo e ambiente. Un ritorno al regionalismo ? Non propriamente, nel senso che in architettura si sono sempre succeduti periodi di espansione e di contrazione. Oggi abbiamo bisogno più di riflessione e di rispetto per la natura e il contesto perchè vi è anche una revisione dell’idea di progresso che sta alla base della cultura modernista. Va superata anche la dicotomia fra classico e anticlassico : c’è bisogno di più modestia. I temi cambiano : alcuni rimangono ma vengono trattati in modo nuovo, altri si aggiungono al repertorio dell’architettura, le forme si liberano dalla dipendenza di stili passati, come è giusto, ma spesso sono frutto di manie di grandezza senza nessun rispetto per la cultura ed il contesto. La bellezza di un nuovo intervento infatti ha due componenti : la cura e l’impegno di chi progetta a non violentare il tessuto esistente, sia pure rapportandosi per contrasto, e la disponibilità della popolazione locale ad accettare il nuovo. Quest’ultimo fatto è legato alla dimensione e ai tempi. Un intervento che stravolge in pochi anni il paesaggio consolidato è vissuto come una violenza e una scarsa considerazione che lo fa apparire brutto. Nel tempo questo giudizio puo’anche cambiare perchè i segni della vita lo ricoprono di nobiltà e l’abitudine lo rende familiare. Ma se questo non succede rimane un monumento senza senso e seza vita. Resta un non luogo dove si realizzano i tre eccessi della modernità : eccesso di spazio, eccesso di tempo ed eccesso di individualismo.
Oggi si dice che non esiste uno stile. Ma che cosa è uno stile ? Ecco la risposta tradizionale : lo stile è l’espressione formale di una cultura. Gli ordini classici sono stili, anzi il termine stesso si rifà alla colonna, ognuno di essi si riferisce alla cultura di popolazioni greche che li hanno prodotti. L’ordine dorico è relativo ai Dori, popolazione severa e frugale poco dedita alle sottigliezze e ai sentimenti, non cosi gli ordini ionico e corinzio. Oggi non esiste più uno stile perchè la cultura occidentale liberista ha dato via libera ad ogni espressione provocatoria manipolata dai media che hanno una funzione totalmente diversa rispetto alla fruizione contemplativa della bellezza. Cosi non esiste più una forma riconosciuta che esprime il carattere della cultura dominante. Tutti possono produrre quello che vogliono purchè abbia le caratteristiche che servono per stupire e far parlare i mass- media. Il cosidetto stile internazionale è fondamentalmente assenza di stile. E’ chiaro che la provocazione reiterata finisce pêr diventare omologazione nella categoria del brutto, inteso come superficiale e senza cura. La globalizzazione produce identiche brutture nella banalità del fine, che non è più quello di aiutare a vivere felicemente ma quello di comunicare magniloquente e si sa che grdare fa male anche se a volte serve, ma se gridano tutti alla fine si avrà un baccano infernale e non ci si intenderà più. Come ci si puo’salvare ? A parer mio recuperando il significato della bellezza che presuppone un rapporto diverso con la natura dentro e fuori di noi e la riedificazione della promessa di felicità che è insita nella ricerca di armonia fra uomo e ambiente. Un ritorno al regionalismo ? Non propriamente, nel senso che in architettura si sono sempre succeduti periodi di espansione e di contrazione. Oggi abbiamo bisogno più di riflessione e di rispetto per la natura e il contesto perchè vi è anche una revisione dell’idea di progresso che sta alla base della cultura modernista. Va superata anche la dicotomia fra classico e anticlassico : c’è bisogno di più modestia. I temi cambiano : alcuni rimangono ma vengono trattati in modo nuovo, altri si aggiungono al repertorio dell’architettura, le forme si liberano dalla dipendenza di stili passati, come è giusto, ma spesso sono frutto di manie di grandezza senza nessun rispetto per la cultura ed il contesto. La bellezza di un nuovo intervento infatti ha due componenti : la cura e l’impegno di chi progetta a non violentare il tessuto esistente, sia pure rapportandosi per contrasto, e la disponibilità della popolazione locale ad accettare il nuovo. Quest’ultimo fatto è legato alla dimensione e ai tempi. Un intervento che stravolge in pochi anni il paesaggio consolidato è vissuto come una violenza e una scarsa considerazione che lo fa apparire brutto. Nel tempo questo giudizio puo’anche cambiare perchè i segni della vita lo ricoprono di nobiltà e l’abitudine lo rende familiare. Ma se questo non succede rimane un monumento senza senso e seza vita. Resta un non luogo dove si realizzano i tre eccessi della modernità : eccesso di spazio, eccesso di tempo ed eccesso di individualismo.
venerdì 4 settembre 2015
La giusta politica
“Uscire
da soli da un problema è avarizia, uscire insieme è politica”. Questa è
un’affermazione di Don Milani ma purtroppo vi sono problemi da risolvere in
solitudine e problemi comuni da risolvere insieme, è tutta una questione di
livelli. La scuola di Don Milani che ha influenzato il pensiero sull’istruzione negli anni
sessanta settanta andava bene come esperimento di buona educazione , di
generosità e di amore di chi la faceva ma ha dimostrato di non essere
applicabile. Spesso ha dato adito al pressapochismo e alla degenerazione della scuola di Stato in senso buonistico e
missionario togliendo agli insegnanti il giusto riconoscimento come lavoratori.
Lo vediamo attualmente nella vicenda delle assunzioni e dei trasferimenti dove i
soggetti vengono sbattuti a centinaia di
chilometri di distanza da un computer come se non importasse un fico secco che
la scuola fosse integrata al territorio. “I care”, sempre di Don Milani, è una
bella affermazione ma condita con protagonismo e smania di potere ha visto
anche distorsioni inaspettate, soprattutto in relazione ai mass-media e al loro
potere. L’impegno allora diventa narcisismo ed egolatria. In
politica l’esibizione dei buoni sentimenti è irritante perchè sa di
falsità o di “captatio benevolentiae” che, amplificato dai media determina
modelli di perfezione sotto i quali si intravede l’attaccamento al potere. Le
leggi dell’equilibrio non si ingannano e ad una coscienza troppo buona
corrisponde un inconscio di verso contrario. Al potere non si chiede di essere
buono ma giusto e, se si vuole, creativo. Se uno vuol essere buono si ritiri in
un convento oppure non lo dica a nessuno. Creativo invece vuol dire saper
trasformare i problemi in occasioni di
maggior benessere sia a livello individuale che collettivo. Non vuol dire non
avere problemi o scansarli e nemmeno andarseli a cercare, vuol dire
abbandonarsi alla vita e affrontare quello che viene incontro sapendo che non
lo puoi evitare. Oggi una politica
creativa vede il problema dei migranti
come una occasione per rivedere i rapporti fra Stati e la stessa concezione
dell’Unione Europea e la sua politica. E’ importante a parer mio che si
consideri il fatto sostanziale che l’Europa in settant’anni sia diventata un
luogo di pace dove sono garantiti i diritti umani e venga agognata come meta da
chi subisce gli effetti di conflitti e rivoluzioni violente in paesi dove la
vera democrazia non è ancora arrivata. Il flusso dei profughi di conseguenza,
fintanto che in quei posti ci saranno guerre, continuerà senza interruzione. E’
necessario quindi agire affinchè queste guerre cessino e la politica
internazionale deve operare in questo senso
per evitare migrazioni apocalittiche. Tutto questo si ottiene anche
individuando i produttori di armi che
lucrano su questi conflitti. E’ anche importante vedere che gli immigrati
comunque sono necessari all’economia europea ed un certo numero non è dannoso
ma anzi auspicabile. Il problema sta nello stabilirne senza isterismi e
xenofobie, fomentate da demagoghi interessati, il quantitativo e poi legalizzare il loro trasferimento senza
abbandonarlo alle mafie. La fotografia del bambino morto sulla battigia ha
scosso le coscenze di tutto il mondo speriamo che questo serva a uscire insieme
da questo problema.
giovedì 13 agosto 2015
Per Vittorio Borachia
La città ideale, acquarello e pastello su carta
E’ mancato in questi giorni di agosto un amico, collega e maestro, Vittorio Borachia. Sono addolorato e voglio ricordarlo parlando di lui per quello che ho potuto conoscerlo. Era essenzialmente un uomo buono, con un’etica piuttosto stoica. Mi risulta che a vent’anni era in marina durante la guerra e forse un po’ di quella disciplina marinaresca lo aveva contagiato anche nella vita, aveva infatti le virtù dei grandi navigatori : onestà, coraggio, solidarietà, spirito d’avventura, riservatezza e culto dell’amicizia. Era infatti nativo di La Spezia, città che lui amava anche se viveva a Milano ed insegnava Urbanistica alla Facoltà di Architettura. Ho lavorato con lui ai piani delle oasi naturalistiche del mantovano, nei primi anni ottanta, cosi ho potuto conoscere il suo pensiero e la sua cultura. Nonostante appartenesse alla generazione che aveva creduto nella tecnica, nell’industria e nel progresso scientifico, tanto che disegno,insieme a Carlo Santi negli anni 50, una poltrona pieghevole in plastica per la Tecno, lui aveva fin da giovane maturato un amore per la natura che lo porto’ ad abbracciare in architettura l’organicismo di Frank Lloyd Wright che aveva conosciuto a Taliesin West, dove aveva passato un po’ di tempo per seguire il maestro da vicino. Di questa influenza si puo’ vedere la traccia nella casa da lui progettata per la sua famiglia sopra Albavilla in provincia di Como. La sua attività professionale tuttavia è stata prevalentemente dedicata ai piani urbanistici dove per la prima volta si nota il tentativo di coniugare lo sviluppo con la sua sostenibilità ecologica. Per lui il bello in architettura è il prodotto conseguente di una urbanistica ben fatta dove il lavoro dell’architetto si inserisce senza arroganza e provocazione ma con misura ed eleganza, frutto di una concezione aristocratica della sua opera, nel senso etimologico originario di « la migliore ». Ma è proprio sul versante dell’ecologia applicata al territorio, costruito e naturale, che osserviamo la sua novità, considerando i tempi, erano gli anni 70 e 80. Fu infatti uno strenuo difensore del paesaggio come bene da conservare, soprattutto nella sua Liguria, aimè sconvolta dalla speculazione, applicando norme e leggi atte a proteggerlo. Vittorio era politicamente un socialista riformista ed è stato uno dei miei riferimenti ai quali è dedicato il mio ultimo libro L’altro architetto, infatti la figura dell’insegnante nel dialogo socratico si attaglia bene alla sua persona ed alla sua attività di professore e presidente della Fondazione Labo’.
domenica 2 agosto 2015
Della rabbia e della violenza
Giardini Montanelli, acquarello su carta
Quando era bambino avevamo un cane, anzi una cagnetta che quasi ogni anno veniva ingravidata da qualche randagio e partoriva cuccioli bellissimi. Almeno cosi sembravano a noi bimbi felici di assistere a questo miracolo della natura. In genere pero’ se ne dovevano tenere solo due, gli altri purtroppo venivano gettati nel fiume nottetempo dal Primo,il giardiniere. Questi due erano nutriti, fatti crescere ed infine regalati a qualche parente o amico. Un anno pero’ uno l’abbiamo tenuto ed era diventato un bel cane color nocciola che trotterellava allegro accanto alla madre durante le passeggiate nei boschi. Era entusiasmante vedere la sua vitalità, la sua gioia e la sua curiosità. Era pero’ come tutti i cuccioli viziati disubbidiente e non aveva ancora imparato a rispondere al richiamo. Un bel giorno decidemmo di andare a fare una bella passeggiata in pineta, tutta la famiglia di cinque persone e i due cani che festeggiavano l’evento abbaiando ripetutamente. Questa abetaia veniva attraversata da una strada, ancora sterrata, che conduceva ad un sanatorio e veniva percorsa due volte al giorno da una corriera che vi portava i visitatori dalla stazione ferroviaria, lontana un paio di chilometri. Il cucciolo aveva attraversato la strada ed annusava estasiato qualcosa che gli piaceva. Ad un tratto sentimmo il rombo del motore del pulmino, un residuato bellico, e vedemmo in lontananza il polverone che si avvicinava, abbiamo allora chiamato il cane che si attardava facendo finta di nulla. Infine, dopo numerosi urli, trotterellando ha attraversato la strada proprio nel momento in cui giungeva il mezzo che lo centro’ in pieno. Il cucciolo rimase stecchito al suolo, da parte del guidatore nessuna reazione, come se nulla fosse ha continuato la sua corsa lasciandoci ammutoliti di fronte alla tragedia. Quello che era felicità e grazia venne spazzato via dalla violenza dell’atto. Avrebbe potuto frenare o rallentare e quantomeno fermarsi e dimostrare dispiacere dopo l’investimento : nulla. Avevamo avuto l’impressione invece che avesse accelerato apposta per centrarlo. La violenza aveva messo fine ad una vita e dentro di noi bimbi il seme della tristezza, della paura e della rabbia iniziava a germogliare. E’ da questi episodi traumatici che nasce la rabbia. Questa è l’emozione che scatena le guerre. Raccontano gli psicologi che i soldati in battaglia vedono cadere i propri amici e si riempiono di rabbia che supera la paura e accende il desiderio di vendetta. Questi erano i sentimenti che provammo noi nei confronti del sadico autista. Per un bambino il cane è il suo amico. Esiste anche un’etica per il comportamento nei confronti degli animali e delle piante, benchè in Occidente poco seguita, del vivente insomma, perchè noi siamo in quanto apparteniamo ad una vita interrelata con altre vite non solo umane. Il buddista Thich Nhat Hanh lo chiama interessere che prevede la compassione per il vivente. In tempo di abbandono estivo di animali come se fossero cose è utile riflettere. La bellezza promessa di felicità in questo consiste.
Quando era bambino avevamo un cane, anzi una cagnetta che quasi ogni anno veniva ingravidata da qualche randagio e partoriva cuccioli bellissimi. Almeno cosi sembravano a noi bimbi felici di assistere a questo miracolo della natura. In genere pero’ se ne dovevano tenere solo due, gli altri purtroppo venivano gettati nel fiume nottetempo dal Primo,il giardiniere. Questi due erano nutriti, fatti crescere ed infine regalati a qualche parente o amico. Un anno pero’ uno l’abbiamo tenuto ed era diventato un bel cane color nocciola che trotterellava allegro accanto alla madre durante le passeggiate nei boschi. Era entusiasmante vedere la sua vitalità, la sua gioia e la sua curiosità. Era pero’ come tutti i cuccioli viziati disubbidiente e non aveva ancora imparato a rispondere al richiamo. Un bel giorno decidemmo di andare a fare una bella passeggiata in pineta, tutta la famiglia di cinque persone e i due cani che festeggiavano l’evento abbaiando ripetutamente. Questa abetaia veniva attraversata da una strada, ancora sterrata, che conduceva ad un sanatorio e veniva percorsa due volte al giorno da una corriera che vi portava i visitatori dalla stazione ferroviaria, lontana un paio di chilometri. Il cucciolo aveva attraversato la strada ed annusava estasiato qualcosa che gli piaceva. Ad un tratto sentimmo il rombo del motore del pulmino, un residuato bellico, e vedemmo in lontananza il polverone che si avvicinava, abbiamo allora chiamato il cane che si attardava facendo finta di nulla. Infine, dopo numerosi urli, trotterellando ha attraversato la strada proprio nel momento in cui giungeva il mezzo che lo centro’ in pieno. Il cucciolo rimase stecchito al suolo, da parte del guidatore nessuna reazione, come se nulla fosse ha continuato la sua corsa lasciandoci ammutoliti di fronte alla tragedia. Quello che era felicità e grazia venne spazzato via dalla violenza dell’atto. Avrebbe potuto frenare o rallentare e quantomeno fermarsi e dimostrare dispiacere dopo l’investimento : nulla. Avevamo avuto l’impressione invece che avesse accelerato apposta per centrarlo. La violenza aveva messo fine ad una vita e dentro di noi bimbi il seme della tristezza, della paura e della rabbia iniziava a germogliare. E’ da questi episodi traumatici che nasce la rabbia. Questa è l’emozione che scatena le guerre. Raccontano gli psicologi che i soldati in battaglia vedono cadere i propri amici e si riempiono di rabbia che supera la paura e accende il desiderio di vendetta. Questi erano i sentimenti che provammo noi nei confronti del sadico autista. Per un bambino il cane è il suo amico. Esiste anche un’etica per il comportamento nei confronti degli animali e delle piante, benchè in Occidente poco seguita, del vivente insomma, perchè noi siamo in quanto apparteniamo ad una vita interrelata con altre vite non solo umane. Il buddista Thich Nhat Hanh lo chiama interessere che prevede la compassione per il vivente. In tempo di abbandono estivo di animali come se fossero cose è utile riflettere. La bellezza promessa di felicità in questo consiste.
sabato 4 luglio 2015
Della sinistra e altre storie
I bagni Regina, acquarello su carta
Di fronte alle
manifestazioni della politica nostrana viene spontaneo chiedersi se esista una
sinistra nel nostro paese e che cosa sia di sinistra. Credo che valga la pena
chiederselo per poter poi giudicare i nostri governanti che si definiscono di sinistra.
Storicamente essa era quella parte che voleva l’uguaglianza dei cittadini indipendentemente dal censo o
peggio dal casato. Nasce dalla rivoluzione francese nei tre principi, egalitè, fraternitè e libertè.
Dobbiamo tener presente che l’illuminismo l’ aveva favorita credendo
ingenuamente nel raggiungimento della
felicità, le but de la revolution c’est le boneur, affermavano.
La sinistra dunque è per il riscatto sociale, per la difesa dei più
deboli per la flessibilità dei ruoli di potere che vengono attribuiti a chi
dimostra di avere le capacità indipendentemente dalle origini. Dunque la
sinistra è per la continua riforma del sistema di potere per renderlo più giusto
e creativo, per la selezione attraverso il merito e le doti naturali e non per
le rendite di posizione. Quindi la sinistra è per il cambiamento e non per la
rigidità. Tutto questo alcuni hanno pensato improvvidamente che lo si potesse
ottenere con rivoluzioni violente altri con riforme. Massimalisti gli uni,
riformisti gli altri. Ma aldilà dei
mezzi per raggiungere gli scopi suddetti di un nuovo umanesimo si tratta in cui
prevale la fiducia, la solidarietà e la ricerca dell’uguaglianza. E’ basato
insomma su sentimenti ed emozioni positive e non sugli egoismi e sulla paura, emozioni negative. Per raggiungere questo
stato sociale viene ovviamente data molta importanza alla educazione poichè il
popolo, tenuto per secoli nell’ignoranza e nella sudditanza, ha bisogno di essere
istruito per diventare classe dirigente. Da qui l’importanza che viene data
alle scuole perchè il quarto stato deve essere preparato e messo nelle
condizioni di competere con i ricchi nell’assunzione del potere. La scuola diventa cosi un ascensore sociale
che tende a valorizzare i talenti naturali perchè siano messi al servizio della
collettività. Questo era anche il pensiero di Mosè Loria quando lascio’ il suo
patrimonio per fondare una scuola di arti e mestieri, l’Umanitaria, affinchè i
cosidetti « diseredati » si rilevassero da soli, con le proprie
capacità. Lo stesso assunto teorico
anche di Riccardo Bauer che,
antifascista al confino con Pertini, dopo la liberazione preferi restare a
dirigere la Scuola della Società Umanitaria piuttosto che andare in parlamento.
La pedagogia degli oppressi, tanto per citare un saggio di Paulo Freire degli
anni ottanta, è di fondamentale importanza per una politica cosidetta di
sinistra. Dunque tutto quello che è orientato al riscatto sociale dei più
deboli è di sinistra, dai diritti degli andicappati a quelli delle minoranze di
vario genere. Lo stato
interviene a smorzare la forbice tra ricchi e poveri generata dal mercato senza
regole frutto del liberalismo più sfrenato. Infatti ad una concezione socialista
che abbiamo delineato si contrappone una concezione liberale che lascia le cose come stanno e pretende di
dare la massima libertà all’iniziatva privata e alle leggi della
concorrenza. Il fondamento della sinistra
quindi è la fiducia nella persona umana al dilà delle differenze di censo, di
razza e di religione E’ emblematico che ultimamente le uniche cose di sinistra le dica Papa
Francesco che si ispira ovviamente ai Vangeli. Tra i nostri politici
di sinistra purtroppo vediamo una degenerzione di questi principi nel
buonismo, nel protagonismo e nella esibizione narcisistica del potere che
portano al populismo, ahimè.
mercoledì 3 giugno 2015
Dell'arte e degli artisti
Omaggio a Monet, acquarello su carta
Vedo che ultimamente su fb si discute molto sull'arte e gli artisti anche in ragione del prezzi stratosferici pagati dai collezionisti nelle aste per accaparrarsi delle opere di dubbia reputazione, dedicherò quindi questo post all'argomento che ho già trattato sui miei ultimi due libri Ecologia e Bellezza, ed. Alinea e L'altro architetto, ed. Casagrande. L'argomento sul quale spesso si dibatte è cosa sia arte e se questo giudizio sia soggettivo, legato al gusto, oppure no. All'Expo è stata esposta una statua dal titolo L'esibizionista che rappresenta un uomo in posa inequivocabile che con l'impermeabile aperto mostra i genitali. Da lì ne è nato un lungo dibattito a più voci se questa sia arte e dove quast'ultima voglia andare a parare. A mio parere sta avanzando un nuovo interesse perchè sotto si nasconde uno scontento generale per la produzione artistica contemporanea, una ricerca di senso e fame di bellezza. Ho già avuto modo di osservare che la grande rimozione del 900 è stata il bisogno di bellezza e che questa alienazione sta anche alla base della crisi ecologica. Nel mio libro L'altro architetto ho sottolineato il fatto che l'arte nel corso del secolo scorso ha abbandonato il suo fine classico, la bellezza, un sogno etico ed estetico che rifletteva una tensione verso il trascendente da individuare nella interpretazione della natura attraverso l'opera dell' artista-profeta che proprio per questo aveva un ruolo importante nella società antica. Del resto in Grecia sono i poeti e gli artisti che tramandano i miti della religione, l'artista è un sacerdote della bellezza cosmica. Cosmos infatti è ben diverso da universo con cui lo si traduce, è un ordine che segue norme di natura estetica, ogni cosa al posto giusto. Quando la cultura occidentale ha abbandonato il fine della bellezza, e questo è accaduto a partire dal 600 ad opera della filosofia e della scienza, specialmente con Cartesio, allora abbiamo avuto la perdita del ruolo degli artisti e la nascita del gusto. Si è passati da un'arte che aveva il compito di trovare l'universale ad una soggettiva, individuale, che il romanticismo ha ulteriormente esaltato nella libertà e originalità dell'artista. Da lì nascono tutte le storture che oggi riscontriamo nelle degenerazioni espressive contemporanee, manifestazioni di disagi interiori e rappresentazioni di stati patologici dell'animo umano, e chi più ne ha pìù ne metta, in una corsa alla provocazione tout court per sentirsi all'avanguardia. A questo si è aggiunto il mercato del collezionismo che da una parte ha liberato l'artista dalla dipendenza dai committenti tradizionali, aristocrazia e clero, ma dall'altra ha trasformato il fine della bellezza in avidità di denaro. Questa è la situazione attuale dove non vi sono più regole se non quelle del mercato, anche in ragione della trasformazione in economia del valore di un oggetto, dal quello d'uso a quello di scambio. Rimane tuttavia nell'inconscio collettivo la nostalgia per la natura antica dell'arte che è quella originaria degli sciamani di Lascaux, cioè della ricerca del trascendente e dell'unione cosmica ed è questo che noi andiamo cercando. Florenskij diceva che il vero artista sale nudo al mondo ultrasensibile e ne discende con verità ineffabili, l'impostore invece sale presuntuso pieno di preconcetti e ne discende con i suoi fantasmi. Questa rimane la differenza tra arte e non arte ma è difficile riconoscerla perchè anche l'osservatore deve saper guardare e andare nel profondo, da qui il coinvolgimento soggettivo e interpretativo. Insomma l'arte dovrebbe toccare le corde emotive più intime che sono di natura estetica e sacra ma bisogna vedere se noi siamo in grado di ascoltarle, questo richiede educazone e sensibilità, il contrario di interesse mercantile.
Vedo che ultimamente su fb si discute molto sull'arte e gli artisti anche in ragione del prezzi stratosferici pagati dai collezionisti nelle aste per accaparrarsi delle opere di dubbia reputazione, dedicherò quindi questo post all'argomento che ho già trattato sui miei ultimi due libri Ecologia e Bellezza, ed. Alinea e L'altro architetto, ed. Casagrande. L'argomento sul quale spesso si dibatte è cosa sia arte e se questo giudizio sia soggettivo, legato al gusto, oppure no. All'Expo è stata esposta una statua dal titolo L'esibizionista che rappresenta un uomo in posa inequivocabile che con l'impermeabile aperto mostra i genitali. Da lì ne è nato un lungo dibattito a più voci se questa sia arte e dove quast'ultima voglia andare a parare. A mio parere sta avanzando un nuovo interesse perchè sotto si nasconde uno scontento generale per la produzione artistica contemporanea, una ricerca di senso e fame di bellezza. Ho già avuto modo di osservare che la grande rimozione del 900 è stata il bisogno di bellezza e che questa alienazione sta anche alla base della crisi ecologica. Nel mio libro L'altro architetto ho sottolineato il fatto che l'arte nel corso del secolo scorso ha abbandonato il suo fine classico, la bellezza, un sogno etico ed estetico che rifletteva una tensione verso il trascendente da individuare nella interpretazione della natura attraverso l'opera dell' artista-profeta che proprio per questo aveva un ruolo importante nella società antica. Del resto in Grecia sono i poeti e gli artisti che tramandano i miti della religione, l'artista è un sacerdote della bellezza cosmica. Cosmos infatti è ben diverso da universo con cui lo si traduce, è un ordine che segue norme di natura estetica, ogni cosa al posto giusto. Quando la cultura occidentale ha abbandonato il fine della bellezza, e questo è accaduto a partire dal 600 ad opera della filosofia e della scienza, specialmente con Cartesio, allora abbiamo avuto la perdita del ruolo degli artisti e la nascita del gusto. Si è passati da un'arte che aveva il compito di trovare l'universale ad una soggettiva, individuale, che il romanticismo ha ulteriormente esaltato nella libertà e originalità dell'artista. Da lì nascono tutte le storture che oggi riscontriamo nelle degenerazioni espressive contemporanee, manifestazioni di disagi interiori e rappresentazioni di stati patologici dell'animo umano, e chi più ne ha pìù ne metta, in una corsa alla provocazione tout court per sentirsi all'avanguardia. A questo si è aggiunto il mercato del collezionismo che da una parte ha liberato l'artista dalla dipendenza dai committenti tradizionali, aristocrazia e clero, ma dall'altra ha trasformato il fine della bellezza in avidità di denaro. Questa è la situazione attuale dove non vi sono più regole se non quelle del mercato, anche in ragione della trasformazione in economia del valore di un oggetto, dal quello d'uso a quello di scambio. Rimane tuttavia nell'inconscio collettivo la nostalgia per la natura antica dell'arte che è quella originaria degli sciamani di Lascaux, cioè della ricerca del trascendente e dell'unione cosmica ed è questo che noi andiamo cercando. Florenskij diceva che il vero artista sale nudo al mondo ultrasensibile e ne discende con verità ineffabili, l'impostore invece sale presuntuso pieno di preconcetti e ne discende con i suoi fantasmi. Questa rimane la differenza tra arte e non arte ma è difficile riconoscerla perchè anche l'osservatore deve saper guardare e andare nel profondo, da qui il coinvolgimento soggettivo e interpretativo. Insomma l'arte dovrebbe toccare le corde emotive più intime che sono di natura estetica e sacra ma bisogna vedere se noi siamo in grado di ascoltarle, questo richiede educazone e sensibilità, il contrario di interesse mercantile.
lunedì 18 maggio 2015
Della pena di morte
Fico d'India, acquarello su carta.
Il tribunale di Boston ha
condannato alla pena di morte il giovane terrorista ceceno che durante la
maratona di due anni fa, insieme al fratello, fece esplodere due bombe procurando la morte di tre persone.
Questa condanna verrà eseguita mediante iniezione letale. Lo stato del
Massachusetts ha abolito da anni la pena di morte ma quel delitto viene
considerato federale ed è prevista quella condanna. Gli Stati Uniti dunque non
vogliono allinearsi con la maggior parte
dei paesi occidentali il cui sistema giudiziario ha soppresso tale pena.
Ogni tanto la legge del taglione viene applicata nonostante ogni volta susciti
riprovazione nel mondo civile e scateni campagne mediatiche contrarie. Già nel 1859 Victor Hugo scrisse una lettera,
pubblicata su tutti i giornali liberi d’Europa, rivolta all’America per
scongiurare l’ esecuzione della condanna all’impiccagione di John Brown sostenitore
della liberazione degli schiavi. Ma invano. Tale fatto contribui a scattenare poi la guerra civile. Non si
vuole intendere insomma che la vita di un uomo non appartiene allo Stato e che
affermare questo significa avallare un pensiero riduttivo e consumistico della
vita che giustifica un assassinio, sia
pure legale.Non mi capacito come in un paese civile ci possano essere ancora
delle persone che di professione fanno il boia, come non si comprenda che un
atto cosi violento non faccia che elevare il livello di violenza insito in
quella società. Tant’è che gli omicidi avvengono con più frequenza. In sostanza
la violenza di Stato scatena la violenza privata, non è vero che la paura di
una tale condanna fa da deterrente al manifestarsi di azioni analoghe. L’ahimsa
di Gandhi, non capisco come l’India non abbia compreso il messaggio, la non
violenza, è una condizione prima mentale e poi fisica. Dunque una popolazione
che accetta la pena di morte è già in un atteggiamento di violenza mentale che
la rende corresponsabile di quell’assassinio e se è questa la situazione come è
possibile che esca dalla condizione riduttiva di un pensiero dicotomico e
paranoico che vede nella distruzione di un nemico la propria salvezza ? E’
questa legge dell’occhio per occhio e dente per dente, che spesso ipocritamente
viene rimproverata a popolazioni considerate
meno civili, che vale la pena di mettere in discussione perchè finchè sarà la
caratteristica della giustizia di un paese non si puo’ sperare di migliorarne
la convivenza civile. Gli assassini e i delinquenti non nascono sotto i cavoli
ma da un substrato di coscienza collettiva che contiene in se il germe della
violenza che si manifesta in personalità poco evolute. Ordunque non si puo’
pensare di guarire la violenza con altra violenza, non si fa che incrementarne
la densità. L’odio viene guarito dall’amore ma la paura lo allontana. Del resto
già il nostro Cesare Beccaria aveva spiegato che non vi è paragone fra un
omicidio privato ed uno pubblico, l’uno nascosto nell’ombra con tutte le
conseguenze di rimorsi e sensi di colpa, vedi Delitto e Castigo di Dostoevskij,
e l’altro reso spettacolare ed esaltato come atto di giustizia che viene
decretato e sadicamente procrastinato nei bracci della morte dove per anni il
detenuto soggiorna in attesa del giorno fatale. Spero, come già affermava Hugo,
che il paese della Libertà si renda conto finalmente della sua incongruenza.
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