Papa Francesco nel suo messaggio il giorno delle Palme ha detto di pregare
perchè tra l’altro si convertano i cuori dei produttori e dei trafficanti di
armi. Questa affermazione mi pare rivoluzionaria, non so se ci si rende conto
della sua portata. Nel nostro mondo occidentale così civile e cristianizzato la
produzione di armi da guerra è ai primi
posti nella classifica dell’industria manifatturiera. Il che vuol dire
che la nostra economia si regge anche sulla fabbricazione e la vendita di armi.
Ad esempio in Italia il settore è quello più florido, pure in periodo di crisi,
dal 2011 è aumentato del 48 percento con un fatturato di circa 20 miliardi
l’anno. Vi sono industrie insospettabili che producono armi e questa esportazione si rivolge
principalmente verso il medio oriente teatro di guerre. Si ha un bel dire che
servono alla difesa e che la nostra costituzione ripudia la guerra come mezzo
per risolvere i conflitti fra Stati ma se ne è permessa la produzione e la
vendita è chiaro che servendo per la guerra il settore sarà più o meno florido in
relazione all’andamento dei conflitti nel mondo. Viviamo una evidente
schizofrenia : ripudiamo la
violenza e la guerra ma il nostro benessere si sostiene con la produzione di
armi da guerra. Non si può difendere il paradosso con la scusa della difesa del
lavoro e dell’occupazione. Se ci saranno produttori di armi ci saranno guerre
anche se apparentemente verranno vendute a paesi non in guerra. Emanuele Kant
giustamente diceva che finchè vi saranno eserciti permanenti verrà sempre
voglia di servirsene, altrimenti a che servono i militari e le armi ?
Il lavoro lo si dovrebbe garantire in altri settori ad esempio incentivando il
settore dei beni ambientali e culturali, in un paese come il nostro dovrebbe
essere il settore trainante invece è ancora sottovalutato rispetto alle sue
potenzialità. Un bell’esempio per il nostro paese sarebbe la riconversione
delle fabbriche di armi in qualcosa di utile per la pace che viene assicurata
non certo dagli arsenali bellici sia pure con la scusa della difesa. Se
dividiamo il mondo in amici e nemici prima o poi ci ritroveremo con le armi in
mano. Ermete Trismegisto affermava « come sopra cosi sotto » o come
dentro cosi fuori se vogliamo evitare le guerre dobbiamo unificarci, far pace
con noi stessi, integrarci, rivolgerci alla nostra parte bambina, si deve
innescare la compassione ed evitare il potere come dominio. Riempirci di poesia
insomma e di sentimento della bellezza. Accedere dunque alla dimensione
estetica e sacra del nostro essere. Non a caso Dostoevskij affermava che la
bellezza salverà il mondo. Per le armi
si dovrebbe fare come per la droga, vietare la produzione e sanzionare
l’eventuale commercio, si suppone infatti che facciano più male delle sostanze
stupefacenti. Sarebbe così anche più
facile prevenire gli attentati terroristici indagando sul traffico illegale. Ma
sarà difficile se il Pil nazionale dipende anche da questo settore. Per questo
dicevo che l’affermazione del Papa è in qualche modo eversiva.
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martedì 11 aprile 2017
venerdì 17 marzo 2017
L'architetto oggi
Nell’antica Grecia i miti esemplificavano atteggiamenti dell’animo umano,
vizi e virtù. Per quanto riguarda la mania di grandezza e l’ambizione divorante
era pronto il mito di Dedalo e
Icaro. Dedalo era un architetto molto
famoso che non sopportava di avere dei rivali che lo superassero e avendo
scoperto che suo nipote, che lavorava con lui, ci tentava lo uccise. Per non
essere arrestato scappò a Creta e quivi costrui il famoso Labirinto. Poi dopo
un po’ di tempo volle tornare in patria ma il re glielo impediva allora
progettò e costruì delle ali di piume e cera che indossò e fece indossare al
figlio ammonendolo di non alzarsi troppo in volo perchè la cera con il calore
del sole si sarebbe sciolta. Il ragazzo, preso dall’ebrezza di volare non
stette a seguire i suoi consigli e si librò molto in alto finchè la cera si
sciolse e precipitò in mare perendovi. Perchè, vi direte, racconto questa
storia arcinota ? Come dicevo all’inizio i miti nascondono verità
psicologiche e il fatto che il protagonista di questo che esemplifica la
volontà di potenza smodata sia un architetto è sicuramente emblematico. Come
scrivevo nel mio libro L’altro architetto oggi questi professionisti si
dividono in quelli che non hanno coscienza sociale del proprio ruolo e quelli
che ce l’hanno. Questo si traduce in una minore o maggiore sensibilità verso i
problemi di sostenibilità ecologica e sociale. Ai primi possiamo ascrivere
quasi tutti i cosidetti archistar, o
perlomeno tutti quelli al servizio del capitale finanziario che i
mas _media esaltano per la loro genialità. I committenti li corteggiano
dopo aver contribuito alla loro fama e le loro architetture funzionano
esattamente come la pubblicità : più provoca e più colpisce nella
disattenzione generale e tanto più è assicurato il risultato pubblicitario. Quasi
sempre puntano sullo stupire, se non
intimorire, con qualcosa di portentoso, non a caso i temi sono quelli
che richiamano masse di utenti per eventi spettacolari, per inciso il concetto
di massa è tipico del novecento, fiere, musei, stadi, esposizioni
internazionali o in alternativa grattacieli altissimi per abitazioni di lusso.
In genere queste architetture nulla hanno a che fare con il genius loci e
difficilmente si integrano bene con la città preesistente, risultano invece
essere interventi squilibranti che utilizzano la tecnica per ottenere risultati
sorprendenti. Il grattacielo più alto in Dubai si spinge a circa 800 metri.
Questo garantisce per un certo periodo l’ammirazione e il consenso dei media e
di conseguenza del cittadino sprovveduto. Non a caso in genere tali manufatti
sorgono soprattutto in regioni scarsamente democratiche che vogliono così
mostrare la potenza della classe al potere.
Poi vi sono quelli con una buona coscienza sociale. Walter Gropius scrisse un famoso saggio dal
titolo Architettura Integrata per sostenere la necessità di una integrazione
dell’architettura nella città e descrisse il ruolo pubblico dell’architetto .
Questi ultimi non sono funzionali al potere finanziario perchè non aspirano a
volare troppo in alto come il famoso apologo riportato all’inizio. Sono quelli che cercano l’armonia e
l’eleganza più che la esibizione narcisistica di potenza. Inseguono la bellezza
e sanno realizzare progetti con cura, attenzione e amore che sono i presupposti
soggettivi per ottenerla. Sono questi che salveranno il mondo quando i prodotti
dei primi verranno dismessi perchè la cera delle loro ali si sarà sciolta.
giovedì 2 febbraio 2017
L'artista oggi
Nell’antica Grecia l’artista
aveva una funzione sociale, era colui in grado di rappresentare i miti
fondativi ed era una figura sacra con il compito di unire la terra al cielo.
Questa missione sciamanica era già presente negli anonimi artisti di Lescaux o
di altre pitture rupestri dell’età della
pietra, quindi molto tempo prima della civiltà greca. E’ da supporre che questa
capacità ierofanica sia all’origine della natura stessa dell’estro artistico in
generale in qualsiasi cultura.L’artista o è un mistico o non è artista. Per
Mircea Eliade, grande storico delle religioni che scrisse un ponderoso testo
sullo sciamanesimo, lo sciamano nelle antiche tribù aveva una funzione
fondamentale che si concretizzava nella
ricerca dell’albero sacro che univa la terra al cielo, l’axis mundi, che
serviva a dare identità alla comunità perché la collegava ad un luogo sacro.
Assume cosi una particolare importanza la forma come possiamo constatare anche
oggi nel Feng Shui cinese, elaborata dottrina derivante dagli antichi sciamani,
che si basa sulla forma dei luoghi. Il candidato a questo scopo veniva scelto
fra i ragazzi della comunità per delle sue caratteristiche psicologiche che
oggi gli psichiatri occidentali definirebbero segni di isteria. Doveva dunque
avere una sensibilità superiore per stabilire contatti con il
sovrannaturale. L’ultraterreno, ovvero
il mondo degli spiriti, lo poteva raggiungere grazie al suo particolare
rapporto con la natura indagata con il suo terzo occhio, cioé la sua capacità
intuitiva, simbolica e poetica. L’artista greco si collocava sulla scia dello sciamanismo
antico ed a maggior ragione il poeta che poi era all’origine un cantastorie che
narrava delle origini del mondo. Lungo l’arco della storia l’artista é sempre
stato ammirato e riverito proprio per queste sue ascendenze.Attraverso le forme
della natura risaliva allo spirito universale. E’di conseguenza sempre stato un
personaggio importante molto spesso invidiato ed emulato. Ma finché la sua arte
si confrontava con la capacità di trattare la materia sua propria, il pittore i
colori, lo scultore il marmo o il bronzo, il poeta la parola e la scrittura, il
musico le note, era impossibile a un mistificatore spacciarsi per artista. Di
questi ve ne erano di mediocri o di più bravi ma era difficile che uno
qualunque dichiarasse di essere un artista quando non lo fosse per davvero. A
livello psicologico un vero artista é sempre stato, se vogliamo, un boderline
vicino al folle, Ronald Laing infatti affermava che ambedue sono immersi nel
mare dell’essere ma mentre il folle affoga l’artista mistico sa nuotare. Pavel
Floreskij invece diceva che sia l’uno che l’altro salgono al mondo ultraterreno
ma il primo sale presuntuoso con le sue credenze e ne ridiscende con i suoi
fantasmi credendosi un ispirato mentre il secondo vi sale con umiltà e ne
ridiscende con verità ineffabili. In epoca moderna quando la funzione sociale
dell’artista si é annullata nel mercato,
dopo il periodo romantico che ha esasperato le emozioni forti e si é perduto
l’aggancio con la natura e la tradizione rinunciando ad aspirare alla bellezza,
ogni psicopatico è diventato un artista e un mercato pervertito ne ha esaltata
la produzione di oscenità provocatorie. Ma il peggio è venuto quando l’ arte è
diventata concettuale perchè si è staccata dall’esperienza e dall’abilità
manuale per essere solo espressione di disagi psichici. Personalmente per
valutare un artista, la sua autenticità e ispirazione guardo anche alla sua
vita. Se la sua filosofia di vita o la sua arte non gli hanno procurato gioia,
che è alla base dell’essere e della manifestazione del suo talento, avrò qualche
dubbio.
domenica 18 dicembre 2016
Del potere e del prestigio
Colazione da Gabriella,olio su tela
Le cronache degli ultimi giorni riportano gli
episodi giudiziari che coinvolgono i sindaci delle due principali città
italiane: Roma e Milano. E’ facile riflettere che la classe politica italiana
non é mai stata cosi sfiduciata. E’ di ieri l’episodio dell’aggressione di un
parlamentare da parte dei cosidetti “Forconi”. L’episodio è stato condannato da
tutti ma é un segnale inquietante della rabbia che serpeggia fra i cittadini
verso chi governa, fra rappresentati e rappresentanti. Anche l’Istituto del
Sindaco a elezione diretta con i casi suddetti mostra le corde e mette in
discussione il sistema delle scelte dei candidati, da parte dei partiti o dei
movimenti. Una società sana produce rappresentanti prestigiosi e capaci, una società
malata produce rappresentanti inadeguati. Il potere del resto fa gola a tutti
ma gli spiriti più evoluti non sono disposti a barattarlo con la propria onestà
e coerenza, ne consegue che in momenti di crisi valoriale vengano selezionati
quelli che invece sono disposti a tutto . Un proverbio napoletano recita:”
Comannà é meglio che fottere”, a sottolineare che da sempre il potere come possibilità
di comandare sugli altri dona piacere soprattutto agli sprovveduti, cioé quelli
che non hanno altre risorse intellettuali , morali o spirituali. Quando Mara
tento’ il Budda gli propose appunto di darsi alla politica. La stessa cosa fece
il demonio nel deserto quando tento’ il Cristo. In questa situazione dunque
rischiamo di mandare al potere il peggio della società, gli arrivisti, gli
impostori, gli arroganti e prepotenti, quelli che da sempre sono stati definiti
i cosidetti demagoghi. E veniamo ai due sindaci: ho già espresso in altro
scritto il mio parere sulla Raggi, troppo giovane e sprovveduta buttata li da
un movimento di protesta che sta dilagando proprio grazie allo scontento
generale della situazione descritta e che non ha certo avuto il tempo di
selezionare i propri quadri. Il sindaco
di Milano invece é un manager capace che
è stato in grado di organizzare Expo nei
tempi stabiliti e con grande successo. Sala dunque è uomo di prestigio con
esperienza e capacità che rischia di essere messo in difficoltà dalla
magistratura per gli appalti di Expo. Il potere giudiziario in Italia,, da
Tangentopoli in avanti, condiziona la politiica e questo é un altro segnale negativo
del rapporto malato fra cittadini e
delegati a rappresentarli. Anche i magistrati infatti non rinunciano al vizio
del protagonismo e dell’arrivismo usando gli avvisi di garanzia come armi per
colpire influenzando i mass-media che notoriamente costruiscono o abbattono
il consenso politico. In questa situazione si crea una grande confusione in cui
la gente finisce per odiare la politica e i suoi rappresentanti, manda al
potere chi non se lo meriterebbe e la selezione, anzicché la comunità, la fa la
magistratura che invece dovrebbe intervenire solo occasionalmente e in
silenzio. Si innesca cosi un clima di sospetto e di sfiducia verso questi
privilegiati che oltretutto godono di stipendi altissimi rispetto alla media e
questo, in periodo di crisi, é estremamente pericoloso. Cosi le riforme pur
necessarie le tentano personaggi non all’altezza e senza il prestigio
necessario per cui vengono bocciate. Il socialismo riformista purtroppo in
Italia ha sempre avuto vita difficile e non da ieri.
martedì 22 novembre 2016
Degli scali ferroviari a Milano
Città ideale, acquarello e pastello su carta, 2006
Degli scali ferroviari a Milano
A Milano si dibatte sulla destinazione degli
ex scali ferroviari e vengono proposte varie ipotesi di utilizzo con indici di
edificabilità piuttosto alti in relazione alle richieste del prezzo di vendita
da parte delle FS. Il solito ragionamento è questo: siccome il valore delle
aree edificabili limitrofe è tot anche le FS è giusto che pretendano un
corrispettivo adeguato da parte del Comune. E’ assurdo che questo accada tra
due enti che avrebbero come scopo il servizio ai cittadini e il bene comune. Pare infatti che, forti di questo ragionamento
e sostenute dalla proposta della giunta Pisapia, bocciata in consiglio
comunale, di un alto indice di edificabilità le FS abbiano pensato bene di
affidarsi ad una agenzia che le mettesse sul mercato.
Sarebbe opportuno ricordare alla proprietà che il valore delle aree non
viene generato da loro azioni sul territorio ma dallo sviluppo che il Comune ha
programmato. E’ lunga la storia della regolamentazione del valore aggiunto in
urbanistica e non siamo ancora giunti alla fine in assenza di una chiara legge
dei suoli. Negli anni 60 e 70 il CIMEP espropriava a prezzi agricoli i terreni
per costruire edilizia convenzionata e popolare perchè la cultura dell’epoca
indicava il valore aggiunto dei terreni edificabili non un diritto della
proprietà ma un di più generato dalle scelte del Comune che in qualche modo
attraverso gli oneri di ubanizzazione doveva tornare a lui. Non stiamo a
sottolineare le storture e le deroghe a tale prassi. Ricordo per inciso il
dibattito che genero’ l’istitutzione dei PPA, ovvero piani pluriennali di
attuazione, che temporalizzavano la realizzazione del piano regolatore in
ragione proprio del fatto che non era un
diritto del privato il valore aggiunto. In seguito ovviamente sono stati aboliti. La giurisprudenza infatti
é riuscita ad avvallare il diritto dei proprietari di essere rimborsati, in
caso di esproprio, al prezzo di mercato che é quello di scambio anche se il
valore dipende dalle scelte del PGT. Cosi la gran parte dei proprietari
espropriati ha fatto causa al Cimep e sono stati rimborsati. Siamo arrivati
dunque all’uso in urbanistica della compensazione per mettere tutti sullo stesso
piano, in sostanza l’esproprio è diventato una contrattazione fra il privato e
il Comune, un baratto: io ti do una cosa a te tu dai una cosa a me . Questo in
teoria per non generare disuguaglianze fra i vari proprietari quando la legge
stabilisce che in caso di esproprio per pubblica utilità vanno rimborsati al
prezzo di mercato delle aree. Tutto cio’ a livello dei privati ma qui
trattandosi di enti pubblici la cosa è diversa, in buona sostanza ambedue gli
enti dovrebbero avere come scopo il bene pubblico e quindi rispondere
adeguatamente ai bisogni dei cittadini. Questi ultimi vanno indagati con
serietà, fuori dalle diatribe dei partiti e, una volta individuati, dovrebbero
fare da base alle scelte urbanistiche. Uno di sicura notorità é il bisogno di
bellezza. Ora é evidente che in una città cosi densamente edificata con
periferie trascurate, spesso disagiate e cosparse di non luoghi, questo bisogno
si traduce in necessità di natura e
risulta pregnante anche in relazione alle sondabili richieste dei cittadini e
dei comitati. Un’altra domanda palese é
quella di case a bassi costi e prevalentmente in affitto. Le cifre mostrano
chiaramente la situazione, basta guardale: il numero di sfratti per morosità
sempre più alto, i senza fissa dimora, il pendolarismo e i giovani obbligati a
vivere nella casa dei genitori ecc. Una cosa invece di cui non si sente proprio
il bisogno sono nuovi interventi speculativi in un momento in cui l’invenduto
del mercato immobiliare è a livelli piuttosto consistenti. E’ inevitabile
quindi suggerire, come è già stato fatto da diversi autori, la destinazione a
parchi con una modesta quota di edificabile all’intorno, prevalentemente in
housing sociale, inframmezzato da poca edilizia di libero mercato che
servirebbe ad incamerare gli oneri di urbanizzazione e a creare quel mix sociale
tanto auspicato dalla letteratura urbanistica. E’ importante sottolineare pero’,
come dicevo in altro scritto, che questi parchi vengano progettati e
realizzati con cura in contemporanea con
le costruzioni ai margini puntando sulla qualità altrimenti si rischia il
degrado. Questa dovrebbe essere la
proposta dell'amministrazione comunale
alle FS che essendo un’azienda statale non dovrebbe comportarsi come un privato
e tendere al proprio guadagno e non al benessere dei cittadini, ricordando che il plus valore è generato dalle scelte
comunali.
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giovedì 10 novembre 2016
Elezioni americane
Fiori allo specchio, olio su tela 2013
Poiché tutti
commentano la sorpresa della vittoria di Donald Trump alla corsa per la Casa
Bianca cerchero’anch’io di dare una interpretazione a questo evento. Ho già
scritto su questo blog nel 2013 un post su la politica ai tempi della
televisione che poi è stato pubblicato anche su Corriere online. In sostanza
lamentavo nelle democrazie occidentali ipermediatiche la scissione fra i
cittadini e la rappresentanza politica. In tempi in cui i mass media erano
molto ridotti la elaborazione teorica avveniva nei circoli e nei salotti borghesi
e trovava uno sbocco attraverso il passaparola di attivisti che si assumevano
il compito di divulgare il nuovo messaggio. Basti pensare ai rivoluzionari
russi piuttosto che al nostro Mazzini che dalla clandestinità influenzava l’azione
di migliaia di giovani. Esisteva cioé un rapporto diretto fra la elaborazione
delle idee politiche e la loro applicazione. In regime di sovrabbondanza dei
media, soprattutto la televisione,che vengono manipolati
da gruppi di potere interessati si ha un allargamento dell’informazione ma
al contempo un abbassamento del livello
di autonomia intellettuale. In sostanza veniamo trasformati da cittadini in
consumatori passivi e la politica diventa marketing televisivo, come qualsiasi
prodotto di consumo.Le elezioni americane sono un esempio emblematico di quanto
detto infatti i candidati investono molto in spot pubblicitari e usano a
dismisura il mezzo televisivo per autopromuoversi, il sostegno di media é
essenziale per la campagna presidenziale. Tutta questa organizzazione del
consenso a volte infastidisce e mostra l’arroganza tipica del potere di
sostituirsi in toto all’opinione reale della gente che, benchè anestetizzata, tuttavia
non è stupida e qualche volta reagisce in modo imprevedibile. Nel caso suddetto
Hillary aveva il sostegno di tutti i media ma ha perso proprio perchè non
piaceva, troppo immersa nell’apparato, e vi è stata una sorta di ribellione al
cosidetto establishement. Non è che Trump non sia un prodotto televisivo, lo è
e come, tuttavia dà l’impressione di
essere più originale e fuori dalla casta politica. Interpreta insomma l’istanza
di rinnovamento che serpeggia nei cuori della gente costretta a subire le decisioni
più che partecipare a prenderle. E’ chiaro che ambedue i candidati non sono che
burattini nelle mani dei poteri economici. Come dicevo a proposito del
berlusconismo lo spirito di un’epoca trova poi il modo di incarnarsi in un
soggetto che si trova nel posto giusto al momento giusto ed è spinto dalla sua
divorante ambizione. Tump oggi é l’espressione di questa esigenza di più
fantasia al potere, speriamo che riesca a stupirci.
mercoledì 26 ottobre 2016
Dei parchi urbani
Giardimi Montanelli, acquarello su carta, 2009
Vedo sui giornali che
a Milano si dibatte molto intorno alla destinazione a verde degli ex scali ferroviari ed anche di altre aree,
come se questa destinazione in se costituisca una panacea di tutti i mali della
città. Ecco cosa scrivevo a proposito dei parchi su L’altro architetto.
Il problema del verde
in città è annoso e si trascina dalla prima rivoluzione industriale. In genere
nella città europea i parchi centrali sono i giardini dei palazzi nobiliari di
un tempo, che sono diventati pubblici. All’esterno sono invece aree faticosamente
sottratte alla speculazione edilizia e attrezzate per il tempo libero. Ora, non
è detto che grandi aree verdi, a parte il benefico effetto sul clima urbano,
siano luoghi di delizie: occorre che prima di tutto vi sia una buona
sorveglianza, i quartieri che vi si affaccino non siano solo malfamati, e che
quindi il parco non diventi a sua volta un non-luogo, abbandonato in certe ore
del giorno. Esso va vissuto. Sarebbe meglio avere tanti piccoli giardini che
non grandi parchi che nessuno gode. I grandi parchi dovrebbero funzionare come
oasi del continuum costruito, dove chi vuole può avere la possibilità anche di
praticare l’agricoltura e coltivarsi un orto: allora si avrebbe una presenza
continua di persone che tornano alla natura per lavorare la terra come un
tempo, con una produzione di frutti che può costituire una risorsa. Del resto
anche il paesaggio agrario che circonda le aree urbane ha una sua nobiltà
storica, che dovrebbe essere difesa. Vivendo nelle città, spesso, ci
dimentichiamo che è dalla natura che scaturisce la vita, anche la nostra, e
quindi il sentimento legato alla bellezza, che ce la fa scoprire, si rivolge in
primis a lei, se accettiamo la definizione: bellezza uguale rispetto per la
vita. La natura quindi è bella in quanto, per dirla con i Greci, è
manifestazione di cosmos, ovvero dell’estetica dell’essere. Tuttavia in natura
vigono le differenze: ogni organismo e luogo hanno un loro potenziale
energetico relativo alla loro funzione nel sistema. Certi organismi noi li
vediamo brutti perché li togliamo dal loro contesto vitale e proiettiamo su di
loro le nostre parti poco gradevoli. Alla domanda se, allora, sia bella solo la
natura, si può rispondere che è bella la natura, ma è altrettanto bella la
produzione artistica in chiave ecologica. Ecco perché i giardini, i parchi e
gli alberi nelle città ingentiliscono e umanizzano panorami artificiali a volte
squallidi e costituiscono una componente estetica non indifferente nelle aree
abitative e lavorative. Da L'altro architetto . Giampiero Casagrande editore
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