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martedì 13 novembre 2018

Presentazione Manifesto sul diritto alla bellezza


mercoledì 24 ottobre 2018

Un contributo dell'economista alla cultura del bello di Giorgio Toscani


La Cultura de il “BELLO”




La crisi  che ha  investito  i Paesi occidentali ha prodotto effetti  che vanno al di là della pura valenza economica con conseguenze che non sono ancora prevedibili né quantificabili nella loro interezza.  Per superare una crisi, qualunque essa sia, è necessario una revisione attenta e puntuale dei parametri di progettualità  e dei modelli di vita . Ogni cambiamento scuote dalle fondamenta stili , atteggiamenti, credenze, abitudini nei quali  l’uomo ha radicato la sua esistenza e lo costringe a ricercare ed a valorizzare quelle peculiarità che ne costituiscono il patrimonio identitario, e che hanno  consentito di acquisire un proprio spazio vitale nella competizione globale.
 Dopo il consumismo esasperato degli ultimi anni si tende  ora  a riconsiderare la composizione della domanda verso “standards“qualitativamente più elevati, favorendo l’affermarsi  di ambiti produttivi che esprimano una offerta più  adeguata.
Il nostro Paese per le sue risorse naturali ed artistiche, per la qualità dei suoi prodotti industriali e per la creatività artigianale, viene considerato  come luogo di eccellenza e sommando le  bellezze naturali e le infrastrutture culturali,  si colloca ai vertici dei   Paesi più belli al mondo.
   
 Queste brevi considerazioni per riaffermare il principio che la bellezza è un valore, e che nel momento in cui si invoca la crescita, l’avvio di un processo di sviluppo dovrebbe promuovere il Bello a tutti i livelli: organizzativo, territoriale, produttivo, culturale , politico.  
  Valorizzare il Bello significa contrastare quel senso di trasandatezza, di incuria,  che spesso caratterizza le nostre città, frutto dell’improvvisazione, della subcultura: rappresenta oggi un  “Must”, un dovere etico e morale. Ciò è tanto più necessario in quando l’ottanta per cento della popolazione europea vive concentrata in aree urbane.  Fenomeno questo che, secondo gli esperti, tenderà  ad assumere dimensioni sempre più ampie. Pertanto, lo stile di vita urbano sarà sempre più condizionato dalla produzione industriale , dai servizi, dalle attività commerciali, dai trasporti,  e da  usi impropri del territorio che provocano il degrado civile e sociale.
 Per questo occorre porre rimedio a questa evenienza e  le collettività locali e le famiglie, in quanto centri di vita sociale,  dovranno costituirsi quali custodi delle loro tradizioni e del patrimonio culturale, assumendo  maggiore responsabilità verso il bene comune, ripensando  ad un modo nuovo di stare insieme.
  L’Amministrazione locale, poiché si colloca a livelli di responsabilità più vicini al benessere dei cittadini, ha un ruolo fondamentale nell’indicare stili di vita  e modelli di produzione  di consumo  e di utilizzo degli spazi più idonei, per arrivare a concepire un modello di vita sostenibile con l’obiettivo di perseguire la qualità.

 Il concetto della sostenibilità è inserito nella Carta delle città europee per un modello urbano sostenibile, approvata dai partecipanti alla Conferenza europea, tenutasi  ad Aalborg ( Danimarca ) il 27 Maggio 1994 e ne costituisce il requisito fondamentale..
Nella “Carta” il concetto di sostenibilità, secondo i principi a cui si ispira, contempla la conservazione del capitale naturale a livello ambientale, che sottende la conservazione della biodiversità, della salute umana  e tutto ciò che è necessario per sostenere la vita ed il benessere degli esseri viventi, animali e vegetali.
Le strategie a livello locale possono essere quelle più idonee a fronteggiare  specifiche peculiarità; per sanare i molti squilibri  urbani , architettonici, sociali, economici, politici, partendo dalle risorse.
Il processo di sviluppo, a livello locale, viene riconosciuto dalla Carta come processo creativo,  inserito in una visione evolutiva e non statica, che  ricerchi un equilibrio idoneo a contemperare le diverse attività significative che caratterizzano il sistema urbano, con scelte razionali risultanti  da soluzioni negoziate,  che permettano di goderne i frutti, sia agli attuali fruitori che alle generazioni future.
 Tra gli obiettivi più significativi del modello sostenibile viene suggerito quello di ridurre la pressione sul capitale di risorse naturali, attraverso l’espansione degli spazi verdi per attività ricreative e del tempo libero all’interno delle città,  creando  una maggiore equità sociale tra le classi sociali più deboli, mitigando la ineguale distribuzione della ricchezza.
Integrando i fondamentali bisogni sociali con adeguati programmi, si potrà agire per il miglioramento della qualità della vita  e non solo favorire la massimizzazione dei consumi.
  Un ruolo fondamentale deve essere svolto da tutti i cittadini della Comunità locale nella promozione di attività economiche e gruppi d’interesse con ed  in cooperazione a tutti gli attori  invitati a partecipare al processo decisionale locale.

Per dare  attuazione a tali obiettivi, le città europee firmatarie della Carta si sono impegnate a definire programmi di azione a livello locale di lungo periodo, riassunti nella ”Agenda 21, al fine di stimolare la cooperazione  con piani locali di azione per un modello urbano sostenibile.
  Per questo si propongono di  avviare una campagna di informazione e di diffusione  e di incoraggiamento, tenuto conto degli sforzi necessari a migliorare le capacità degli enti locali nei loro meccanismi decisionali interni, con riguardo agli accordi politici, alle procedure amministrative, alla cooperazione, alla disponibilità di risorse umane e finanziarie, tutte finalizzate alla sostenibilità.

 La riqualificazione dell’ambiente urbano è inserita tra gli obiettivi generali del “Regolamento Forum” del Comune di Roma, in cui è affermata l’esigenza di un miglioramento della dotazione del verde pubblico e della qualità dell’ambiente, attraverso la crescita del verde fruibile, la riqualificazione delle aree verdi pubbliche marginali e di risulta, mediante la realizzazione di orti di quartiere, la concessione–gestione di aree verdi pubbliche a privati, la riqualificazione delle aree verdi pubbliche interne ai grandi sistemi ambientali, il recupero di edifici comunali inutilizzati o poco utilizzati.
 Le possibili ricadute riguardano soprattutto l’accessibilità, la salute, la sicurezza; in una parola una migliore qualità della vita
L’analisi dei documenti preparatori alla  Conferenza Europea” di Aalborg confermano l’orientamento di tipo qualitativo del concetto e del principio di sostenibilità,   che si basa su un processo strategico di attività che ubbidiscano ad un criterio organicistico, assicurando la sostenibilità delle decisioni assunte.
Anche le raccomandazioni” della ”Agenda 21” , che le città firmatarie si impegnano a rispettare, si basano su criteri di cooperazione e di partecipazione a livello locale e la preoccupazione di predisporre opportunità di educazione e formazione sono viste solo in funzione della sostenibilità, uniformandosi  ad un concetto qualitativo.

Il Bello nell’antichità veniva concepito da Platone come la combinazione di fattori, quali la proporzione( bello visibile) e l’armonia (bello udibile) , ordine e misura che si compongono verso una idea eterna, perfetta, immortale del Bello; per Aristotele  il Bello è il “vero” che contempla, l’ordine, la proporzione ,il limite; fattori  che si compongono nel ritmo e nell’armonia, in un processo di imitazione della natura. Per Plotino il Bello non è nella simmetria ma ciò che nella simmetria  riluce, il Bello come intuizione e creazione dell’intelligenza e quindi applicabile a tutte le forme della creazione (dipinti,sculture,forme di governo,straregie,modelli matematici, formula di Eulero, la così detta “porzione aurea” rappresentata dalla lettera greca Ph).
 Per Kant il Bello è ciò che procura una soddisfazione di carattere universale: le cose non sono belle  per se stesse , ma in quanto capaci di eccitare e tendere le nostre forze spirituali, senza interesse e finalità di scopo. Per Croce il Bello non è un fatto fisico ma intuizione a cui il sentimento dà coerenza e unità .Ed ancora, il Bello è la modalità attraverso cui la mente si avvicina allo spirito.
Più di recente il Bello è stato utilizzato per promuovere un’ideologia o un dogma, è stato oggetto di dibattiti sociali ed argomenti,come pregiudizi (razziali), etica, diritti umani; a fini commerciali la
controversia culturale predilige la percezione dogmatica ( il Mito del bello) che è l’essenza virtuosa dove l’intelligenza percettiva tende al riconoscimento del Bello.

L’Italia è diventata nel secolo scorso uno dei paesi più industrializzati del mondo. La ragione di questo successo è dovuto  ad un insieme di fattori, tra i quali  l’altissimo contenuto estetico insito nella tradizione artigianale e nelle tecniche di produzione, che sono due aspetti della stessa medaglia.
La ragione ultima, universalmente riconosciuta, è che il valore della produzione dei beni di alto contenuto estetico è frutto dello straordinario patrimonio culturale ed artistico che assomma in se  una capacità creativa ed una cultura estetica, frutto della eredità rinascimentale. Abbiamo una tradizione artigianale che riesce a produrre con un ottimo livello estetico, dove la componente tecnologica si inserisce efficacemente nel processo produttivo di alta sofisticazione.
In Italia si producono i gioielli più belli, i più bei guanti, le scarpe più belle, i divani più belli, i marmi, le auto,ecc…; tutti prodotti che  si ritrovano in ogni provincia  e che sono frutto di una fortissima esigenza estetica che si esprime solo ad un livello localistico. Molti elementi confluiscono nel processo creativo in una sorta di “genius loci” frutto di una collaborazione tra tradizione culturale ed alta qualificazione artigianale. Oppure, come dice Edoardo Nesi nel suo libro Storia della mia gente ( Premio Strega 2011) questi elementi “sono frutto di una commistione tra arte e vita, che fu il Rinascimento fiorentino, quando grazie a Lorenzo dei Medici nacque e si perpetuò l’idea che dentro gli italiani alberghi una specie di geniale spirito artistico che li rende unici”.
 Tuttavia,  nelle nostre città  lo stridore tra la bruttezza delle periferie con la bellezza del centri storici, assume una dimensione insopportabile e dove il Brutto rappresenta la norma che, unito al degrado, avvilisce sempre di più il senso del Bello che è insito nella natura umana ed appartiene ad ogni individuo, ad ogni cittadino.   
 Occorre quindi recuperare il senso del Bello e farlo emergere in tutte le occasioni in cui sia possibile, cercando di espanderne la sua cultura  a tutti i livelli. Questo sarebbe possibile favorendone il trasferimento delle responsabilità alle comunità locali, secondo un principio di sussidiarietà che permetta di offrire risposte pertinenti rispetto ai bisogni, e scegliere gli interventi pubblici più vicini ai cittadini ed alle comunità.
I cittadini devono pensare alla propria comunità rigettando la crisi epocale  della governace, la crisi del modo di stare insieme, dove l’uomo è maestro e possessore della natura, attivando la relazione tra potere e sapere, rifiutando la legge del padre che induce alla protezione.
 Il presupposto per una nuova governance  vuol dire recuperare un nuovo senso civico di coesione sociale e di valorizzazione delle varie componenti e diversità; vuol dire rifiutare la cultura economica di un neo-liberismo utilitario, subordinato all’efficienza tecnologica, senza una coscienza morale e religiosa; vuol dire  perseguire la priorità del lavoro sul capitale, dell’uomo sul profitto. La logica del sistema capitalistico senza etica  induce ad una mentalità consumistica, madre della speculazione.
Se si vuole recuperare il senso del Bello occorre passare dalla cultura dell’accumulazione alla cultura della sobrietà , perseguire l’obiettivo di favorire la pace come impegno quotidiano e contro il degrado morale, il primato della persona e la dignità della persona .Occorre concepire l’ambiente urbano come luogo degli incontri, recuperando la cultura della città, la metafisica della città: urbis = civitas.
 Benedetto XVI di recente,nella sua prolusione al Bundestag, ha affermato che la cultura del Bello in Europa è frutto del patrimonio culturale  ottenuto dall’incontro tra la civiltà ebraica , greca e romana. La cultura del Bello è stata messa in crisi successivamente dal dominio esclusivo della ragione positivista che, soprattutto nella coscienza pubblica, ha annullato le fonti di conoscenza dell’”ethos” e del diritto. La cultura positivista è quella che ha costruito quegli edifici brutti, quell’insieme di strutture urbane chiuse in se stesse che rifiutano la creatività, rifiutano la luce e la vastità della natura, rifiutandosi di ascoltarne il linguaggio e le norme che sono racchiuse in essa e che sono il frutto di una ragione oggettiva creativa.( Vedi “Le Vele” a Scampia a Napoli o “Corviale” a Roma, ecc.)


 Il Bello è qualcosa che ci appartiene, che abbiamo tutti dentro, fin dalla nostra nascita, che è insito nel mondo che in cui viviamo, nella realtà . Noi abbiamo il compito di osservarla, capirla ed elaborarla  in maniera fedele; e si avrà la bellezza, che è la condizione spirituale più giusta ed armoniosa ed attenta per osservare la realtà ,per suscitare l’amore per la vita.
 Aprire gli occhi ed osservare la realtà, che corrisponde alla verità, comporterà inevitabilmente la contemplazione del Bello che è la fedele , incondizionata, armoniosa fiducia verso il naturale.


                                                                                                          Giorgio Toscani




domenica 26 agosto 2018

Il ponte maledetto




                
Che orribile tragedia il crollo del ponte Morandi sul Polcevera a Genova ! Si rimane esterefatti di fronte alle immagini diffuse dai media ed emergono dal nostro animo emozioni confuse di pietà, rabbia e paura che ci costringono a riflettere sull’accaduto e sulle sue cause. Secondo dati recenti più del 60% dei ponti costruiti in Italia dagli anni cinquanta ai settanta sono a rischio cedimento. Cinque sono crollati negli ultimi due anni. In questo caso il destino beffardo ha fatto cadere proprio un simbolo della tecnica e della modernità di quando l’idea di progresso era diventata un’incontrastata guida in ogni ambito del fare e l’ingegneria italiana veniva ammirata in tutto il mondo. Oggi parliamo di mancata manutenzione, di disastro annunciato da molti segnali e questo ci fa ancora più arrabbiare, ci si sente fragili nelle mani di una economia che ha come primo obiettivo lucrare guadagni sempre più alti a scapito della sicurezza e del bene comune. Galli della Loggia sul Corriere si chiedeva dove fosse lo Stato e denunciava in questa scarsa idea di Stato la causa dei mali italiani. Altri commentatori hanno dichiarato che gli italiani sono contrari all’industria e al progresso e quindi hanno favorito i contestatori della Gronda che avrebbe alleggerito il traffico sul ponte maledetto. Personalmente ritengo che questo crollo, come del resto gli altri, sia invece un segnale della debolezza del concetto di progresso che aleggiava intorno alla metà del secolo scorso. Ho già scritto diversi articoli su questo Blog, e nel mio libro L’altro architetto,  di denuncia rispetto a  questa idea di progresso e di economia. Questo ponte crollato ne è l’emblema. Ciò infatti ha a che  fare con il concetto di bellezza mescolata alla volontà di potenza, da questo punto di vista era l’ogoglio di Genova che si paragonava a New York. Questa bellezza però frutto della presuntuosa sfida alle leggi della statica in nome del progresso mi rammentano l’apologo di Dedalo e Icaro. La presunzione e la provocazione sono sentimenti negativi che fanno disastri quando sono applicati all’architettura dei ponti soprattutto se non accompagnati da una manutenzione necessaria. Ma tralasciando l’intento che qualcuno definirebbe moralistico e invece cercando di interpretare la malattia e non solo il sintomo mi riallaccio ad un mio articolo del 2016, a commento  dei 50 anni dalla pubblicaione del libro di Calvino Speculazione edilizia. La cementificazione della Liguria, che lo scrittore denunciava già negli anni 60, è continuata in crescendo e l’hanno chiamata boom economico, questa è la vera causa del crollo del ponte sul Polcevera che simbolicamente ha spezzato in due le Riviere sfigurate da una politica urbanistica improntata alla « deregulation » cui è stato dato il nome di rapallizzazione  a ricordare ciò che è avvenuto nella ridente cittadina ligure.  Cause generali dunque sono state l’aumento del traffico e a monte la scelta di privilegiare il trasporto su gomma anzicchè su rotaia, queste ed altre quisquilie sempre orientate da una economia che  fa il bello e il cattivo tempo in Italia dove la politica è fragile come il ponte e la bellezza è considerata un lusso.

  
       

       

         
  


   
                 


venerdì 29 giugno 2018

Della riapertura dei navigli milanesi




C’è molta polemica sulla riapertura dei navigli. Ciascuno porta buone ragioni per il si o per il no ed è difficile districarsi fra queste opinioni. Alcuni affermano che l’opera sarà costosissima e di questi tempi sarebbe meglio impiegare quei soldi per rigenerare le periferie, altri vedono l’operazione più che altro come una trovata turistica che porta valore solo al centro città, infine altri ancora affermano che avendo fatto un referendum nel 2011,ed avendo avuto circa 500.000 si, bisogna ascoltare i cittadini e mettere mano alla riapertura. Altri, ancora per il si. dicono che l’avvio dei lavori potrebbe costituire una occasione per una presa di coscienza della situazione idraulica milanese per migliorarla. Che dire a fronte di tutte queste belle considerazioni ? Personalmente credo che ve ne sia un’altra a favore del si, che nessuno ha citato per paura di apparire patetico, ed è quella della bellezza. Questo concetto è cambiato  dagli anni venti della chiusura, impregnati di futurismo. I popoli civili hanno sempre aspirato a costruire città belle, anzi erano chiamati civili proprio per questo e la città era bella perchè offriva esempi di cura, attenzione ed amore che creavano luoghi ameni, adatti a starci bene, e questi risultavano da una mescolanza di natura e cultura  frutto della creatività umana. Fra gli elementi naturali l’acqua ha sempre avuto uno spiccato valore simbolico, è fons e origo per citare il filosofo Bachelard, soprattutto dove andava a compensare il prevalere della pietra e del cemento. Il funzionalismo del secolo scorso ha negato questo bisogno privilegiando le esigenze del traffico automobilistico e della speculazione edilizia. Quando frequentavo la facoltà di architettura negli anni sessanta un professorone di progettazione, che in seguito diventò un archistar internazionale, avendo dato come tema una scuola elementare, suggeriva di posizionarla su una piastra di calcestruzzo a cavallo di uno snodo stradale a traffico veloce. Ora questo sembra ridicolo rispetto ai nuovi gusti generati dal pensiero ecologico ma allora sembrava il non plus ultra della modernità e dell’educazione. Dicevo dunque che rispetto agli anni in cui furono coperti i navigli alla « città che sale » si è sostituita la città lenta. Ecco dunque un buon argomento a favore della riapertura poichè credo che sia il segnale di una nuova estetica, soprattutto in una città come Milano che negli anni scorsi ha pesantemente favorito nuovi massicci  interventi  squilibranti come Porta Nuova ed Ex Fiera dove ha trionfato la tecnica globalizzante, distopica e banalizzante. E’ ormai a noi chiaro che la crisi ecologica del mondo moderno sia figlia di una crisi estetica dove il bello è stato sostituito dall’utile e la natura  sfruttata a dismisura.  Per questo motivo bisogna evitare che la riapertura consista nel progettare dei laghetti da cartolina a scopo turistico che contrastano con la tradizione. Cercare l’identità perduta è una operazione delicata che richiede molto studio.

martedì 22 maggio 2018

Bellezza cultura e paesaggio



 
Potremmo partire da un’affermazione di sapore plotiniano su ciò che è brutto e cioè: quello che non viene da noi considerato, guardato, ovvero viene trascurato. Certo, il neoplatonismo non è più di moda, anche se sul concetto di bellezza ha molto indagato e ha fornito diversi spunti agli umanisti del Rinascimento, e non solo, ma  ho parlato di bruttezza. Il problema estetico oggi appare molto complesso. Intanto occorre dire che la cultura, da un punto di vista antropologico, si può definire come una risposta ai bisogni e ai problemi di un determinato popolo, in un dato periodo storico, nel rapporto con il proprio territorio e la natura, ai fini di un miglioramento della qualità della vita: infatti deriva dal latino còlere che significa “coltivare ovvero avere cura del luogo”. Nelle società agricole la cultura era legata alla terra e alle capacità dell’uomo di trarne vantaggi, poi ha acquistato un significato più ampio relativo alla capacità di produrre benessere e felicità. Essendo la bellezza promessa e frutto di felicità  quindi si può anche dire che la cultura avrebbe come compito quello di produrre bellezza. È l’insieme di usi e costumi del vivere in comune che poi si manifestano concretamente nella città. I popoli civili si differenziavano dai barbari proprio perché avevano realizzato magnifiche città. Infatti il termine civile deriva da cives = cittadino. Con la civiltà industriale le città si sganciano dalla dipendenza nei confronti del territorio circostante e quindi dal rapporto profondo, sacro, con esso. Per cui anche la cultura si stacca dal territorio e si identifica con la nazione o la lingua, o peggio la razza. Oggi nella civiltà tecnologica le culture si sono mescolate fino a formare un’unica grande cultura nell’Occidente sviluppato e industrializzato, ma ora anche in Cina e India, che domina il resto del mondo. Questa però, influenzata dagli interessi economici, ha perso ogni contatto con il suo significato profondo originario e qualcuno la definisce più un’incultura, nel senso che non è più orientata alla ricerca della felicità dell’uomo nel suo rapporto con la natura, bensì a dominare quest’ultima e dilapidarla in nome dell’avidità di guadagno. Bene è descritto questo processo in  Il Paradiso Occidente di Stefano Zecchi. Ciò conduce a eccessi nella qualità del vivere che nascono dall’ideologia dello sviluppo illimitato e portano al disagio e all’infelicità.
L’antropologo Marc Augé identifica tre eccessi nel mondo contemporaneo (o “surmodernité” come lo definisce): un eccesso di tempo, un eccesso di spazio e un eccesso di individualismo. Il primo è dovuto all’accelerazione della storia: i media rendono storia eventi che accadono a distanze temporali ravvicinate; il secondo al fatto che avvenimenti in luoghi lontani vengono vissuti come vicini, grazie alla televisione e internet; infine il terzo eccesso è causato dal fatto che sempre più l’individuo è chiamato a vivere la vita e la società in modo individualistico. Il sociologo Zygmunt Bauman definisce questa società senza più appartenenza ed estremamente superficiale “società liquida”: questa ha prodotto l’attuale crisi estetica ed economica dalla quale si potrebbe uscire, secondo lui, solo passando da un modello incentrato sull’individuo a uno che si basi invece su un’esperienza etica ed estetica, privilegiando i rapporti umani e il contesto. La domanda che scaturisce da queste riflessioni sulla cultura dell’Occidente è questa: è possibile parlare di bellezza in questa società? Come si diceva all’inizio essa è il frutto di cura e attenzione e amore il contrario di superficialità e trascuratezza.   Il paesaggio   è la riprova, se ce ne fosse bisogno, della sostanziale  criminosa indifferenza con cui viene deturpato. La risposta dunque che mi do è che non è possibile ma necessario partire dalla bellezza per una inversione di tendenza.  Tutto ci induce a credere infatti che le trasformazioni del paesaggio naturale abbiano conseguenze ben più profonde di quanto non siano quelle, sia pur gravi, della perdita dei riferimenti spaziali o della memoria dei propri antenati. In definitiva per la nostra parte più profonda la montagna viene ad assumere un significato di ascesa verso il divino e un’evoluzione  interiore, le acque per Mircea Eliade sono la vita primigenia, “fons e origo” di tutte le possibiltà esistenziali, il bosco è la vita con tutte le sue luci e ombre, l’albero è l’albero della vita, esprime tutto ciò che l’uomo religioso considera reale e sacro, il cielo esprime sempre il trascendente. I valori simbolici degli elementi naturali dimostrano l’universalità di questo antico linguaggio dell’inconscio e l’interrelazione tra interno ed esterno. Noi abbiamo tolto ogni valore a ciò con grande presunzione creando una mentalità consumista e tecnicista per cui la montagna è un’ accidentalità geologica da perforare, le acque sono degli scarichi naturali, i boschi sono stati tagliati o bruciati. E’ evidente che nella misura in cui abbiamo deturpato e deriso il nostro ambiente naturale abbiamo anche intorbidato il nostro mondo interiore e quindi il nostro equilibrio psicofisico.

giovedì 11 gennaio 2018

I falsi di Modigliani

                                             Un poeta al mare, olio su tela, cm 50x70

   Leggo trasecolando dei falsi Modgliani esposti a Genova. Non è bastata la burla di Livorno il povero Modi è sempre al centro di scandali e truffe. L’artista, scomparso a soli trentacinque anni, secondo alcuni avrebbe prodotto più da morto che da vivo, nel senso che girano nelle aste di tutto il mondo dei falsi che vengono spacciati per veri e venduti a cifre da capogiro con tanto di expertise. Nel caso citato sono una ventina i quadri in questione sequestrati dai carabinieri. Se consideriamo che un pezzo di questo autore è stato venduto da Sotheby's, per circa 200 milioni di dollari, terzo nella graduatoria dei massimi prezzi mai pagati al mondo per opere d’arte, e che uno di quelli esposti a Palazzo Ducale era valutato 35 milioni si può immaginare il giro di soldi che fa capo a questo pittore.  E’ inevitabile che venga preso di mira da falsari di varia natura, a cominciare dai critici disonesti che vengono pagati per dichiararne l’autenticità. Questo è il panorama del mercato dell’arte. Come dicevo a proposito della favolosa vendita del Salvator Mundi, i collezionisti ormai non collezionano più l’opera in se ma il valore che la rende inaccessibile ai più, come nel caso dei francobolli.  Ciò conduce a una grande confusione nel campo della produzione artistica e nel concetto stesso di arte infatti siamo giunti a tanto, come ho già avuto occasione di esporre nel mio libro L’altro architetto, per via di una cultura  nichilista che azzera il valore estetico in favore di quello finanziario, ciò anche in relazione alla concezione odierna dell’artista ereditata dalla degenerazione romantica di questo personaggio, considerato nietzchianamente al di là del bene e del male, sovranamente posseduto dal suo furor  creativo che spesso coincide con la disruttività se non ben educato. Modigliani appartiene  a quegli artisti mitizzati e resi leggendari da una agiografia che, come nel caso di Van Gogh, ha inteso considerarli martiri del loro amore per l’arte cui hanno sacrificato le loro giovani vite. E’arcinoto il suo soggiorno parigino, la sua tubercolosi, la sua passione per l’alcol nonchè la sua fine e il suicidio della sua compagna, questo ha fatto si che si creasse il mito di Modi e di conseguenza anche quello delle sue opere che, in tempi di pruderie, scandalizzarono i benpensanti. A parer mio vengono eccessivamente esaltate  da certa critica d’arte che lo considera grande per la sua originalità. Ma su questo abbiamo già avuto modo di scrivere in altro contesto, a proposito della concezione dell’artista oggi.    

lunedì 20 novembre 2017

Salvator Mundi



   Salvator Mundi, attribuito a Leonardo da Vinci, è stato battuto da Christie’s a New York per la cifra record di 450 milioni di dollari, il prezzo massimo mai pagato per un’opera d’arte all’incanto.  Questo evento ci induce a una riflessione.  La bellezza non ha prezzo e il fatto che questo dipinto di Leonardo, che gareggiava con gli artisti del suo tempo per raggiungere la Bellezza Universale, sia andato a questa cifra iperbolica non ci scandalizza, anzi ci riempie di orgoglio e soddisfazione.  Ma è l’arte che ne viene valorizzata ? Niente affatto, a parer mio, anzi  da quando in economia si è passati dal valore d’uso al valore di scambio noi paghiamo la rarità dell’oggetto e la sua conseguente richiesta da parte di collezionisti tanto ricchi quanto eccentrici che pagano per l’ambizione di possedere quello che altri non si possono permettere. Basti dare un’occhiata alla graduatoria dei prezzi d’asta più alti per opere di pittura che, se è vero che il primo è Leonardo, il secondo posto appartiene ad uno pressocchè sconosciuto al grande pubblico Willem De Kooning con un’opera di espressionismo astratto che lascia basiti e ci vuole una guida per penetrarne il significato. Stefano Zecchi giustamente afferma nel suo ultimo libro Paradiso Occidente che l’arte deve spiegare e non essere spiegata, vale a dire che un’opera che ha bisogno di un interprete e non emoziona non è arte, almeno nel significato originario del termine. Se deve essere spiegata è una degenerazione intellettualistica dell’arte che non ha più come scopo la bellezza . Il valore venale che le si attribuisce non è altro dunque che una convenzione finanziaria su un oggetto dichiarato artistico da un ristretto numero di persone interessate a lucrarci sopra e che hanno il potere per farlo. Niente a che vedere con l’opera di Leonardo da Vinci. Fra l’altro il suddetto artista, statunitense di origine olandese,  in là con gli anni si ammalò di Alzaimer e continuò a dipingere  e non è possibile distinguere le opere di prima e dopo che  salgono a questi valori, 300 milioni di dollari. Che cosa paga dunque il collezionista ? La produzione della malattia ? Notiamo una tendenza che esalta thanatos più che eros in questo mercato dell’arte. Già di per sè la corrente espressionista mette in mostra i disagi interiori dell’artista, le emozioni negative, e questo passi in ragione del fatto che i pittori di quel periodo si sentono espropriati della loro funzione sociale di raccontare la realtà profonda ma quando diventa astratta è insopportabilmente espressione di una confusione mentale che non può che condurre all’abisso della negazione assoluta. Questo esemplifica bene il percorso dell’arte contemporanea, che cosa si colleziona dunque ? Il nichilismo etico ed estetico non può che condurre fuori dal campo dell’arte che per tradizione tende   al trionfo della vita, se la bellezza non è che la vita quando mostra il suo lato benedetto. Il Salvator Mundi di Leonardo da Vinci invece corrisponde proprio a questa definizione, anzi lo si può considerare come l’emblema di questa funzione dell’arte. La faccia del Cristo è il divino che si è incarnato e dunque la Bellezza e quindi il risultato della sua ricerca attraverso la natura che si specchia nel volto degli uomini di valore, antichi e moderni. E’ l’Uomo universale, nuovo Adamo, modello di etica ed estetica. Quando Dostoevskij fece dire al principe Miskin che la bellezza salverà il mondo forse a questo si riferiva, non a caso « salvator mundi ». Prendiamo dunque questo fatto di cronaca come un buon segnale per il recupero di una’antica gerarchia di valori che risponda al bisogno di bellezza.